• Non ci sono risultati.

Il concetto di performance

2.4. Comunicazione non verbale: i caratteri general

Questo ambito raccoglie aspetti strutturalmente imbricati alla comunicazione non verbale di cui, seppur per sommi tratti ed in generale, si tenterà di approcciarne alcuni fra gli elementi maggiormente significativi, per l’ambito performativo precipuo, alla luce non di universali ovunque applicabili e comunque significanti bensì di tendenze, concrete, che manifestano la loro portata nella quotidiana esistenza.

Il rischio, che questa operazione porta con sé, può rivelarsi di ordine metodologico e, anche, sostanziale: le rilevazioni e le deduzioni incardinate nella disciplina della comunicazione non verbale rappresentano non certo dati assoluti né, tantomeno, estremi rintracciabili a priori, bensì l’esatto contrario.

Gli spunti qui di seguito proposti andranno, pertanto, considerati come emergenze a fronte di una casistica di parametri dominanti, non sempre veritiere, non certo assolute. Proprio in ragione della singolarità e dell’unicità di ogni singola persona, sono possibili scostamenti dai rapporti di causa-effetto proposti, così come, parimenti, sarà possibile individuare certe tendenze in merito al manifestarsi di particolari relazioni e dinamiche fra atteggiamenti/conformazioni fisiche e dimensioni psicologico-caratteriali.

La premessa da cui partire nel presentare la comunicazione non verbale è il ragionamento intorno alla definizione, indicandola anzitutto non come una disciplina che studia il comportamento dell’uomo in se stesso bensì tutti gli aspetti di uno scambio comunicativo pur se non dipendenti dall’impiego della parola. In questo senso ci troviamo in un ambito comunque ed altrimenti comunicativo, per certi aspetti celato, velato o negletto ma in ogni caso presente e persisitente.

Circa la dimensione della consapevolezza s’è già fatto, e si farà, ulteriore riferimento nel corso della trattazione. Si riscontrano, in questo senso, percentuali significative e, per certi versi sorprendenti, in merito alla ricezione di un messaggio verbale: secondo uno studio di Albert Mehrabian221 il 55% dell’attenzione è riposta al linguaggio del corpo, il 38% al tono della voce mentre solo il 7% alle parole utilizzate222. Il risalto, perciò, è posto su fattori solitamente percepiti a livello inconscio e analogico.

221 Mehrabian, Albert, Nonverbal Communication, Chicago, Aldine Transaction, 2007. 222

84

La comunicazione non verbale include il sistema paralinguistico, la prossemica, la postura, l’orientazione, l’aptica, la mimica corporea, la mimica facciale, i comportamenti e le reazioni psicofisiologiche.

Nell’ambito, sempre generalmente, dei processi relativi alla comunicazione non verbale emerge un dato essenziale: i meccanismi dai quali scaturisce la comunicazione non verbale (d’ora in poi: CNV) sono assai simili in tutte le culture, ma ogni cultura tende a rielaborare in maniera differente i messaggi non verbali, assegnando loro connotazioni e convenzioni talvolta anche sensibilmente eterogenee. Questo è il punto centrale, dirimente, senza il quale l’apparato che delimita la CNV risulterebbe non del tutto credibile e, pure, è il punto centrale in merito all’inclusione a pieno titolo nell’alveo comunicativo della CNV poiché, se ben si realizza, trattasi parallelamente dello stesso processo di assegnazione discreto di un significato al significante.

E’, anche in questo caso, un processo convenzionale, dettato cioè, da norme codificate localmente e non universalmente validate223. Ciò significa che forme di CNV perfettamente comprensibili per le persone appartenenti ad una determinata cultura, possono invece essere, per chi ha un altro retaggio culturale, in parte o assolutamente incomprensibili o godere di significati altri rispetto a quello/i inteso/i dagli emittenti224. Come ben si comprende l’ambito indagato risulta abbastanza affscinante da stimolare numerosi paragoni o ricollegare plurime casistiche, anche provenienti dall’esperienza concreta, anche relative all’ambito performativo, in cui –considerevolmente- la CNV esercita un ruolo di primo piano.

Con ordine, tuttavia, è utile esaminare alcuni elementi concreti che compongono la CNV, ad iniziare dal sistema paralinguistico. In realtà, ponte fra linguaggio verbale e non verbale, esso si riferisce all’insieme delle emissioni sonore prodotte indifferentemente dal significato delle locuzioni. Sono parametri specifici quali: velocità di eloquio, ritmo, intensità, tono.

Istantaneamente si può constatare come essi siano aspetti peculiari dell’ambito musicale, marcatori comunemente usati per definire i parametri specifici di qualsiasi produzione sonora. Ancora una volta, quindi, si rileva la prossimità e l’interrelazione che insiste fra la disciplina musicale e lo studio della comunicazione interpersonale in generale.

223 Cfr: Giornelli, Gabriella, Educazione linguistica interculturale. Esplorare le basi della comunicazione non verbale,

orale e scritta, Trento, Centro studi Erikson, 2003.

224 Anche in una prospettiva identitaria si veda: Bondi, Marina, Appartenze multiple. Prospettive interdisciplinari su

85

Velocità concerne il tempo di successione delle sillabe (numero di sillabe al secondo) e della durata delle pause. In questo caso, perciò, il parametro è composito in quanto composto da articolazioni pertinenti (la sillabazione linguistica) e non pertinenti (emissioni vocali interludianti ma non discrete linguisticamente): esiste infatti la possibilità di emissioni vocali (interiezioni) dettate non sempre dalla volontà di esprimere conapevolmente concetti o trasmettere informazioni bensì emesse talora per necessità fàtica ovvero per temporeggiare al fine di articolare in maniera più completa un discorso. In somma, tuttavia, volendo indagarne l’identità comunicativa ambedue le espressioni sono significanti, almeno nell’alveo della CNV.

Se, culturalmente, non si riscontrano associazioni precipue fra sillabe intercalatorie e significati semantici c’è invece da rilevare come, all’interno della CNV, sebbene prive di univoca associazione di significato, anche le vocalizzazioni comportino un significato, seppur non linguistico. Altrimenti, pur non significando in senso assoluto, esse comunicano stati d’animo e situazioni personali, ad esempio di agio-disagio, configurandosi come segno, più che come significato, anzi come spia.

Così, tendenzialmente, una velocità di eloquio particolarmente sostenuta sarà indice di una personalità piuttosto agitata ovvero non particolarmente introversa ovvero predisposta ad interfacciarsi con una certa facilità con gli altri ovvero emotivamente condizionata.

C’è, evidentemente, una non coerenza fra le situazioni descritte, proprio in relazione alla non univocità causa-effetto, riscontrabile nelle particolari situazioni. Così un segno darà luogo ad una serie di possibili cause.

Il ritmo, invece, concerne un particolare modo di cadenzare il discorso sulla base, soprattutto, di una consecuzione accentuativa. Anch’esso appartiene generalmente alla prosodia, intesa come l’insieme delle particolarità accessorie che appare nella realizzazione della parola, ovvero l’insieme dei caratteri fonici –dinamici, melodici, quantitativi- peculiari di parola o sillaba.

Intensità, invece, si riferisce al volume con il quale si regola la dizione, segnandone l’enfasi di emissione. Perciò, anche implicitamente, variando la portata del messaggio in relazione al contesto ed al destinatario.

Non ci si può nascondere che anche l’intensità sia una spia efficace in merito al contesto comunicativo, la cui scelta di registro (consapevole o meno) influisce o determina i ltipo di registro usato e veicola, altresì, talune connotazioni accessorie alla testualità. Anche una sola sillaba, pronunciata con intensità diverse, godrà parimenti di oscillazioni semantiche relative.

86

Tono, infine, determina il registro e le relative possibili oscillazioni compiute dalle corde vocali nell’emissione di un costrutto linguistico. Il tono contribuisce in modo essenziale a segnare il profilo intonativo e ad assegnare il significato completo del contenuto verbale espresso (ad esempio tono conclusivo, interrogativo ecc) nonché indicare la propria disponibilità a concludere piuttosto che a proseguire il proprio intervento.

Sempre in linea tendenziale si può indicare qualche possibile analisi in merito alla CNV relativa ai tratti appena citati:

Durante l’eloquio la voce può essere soggetta a variazioni di intensità, di ritmo, di intonazione ecc. Molto spesso ciò èè una manifestazione psicofisiologica al di fuori del controllo consapevole. L’eloquio può risultare infatti più acuto o più intenso, e denotare quindi paura o rabbia, mentre una concomitante accelerazione del discorso segnala uno stato di eccitazione. Parimenti il rallentamento del ritmo dell’eloquio insieme ad una tonalità più grave può indicare tristezza, noia o stanchezza. La tristezza è in maniera più diretta collegata al diminuire dell’intensità vocale. (Corsaro, 2013, p.26).

Altro tratto pertinente, all’interno della CNV, risulta la postura. Essa, infatti, più di ogni altro parametro, ed indipendentemente anche dalla voce, manifesta particolari propensioni dell’individuo osservato.

Se, fisicamente, postura si può definire come il bilanciamento e l’equilibrio del corpo umano, ottenuto in forma di resistenza rispetto alla forza di gravità, in termini psicologici la postura rappresenta la posizione che il corpo, in modo più o meno consapevole, assume nei confronti dell’individuo con cui si rapporta ed al contesto in cui si trova inserito. A fronte di quattro principali situazioni di postura (eretta, distesa, rannicchiata, in ginocchio) si segnalano invece altre situazioni di variazione di postura le quali, ancor più, indicano un atteggiamento assunto dal soggetto al variare di certune condizioni esterne: tensione, rilasciamento, indietreggiamento, avanzamento.

In particolare gli studi di Ekman e Friesen (Ekman e Friesen 1963), si spingono a sostenere che la postura indichi non tanto il tipo di emozione provata quanto, piuttosto, l’intensità della stessa225.

Ad ogni modo, cercando di sintetizzare la questione in punti da noi usufruibili per la materia trattata converrà condensare le osservazioni attorno ai tre fattori che, principalmente, determinano la postura, causandone la disposizione fisica: 1) configurazione spaziale: sbilanciamenti, avvicinamento o allontanamento, simmetria; 2) tonicità muscolare ovvero rigidità della postura; 3) orientazione rispetto all’ambiente: frontale, laterale, di traverso, di spalle, disteso.

225

87

Benchè i primi due fattori siano più strettamente connessi alla postura, anche l’orientazione, pur afferendo anche e più direttamente l’ambito prossemico, concorre alla definizione posturale variandone o modificandone gli attributi.

Con il contributo di questi parametri si generano almeno tre prototipi di postura, rilevabili anche nell’ambito performativo in questa sede indagato: a) posture dominanti o sottomesse; b) posture d’apertura o di chiusura; c) posture di agio o disagio.

Ad esempio la più classica posizione di esibizione corale si evidenzia con il corista in postura eretta, testa parallela all’asse del corpo, braccia generalmente dietro la schiena o, in caso di spartiti, perpendiolari al corpo: postura che sembrerebbe poter rientrare fra la tipologia delle posizioni dominanti. In realtà c’è da rilevare la concorrenza di altri fattori quali, ad esempio, la necessità di assumere quella posizione –ed in questo senso vi sarebbe traccia di un condizionamento obbligato e consapevole- per ragioni di pervietà delle vie aeree e conseguente emissione vocale.

Inoltrandoci, per analogia, nel versante prossemico è indispensabile relazionarsi quasi immediatamente con la dimensione di gruppo rispetto a cui, per la maggior parte, si conformano le pratiche performative osservate.

La dimensione dello spazio che intercorre fra individuo ed individuo condiziona –o, al contrario, descrive- la relazione che egli stipula con i propri simili. Questo spazio personale, evidentemente, può essere variabile in relazione alla dimensione del rapporto che si instaura fra due o più soggetti ed in base alla confidenza che con loro si matura. Convenzionalmente lo spazio interpersonale si divide in quattro diverse tipologie: zona intima (da 0 a 50 cm); zona personale (da 50 cm ad un metro); zona sociale (da 1 metro a 3 o 4 metri); zona pubblica (oltre i 4 metri).

In ambito performativo si rilevano considerevoli margini di differenza prossemica, avendo censito esibizioni di gruppi la cui disposizione spaziale si orienta in zona intima e, altrettanto, disposizioni –solitamente meno frequenti- a maglia larga in zona personale e – certamente non comuni ma comunque praticate- talora anche in zona pubblica, con la disposizione dei cantori in zone diverse del set. E’ singolare, a tal proposito, notare come nella zona intima vengano ammessi:

solo alcuni familiari stretti e il proprio partner. Un ingresso di altre persone esterne a questo ristretto numero di ‘ammessi’ viene percepito come un’invasione che provoca disagio. Basti pensare a situazioni in cui siamo costretti ad ammettere nella nostra zona intima soggetti estranei (ascensore, autobus). La conseguenza di questa situazione è un tentativo di mostrare l’involontarietà della nostra ‘invasione’, quindi si tende ad irrigidirsi e a non incrociare lo sguardo con le altre persone, depotenziando gli aspetti relazionali. (Corsaro 2013, p.34)

88

Nel caso specifico indagato c’è, oltre a ciò, un parametro ulteriore da tenere in considerazione: ulteriormente alla violazione della zona intima da parte del corista disposto accanto -o meglio: alla reciproca violazione della zona intima- c’è da segnalare che questa invasione è necessariamente destinata a perire come tale per sfociare in un’accettazione del vicino ed in un’inclusione, quindi, sotto l’aspetto di familiarità, nella zona intima.

Certo, talvolta non sempre ciò accade, ed infatti sono possibili spostamenti dei coristi, seppur all’interno della stessa sezione ma, in linea generale si instaura una sintonia fra vicini, anche in virtù della ripetizione, e quindi della frequenza, in cui le stesse persone si sistemano nelle stesse posizioni.

C’è, ancora, una caratteristica da rilevare in ambito corale: solitamente la distanza fra coristi e direttore si misura entro la zona sociale, quindi attraverso la distanza da uno a 3/4 metri. Tanto significativa risulta tale distanza quanto effettivamente la considerazione che separa il Maestro dal resto del gruppo. Evidentemente questo differente posizionamento è altresì dovuto a ragioni pratiche, ad esempio il raggiungimento di un punto di vista/udito complessivo ma è importante rilevare come questa necessità tecnica si traduca ovvero determini anche una differente situazione prossemica e che questa, naturalmente, sia discreta e segni, a proprio modo, un altro tipo di differenza.

Pertinenza -o estrema conseguenza- della prossemica, l’aptica se ne rivela la forma estrema, in entrata o in uscita.

Essa infatti configura quale dimensione esplorativa il gesto attivo di toccare e di dimensione ricettiva il gesto passivo di essere toccati. All’interno di queste due differenti prospettive sussiste una ulteriore differenziazione fra contatti reciproci e contatti individuali, i primi caratterizzati da un mutuo impulso attivo (ad esempio una stretta di mano), i secondi, invece, dalla presenza solo unidirezionale (ad esempio appoggiare la mano sulla spalla di un altro soggetto) che sovente indicano l’instaurarsi di un rapporto asimmetrico fra i due soggetti.

In questo campo si rilevano differenze assai marcate culturalmente fra aree geografiche, ad esempio, in area europea, generalmente con margini minori di interferenza personali rilevabili fra popoli nord-europei, rispetto alla maggior attività aptica posta in essere da popoli sud-europei.

All’interno del microcosmo di una formazione corale, invece, si assiste non raramente ad accentuazioni aptiche, di tipologia sensibilmente diversa: dal rapporto asimmetrico del direttore che ringrazia un corista appoggiano la propria mano alla sua spalla al rapporto biunivoco fra coristi che si abbracciano per la foto finale.

89

In più serve considerare l’aptica involontaria che, molto frequentemente, coinvolge i coristi sia nella loro mutua collaborazione per la preparazione dei materiali/strutture per il concerto o per qualche trasferta sia nel corso della performance, mediante oscillazioni non preventivate fra stazioni erette: non è raro, infatti, rilevare movimenti oscillatori della stazione dei coristi, taluni anche sostenuti, solitamente tanto coinvolti dalla pratica del canto da interessare, più o meno involontariamente, anche la propria postura, modificandone altresì la prossemica e generando, talvolta, anche rapporti aptici non previsti né volontari.

Nell’osservazione del panorama performativo, composto dalle sue innumerevoli singole performance, non manca l’aspetto mimico-gestuale che informa, a titolo diverso, ciascuna esposizione concertistica, sia nel gesto direttoriale, per antonomasia, sia in alcuni segnali emessi dai coristi.

Ekman226 riconduce in 5 grandi categorie i movimenti corporei-gestuali:

1) emblemi, atti non verbali, solitamente manuali, che hanno una diretta traduzione verbale, il cui significato è comunemente noto ai membri di una stessa comunità (ad esempio scuotere la mano per salutare);

2) illustratori, gesti collegati ad un particolare discorso e servono a chiarire ciò che, verbalmente, si esprime;

3) manipolatori, tutti i movimenti centrati sul corpo;

4) regolatori, gesti mediatori della conversazione, utili a far comprenderne le fasi, ad esempio alzando la testa in attesa di una risposta;

5) sincronizzatori, movimenti usati per scandire il tempo in un’esposizione verbale. Particolarmente significativi, in ambito performativo, i gesti regolatori e sincronizzatori: fra i primi è utile ricordare, ad esempio, l’abbandono della rigidità muscolare dei coristi, al termine di ciascun brano alla chiusura del direttore. Solitamente questo è un segnale anche recepito, più o meno consapevolmente, anche dal pubblico per far scattare l’applauso. Fra i secondi il gesto regolatore per eccellenza, del tempo del brano in questo caso: il battito del direttore e, non raramente, gesti di pulsazione di singoli coristi tramite l’attivazione del piede o, anche, con minime pulsazioni delle dita delle mani.

Il procedere è quasi obbligato verso l’analisi delle braccia. Tali propaggini articolari, infatti, pur costituendosi al margine della postura, ed in parte anche orientandola, trasportano significati propri a causa della loro posizione.

226

90

L’esame è ancor più pertinente in quanto, come è noto, l’uso delle braccia svolge un ruolo importante non solo evidentemente per l’attore centrale, qual è il direttore, bensì anche per i coristi, nel caso di un gruppo costituito e anche –anzi, maggiormente- nei casi di performance non orientate in strutture rigide.

L’impiego delle braccia è, ancora una volta, sia consapevole sia inconsapevole, delimitando così situazioni liminali ma denotando, il più delle volte, contesti di espressione naturale poco controllati dall’apparato razionale.

Solitamente si individuano quattro grandi configurazioni delle braccia: a) braccia rilassate lungo i fianchi;

b) braccia aperte; c) braccia incrociate; d) braccia dietro la schiena.

Evidentemente ciascuna posizione, all’interno della CNV suggerisce talune valenze comportamentali o stati psicologici particolarmente probabili. Per antonomasia, e nell’iconografia in genere se ne ritrovano ampie testimonianze, ad esempio: le braccia aperte sono simbolo di apertura, accoglienza e perfino gioia. Viceversa le braccia diversamente conserte suggeriscono rifiuto o fermezza.

Tarando la riflessione negli ambiti più frequentati coralmente si noteranno due posizioni assai praticate:

a) braccia rilassate lungo i fianchi, solitamente l’impostazione dei gruppi senza spartito e afferenti contesti non popolari (religiosi, operistici, classici in genere);

b) braccia dietro la schiena, sovente caratteristica del repertorio popolare, non raramente virile, solitamente di matrice alpina.

Le braccia lungo i fianchi corrispondono alla situazione di riposo, denotando altresì serenità e disinvoltura così come le braccia incrociate dietro la schiena rappresentano un gesto rassicuratore che denota un bisogno di autocontrollo e di sicurezza. L’autocontrollo, infatti, in caso di performance, si traduce non raramente in tensioni muscolari che le mani catalizzano ma nascoste dietro la schiena, quasi fossero l’ultimo anello –il meno visibile- della catena dell’emozione.

Altro grande capitolo dovrebbe essere aperto in relazione alle braccia e alla cinesica del direttore, peraltro tuttavia codificata dalla tradizione direttoriale, sebbene non sempre tali codificazioni e stilemi siano attuati con i medesimi significati da ciascun maestro. Infatti la casistica suggerisce che ciascun direttore adotta codici gestuali e cinesici specifici, anche talvolta inediti, ma sempre ben recepiti dai propri coristi.

91

Tale, infatti è la sintesi della comunicazione (anche non verbale) ovvero l’identità di significante e significato, la quale non è un valore assoluto ma passa attraverso la condivisione di una convenzione.

Le prassi vocali si adeguano agli stilemi del direttore, conformandosi alle indicazioni gestuali ed interpretandole a seconda del grado di codificazione a cui può accedere a seconda anche della propria esperienza all’interno del gruppo.

Anche in questo caso, perciò, segnali impartiti dal corpo umano, stavolta meno casuali e certamente legati ad un grado minore di discrezionalità, si riscontrano fra le matrici che generano performance.

92