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La risemantizzazione dell’ontologia alla luce del “trascendentale” La definizione sensibile del concetto di un oggetto in generale.

Il programma critico di una “Metaphysik der Natur”.

1. La risemantizzazione dell’ontologia alla luce del “trascendentale” La definizione sensibile del concetto di un oggetto in generale.

“Nel nuovo modello kantiano di indagine metafisica sull’ente si compenetrano (…) da un lato l’esigenza scolastica di una scienza rigorosa che attinga ad una dimensione del reale più profonda, non riducibile (…) alla realtà delle cose date in

concreto nell’esperienza, e dall’altro

però l’istanza critica di una considerazione dell’ente che non riassorba le ragioni dell’esistente nell’ambito delle determinazionin dell’ente in generale (…)”. 644

È innegabile che l’iniziale proposito della erste Kritik – il voler rintracciare quelle condizioni, che sole renderebbero possibile annoverare la ricerca metafisica tra le conoscenze di carattere scientifico 645 – muova all’interno di

un orizzonte che, seppur in quella sua peculiare veste trascendentale, resta profondamente di carattere gnoseologico.

L’intero progetto critico kantiano suggerisce, non a caso, il costante appello a quella facoltà conoscitiva di ordine superiore – la ragione – che, sola, risulterebbe capace di interrogarsi sui limiti e sulle possibilità della stessa conoscenza metafisica, rintracciando quelle condizioni soggettive, che devono necessariamente stare alla base di ogni nostro discorso che voglia dirsi di carattere scientifico646. D’altra parte, il programma metafisico che la Critica intende ora delineare in forma compiuta e sistematica647 sembrerebbe

trapassare fin da subito i propri propositi iniziali – mostrare se la metafisica possa essere annoverata o meno tra le scienze – configurandosi come propedeutica a quella indagine, che non mira più a conoscere direttamente gli oggetti, quanto il “nostro modo di conoscerli ”648: un’indagine, detto

altrimenti, che fa non delle cose in sé, bensì della nostra stessa attività conoscitiva l’oggetto da indagare, secondo quella duplicità di senso che il titolo stesso dell’opera649 sembrerebbe volerci suggerire.

La preponderanza dell’impegno gnoseologico all’interno della KrV, non deve dunque suggerire un mancato interesse, da parte del filosofo, nei confronti della tematica ontologica.

644 A. Cicatello, Ontologia critica, p. 29. 645 KrV, B 23.

646 Scientifico è ogni discorso contrassegnato dalla necessità e dalla universalità delle sue

asserzioni: “necessità (Notwendigkeit) e rigorosa universalità (strenge Allgemeinheit) sono quindi i contrassegni sicuri di una conoscenza a priori, e si implicano inseparabilmente l’una con l’altra”; KrV, B 4-5.

647 KrV, B 27. 648 KrV, A 12.

649 MI riferisco alla possibilità di leggere l’intento critico nella duplice veste soggettivo-

oggettiva: la critica condotta dalla ragione (soggetto), ha come proprio oggetto di indagine se stessa ed è, pertanto, autocritica

I pochi accenni da lui proposti in sede critica, infatti, piuttosto che tradire il suo totale disimpegno nei confronti dell’antica pars generalis dell’indagine metafisica, suggeriscono di contro la necessità di ripensare la stessa problematica ontologica entro le trame di quel progetto, che ha lo scopo di individuare preventivamente i limiti entro cui il logos articolato dal nostro intelletto possa pretendere di avere una portata conoscitiva.

La rivoluzione di pensiero di cui si fa portavoce la filosofia kantiana, detto altrimenti, investe in pieno la domanda sull’ente e lo fa scardinando gli allora presupposti dogmatici, sui cui era stato eretto l’ontologismo di vecchia scuola e prospettando quell’inversione metodica, che intende ora rispondere all’esigenza critica di rifondare il discorso sull’ente, muovendo dalla ridefinizione delle reali possibilità conoscitive del soggetto umano.

Se riletta in quest’ottica, l’ormai nota espressione kantiana per cui “il nome superbo di un’ontologia” deve lasciare il posto a quello più modesto di una “analitica dell’intelletto puro”650 non merita più di essere compresa sulla

scorta di una ricusa sommaria da parte del filosofo dell’antica scienza metafisica.

Che il nuovo “nome” non tradisca l’intento kantiano di voler eclissare l’antica disciplina ontologica è parzialmente dimostrato dal fatto che, lo stesso autore non rinuncia in verità neppure alla sua vecchia denominazione, finendo al contrario con l’accostarla alla sua nuova filosofia trascendentale651.

Prendere congedo dall’ontologia, accostandosi piuttosto ad una analitica dell’intelletto puro, non significherebbe quindi per Kant decretare una rinuncia sommaria ad ogni nostra forma di sapere razionale sulle cose, bensì riconoscere la necessità di dover abbandonare la prospettiva acritica di un presunto sapere, che cofigurerebbe come ontologico solo di nome652, ma mai

di fatto. Le dichiarazioni kantiane, detto altrimenti, ripropongono a gran voce quell’esigenza, già palesatasi in epoca pre-critica, ma non ancora concretizzatasi in una forma compiuta e sistematica, di rinunciare alle logiche dogmatiche che stavano alla base della ricerca metafisica sull’ente, per approntare piuttosto un’indagine di carattere preliminare che sia capace anzitutto di definire le modalità con le quali risulterebbe per noi possibile oltrepassare lo spazio logico del mero cogitabile, per accedere a ciò che, di contro, si attesta come “un qualcosa” di realmente conoscibile; qualcosa, cioè, che possa rappresentare per noi un posssibile oggetto dell’esperinza.

Il diniego kantiano, a voler essere più espliciti, non è affatto diretto alla conoscenza ontologia in quanto tale, bensì a quella configurazione dogmatica che essa aveva assunto sotto l’egida del razionalismo metafisico: è con i suoi rappresentanti, infatti, che la filosofia kantiana ha fin da principio intrapreso un intenso e serrato confronto critico, allo scopo di mettere anzitutto in luce gli insuperabili limiti teorici di quella impostazione fin troppo “logicista” e “matematizzante” che era stata da loro assunta in ambito ontologico.

Caratteristica peculiare del razionalismo metafisico, come si è mostrato nella prima parte del presente studio, era infatti il profondo legame che la ricerca metafisica intratteneva con l’analisi logica; un legame, che aveva trovato chiara espressione nell’assunto di base del wolffismo, secondo il quale il principio logico di non contraddizione rappresentava il principio supremo di

650 KrV, A 247 B 304. 651 KrV, A 845 B 873.

tutte le verità, tanto da restituirsi, prima ancora che come regola del nostro pensiero, come un vero e proprio criterio di definizione ontologica delle cose. Nell’ottica della metafisica wolffiana, la possibilità stessa di una “conoscenza” ontologica poggiava dunque sulla presupposizione, secondo la quale era un unico e solo principio a restituire la regola di tutta la conoscenza umana, come anche la ratio ontologica di tutte.

In questa prospettiva del tutto “acritica”, al nome altisonante di ontologia, la metafisica di vecchia scuola tendeva quindi ad associare la dogmatica pretesa di poter giungere, per mezzo della sola ragione, a fornire conoscenza sintetiche a priori “sulle cose in generale”; ed è propriamente contro una tale pretesa – questa sì realmente superba – che il filosofo intende adesso pronunciare il suo più radicale dissenso.

Già all’interno dei Träume, di fatto, Kant aveva finito con l’ammettere che, ogni qualvolta si è preteso dogmaticamente di conoscere le qualità più recondite delle cose, di penetrare fino ai loro “predicati essenziali”, il risultato non ha fatto che disattendere le aspettative. Nella seconda metà degli anni sessanta, il filosofo prussiano aveva quindi fatto propria l’idea di una necessaria indagine di natura critica – sebbene non ancora tale di nome – che fosse in grado di determinare del tutto a priori l’ambito nel quale la ragione umana poteva aspirare a raggiungere una reale ed effettiva conoscenza delle cose, degli oggetti. L’accentuazione kantiana del tradizionale ruolo propedeutico653 dell’ontologica, procedeva però, già allora, al prezzo di una

decisa, quanto necessaria delimitazione della validità dei suoi concetti “sul basso terreno dell’esperienza e del comune intelletto”654.

In seguito, il delinearsi del profilo critico dell’ontologia kantiana muove quindi in parallelo ad un severo, quanto necessario disciplinamento delle nozioni dell’intelletto, il cui uso viene circoscritto alla dimensione concreta dei fenomeni dell’esperienza sensibile.

È nell’anno della cosiddetta “grande luce”, che l’individuazione della natura formale delle nozioni pure dello spazio e del tempo permette a Kant di “definire” razionalmente l’ambito nel quale risulta per noi possibile ottenere una reale conoscenza, riconoscendo nel sensibile, l’orizzonte nel quale diviene per noi possibile fare un uso significativo delle forme pure del nostro pensiero, dei nostri “concetti di un oggetto in generale”.

In sintesi, se si tiene conto dell’intero sviluppo dell’indagine condotta da Kant in ambito metafisico, sviluppo di cui il presente lavoro di ricerca ha cercato di mettere in mostra i momenti più salienti con una particolare attenzione all’evoluzione delle nozioni dello spazio e del tempo, non è poi così difficile riconoscere come la cosiddetta “Revolution des Denkunsart”655, di cui intende

farsi portavoce la KrV, finisca nei fatti con l’investire in pieno la domanda sull’ente, restituendole un profilo del tutto nuovo.

653 L’ontologia, in qualità di “logica dell’uso dell’intelletto puro e della ragione pura” (Met.

L1, AA XXVIII, 173), ha il compito preliminare di delineare l’ambito, nel quale le pretese

conoscitive della ragione pura risultano legittimamente fondate. È solo in quest’ambito, infatti, che il pensiero di “un oggetto in generale” esprimerebbe la sua autentica funzione “regolativa” rispetto ad un uso che, per Kant, è soltanto empirico.

654 AA II, 368. 655 KrV, B XVII.

L’impegno autenticamente metafisico di cui si fa originariamente carico il programma kantiano di una “transzendentale Logik”656 finisce nei fatti col

coincidere con la stessa ricerca di un uso delle forme pure del pensiero, nel quale verrebbe a concretizzarsi l’uscita dallo spazio logico del meramente

cogitabile, in direzione di quanto, invece, può esser da noi conosciuto

(cognoscibile) come “un qualcosa”, la cui realtà è data al di fuori delle trame logiche del nostro pensiero. Ed è proprio prendendo in esame quelle che sono le condizioni indispensabili per un uso di tali concetti in funzione di una reale conoscenza degli oggetti, che la filosofia kantiana intende rintracciare una “definizione reale”657 degli stessi; una definizione, cioè, che sia ora capace di

esibirne l’autentico valore ontologico.

A differenza della “allgemeine Logik”, che considera unicamente la forma del pensiero in generale, facendo astrazione da ogni contenuto della nostra conoscenza e, cioè, da ogni possibile rapporto del nostro pensiero con gli oggetti, la logica trascendentale “prende in considerazione anche l’origine delle nostre conoscenze degli oggetti”658, in modo tale da poter determinare a priori la validità oggettiva o meno di queste stesse conoscenze.

È nell’ambito di una logica che non è più semplicemente generale, bensì “trascendentale” che la domanda ontologica trova quindi un’espressione del tutta nuova, finendo con l’identificarsi con l’indagine relativa alla possibilità stessa di una sintesi a priori tra le forme del puro pensiero e le forme pure della nostra intuizione, grazie alla quale verrebbe a concretizzarsi non tanto la pre-comprensione ontologica dell’essere dell’ente, come scriveva Heidegger, quanto l’originaria definizione del profilo “oggettivo” dei fenomeni.

Nella prima edizione della KrV, riferendosi alle categorie dell’intelletto, quali concetti per mezzo di cui si rende per noi possibile a priori pensare le cose come “oggetti”, Kant sottolinea, come noi non potremmo di fatto mai giungere a dare una definizione reale di nessuna di esse “senza dover subito scendere fino alle condizioni della sensibilità”; senza cioè rivolgerci a quella che è la forma spazio-temporale dei nostri stessi fenomeni.

(…) se si eliminano tutte le condizioni della sensibilità che le presentano come concetti di un possibile uso empirico e le si consideranno come concetti di cose in generale (quindi di uso trascendentale) con esse non rimane altro da fare che considerare la funzione logica nei giudizi come la condizione di possibilità delle cose stesse, senza poter indicare minimamente dove esse posano prendere la loro applicazione e il loro oggetto, quindi come possano avere un qualche significato e una validità oggettiva, senza sensibilità, nell’intelletto puro.659

Secondo i dettami della filosofia critica kantiana i concetti puri dell’intelletto non potranno di fatto mai avere alcun uso trascendentale, ma sempre e solo di ordine empirico: sebbene riferibili a priori ad oggetti in

656 Cfr. R. Pozzo, Kants Within the Tradition of Modern Logic: The Role of the „Introduction: Idea of Trascendental Logic“, in: The Review of Metaphysics, LII (1998), pp. 295-310; E. Ficara, op. cit.

657 KrV, A 242. 658 KrV, A 56. 659 KrV, A 242.

generale, tali concetti ed i principi che da essi derivano, acquistano un significato reale in quanto “predicati ontologici”, soltanto nel momento in cui tali concetti vengono riferiti alla concretezza empirica di ciò che ci è dato a

posteriori nell’ambito sensibile dell’esperienza. I concetti tramite i quali si

rende per noi possibile pensare in generale ad “oggetti”, detto altrimenti, non potranno mai trovare una loro legittima applicazione in un ambito che non sia quello della datità sensibile.

Tutto ciò, ad un primo sguardo, potrebbe però apparire in aperta contraddizione con quella definizione di ontologia – l’unica per altro presente in sede di KrV – che Kant ci offre nelle pagine finali de La Architettonica

della ragion pura. Qui il filosofo sottolinea infatti come una tale conoscenza,

ora identificata in tutto e per tutto con la sua filosofia trascendentale, restituisca il “sistema di tutti i concetti e di tutti i principi che si riferiscono agli oggetti in generale (auf Gegenstände überhaupt), senza assumere oggetti che sarebbero dati (ohne Objekte anzunehmen, die gegeben wären)”660.

Se presa di per sé, una tale definizione potrebbe non solo confutare quanto detto sopra, ma persino assicurare all’ontologia kantiana quella sedicente continuità con la tradizione metafisica wolffiana, cui Heidegger aveva costantemente fatto appello, se non fosse che, ad uno sguardo d’insieme più attento e coerente con l’autentico spirito del criticismo, risulta piuttosto evidente che sono proprio gli “oggetti in generale” quelli che, per Kant, non possono esserci dati661 e che, di conseguenza, non potranno mai essere assunti

come i data662 cui è possibile applicare le operazioni logiche dell’intelletto.

La specificazione kantiana, secondo la quale i concetti puri dell’intelletto – in qualità di predicati ontologici – si riferirebbero agli oggetto in generale, senza assumere oggetti “dati”, come è stato già accennato, non va pertanto assunta come espressione della indistinta applicabilità di tali nozioni tanto alla dimensione fisica degli enti sensibili, i fenomeni, quanto a presunti oggetti intelligibili dati in sé come. Il loro non riferirsi ad una cerchia determinata dell’ente indica piuttosto quel carattere di generalità, che è proprio di un discorso di carattere preliminare, che non si occupa di questo o di quel particolare oggetto dato nell’ambito sensibile della nostra intuizione, ovvero, non si occupa della particolarità di ciò che Kant, negli appunti di inizio anni novanta definisce essere l’empirice dabile663.

L’ontologia kantiana, in sintesi, non si occupa di una determita specie di

oggetti dati, ma di tutto ciò che in generale può esserci dato; il suo oggetto è

cioè definibile come un puro “dabile”, trattandosi del modello trascendentale di oggetto, in conformità al quale – “ihm gemäß”664, come dirà Kant – ogni

nostra percezione può essere individuata un possibile oggetto dell’esperienza.

660 KrV, A 845 B 873. 661 KrV, A 109. 662 KrV, A 239.

663 “Ciò che è oggetto di percezione, empirice dabile, non è per questo senz’altro un oggetto

d’esperienza (ist darum nicht so forte in Gegenstand der Erfahrung): perché questa, come sistema di percezioni (denn diese als ein System der Warnehmungen), dev’essere fatta (muß

gemacht werden)”; OP, AA XXII, X, 18, 408; tr. it. p. 210. È lo stesso intelletto, tramite le

categorie, a conferire a ciò che si dà come semplice oggetto di percezione lo statuto ontologico di “oggetto d’esperienza”. I suoi concetti restituiscono infatti i principi dell’esposizione dei fenomeni e, cioè, i principi “dell’esposizione generale di tutto ciò che è stato dato (von dem, was gegeben worden); AA XVII, 643.