• Non ci sono risultati.

Il concetto delle cure nell’unità di cura integrata per adolescenti

Come rilevato, l’unità sarà composta da una triplice offerta, stazionaria, semi-stazionaria e di cure a domicilio, che si potranno intrecciare fra loro nei vari momenti della cura, per meglio rispondere ai bisogni terapeutici dei giovani e delle loro famiglie.

L’unità acuta stazionaria, come dice il nome, è da intendersi come luogo ospedaliero di diagnosi e cura di situazioni acute di importante disequilibrio psichico dell’adolescente.

L’ospedalizzazione, in adolescenza, è spesso l’unico mezzo per avviare cure necessarie e coerenti con il tipo di disturbo manifestato, o per preservare e mantenere un intervento già almeno in parte avviato: è, e deve essere sempre, un atto medico, un’indicazione di cura pedopsichiatrica.

L’unità stazionaria non è un foyer, non è una comunità terapeutica e non è un luogo dove scontare condanne penali. Non si prevedono dunque collocamenti sociali a lungo termine, ma solo ricoveri subordinati ad una valutazione medica pedopsichiatrica; la durata della degenza dovrà essere quindi il più breve possibile, in linea con le attuali durate medie delle degenze dei minorenni ricoverati in CPC e nel reparto di pedopsichiatria presso l’Ospedale Civico, e finalizzata al ripristino di una condizione di sufficiente stabilità psichica che consenta al giovane di fare ritorno nel suo luogo di vita, sia esso la famiglia oppure un foyer o un centro educativo per minori (CEM).

La concezione delle cure sia all’interno dell’unità di psichiatria acuta stazionaria sia all’interno delle altre offerte terapeutiche riprenderà il concetto delle cure dell’OSC, della quale sarà parte attiva e integrante, fonte comune di ispirazione terapeutica per operare quotidianamente e terrà in considerazione i principi dell’OMS e della LASP.

La cura è volta a mantenere o riportare nella persona l’equilibrio bio-psico-sociale e spirituale, offrendo cure relazionali e tecniche di cui gli operatori sono specificamente competenti, basate su conoscenze scientifiche. Ancora di più trattandosi di utenti minorenni, spesso molto giovani, sarà necessario impostare le cure sui concetti cardine dell’accoglienza, dell’alleanza terapeutica (non solo nei confronti del paziente, ma anche verso i familiari o le persone a lui vicine), del rispetto della dignità umana e della libertà individuale, della centralità dell’utente e del suo sistema familiare e sociale, mettendo lo stesso nella condizione di poter assumere un ruolo attivo all’interno del processo terapeutico. Solo così infatti si potrà pervenire al recupero di quell’equilibrio che consente al giovane di rientrare nel suo contesto familiare e sociale. Le cure devono essere individualizzate, pensate per quel giovane in quel determinato momento della sua vita e vivente all’interno della sua famiglia. Fondamentale sarà anche la cura dell’ambiente, che diventa un ambiente che cura per il giovane che attraversa un periodo di fragilità psichica e affettivo-relazionale;

all’operatore spetta il compito di creare un ambiente terapeutico che possa contribuire a rendere meno difficile l’impatto con un luogo diverso dalla propria casa, anche se per un periodo di tempo che dovrà essere il più breve possibile, compatibilmente con i tempi del recupero di una condizione di equilibrio e benessere soggettivo e oggettivo.

Relativamente al suo ruolo terapeutico, la struttura stazionaria assolve numerose funzioni:

funzione di sostituzione di un contesto familiare che non riesce più a contenere l’adolescente, sia nel senso di una escalation di comportamenti disfunzionali e pericolosi, sia nel senso di una implosione con grave ritiro sociale e scolastico;

funzione di mediazione che si interpone fra il giovane e il suo ambiente (famiglia, scuola, società, lavoro, foyer, ecc.);

funzione di contenimento, che protegge l’adolescente grazie alla costanza e alla stabilità del setting e delle routines prestabilite, dove il giovane può a poco a poco trovare i suoi limiti e sentirsi rassicurato dalla presenza costante di un adulto che ascolta, accoglie e protegge senza giudicare e senza reagire.

Questo insieme di funzioni, unito alla condivisione quotidiana di attività terapeutiche con altri giovani e con figure adulte curanti di riferimento, fornisce al giovane i mezzi per una presa di coscienza della propria situazione di disagio e per un graduale distanziamento dalle figure genitoriali, scolastiche e amicali, portatrici, in quel momento, dei conflitti. Il giovane inizia a sperimentare l’esistenza di altri adulti, che ascoltano e accolgono il suo malessere e i suoi comportamenti, senza reagire e senza generare ulteriori conflitti.

Il lavoro di sintesi e di riflessione di tutta l’équipe terapeutica sulle condotte di ogni adolescente rappresenta la base stessa del lavoro dell’unità stazionaria (C. Epelbaum e coll., 1997).

Il personale deve essere formato, preparato e motivato al lavoro con gli adolescenti: la vulnerabilità del giovane, amplificata dallo stato di malattia, si manifesta attraverso reazioni imprevedibili, paradossali, proiettive, provocatorie, che possono mettere in difficoltà l’équipe curante, che necessita di costante supervisione e intervisione.

Quale che sia il disturbo presentato, la molla dell’indicazione terapeutica al ricovero stazionario risiede nella necessità di una separazione dal nucleo familiare; in adolescenza, diversamente che nell’infanzia e nell’età adulta, esistono vere e proprie indicazioni alla separazione fra il giovane e il suo ambito familiare, separazione che può avere un reale valore terapeutico (D. Marcelli, 1989).

Perché questo possa avvenire sarebbe auspicabile che l’indicazione al ricovero venisse preparata nel corso di un lavoro clinico di elaborazione e condivisione della proposta con il giovane e con i suoi genitori, effettuabile in una fase di pre-ammissione con uno o più colloqui clinici organizzati con il medico responsabile dell’unità e un infermiere. Un ricovero programmato e condiviso nelle sue finalità ha verosimilmente una maggiore probabilità di successo terapeutico: questo tipo di ricovero, che risponde alla necessità sia di una separazione dal nucleo familiare sia di una cura medico-psicologica in una cornice contenitiva che assicuri la protezione del giovane, ha le sue basi in una sorta di negoziazione-discussione con l’adolescente e i suoi genitori sugli obiettivi, il setting e le regole da rispettare, le modalità del trattamento, discussione che prende la forma di “contratto di cura” tra il giovane, i suoi genitori e l’unità di ricovero.

Vi sono tuttavia alcuni sintomi, i tentativi di suicidio, i pensieri suicidari, le gravi condotte autolesive (che vengono definite equivalenti suicidali), i disturbi gravi del comportamento alimentare, la non cura di malattie somatiche croniche come il diabete, la disorganizzazione psichica negli esordi psicotici, in cui non sempre la fase di negoziazione è possibile e prevale l’indicazione medica al ricovero per salvaguardare la vita del giovane paziente.

Terminata la fase acuta dovrà essere assicurata la continuità delle cure, costruendo un progetto insieme all’utente e ai suoi familiari, includendo gli operatori della scuola o dell’ambito lavorativo, progetto che sarà condiviso attraverso un fluido passaggio di informazioni, sempre nel rispetto della privacy e previo accordo del giovane e dei genitori, fra struttura residenziale e territorio (ambulatori dei Servizi, terapeuti privati, eventuale foyer o comunità terapeutica), verosimilmente attraverso un primo transito del giovane nell’ospedale di giorno, dove può approfittare della prosecuzione delle cure medico-infermieristiche, laddove necessarie, e rilanciare il proprio cammino evolutivo grazie al supporto degli operatori sociali.

La continuità delle cure potrà essere supportata e garantita anche tramite incontri familiari a domicilio, o comunque nell’attuale luogo di vita del giovane (foyer, CEM, appartamento, ecc.).

Questo concetto rende più efficace la presa a carico e conferisce individualità e unicità alla persona in cura, alla sua storia, alla sua esperienza di vita. Sarà di fondamentale importanza che ogni giovane possa contare su un operatore di riferimento (infermiere e/o educatore), il cui compito è quello di vegliare affinché venga attuato il processo di cura che consenta al paziente di riacquistare l’equilibrio perso e di riprendere il proprio cammino evolutivo. Oltre all’operatore di riferimento il giovane avrà un medico di riferimento, responsabile del progetto delle cure medico-psicologiche.

Condizione indispensabile per poter realizzare tale concetto di cura è il lavoro in équipe multiprofessionale, a garanzia di confronto continuo e crescita reciproca, con supervisioni e intervisioni che possano rendere attenti i singoli componenti del team alle dinamiche del gruppo, inteso nel senso del gruppo curanti-curati, e alle ripercussioni dei comportamenti e degli agiti del singolo sul gruppo allargato.

Il medico assistente in pedopsichiatria, sotto la supervisione diretta del medico quadro, garantirà l’impostazione del progetto terapeutico, se necessario anche farmacologico, i colloqui individuali col giovane (mentre i colloqui con i genitori sarebbe preferibile che venissero effettuati dal medico quadro, per garantire un setting più adeguato alle cure dell’adolescente) e imposterà, insieme all’infermiere e all’operatore sociale, i contatti con la rete socio-sanitaria e scolastica del giovane sul territorio di provenienza, organizzando incontri di rete.

Lo psicologo-psicoterapeuta sarà formato alla valutazione psicodiagnostica e al lavoro terapeutico con l’adolescente e la sua famiglia, effettuerà colloqui e somministrerà test psicometrici e psicodiagnostici quando necessario, imposterà e parteciperà alle attività terapeutiche di gruppo con le altre figure professionali.

Verranno attivate, secondo il progetto di cure individualizzato per ogni giovane, attività di gruppo e ateliers terapeutici che già da anni vengono utilizzati nella cura degli adolescenti anche nei servizi ambulatoriali dell’OSC-SMP: atelier espressivo attraverso pittura e creta, gruppo a mediazione attraverso il Photolangage, atelier giochi video, gruppo di parola, psicodramma, lavoro a mediazione corporea, rilassamento. Per alcune di queste attività terapeutiche sarà necessario l’intervento di terapisti specializzati (arteterapista, fisioterapista o psicomotricista), mentre per altre ci si potrà avvalere dell’esperienza maturata nel corso degli anni da terapeuti che già lavorano all’interno dei servizi OSC.

Figura cardine delle cure all’interno dell’unità psichiatrica acuta stazionaria per adolescenti sarà l’infermiere in salute mentale, che fonderà il suo operato sul metaparadigma dell’operare infermieristico: la persona nella sua interezza bio-psico-sociale, la salute, la malattia, nel senso di alterazione dell’equilibrio bio-psico-sociale e spirituale, l’ambiente e il nursing.

Per l’infermiere OSC nursing significa mantenere o riportare nella persona l’equilibrio bio-psico-sociale e spirituale, prestando cure relazionali e tecniche, in senso lato, di cui è specificamente competente: si occuperà di prevenire il disagio e il disturbo promuovendo la salute mentale, saprà gestire la crisi acuta e la riabilitazione, eserciterà il suo ruolo aderendo, con consapevolezza critica, ai principi e alle norme che regolano l’assistenza alla persona,

elaborerà e verificherà i progetti terapeutici individualizzati, tenendo conto del loro impatto sulla qualità della vita e sulla libertà individuale dell’utente, sosterrà il giovane accompagnandolo verso il coinvolgimento attivo e la responsabilizzazione nel proprio processo di cura, tramite l’accoglienza, il rispetto e l’alleanza terapeutica, e garantirà la continuità delle cure nel passaggio ai servizi territoriali e al rientro del giovane nel proprio luogo di vita.

L’infermiere in salute mentale sarà parte attiva e costante delle cure all’interno dell’unità stazionaria acuta, in collaborazione e sinergia con le altre figure professionali del team (medici pedopsichiatri, educatori, psicoterapeuti, terapisti specializzati, assistente sociale, docente) partecipando come co-terapeuta alle attività di gruppo e agli ateliers che faranno parte dell’offerta di cura, costruendo insieme al giovane paziente un ambiente di cura che sia ambiente che cura, pianificando un piano terapeutico individuale insieme ai colleghi e all’utente, piano che comprenda l’analisi della situazione presente, gli obiettivi, le risorse personali e familiari, gli interventi da attuare e la valutazione, sostenendo il delicato passaggio del rientro sul territorio.

Anche l’educatore, formato al lavoro con adolescenti e con competenze psichiatriche, è parte attiva del progetto di cura, partecipa alle attività terapeutiche di gruppo e accompagna il giovane in momenti strutturati e liberi finalizzati ad aspetti organizzativi della vita quotidiana e al progetto individuale (adesione alle cure, psico-educazione del disagio o della malattia con accompagnamento alla presa di coscienza del proprio malessere e del bisogno di aiuto, cura di sé e del proprio ambiente, congedi, stages, contatti sul territorio, ecc.).

Nelle fasi acute l’educatore attua un contenimento psico-affettivo attraverso la presenza, lo stare con, l’ascolto attivo, la sospensione del giudizio, l’attesa empatica e, quando possibile, col fare proposte ad hoc, sempre nell’ottica del rispetto dell’individuo, della sua storia e dei suoi interessi, nella continuità e nella regolarità dell’accoglienza. La presa a carico educativa in ambito stazionario si propone come obiettivo ultimo quello di consentire al giovane di riprendere, rivedere o avviare ex novo il proprio progetto di vita; la valutazione psicoeducativa diventa parte integrante della valutazione multidisciplinare, insieme alla valutazione medica pedopsichiatrica, alla valutazione psicoaffettiva e alla valutazione infermieristica, e getta le basi del progetto di vita del giovane quando verrà dimesso, attraverso la graduale presa di contatto con la scuola, la formazione professionale, le associazioni sportive e giovanili, il territorio e tutte le sue offerte socio-educative.

L’équipe mobile garante della possibilità di consultazioni terapeutiche a domicilio, rifacendosi agli studi e alle esperienze internazionali, sarà costituita da psicologi-psicoterapeuti, infermieri in salute mentale e educatori, che si recheranno a domicilio in due, appartenenti a due diverse figure professionali, e saranno sotto la costante ed attenta supervisione del medico specialista, che potrà recarsi a domicilio nella fase iniziale della valutazione diagnostica ed impostazione del piano terapeutico, ed ogniqualvolta i colleghi lo ritengano necessario.