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tradizionale vel popolare.

1.4. Gratuità e stabilità nelle polifonie vivent

L’osservazione delle svariate e numericamente consistenti pratiche vocali polifoniche attivate in area triveneta conduce un osservatore esterno a chiedersi quale possa essere il motivo per cui simili formazioni continuino la propria attività in un’ottica di gratuità. Evidentemente la risposta non è così immediata e probabilmente risiede nella vita vissuta quotidianamente nel tessuto sociale triveneto.

Lungi dal voler creare mitologie e/o eccessive sublimazioni dell’area descritta è però innegabile che mentalità, usi, prassi, necessità ed esigenze trovano la loro motivazione d’essere in una pluralità di fattori, sostanzialmente poco esplicitati e/o non necessariamente relazionati in maniera consapevole dagli stessi attori coinvolti in tali processi performativi. Cosa muove un dipendente della Guardia forestale che risiede nelle pertinenze di Trieste a salire, con la propria macchina, di sera, durante la settimana, in Inverno come in Estate, fino a Tolmezzo per provare con il coro Voci della Foresta?

Cosa muove un diplomato presso il Conservatorio di musica a dedicare gratuitamente le proprie competenze ed il proprio tempo, almeno per una sera alla settimana, garantendo la direzione del coro Bianche Cime, dei lavoratori dell’Ospedale di Belluno?

Da cosa sono mossi i coristi che, specie ultimamente, contribuiscono di tasca propria per poter effettuare le rassegne del coro di cui fanno parte e, soprattutto, coprire le spese per le trasferte, relazionandosi così ad altri omologhi di realtà territoriali diverse?

Da queste poche esemplificazioni assolutamente reali si scorge una realtà che si forma su un terreno legato all’amatorialità, e non per questo non professionale. Amatorialità, in questo senso, indica un’assenza di occupazione primaria, ovvero un’occupazione primaria tendenzialmente altra rispetto al ruolo ricoperto nella formazione vocale e non inficia minimamente la qualità dell’offerta estetica prodotta.

Amatorialità indica un contesto in cui la pratica avviene: non un dovere bensì una libera scelta quand’anche non una necessità personale. Professionalità, invece, pur essendo un termine solitamente oppositivo ad amatoriale conveniamo indichi, invece, l’attitudine e le competenze messe in atto nell’espletamento di un’attività, sebbene quest’ultima non sia necessariamente connessa ad un ambito lavorativo comunemente inteso.

Leggendo in filigrana questo processo, e retrodatandone ad un medio periodo la diacronia, si nota come –alla luce della minaccia dell’ambito professionistico prima menzionato- sia proprio questa stabilità non connessa ad ambizioni professionistiche e finanziarie- ad aver

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salvato ed anzi concesso ancor più linfa vitale a formazioni le più diverse ma, sostanzialmente, tutte tarate sull’orizzonte della gratuità.

Considerare, allora, l’orizzonte gratuito lungo e dentro il quale la maggior parte delle polifonie viventi in quest’area si sviluppano come stato/modus operandi conduce alla domanda circa il motivo di questo agire.

Una fra le spiegazioni probabili sostanzia le cause di questo fenomeno nel diverso orientamento della necessità di socialità che, come anche si è evidenziato nei contributi di Bernardi e Lago, permeava e permea tuttora quest’area. La pratica corale, altrimenti detto, pare fungere da antidoto nei confronti di fattori alienanti e pervasivi quali i ritmi di vita sempre più movimentati e contesti lavorativi totalizzanti.

Questa tesi contribuisce certo a spiegare una parte del fenomeno: per converso, e in parte, tali tipologie associative raccolgono la spinta alla relazione culturale, declinata in voce, non raramente rivolta al recupero di accenti nostalgici di un passato in cui immergersi e con cui –spesso- consolarsi.

Ancora, la pratica corale spontanea e formalizzata, quasi tautologicamente, perpetua se stessa: il misurarsi con le consuetudini di fatto rappresenta un alveo di sicurezza percepita, rispetto alla quale il soggetto coinvolto riconosce se stesso nel proprio ruolo sociale espresso nella micro-comunità quale una formazione corale effettivamente è.

Quest’ultima istanza, marcatamente sociologica, evidenzia approcci e partecipazioni poco esplicitabili e, come anticipato, non sempre consapevoli. Alcuni marcatori, tuttavia, ne testimoniano la portata concretandosi in azioni o gesti apparentemente anche marginali ed invece assai emblematici, importanti e recepiti parimenti in modo discreto.

L’osservazione diretta delle performances –e pertinenze- dei cori ne evidenzia alcune: a) il posto topografico del singolo nella formazione corale;

b) la relazione che intercorre con il direttore;

c) eventuali cariche sociali di cui il singolo è investito (Presidente, Segretario, Cassiere, Presentatore);

d) eventuali deleghe esplicite o convenzioni implicite attuate (incaricato al rinfresco, aiuto maestro, gestore della sala prove, addetto agli spartiti);

e) ruolo attoriale all’interno del gruppo (burlone, introverso, contestatore, provocatore, mediatore).

Già solo da questi pochi punti si sviluppa la concezione di microcosmo o, avvicinandosi all’impronta più antropologica, di comunità.

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E’, allora, l’attrazione esercitata dall’insieme di vincoli, convenzioni, consuetudini, dinamiche, prospettive, regole che fermenta la pratica amatoriale alla base della polifonia vivente, sebbene in un contesto normato in modo meno sistematico rispetto alle formazioni professionistiche.

Ecco spiegata, in parte, anche la stabilità rintracciata in tali gruppi; stabilità che, nelle formazioni sottoposte a contratto economico diventa un fattore poco pertinente ma che, in questi casi, è viceversa un marcatore che si situa nell’ambito identitario ed avvicina taluni soggetti quali ‘espressioni storiche del coro’, ovvero persone che, per la loro lungimirante e costante partecipazione alle gesta del coro, ne divengono simbolo ed emblema.

Non sempre in posizione dirigenziale, non sempre leader carismatici, essi –solitamente rispettati e largamente riconosciuti da coristi e non, anche in virtù della loro esperienza maturata in seno al coro- personificano l’intero insieme, facendosene interpreti nei confronti di terzi.

Tale dinamica si riscontra perlopiù in gruppi alla cui origine tali soggetti hanno contribuito, sebbene non manchino casi in cui nuovi acquisti, magari la cui fisiognomica consegna caratteristiche degne di essere riconosciute, assurgono a personaggio.

Vale la pena menzionare il sempre ben considerato baffo, ovvero uomo il cui particolare e folto baffo raccoglie la generale attenzione, specie se la caratteristica è accompagnata da una presenza fisica non anonima. In riferimento alla comunicazione non verbale la scelta del mantenimento del baffo, in gruppi soprattutto di voci dispari, promuove non raramente un senso aggiuntivo di rispetto nei confronti dell’interessato il quale, solitamente, dimostra di conoscerne la relativa importanza ai fini comunicativi e spettacolari.

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Capitolo II