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L’uso del concetto generale delle quantità negative in metafisica Il concetto del Nihil privativum repraesentabile.

Il progetto originario di una “metafisica del mondo sensibile”.

3. Problemi di ordine metodologico e non solo Matematica e filosofia a confronto.

1.1. L’uso del concetto generale delle quantità negative in metafisica Il concetto del Nihil privativum repraesentabile.

Nella prefazione del saggio kantiano intitolato „Versuch den Begriff

der negativen Grössen in die Weltweisheit einzuführen“, il filosofo

riporta quanto segue:

Io ho ora in animo di considerare, in rapporto alla filosofia, un concetto che è già ben noto in matematica e ancora del tutto estraneo alla filosofia stessa. Queste mie considerazioni non sono che un piccolo inizio, come suole avvenire allorquando si vogliono aprire nuove prospettive; eppure esse potranno dar luogo ad importanti conseguenze.320

Mantiene inizialmente un profilo basso Kant nel descrivere un’operazione che risulta essere, in verità, ben più complessa di quanto egli non voglia far credere ai suoi lettori.

A dispetto di quanto suggeritoci dal titolo completo dell’opera, l’obiettivo kantiano, infatti, non è tanto quello di prendere in considerazione un concetto in uso nelle scienze matematiche, per introdurlo estrinsecamente all’interno di un qualche ambito epistemico del sapere filosofico, con l’auspicio che una tale operazione possa un giorno apportare il dovuto vantaggio sul piano della conoscenza della natura (Naturlehre). L’intento del filosofo prussiano, a voler essere più precisi, necessita propriamente di un processo di natura duplice: si tratta, in un primo momento, di determinare da una prospettiva “filosofica” la natura di un concetto, del quale la conoscenza matematica non è mai stata in grado di fornire una “spiegazione” pienamente adeguata, tanto da essersi dovuta servire di “regole ben specifiche”321 per assicurarsene, di volta in

volta, quello che è l’esatto suo impiego; solo dopo, infatti, si potrà tentare di dimostrare che un siffatto concetto risulta necessario per la determinazione dell’oggetto della conoscenza metafisica.

Il concetto delle quantità negative è usato da tempo in matematica e vi occupa una posizione della massima importanza, anche se l’idea (Vorstellung) che quasi tutti ne avevano e la spiegazione (Erläuterung) che ne davano era strana e contraddittoria; eppure la sua applicazione non era per questo danneggiata, che infatti regole specifiche sostituivano la definizione e ne assicuravano l’uso esatto, mentre gli errori che si commettevano nel giudizio sulla natura di questo concetto astratto (über die Natur dieses abstracten Begriffs) restavano inoperanti e privi di conseguente.322

320 AA II, 170; tr. it. p. 253.

321 Non condivido la scelta del Carabellese di tradurre “besondere Regeln” con “regole

pratiche”, considerato il significato specifico che il termine “pratico” assume all’interno della filosofia kantiana. Le regole cui fai riferimento Kant sono infatti le già citate “dottrine fondamentali” dell’aritmetica che stanno alla base di tutte le conoscenze matematiche.

Se si presta maggiore attenzione a quanto riportato da Kant in apertura dell’opera ed alla scelte terminologiche da lui adottate, appare piuttosto evidente, come il compito da lui preposto all’interno del Versuch non sia tanto quello di applicare il concetto “matematico” delle grandezze negative ad un determinato ambito della conoscenza filosofica, quanto anzitutto quello di rendere evidente ed il più possibile determinata la natura essenzialmente “astratta” di questo stesso concetto o, ancora, di restituire chiarezza all’idea323

metafisica che, ancora confusa, ne starebbe alla base.

Nonostante, infatti, la conoscenza matematica faccia già da tempo un ampio utilizzo del concetto delle quantità negative, definendone in concreto l’uso esatto, per mezzo di precise regole della sintesi matematica – la addizione e la sottrazione –, il livello di “astrattezza” che caratterizza un tale concetto sembra, nei fatti, assicurarne un’origine tutt’altro che arbitraria e sintetica; un’origine, detto altrimenti, che non ha nulla a che vedere con l’ambito epistemico delle definizioni matematiche.

Le quantità negative, sottolinea lo stesso Kant, contrariamente da quanto suggeritoci dall’espressione, non sono affatto semplici “negazioni di quantità”; esse non sono, cioè, l’espressione diretta e concreta di una qualche determinazione di carattere negativo, che concerne l’oggetto proprio delle conoscenze di stampo matematico – le quantità appunto –, ma denotano piuttosto quella che, in generale, è la “qualità” del contrasto che è sempre sotteso ad una tale concetto, restituendone il vero significato.

Nel Versuch, detto altrimenti, l’interesse del filosofo non è affatto diretto ad introdurre in ambito metafisico il concetto matematico o, a questo punto, sarebbe forse meglio dire “matematicizzato” delle quantità negative, come pure il titolo completo dell’opera indurrebbe a pensare: il suo scopo è piuttosto quello restituire, in linea con le indicazioni metodologiche offerteci all’interno della Deutlichkeit324, una spiegazione di carattere generale del

“concetto astratto” che pure ne sta a fondamento. E fornire una spiegazione di tal genere, per Kant, non rientra certo tra le capacità dimostrative della conoscenza matematica, sebbene sia indubbio che quest’ultima sia in grado di restituire un grado maggiore di certezza intuitiva325 nelle sue definizioni.

323 Interessante è qui il fatto che Kant parli del concetto astratto delle quantità negative come

di una “idea”, considerato che nella Dissertatio del 1770 tale termine verrà utilizzato proprio per designare i “concetti astratti” dell’intelletto, dopo aver specificato l’esatta natura di una tale “astrazione”: “(…) il concetto intellettuale fa astrazione da ogni elemento sensitivo; non è astratto dagli elementi sensitivi e forse sarebbe più corretto chiamarlo piuttosto che astratto:

astraente. È quindi più prudente chiamare gli elementi intellettuali idee pure e chiamare

astratti i concetti dati solo empiricamente”; AA II, 394; tr. it. p. 430.

324 Che ci sia un’evidente continuità dal punto di vista “metodologico” tra la Deutlichkeit ed

il Versuch è una tesi sostenuta già da Tonelli; vedi il suo: Dall’estetica metafisica, pp. 229- 230.

325 Nella Deutlickeit Kant opera un distinguo tra la certezza matematica e la certezza

metafisica, una differenza che è però più di grado quantitativo che non di qualità. Egli distingue infatti il grado di certezza considerato in senso “oggettivo” e “soggettivo”: nel primo caso la certezza di una verità può essere caratterizzata da un numero maggiore o minore di “note di necessità”, mentre nel secondo caso la certezza dipende dal carattere intuitivo della conoscenza. La matematica, sottolinea il filosofo, presenterebbe una quantità massima di certezza oggettiva nei suoi concetti, dal momento che essi derivano da quella che in seguito Kant chiamerà la loro “costruzione” sintetica. Nel caso della conoscenza filosofica, invece, i segni di cui ci si avvale – le parole – non servono ad altro che “a far ricordare i concetti generali che si vogliono indicare, e occorre averne sempre davanti agli occhi il significato”, che ci è dato solo e soltanto per il tramite di esempi in concreto che ci sono

Trattandosi di un concetto astratto o, ancora, di una “idea”, la sua spiegazione (Erläuterung) non può infatti che spettare alla filosofia, posto che è unicamente nell’ambito della conoscenza filosofica che gli oggetti vengono considerati “sempre e soltanto nei [loro] concetti generali e astratti”326.

L’autentico compito della cognizione filosofica, compito che le deriva dal suo proprio modo di procedere, è infatti quello di rendere evidenti e determinati quei concetti, che sebbene per mezzo di una sicura esperienza interna pure ci sono dati solo “confusamente”: ed è proprio questo genere di operazione quella che, per Kant, ci consente di “estrarre (herausnehmen)” dal concetto matematizzante delle cosiddette quantità negative ciò, che di un tale concetto rappresenta l’oggetto vero e proprio dell’indagine filosofica.

Per poter estrarre da questo concetto ciò che di esso è l’oggetto vero e proprio della filosofia, senza badare particolarmente alla quantità, osserviamo anzitutto che in esso è contenuta l’opposizione che più sopra abbiamo chiamato reale. 327

Nella “spiegazione del concetto generale delle quantità negative” Kant mostra che un tale concetto non solo non esprime affatto una negazione di quantità, ma neppure sta ad indicare “una determinata specie di cose riguardo alla loro interiore natura”328: sarebbe infatti del tutto errato, sostiene il

filosofo, anche solo ipotizzare che esista una specie del tutto particolare di cose e chiamarle “cose negative (negative Dinge)”. Questo termine, infatti, esprime sempre e soltanto un rapporto di cose date in se stesse come positive, ma tra loro contrarie, quando questa loro relazione non è affatto spiegabile nei termini di un’opposizione di tipo meramente logico – come loro identità o contraddizione –, bensì “reale”.

La prima opposizione, quella logica, è la sola di cui si sia tenuto conto finora. Consiste nell’affermare e negare contemporaneamente un predicato di una cosa. La conseguenza di tale nesso logico è nulla (nihil

negativum irraepresentabile), come è detto nel principio di

contraddizione. Un corpo in moto è qualcosa, un corpo, che non è in moto, è anche qualcosa (cogitabile); ma un corpo che sia in moto, e contemporaneamente non sia in moto, non è nulla. La seconda opposizione, reale, è quella in cui due predicati di una cosa siano opposti, ma non per il principio di contraddizione.329

Nell’ambito dell’opposizione logica, scrive Kant, si tiene conto sempre e soltanto di quella relazione per cui due predicati di uno stesso soggetto, contraddicendosi si annullano a vicenda, annullando, al contempo, le loro possibili conseguenze: sul piano logico, infatti, un predicato possibile ha

offerti nell’esperienza. Tutto ciò rende altamente probabile l’errore in ambito filosofico, posto che nelle sue spiegazioni non vi sono sufficienti elementi di carattere intuitivo per renderci accorti della correttezza o meno delle nostre definizioni.

326 Kant ha già dato prova di ciò nel Beweisgrund: in quella sede, infatti, l’indagine filosofica

aveva preso in considerazione, tentandone una prima spiegazione, il concetto astratto “dell’esistenza in generale”

327 AA II, 174, tr. It. 258. Da notare, qui è l’utilizzo del termine “Gegenstand”, piuttosto che

“Ding”.

328 Ibid.

sempre delle conseguenze, sebbene a volte solo potenziali, che vengono punto annullate – “non poste” – di concerto alla negazione logica dello stesso. In questo genere di opposizione, l’unica – sottolinea Kant – di cui fino ad ora i filosofi abbiano nei fatti tenuto conto, non si presta attenzione a quale dei due predicati debba essere considerato come “effettivamente affermativo (realitas)” e quale, invece, risulti “effettivamente negativo (negatio)”330.

In questo genere di opposizione, cioè, non viene contemplata quella che Kant definisce essere la “verità metafisica”331 delle cose, ma solo di quella che si

realizza nello spazio meramente logico descritto dai nostri stessi concetti. Il risultato di un’opposizione di tipo logico, posto che in essa la negazione di un predicato comporta, di concerto, l’annullamento delle sue possibili conseguenze, è un nulla in senso assoluto (Nihil negativum), ovvero, un che di affatto “irrepraesentabile” per l’intelletto.

Questo tipo di opposizione restituisce, cioè, esattamente quel genere di impossibilità logico-formale – ciò che Kant indica come un puro e semplice “non-Possibile”332 – da cui il razionalismo metafisico traeva indirettamente,

perché a sua volta per mezzo della sua negazione, la nozione ontologica di “ente (Ding)” come di un “qualcosa (Aliquid)” che, non involvendo alcun predicato contraddittorio nell’ambito della sua definizione – essendo un che di logicamente possibile –, pure risulta determinabile quanto all’esistenza. Ed è proprio chiamando in causa il concetto generale delle quantità negative, che Kant indente introdurre in ambito metafisico quell’accezione positiva del nulla – il “Nihil privativum raepresentabile” risultante dall’opposizione di due o più realitates – che gli consentirebbe di superare in via definitiva l’opposizione scolastica tra un’accezione puramente logica dell’ente (Ding) ed il nulla (Nihil negativum) in ambito ontologico.

Anche la repugnanza reale, sottolinea Kant, si basa su di una relazione reciproca di due differenti predicati appartenenti ad una medesima cosa, “ma questa relazione è di specie del tutto diversa (von ganz anderer Art)”333, così

come lo sono le conseguenze che, per mezzo di essa, vengono determinate.

Anche qui l’uno annulla ciò che è posto dall’altro, ma la conseguenza è qualcosa (cogitabile). Una forza che imprime moto ad un corpo in una direzione, ed una forza uguale in direzione contraria, non si contraddicono e sono possibili come predicati di un sol corpo. Conseguenza ne è la quiete, la quale è qualcosa (repraesentabile). Si tratta di un’opposizione vera. Infatti ciò che è posto da una delle due tendenze, se essa fosse sola, è annullato dall’altra, ed ambedue queste tendenze sono predicati veri di una sola cosa e le appartengono contemporaneamente.334

330 AA II, 172; tr. it. p. 256.

331 “Per esempio, l’essere allo stesso modo buio e non buio dello stesso soggetto è una

contraddizione. Il primo di questi due predicati è logicamente affermativo, il secondo logicamente negativo, pur essendo il primo, preso in senso metafisico, una negazione”; Ibid.

332 “Distingvendum inter Possibile, non Possibile et impossibile. Si cogitatur A, est possibile; si nihil praeter non A (qvod fit in significatu termini inanis), est non possibile; si tollitur possibilitas, est impossibile. Impossibilitas est possibilitas negativa”; AA XVII, 269. 333 AA II, 172; tr. it. p. 256.

Persino il risultato di un’opposizione reale, dunque, è un “nulla (Nihil)”, ma lo è certo in un’accezione del tutto diversa da quella espressa sul piano logico dal principio di non contraddizione. Esso è assunto in un significato, dunque, per nulla assimilabile a quel genere di “impossibilità” di cui, fino ad ora, ha tenuto conto la metafisica razionalista.

Nella repugnantia realis, sottolinea infatti il filosofo, si presuppone sempre che entrambi i “predicati” della cosa, che sono posti in opposizione tra loro, siano entrambi affermativi o, sarebbe meglio dire, “effettivamente” tali. Diversamente che in un’opposizione di tipo logico, infatti, in un’opposizione reale si tiene conto della “verità metafisica” delle cose e non semplicemente della loro incontraddittorietà sul piano logico-formale: i “predicati” che con la loro posizione determinano il contrasto rappresentano, infatti, delle vere e proprie “realitates”335 che, all’opposto dei predicati di natura logica, possono

certo essere negate – non poste –, senza per questo generare contraddizione. Il risultato di un’opposizione tra realitates, infatti, non può mai essere un “nulla assoluto (Nihil negativum)”, bensì un nulla, per così dire, solo “relativo (verhältnißmäßiges)”, perché nei fatti sempre riferito ad una qualche sua conseguenza, che sul piano reale non è effettivamente posta o, ancora, ad una qualche determinazione reale che risulta del tutto “assente”336.

Ed è proprio da questo genere di opposizione, scrive Kant, che nascerebbe il concetto generale delle quantità negative, di cui fa ormai da tempo ampio uso la conoscenza fisico-matematica.

Di qui nasce il concetto matematico delle quantità negative. Una quantità è negativa nei riguardi di un’altra quando non può essere unita con essa se non per opposizione, in modo che l’una annulla nell’altra il proprio valore. Questo è un rapporto di contrari, e le quantità che si oppongono in tal modo l’un l’altra, si annullano reciprocamente in modo uguale, così che in fondo non si può chiamare nessuna quantità negativa in modo assoluto, e si dovrebbe dire invece che +a e -a sono l’una la quantità negativa dell’altra. (…) non bisogna mai dimenticare che questo termine non sta ad indicare una determinata specie di cose riguardo alla loro interiore natura, ma soltanto il rapporto di contrari che consente di metterle in opposizione con certi altri oggetto contrassegnati da un +.337

Il concetto delle quantità negative non designa, dunque, la “natura interiore” di una determinata specie di cose o di oggetti, ma indica piuttosto il rapporto tra determinazioni sostanziali realmente, ma poste in un contrasto altrettanto reale tra loro.

335 Il termine “real” non è qui da intendersi nel senso di qualcosa di esistente in atto, come actualitas, ma riguarda piuttosto quel senso della realitas come determinazione

effettivamente positiva di una cosa. Le realitates restituiscono infatti, per Kant, i “dati materiali”, che sono necessari per la determinazione di una cosa possibile, prescindendo dalla sua effettiva esistenza. Si tratta, come suggerisce A. Cicatello, di quelle realitates, che “forniscono per così dire l’inventario sia per la determinazione di una cosa possibile sia per la determinazione di una cosa esistente; là dove la differenza tra il possibile e l’esistente non sta, come afferma Kant, nel quid posto (…) ma nel modo in cui esso è posto”; A. Cicatello,

Ontologia critica, p. 71. 336 AA II, 178; tr. it. p. 262. 337 AA II, 174; tr. it. p. 258.

Kant tiene quindi a precisare che, in seguito, utilizzerà talvolta l’espressione che “un oggetto (Ding) è la (cosa) negativa dell’altro”338, ma è chiaro che un

tale oggetto, se preso in senso metafisico, è sempre un che di positivo e mai una “cosa negativa” di per sé: la repugnanza reale, infatti, ha effettivamente luogo soltanto quando tra due cose, in qualità di cause positive, l’una toglie (aufhebt) le conseguenze che possono essere realmente poste dall’altra. Risultato di tale opposizione è, dunque, una altrettanto reale “rimozione”339

delle conseguenze poste in essere dalla presenza di un dato predicato (a) in un determinato oggetto, per mezzo di un predicato (b) che, nello stesso oggetto, pone determinazioni realmente contrarie a quelle del primo.

Questo genere di rimozione, come riportato all’interno delle Vorlesungen di inizio anni sessanta, non ha assolutamente nulla a che vedere con quella

remotio di carattere logico che tende a consumarsi sul piano concettuale, il

cui risultato è la pura e semplice “non posizione” di una data conseguenza, piuttosto, che la sua effettiva rimozione: “Ci sono 2 rimozioni [:] 1) la rimozione logica, per mezzo della quale qualcosa (etwas) viene semplicemente non posto (nicht gesetz wird); 2) la rimozione reale, per mezzo di cui certe cose vengono tolte (aufgehoben wird)”340.

In seguito, nel Versuch Kant distinguerà tra la “privazione (privatio)” e, cioè, la negazione conseguente ad una vera e propria opposizione reale tra due predicati sostanziali, ed il “difetto (defectus)”, che non richiede in verità la presenza di una qualche causa realmente positiva, ma soltanto la sua assenza: in entrambi i casi si tratta, però, di conseguenze poste in essere per mezzo di una remotio realis, che come tali non possono certo essere ridotte ad elementi di natura prettamente logica. Di fatto, se la negazione di una negazione di carattere logico, da parte sua, restituisce sempre e comunque un’affermazione di tipo logico, “la privazione di una privazione” o, ancora, l’assenza effettiva di una qualche causa realmente positiva determina sempre e comunque “una posizione reale (eine reale Position)”341.

La differenza sostanziale tra i due generi di opposizione – logica e reale – si rende particolarmente evidente sul piano dell’espressione linguistica o, meglio, grammaticale:

Il rapporto tra una causa reale ed una cosa che da essa venga posta od annullata non si può affatto esprimere mediante un giudizio, ma soltanto mediante un concetto. E pur essendo possibile ridurre questo concetto, per suddivisione, a concetti più semplici di cause reali, alla fine tuttavia tutte le nostre conoscenze di questo rapporto terminano nei concetti semplici e non più divisibili delle cause reali, i cui rapporti con le conseguenze non possono più essere chiariti.342

338 AA II, 175; tr. it. p. 259.

339 “(…) ciò che toglie (aufhebt) qualcosa’altro come ripugnanza reale, è reale”; AA XXVIII,

14.

340 Met. Herder, pp. 19-20. 341 Met. Herder, p. 20.

342 AA II, 203-204; tr. it. pp. 288-89. Nella coeva Riflessione 3755: „Die Verhältnis des logischen Grundes zur Folge ist ein Urtheil. Die Verhältnis des realgrundes ist ein Begriff“;

(AA XVII, 283). Lo spostamento dal piano del giudizio a quello del concetto, si badi bene, non intende qui significare che a quest’ultimo competa un grado maggiore di penetrabilità nel contesto fattuale dell’esperienza reale. Nello scritto sulle figure sillogistiche, Kant sottolinea infatti che il concetto non è altro che il prodotto di un giudizio immediato – in questo caso si tratta di un concetto distinto – o ancora di un giudizio mediato (sillogismo),

La natura, sostiene Kant, ci offre l’esempio di un gran numero di privazioni che nascono dal conflitto di due cause realmente agenti, di cui l’una annulla – tramite opposizione reale – l’effetto che è posto dall’altra, sebbene spesso resti inizialmente incerto se si tratti propriamente della negazione di una assenza o della conseguenza effettivamente determinata dalla opposizione di forze realmente agenti l’una sull’altra.

È famosa ad esempio la questione se il freddo richieda una causa positiva, oppure se, in quanto assenza pura, e semplice, non sia da attribuirsi alla mancanza del calore. (…) Il freddo è senza dubbio soltanto una negazione del calore, e si capisce facilmente che esso possa in se stesso esser possibile anche senza una causa positiva. D’altro canto