Il progetto originario di una “metafisica del mondo sensibile”.
1. La quaestio ontologica dei “principi primi della conoscenza”: l’analisi kantiana del principio di (non) contraddizione.
1.1. I principi materiali della determinazione spazio-temporale.
La divaricazione interna al concetto di “possibile (repraesentabile)”.
In una Riflessione manoscritta apposta alla propria edizione della
Metaphysica di Baumgarten115, datata da Adickes intorno alla prima metà
degli anni sessanta, Kant scrive quanto segue in merito ai principi primi della conoscenza umana:
Tutti i principi sono o formali o materiali. I primi contengono il fondamento di come nel giudizio i concetti devono essere considerati in rapporto (den Grund, wie die Begriffe im Urtheile sollen in Verhaltnis
betrachtet werden). I secondi contengono il medius terminus mediante
il quale devono essere considerati l’uno con l’altro in questo rapporto (vermittelst deßen sie in dieser Verhältnis sollen mit einander betrachtet
werden).116
I principi formali, nelle pagine iniziali della Metaphysica Herder, vengono definiti, più specificatamente, come quelle proposizioni fondamentali, che contengono unicamente la “regola suprema” per il nostro intelletto, di come (wie) tutti i predicati debbano essere messi in relazione con i rispettivi soggetti: la forma non rappresenta altro, infatti, che “il modo (die Art), in cui io posso congiungere il soggetto con il predicato”117.
Se si considera che, per Kant, “tutto il nostro raziocinare” non si risolve in altro che “nella scoperta dell’identità del predicato con il soggetto”118, non
resta, dunque, che riconoscere lo status di principi primi formali proprio a quelle due notiones che compongono il principio di (non) contraddizione e che, se prese insieme, sono dette complessivamente principio di identità.
I principi formali sono due [:] 1) Il principio d’identità (principium
identicum), cioè: quidquid est, illud est. Ad ogni soggetto compete il
predicato che gli è identico. Questo esprime la forma di tutti i giudizi affermativi (…). 2) A nessun soggetto compete [un] predicato che gli è opposto. La forma di tutti i giudizi negativi – la regola della contraddizione – principio formale negativo primo (principium formale
negativum primum).119
I principi “materiali”, di contro, sono quei principi altrettanto primi, ma non per questo universali120, che non esprimono le modalità, secondo le quali
soggetto e predicato devono essere congiunti tra loro nel giudizio, ma
115 Durante la propria attività didattica, che abbraccia tutta la seconda metà del diciottesimo
secolo, Kant sceglie di tenere le proprie lezioni di metafisica commentando la Metaphysica di A. G. Baumgarten.
116 R. 3710. AA XVII, 251. 117 Met. Herder, p. 8. 118 AA I, 391; tr. it. p. 12. 119 Met. Herder, p. 8.
120 I principi materiali non sono universali al pari dei principi formali. A differenza di questi
ultimi, infatti, i principi materiali non si applicano alle “essenze”, ma soltanto alle sostanze corporee.
indicano piuttosto la ragione (Grund), per la quale è “realmente possibile” la loro stessa congiunzione, ovvero, ciò in virtù della quale soggetto e predicato possono essere realmente connessi tra loro. Un principio materiale, infatti, è propriamente un giudizio “che contiene in sé il termine medio (medium
terminum) o la nota intermedia (notam intermediam)”121, per mezzo della
quale è possibile determinare l’unione di un qualche soggetto con un predicato che non gli è affatto identico.
Considerate le caratteristiche proprie delle due tipologie di principi, si potrebbe a ragione dire che, nella distinzione precritica tra principi primi formali e principi primi materiali della conoscenza umana è possibile ravvisare una sorta di espressione primigenia di quella che, circa un ventennio dopo, sarà la ripartizione critica dei giudizi razionali in “analitici” e “sintetici”122. I principi formali, leggiamo infatti nella Riflessione 3746,
“sono soltanto i primi fondamenti (die ersten Gründe) dei giudizi analitici o razionali (analytischer oder rationaler Urtheile)”123: le regole che
determinano la forma di tutti i nostri giudizi analitici sono cioè il principio di identità ed il principio di non contraddizione e le argomentazioni (Beweise) che muovono da essi non fanno altro che indicare, “mediante l’analisi del concetto dato (durch die analysin des Gegebenen Begrifs)”, l’appartenenza o meno di un determinato predicato ad un tale concetto.
Al contrario, i principi che determinano la forma di tutti i nostri giudizi sintetici sono espressioni del tipo: “ciò che è sempre connesso con una parte nota del concetto possibile di una cosa (mit einem bekannten Theile des
möglichen Begrifs eines Dinges), appartiene come una parte” o, ancora, come
una nota intermedia, “a questo concetto (gehöret mit als ein Theil zu diesem
Begriffe)”124. Nei giudizi di carattere sintetico, detto altrimenti, il predicato
non appartiene necessariamente al soggetto in qualità di sua “nota essenziale”, perché in quel caso il giudizio in questione non sarebbe altro che analitico, ma è piuttosto “una rappresentazione [prodotta dal] soggetto, per mezzo di un concetto intermedio (durch einen Theilbegriff)”125, sotto il quale
risulta possibile pensare sia il soggetto che il predicato.
Tornando al testo della Metaphysica Herder, nella sezione in cui si fa menzione della distinzione kantiana tra i principi formali ed i principi materiali della conoscenza razionale umana, degno di nota è il fatto che, proprio tra questi ultimi, venga annoverato il principio crusiano dell’ubi et
quando e, cioè, proprio quel principio che C.A. Crusius, in aperto contrasto
con gli assunti ontologici del razionalismo metafisico di stampo wolffiano, aveva posto a fondamento della sua definizione “reale” dell’esistenza e, di conseguenza, di quella dello stesso ente. Il principio dell’ubi et quando, per Crusius, fornisce di fatto quel necessario spartiacque concettuale tra la mera essenza metafisica dell’ente e la sua effettiva esistenza. Mentre la prima è ciò che si pensa di un ente e tramite cui pure lo si distingue dagli altri, l’esistenza è invece “quel predicato di un ente, in virtù del quale esso è anche al di fuori
121 Met. Herder, p. 9.
122 In verità la distinzione tra giudizi analitici e sintetici è già presente nella prima metà degli
anni sessanta (Cfr. R. 3738; AA XVII, 278), ma non è ancora prospettata la possibilità dei giudizi sintetici a priori in metafisica, posto che in questi anni, per Kant, il procedimento filosofico è di carattere analitico.
123 R. 3746; AA XVII, 497. 124 R. 3928; AA XVII, 350. 125 R. 3921; AA XVII, 345.
del pensiero e può essere rinvenuto in un qualche tempo”126: quest’ultima,
detto altrimenti, non è se non quel predicato dell’ente, in virtù del quale esso viene posto, in un dato tempo, in uno spazio esterno altro da quello logico nel quale operano attivamente i miei pensieri.
Crusius dice: tutto ciò che è, è in un qualche luogo (irgendwo) e in un qualche tempo (irgendwann). Questo non è un principio formale, bensì un principio materiale. Esso non contiene il modo (Art), ma la ragione (Grund) o un concetto intermedio (einen Mittelbegriff), da cui si lasciano chiarire in seguito molte altre proposizioni.127
Il principio dell’ubi et quando era stato introdotto da Crusius in un’opera del 1745 intitolata “Profilo delle verità necessarie della ragione nella
misura in cui si oppongono alle verità contingenti”128; un testo, che Kant ben
conosceva e a cui pure aveva già fatto riferimento nella Nova Dilucidatio. In quella sede, come è noto, il filosofo aveva infatti convenuto proprio con Crusius sulla necessità di sostituire all’espressione “ragione sufficiente” quella di “ragione determinante”, laddove con il termine ‘determinare’ si intende propriamente il “porre un predicato con l’esclusione del suo opposto”129.
Ho parimenti ritenuto – con il consenso del grande Crusius – di sostituire alla dizione “ragion sufficiente” il termine “ragione determinante”, giacché l’espressione “sufficiente” è ambigua (…) in quanto non risulta immediatamente quanto sia il sufficiente. Ma se “determinare” significa porre una cosa in modo da escludere ogni opposizione, il termine “determinare” denota senz’altro ciò che è sufficiente affinché la cosa sia pensata così e non altrimenti.130
Nell’ottica crusiana, fare appello ad un principio di ragione “determinante” permette infatti di evitare la possibile confusione tra il piano reale in cui opera l’esistente, cui questo principio intende propriamente fare riferimento in qualità di “Realgrund” e l’ambito ideale, nel quale si rischia inevitabilmente di ricadere, quando si chiama in causa un principio di ragione sufficiente, che è assunto come un semplice “Idealgrund”.
126 C.A. Crusius, Entwurf der notwendigen Vernunft-Wahrheiten, wiefern sie den zufälligen entgegen gesetzet werden, In: Ders.: Die philosophischen Hauptwerke. Bd. 2. Hrsg. von
Giorgio Tonelli. Hildesheim (1745) 1964, § 46. Istituendo una radicale separazione tra l’essenza e l’esistenza, la metafisica crusiana si pone in deciso e consapevole contrasto con quella wolffiana.
127 Met. Herder, p. 9. Interessante è qui il fatto che si faccia riferimento al principio materiale
dell’ubi et quando come ad un principio, grazie al quale si rende possibile “chiarire in seguito altre proposizioni”. Kant tornerà a ribadire ciò nell’Untersuchung, laddove ammetterà che i principi materiali contengono “il fondamento di altre conoscenze” o ancora “costituiscono il fondamento e la solidità della ragione umana”, nella misura in cui forniscono “il materiale delle spiegazioni ed i dati dai quali si può dedurre con sicurezza, anche quando non si hanno spiegazioni” (Met. Herder, p. 240).
128 Nel paragrafo conclusivo della sezione dedicata all’ontologia, intitolato “Dell’esistenza degli enti e dei concetti con essi connessi”.
129 AA I, 393; tr. it. p. 14.
Il principio reale di Crusius restituisce, almeno nelle sue intenzioni, un vero e proprio principiodi natura esistenziale, vale a dire un principio capace di determinare la realtà effettiva delle cose: si tratta, cioè, di un “principium
essendi vel fiendi”, per mezzo del quale una determinata cosa viene “prodotta
(hervorgebracht)” o, ancora, “resa possibile (möglich gemacht)” realmente “al di fuori dei nostri pensieri (ausseralb unserer Gedanken)”131.
Un principio ideale, di contro, rappresenta un principio solo sufficiente per poter riconoscere l’esistente come tale, ovvero, un principio capace di offrire una conoscenza a posteriori dell’esistenza dell’ente, la cui realtà effettiva rimane, nei fatti, del tutto indipendente da questo stesso principio: un principio ideale, secondo Crusius, è infatti solo un “principio conoscitivo (principium cognoscendi), grazie al quale la conoscenza di una cosa (die
Erkenntniß von einer Sache) viene prodotta con convinzione nell’intelletto
(in dem Verstande mit Ueberzeugung hervorgebracht wird )”132.
La distinzione operata da Crusius tra l’ambito reale, cui fanno propriamente riferimento i Realgründe, e quello ideale, entro il quale operano attivamente i concetti dell’intelletto umano, non poteva dunque che essere accolta con estremo interesse da parte di Kant che, già in questi anni, come notato dal De Vleeschauwer133, era ormai divenuto più che consapevole della impossibilità
di un accesso per via puramente concettuale all’esistente.
La filosofia wolffiana aveva infatti preteso “superbamente” di compiere un tale passaggio attraverso quella che, per il filosofo di Königsberg, non era stata altro se non un’indebita estensione del valore normativo dei principi formali della logica alla dimensione reale propria dell’ente; un’estensione, che aveva determinato, al contempo, il progressivo reindirizzamento della domanda ontologica, in origine volta ad individuare le ragioni esistenziali dell’ente reale, alla realtà essenziale dell’ente esistente.
Nella formazione del giovane Kant, come recentemente segnalato dagli autori della Kant-Forschung, l’impostazione anti-razionalista palesemente assunta dalla metafisica crusiana ha rappresentato, con tutta probabilità, uno dei contraltari più netti rispetto a quell’indirizzo essenzialistico134, cui era
stata in origine immessa l’indagine metafisica sotto l’egida del razionalismo. È necessario tener presente, però, che la ripresa kantiana di elementi teorici di chiara derivazione crusiana non si è mai tradotta in una sterile, quando dogmatica presa di posizione da parte del filosofo di Königsberg a favore di quell’impostazione anti-logicista o, più espressamente, anti-wolffiana, di cui
131 “(…) ein Realgrund (Principium essendi vel fiendi), wodurch eine Sache ausseralb unserer Gedanken ganz, oder gewisser massen, hervorgebracht, oder möglich gemacht wird”; C.A. Crusius, Weg zur Gewißheit und Zuverlässigkeit der menschlichen Erkenntnis,
Gleditsch, Leipzig 1747, in: Die philosophische Hauptwerke, cit. vol. III (da qui in poi Weg), §255.
132 Ibid.
133 H.J. De Vleeschauwer, L’évolutio de la penseé kantienne, Paris, Alcan, 1939. Secondo
l’autore, nella Nova Dilucidatio Kant è già consapevole di tale impossibilità, ma non vede ancora la corrispondenza tra la distinzione tra ordine logico e reale e quella tra ragioni di verità e ragioni di esistenza. (p. 30).
134 P. Kobau valuta Christian Wolff come l’autore che meglio di tutti è riuscito a
rappresentare l’ideale di un’ontologia di tipo essenzialistico, assumendo una posizione realista in merito allo statuto esistenziale delle essenze – da lui intese come entità intenzionali –, proponendo di rintracciare nella psicologia il luogo in cui l’ontologia essenzialistica intercetta il piano della predicazione esistenziale dell’ente. Cfr. P. Kobau, Essere qualcosa.
il Crusius si era fatto espressamente promotore. Kant, detto in altri termini, nel corso di questi anni non avrebbe infatti assunto un punto di vista in tutto e per tutto conforme a quello di Crusius, abbandonando in via definitiva la
koinè razionalista, di cui aveva già avvertito i limiti teorici derivanti da
un’impostazione fin troppo logicista. Egli ricorre, piuttosto, in maniera puntuale alle tesi crusiane traducendole, per così dire, in termini che risultino capaci di minare il sistema razionalista dal suo stesso interno, senza per questo sconvolgerne sistematicamente i suoi desiderata.
Basti pensare, a titolo d’esempio, alla presa di distanza messa in atto da Kant nei confronti dell’assunto crusiano, secondo il quale i principi reali delle cose, dal momento che contengono l’essenza di ciò che per loro tramite viene determinato, sono di conseguenza dei veri e propri principi conoscitivi “a priori”. Per Crusius, infatti, un Erkenntnissgrund a priori non è soltanto un contrassegno della verità dell’ente, “ma anche fonte della verità e quindi anche principio dell’essere (e del divenire)”135: un principio ideale a priori,
per lui, è cioè un principio tramite cui conosciamo “non solo che (dass), ma anche perché (warum) qualcosa è”136.
Per Kant, che da parte sua sottolinea la necessità di distinguere con estrema cura tra le ragioni di verità e, cioè, tra quelle ragioni tramite le quali comprendiamo che (quod) un qualcosa è, piuttosto che non, e le ragioni di attualità o di esistenza137, che da parte loro sono in grado di indicare del tutto
a priori le ragioni per cui (cur) una data cosa è piuttosto che non, una tale sovrapposizione non può affatto essere accettata.
Ciò, come ha di recente ben evidenziato Gualtiero Lorini138, risulta
particolarmente evidente, nel momento in cui si presta attenzione a quelle che sono state le scelte terminologiche adottate dal filosofo di Königsberg per fare riferimento al “principio di ragione determinante”: a differenza di Crusius, il quale aveva optato per il termine tedesco “Grund”, nel quale è in un certo qual modo già implicata una funzione propriamente determinante, Kant utilizza invece l’espressione latina “ratio”, di per se stessa del tutto sprovvista di una tale funzione, affiancandole il participio presente “determinans”. Dal punto di vista kantiano, infatti, la posizione di un dato predicato con l’esclusione del suo opposto, di cui si fa propriamente indice il concetto di determinazione, non ha, a differenza che in Crusius, alcuna funzione creativo- causale, nella misura in cui la ratio existentiae delle cose, ciò che ne determina realmente l’esistenza, è solamente contenuta nella causa delle stesse, nei termini di un’essenza realmente agente sulle sostanze, ma non è affatto considerata come del tutto coincidente con essa.
Ne consegue che, dal punto di vista kantiano, il concetto di “causa ideale” cui fa propriamente appello Crusius, finirebbe di fatto col coincidere in tutto e per tutto con quello esprimente la ragione semplicemente “conoscitiva” delle cose realmente esistenti, vale a dire con ciò che il filosofo aveva definito essere una ragione determinante soltanto “conseguentemente” o, tutt’al più,
135 Cfr. Lorini, Fonti e lessico, p. 84. 136 C.A. Crusius, Weg, §§ 141-142.
137 “Dovevo in primo luogo distinguere con cura tra ragione di verità e ragione di esistenza,
quantunque potesse sembrare che l’universalità del principio di ragione determinante nella regione delle verità si avesse ad estendere parimenti sopra l’esistenza”; AA I, 393; tr. it. p. 22.
geneticamente139. Non molti anni dopo, nel saggio dedicato al concetto delle
quantità negative, Kant concluderà che una ragione puramente ideale, in qualità di principio conseguentemente determinante, non può affatto coincidere con il principio della determinazione esistenziale delle cose, con il loro fondamento reale (Realgrund).
Osservo per inciso che la suddivisione del signor Crusius in causa ideale e causa reale è del tutto diversa dalla mia. La sua causa ideale infatti coincide con la causa conoscitiva, ed in tal caso è facile vedere che se già considero una cosa come causa, ne posso dedurre la conseguenza. Perciò secondo lui il vento serotino è una causa reale delle nuvole che portano la pioggia ed è contemporaneamente una causa ideale perché da esso riesco a riconoscerle e a prevederle. Secondo i miei concetti invece la causa reale non è mai una causa logica, e la pioggia non viene mai posta dal vento in conformità al principio di identità.140
La sovrapposizione cruisana tra Realgrund ed Erkenntnissgrund a priori affondava le sue radici nella tesi, secondo cui l’esistenza non è altro che quel predicato attribuibile alle cose, grazie al quale queste stesse cose risultano esser realmente poste al di fuori dello spazio logico descritto dai nostri pensieri: “l’esistenza”, scriveva infatti Crusius, “è quel predicato di un ente (eines Dinges), in virtù del quale esso è posto anche al di fuori del pensiero (ausserhalb unserer Gedanken) e può essere rinvenuto in un qualche tempo”141. Dal punto di vista crusiano, infatti, quando si afferma che una
qualche sostanza esiste, non si intende altro, in fondo, se non che essa, nel tempo della sua permanenza, può essere rinvenuta in un determinato spazio, che è altro dallo spazio logico entro il quale operano attivamente i concetti del nostro intelletto; uno spazio, cioè, che risulta essere realmente “esterno” rispetto al nostro stesso pensiero.
Agli occhi di Kant, di contro, possedere una determinata collocazione spazio- temporale, che è altra rispetto a quella entro cui opererebbe il nostro stesso pensiero non è, né di fatto lo sarà mai142, una ratio sufficiente a determinare
o meno la reale esistenza delle cose: il “dove” ed il “quando” non sono per lui contrassegni certi dell’effettiva esistenza degli enti.
Il celebre Crusius annovera come determinazioni certe della esistenza, il dove e il quando. Ma anche senza stare a esaminare la stessa
139 Kant, nella Nova Dilucidatio, aggiungeva alle ragioni antecedentemente determinanti la
“ragione identica”, ovvero, quella ragione in virtù della quale la nozione del determinato non segue né precede la nozione del determinante, ma gli è, in un certo qual modo, “contemporanea”. Se si considera l’esempio addotto da Kant – “il triangolo ha tre lati” – è facile comprendere che tale ragione allude, nei fatti, alla definizione genetica delle cose che, in qualità di loro ratio essendi, “sta sul piano ideale, vale cioè pel mondo delle essenze o idee, e non pel mondo concreto e individuato delle esistenze” (M. Campo, La genesi del criticismo
kantiano, Edizioni Magenta, Varese 1953, p. 120). In tal modo, prosegue Campo, viene
determinata una nuova nozione di verità, che “non è l’adeguazione dell’oggetto extramentale con la mente, ma la razionalità interna del nesso soggetto e oggetto” (p. 119).
140 AA II, 288.
141 C.A. Crusius, Weg, § 424.
142 In epoca critica lo spazio ed il tempo saranno infatti contrassegni sufficienti a determinare
l’esistenza o meno dei fenomeni, le rappresentazioni soggettive delle cose fuori di noi, ma mai di tali “cose”, considerate come date in se stesse.
proposizione, che tutto ciò che esiste, debba essere in qualche luogo o tempo, questi predicati apparterrebbero anche alle cose puramente possibili (zu blos möglichen Dingen). Potrebbe infatti esistere in taluni determinati luoghi, ad un certo tempo, qualche uomo di cui l’Onnisciente conosce bene tutte le determinazioni, così come sarebbero in lui presenti, se egli esistesse, eppure egli realmente non vi è (…).143
Se la determinazione di carattere spazio-temporale rappresenta per Crusius la
ratio essendi dell’ente, restituendo, al contempo, il suo principio conoscitivo
a priori, per il giovane Kant, che sul finire degli anni cinquanta144 ha già fatto
propria la tesi, secondo la quale l’esistenza non è un predicato o un attributo delle cose, una tale ratio restituisce una caratteristica che può certo essere attribuita anche alle cose che risultano essere semplicemente possibili. E tuttavia, l’accezione del “possibile (mögliche)” cui fa qui appello Kant, non sembra poter essere ridotta a quella, che Wolff e, in termini diversi, lo stesso Baumgarten, avevano posto a fondamento della notio ontologica di “ente (Ding)”. Per loro, lo ricordiamo, il “possibile” era infatti identificabile con ciò che, non contenendo nella propria definizione logica predicati di natura