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Concetti chiave

Nel documento La finanza islamica e l'economia halal (pagine 30-34)

L’is lam pl urale.

1.1. Concetti chiave

Le migrazioni sono uno dei principali fattori di cambia- mento delle società. Presente in tutta la storia dell’umanità, questo fenomeno ha rappresentato negli ultimi secoli un elemento costitutivo e strutturale dei pae si occidentali. È solo tuttavia negli ultimi decenni del Novecento che molte nazioni europee, storicamente punto di partenza di flussi di lavoratori (e lavoratrici), sono divenute meta di persone in cerca di un miglioramento delle proprie condizioni di vita.

Per questi motivi, il fenomeno migratorio è oggi uno dei principali aspetti del confronto politico europeo: questione controversa e problematica, e nello stesso tempo elemento vitale per l’economia e la coesione sociale dello spazio co- mune. Il dibattito coinvolge numerosi ambiti in grado di influenzare le condizioni di vita dei cittadini dell’Unione europea, come ad esempio la situazione dei rifugiati, l’im- migrazione qualificata, la lotta alle condizioni di segregazio- ne, marginalità e discriminazione su base etnica e religiosa. In questo scenario, la situazione italiana presenta alcuni tratti peculiari, legati alla storia del pae se e alle sue caratte- ristiche socio-economiche, ma anche geografiche e istituzio- nali (Zincone 2006). Tra di essi il cosiddetto “policentrismo

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migratorio”, ossia la presenza di numerose collettività di di- versa origine nazionale e culturale; l’importanza dei gruppi provenienti da altri stati dell’Unione e il loro specifico status giuridico; la forte eterogeneità nella distribuzione territo- riale, che replica in un certo senso squilibri di lunga data, e, da ultimo, uno sbilanciamento verso un’immigrazione non qualificata per quanto riguarda professionalità e titoli di studio.

La condizione dei migranti in Italia presenta numerosi aspetti critici, inseriti peraltro in una tendenza che vede la costante crescita del numero di residenti immigrati o di origine straniera, elemento strutturale della quotidianità di gran parte degli italiani, in uno scenario di generale e pacifica convivenza. Negli ambienti lavorativi e domestici, negli spazi urbani condivisi, nel dibattito culturale e politi- co, è oggi piuttosto chiara l’importanza della presenza degli immigrati e dei loro figli, la cosiddetta seconda generazione, che in modo più preciso si suddivide in generazione 1.5 (figli di immigrati nati all’estero e giunti in Italia tra i dieci e i quattordici anni) e 2.0 (nati in Italia o giunti prima dei sei anni; Rumbaut 1994). Si tratta di giovani che molti, anche se ancora una minoranza, definiscono senza alcun proble- ma “nuovi italiani”. Questa convivenza presenta molteplici sfaccettature: se da un lato rappresenta un dato di fatto, e l’occasione per molte e rilevanti esperienze di integrazione, dall’altro evidenzia prepotentemente i limiti della società italiana ed è spesso strumentalizzata. Sullo sfondo è sempre presente lo spauracchio dell’invasione, di un onere di acco- glienza insopportabile per le risorse del pae se oppure di un attacco a valori e tradizioni considerati come fondamentali per l’identità nazionale.

Nella gestione dell’immigrazione sul suolo italiano, nu- merosi sono gli attori che contribuiscono a favorire processi di integrazione: tra di essi il principale è probabilmente l’istituzione scolastica. È però a livello locale che prendono corpo interventi delle istituzioni, ma soprattutto pratiche, attitudini, comportamenti: dalla scuola al lavoro, dal quar- tiere alle relazioni di vicinato, dai luoghi dell’associazioni- smo religioso, assistenziale, culturale e ludico-ricreativo.

Resta tuttavia irrisolto il nodo del riconoscimento della cittadinanza per chi è nato o cresciuto in Italia da genitori stranieri.

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5 1.2. Inquadramento della questione

Il fenomeno migratorio in Italia è per sua natura assai ar- ticolato; esso coinvolge non solo i primi migranti e chi li accoglie (o ostacola) ma anche le generazioni successive, con effetti sulle società di arrivo che si esplicano in un lun- go periodo di tempo. Una tematica quindi complessa, che presenta numerosi risvolti sia nelle storie personali e fami- gliari sia in quelle di gruppi e comunità che si riconoscono in valori, tradizioni, origine condivisa. Queste esperienze si intrecciano poi con vicende politiche, economiche, sociali e culturali, che possono portare a far nascere rivendicazioni nazionali.

Al centro dell’attenzione a fasi alterne, i migranti sono diventati potenti segnalatori di timori e reazioni dei cittadi- ni di fronte ad attacchi alle loro sicurezze e a un benessere inaspettatamente messo in discussione. Talvolta si dimenti- ca che gran parte di quel benessere è dovuta alla presenza di cittadini e cittadine venute d’altrove. Risorse per la de- mografia e l’economia, ma anche consumatori culturali e innovatori, gli “utili invasori” (Ambrosini 1999; 2010) sono parte strutturale e strutturante la società italiana. Il Belpa- ese rappresenta del resto il luogo di origine di una delle più grandi diaspore nel mondo, come dimostrano gli oltre sessanta milioni di oriundi presenti in tutti i continenti.

Seppur a fronte di molteplici e quotidiane esperienze multiculturali, in pochi altri ambiti la memoria è però se- lettiva come nel caso dell’incontro con l’alterità. Dover con- dividere la propria realtà di ogni giorno con un “altro” non italiano, perlopiù in molti casi non cattolico o per cui la fede non è un tratto identitario visibile, significa entrare in un terreno su cui ci si sente insicuri, a volte addirittura minac- ciati. D’altronde è pur vero che, negli ultimi anni, molti fat- tori hanno contribuito a complicare il rapporto fra società europea e pluralismo legato a cittadini stranieri o di origine straniera, soprattutto per quanto riguarda la presenza mu- sulmana: una pesante crisi economico-finanziaria ha inciso sulla riduzione delle risorse pubbliche disponibili per po- litiche di welfare e sull’incremento della disoccupazione, mentre il terrorismo di matrice islamica diveniva uno di principali elementi della scena internazionale. Da più parti il nesso con una diversità – soprattutto religiosa – percepita come inconciliabile è stato sollevato e utilizzato per alimen-

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tare paure e rievocare sindromi da invasioni e pericoli per l’identità (Papademetriou, Banulescu-Bogdan 2017).

I dati sono tuttavia chiari nel definire l’Italia del 2020 un pae se plurale dal punto di vista culturale e religioso: le sue città, grandi e piccole, possono essere descritte dal punto di vista della grande diversità di provenienze, lingue, legami con il sacro che non si riconoscono né nel cattolicesimo (ita- liano) né nelle storiche presenze di ebrei e valdesi. Volendo essere precisi, non si tratta di una novità degli ultimi anni. Già al termine della prima decade del secolo lo stato non era più omogeneo per origini nazionali: oltre quarant’anni di migrazioni ne hanno profondamente ridefinito il tes- suto sociale e culturale. O almeno, questa è la radiografia che si ricava da rilevazione delle presenze, distribuzione territoriale, partecipazione di allievi non italiani nelle clas- si, come pure dall’osservazione di quartieri il cui tessuto commerciale si anima di negozi etnici, e dal numero delle aziende aperte da immigrati. D’altra parte, l’immaginario collettivo sembra tenere conto soprattutto di emozioni e reazioni dovute ai fenomeni più eclatanti dal punto di vista comunicativo e a una convivenza spesso difficile. Ecco quin- di che la diversità culturale è ricondotta solo alle immagini degli sbarchi, alle difficoltà dell’accoglienza, ai volti – e più raramente alle storie – di chi fatica a ricostruirsi una vita in Italia.

È certo doveroso mettere l’accento sulle emergenze, le necessità e le sfide alla convivenza poste dai continui arri- vi. Altrettanto importante è però riportare l’attenzione agli uomini e alle donne, alle famiglie che compongono oggi una presenza che è cresciuta con rapidità, inserendosi in modo continuo, seppure eterogeneo, su tutto il territorio nazionale. Secondo gli ultimi dati disponibili, a inizio 2019 risiedevano in Italia oltre cinque milioni di cittadini stranie- ri, pari all’8,3% della popolazione residente. Nel 1992, anno simbolico poiché coincide con la promulgazione dell’attuale legge sulla cittadinanza, erano 356.000 e la loro incidenza dello 0,6%.

Molte sono le differenze all’interno dell’universo degli stranieri in Italia. Tra esse spicca il gran numero di origini nazionali: numerose infatti sono le collettività importanti, ma nessuna tale da connotare l’immigrazione nella peniso- la, a differenza di altre importanti nazioni europee, come

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la Germania con i turchi o per la Francia con i maghrebini. Il cosiddetto policentrismo migratorio è un elemento pecu- liare del contesto della penisola, con flussi assai diversificati per progetti e anzianità migratoria, che si traduce peraltro in una pluralità di appartenenze culturali e religiose. Da questo punto di vista occorre rimarcare che alcune collet- tività sono, in maniera spesso superficiale, percepite come maggiormente distanti da valori e tradizioni italiane ed eu- ropee. È il caso dei musulmani.

Scattare la fotografia dell’islam in Italia non è sempli- ce. Sarebbe più opportuno proporre un reportage ricco di molte sfaccettature. Ciò che viene etichettato come islam va scomposto per provenienze, scuole coraniche di apparte- nenza, pratica, rapporto con la società e con lo stato nelle sue diverse articolazioni. Infatti, il mosaico dell’islam italia- no vede una prevalenza di provenienze soprattutto dal Ma- ghreb, ma anche da altri contesti (tra cui Albania, Senegal, Pakistan) e una pluralità di atteggiamenti verso le pratiche religiose, il tipo di società auspicato (laica versus islamica), la definizione identitaria (religiosa, italiana, cosmopolita), l’orientamento rispetto all’educazione dei figli e ai matri- moni misti, le organizzazioni e l’associazionismo religioso, le richieste avanzate alla società italiana (riconoscimento delle ricorrenze, insegnamento della religione a scuola).

Queste posizioni da un lato si scontrano con un’opinione pubblica che fatica ad allontanarsi da stereotipi e incau-

te semplificazioni1, d’altro canto stentano a essere portate

avanti dalle stesse collettività interessate. La debolezza di tali istanze risiede principalmente in due motivi. Il primo attiene alla fisionomia di un mondo islamico frammentato, la cui capacità di interloquire a una voce sola con le isti- tuzioni italiane è difficile (se non impossibile). Il secondo riguarda la distanza fra gli organismi di rappresentanza

formale2 e quanti possono essere definiti come fedeli mu-

sulmani. Inoltre, recentemente si è inserita nel dibattito

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