• Non ci sono risultati.

La ridefinizione in chiave empirico-soggettiva del realismo kantiano Dal dualismo metafisico al dualismo epistemologico nei Träume.

Il progetto originario di una “metafisica del mondo sensibile”.

1. La ridefinizione in chiave empirico-soggettiva del realismo kantiano Dal dualismo metafisico al dualismo epistemologico nei Träume.

“La metafisica come scienza dei limiti della ragione. Kant è ora a una nuova e più decisiva svolta. Non più l’attende la metafisica pensata muovendo dai risultati delle scienze, né soltanto la metafisica considerata come scienza e indagata nella sua metodica, ma la metafisica coerentemente (‘criticamente’) organizzata come metafisica dell’esperienza e della scienza (…)”.408

Nella Nova Dilucidatio il restringimento dell’ambito di validità del principio di ragion determinante alla sfera dei soli enti contingenti ed il parallelo riconoscimento del valore “arbitrario” della relazione spazio- temporale che informa la realtà degli stessi, avevano portato Kant ad ammettere come possibile l’esistenza di più mondi “in senso metafisico”. In quella sede il filosofo aveva infatti sostenuto, che la semplice esistenza delle sostanze contingenti, diversamente da quanto ammesso dalla filosofia leibniziana, non è per nulla sufficiente a determinare quel reciproco nesso causale, che nell’ambito delle scienze naturali prende il nome di “gravitazione universale”, ma necessita altresì di un principio comune di esistenza, che solo risulta essere capace di restituire l’esistenza di dette sostanze nella forma coerente ed unitaria di una loro durevole co-esistenza.

Nell’ottica della filosofia kantiana, detto altrimenti, occorre cioè postulare un necessario principio metafisico, che sia comune a tutte le realtà contingenti, affinché “la loro esistenza venga informata dalle relazioni (respective

informata sit earum exsistentia)”409.

Nel contesto più generale dell’originario progetto kantiano di una metafisica del mondo sensibile, l’idea di fondo del filosofo è che a fondamento della universale azione e reazione che è capace di determinare la

realtà del nesso fisico tra gli enti contingenti, sia sempre necessario

presupporre uno “schema di relazioni” posto in essere dall’attività rappresentativa dell’intelletto divino: l’esistenza di tutte le sostanze corporee, scriveva infatti Kant, “non basta affatto a stabilire un commercio reciproco e rapporti di determinazioni tra le medesime” sostanze, per il quale è richiesto invero “un disegno di relazioni concepito nella rappresentazione operante del divino intelletto”410. Già in quegli anni, la filosofia kantiana aveva quindi

finito con l’escludere la possibilità di fare appello al principio leibniziano dell’armonia prestabilita per tentare di spiegare il collegamento sostanziale, sottolineando il valore contingente di un tale nesso: la rappresentazione operante, che è messa in atto dal divino intelletto, è infatti del tutto arbitraria,

408 A. Guerra, Introduzione a Kant, Laterza, Roma-Bari 2018 (prima ed. 1980), p. 34. 409 AA I, 414; tr. it. pp. 50-51.

tanto da poter essere ammessa così come omessa, e pertanto non è assurdo ipotizzare che ci possano essere sostanze poste in essere dalla rappresentazione divina, che siano capaci di “esistere in modo da non essere in alcun luogo e in alcuna relazione assolutamente con il nostro universo reale”411; sostanze che, se prese insieme, pure restituirebbero un ordinamento

mondano, che è del tutto diverso dal nostro.

Dal momento che di sostanze siffatte – sciolte cioè da ogni nesso con il nostro mondo – ne possono esistere quante a Dio piaccia e queste possono nondimeno essere collegate tra loro da un nesso di determinazioni, sì da produrre luogo, posto e spazio: esse costituiranno un mondo staccato dall’ambito del mondo di cui noi facciamo parte, vale a dire un mondo isolato e in se stesso. Per questa ragione non è assurdo che ci possano essere più mondi in senso metafisico, se così sarà piaciuto a Dio.412

Nella seconda metà degli anni cinquanta, dunque, è proprio facendo leva sul valore del tutto arbitrario dell’attività rappresentativa del divino intelletto, che la filosofia kantiana finisce con l’ammettere quello che a tutti gli effetti risulta essere un dualismo di natura “metafisica”, perché facente riferimento a due differenti, ma egualmente possibili schemi posti in essere dall’attività rappresentativa di un’unica intelligenza divina.

Particolarmente degno di nota ai fini del nostro studio è poi il fatto che un tale dualismo di natura metafisica risulti plausibile, invero, soltanto nella misura in cui si fa appello a quel valore relazionale dei concetti metafisici dello spazio e del tempo, che la filosofia kantiana aveva in principio ereditato da quella leibniziana. Laddove si abolisse il nesso vicendevole tra le sostanze, scriveva infatti Kant in sede di Nova Dilucidatio, verrebbe parimenti meno il concetto stesso di tempo, quale nostra espressione di natura concettuale derivante da tale nesso; e la medesima cosa accadrebbe per la notio metafisica dello spazio, posto che essa risulta riconducibile alle azioni concatenate tra le sostanze: “luogo posto e spazio”, scrive infatti il filosofo, non sono altro se non “relazioni di sostanze”413.

Nell’ottica kantiana, la relazione spazio-temporale descritta dalle sostanze contingenti possiede però un carattere “reale” e non meramente ideale, perché tale è l’azione operata dalle sostanze le une sulle altre, trattandosi di un commercio ad opera di cause veramente efficienti. Nulla esclude, però, che possano esserci sostanze tali da non avere alcun tipo di relazione con il nostro universo reale, ma che pure risultano collegate tra loro da un nesso di determinazioni non descrivibile mediante le attuali leggi fisiche dell’attrazione universale, tanto da produrre un luogo, posto e spazio in un mo(n)do altro dal nostro.

A partire dalla seconda metà degli anni sessanta, complici il ripensamento in chiave logico-soggettiva414 della quaestio ontologica, insieme alla parallela

411 AA I, 414. 412 Ibid. 413 AA I, 410.

414 Nelle Vorlesungen di inizio anni sessanta si fa accenno all’idea di una metafisica che mira

ai principi irresolubili dell’ontologia, facendo ricorso a quei principi che risultano essere irresolubili, nel senso di non ulteriormente scomponibili per mezzo dell’analisi, dalla prospettiva del tutto soggettiva del nostro intelletto. Nel corso di questi stessi anni la logica

rivalutazione della concretezza empirica come elemento ineludibile della conoscenza razionale umana, il presunto dualismo metafisico prospettato nella Nova Dilucidatio lascia il posto ad un dualismo di carattere “epistemico”, facente capo a due tipologie materialmente differenti della rappresentazione soggettiva. L’altro mondo, nel corso di questi anni, non è più considerato cioè come “un tutto isolato e in se stesso” o, ancora, come un ordinamento mondano con il quale non intratteniamo alcun genere di relazione, bensì come un mondo che per noi risulta essere semplicemente

intelligibile, perché nei fatti rappresentabile come la controparte negativa di

quel mondo reale, cui noi stessi facciamo parte in qualità di esseri materiali (corporei). Si tratta, cioè, di un mondo che non è “altro” dal nostro, perché composto da un altro genere di sostanze, ma perché ammesso come realmente

conoscibile unicamente per mezzo di un’intuizione altra415 da quella di cui

disponiamo naturalmente in qualità di spiriti finiti, ovvero, quali enti vincolati alla materia corporea nell’adempimento delle funzioni rappresentative. Il soggetto umano, secondo quanto riportato da Kant nel corso della seconda metà degli anni sessanta, è infatti in grado di rappresentarsi l’intero universo e le sostanze che operano attivamente in esso unicamente “mediante il corpo ed i suoi organi sensoriali, quindi mediante intuizioni sensibili”416.

Il nostro intuire, leggiamo nella Riflessione 4863, “è fisico, non mistico”, ovvero, un intuire propriamente “organico”417, nella misura in cui chiama

necessariamente in causa quella dimensione sensibile (corporea), che sola è capace di restituire il “luogo” ideale nel quale possono esserci date tutte le nostre sensazioni, reali o anche solo possibili.

La conoscenza razionale del soggetto umano risulta infatti circoscritta alla realtà concreta di quei particoli fenomeni empirici, i cui “data” possono essere rintracciati nell’ambito sensibile di quelle che sono le sue stesse sensazioni: è unicamente di queste ultime, infatti, che il soggetto umano può avere – per riprendere l’espressione da lui adoperata nella Deutlichkeit – una coscienza

immediata ed evidente418.

della quaestio ontologica subisce un evidente riformulazione: posto infatti che l’esistenza non è un predicato, Kant esclude che la si possa dedurre dal concetto incontraddittorio delle cose. L’esistenza è piuttosto la positio assoluta delle stesse e come tale va pre-messa ad ogni possibile determinazione di carattere predicativo sulla scorta di un’ipotesi, la cui conferma può esserci data solo per il tramite di una sicura esperienza interna. È guardando a questi due aspetti che si fa qui riferimento ad un ridimensionamento in chiave logico-soggettiva della ontologia.

415 Nella Metaphysik Pölitz leggiamo: “L’altro mondo non è un altro luogo (anderer Ort), ma

soltanto un’altra intuizione (nur eine andere Anschauung). Rispetto agli oggetti, l’altro mondo rimane il medesimo: esso non differisce per le sostanze; viene semplicemente intuito intellettualmente”; AA XXVIII, 297-298.

Kant, come è noto, negherà espressamente che all’uomo possa competere un’intuizione di tipo intellettuale.

416 P. Rumore, op. cit., p. 179.

417 “Che la nostra anima intuisca senza corpo, come spirito, altre cose, cioè esteriormente, è

una violazione dei limiti dei dati. Infatti conosciamo l’anima soltanto come l’oggetto del senso interno e il corpo come il mezzo del senso esterno. Il nostro intuire è fisico, non mistico; quello fisico non è pneumatico, ma è organico”; AA XVIII, 13.

418 In questo caso si tratta di una sensazione di cui si ha immediata coscienza, ovvero, di una

vera “percezione”. Percepire (Wahrnehmen) è infatti “sich mit Bewußtsein etwas vorstellen“; AA IX, 64.

All’interno delle Reflexionen zur Anthropologie419, non a caso, sono proprio

le sensazioni che, in qualità di determinazioni soggettive prodotte dalla reale presenza delle cose fuori di noi, ad essere definiti da Kant quali elementi fondamentali, necessariamente posti alla base di ogni nostra conoscenza:

Le prime parti fondamentali della nostra conoscenza (ersten grundstüke

unserer Erkentnis) sono [le] sensazioni. Così si chiamano le

rappresentazioni in cui l’animo è considerato come soltanto passivo, poiché esse sono prodotte dalla presenza dell’oggetto (durch die

Gegenwart einer Sache gewirkt werden). Esse costituiscono, per così

dire, la materia di tutta la nostra conoscenza.420

In questi anni, il progressivo riconoscimento del ruolo fondamentale dell’Empfindung nello sviluppo delle conoscenze razionali è quanto fa emergere il profilo essenzialmente “empirico” delle istanze realiste della metafisica kantiana; quelle stesse istanze che pure hanno restituito uno dei fili conduttori forse più espliciti dell’iniziale confronto critico con l’ontologismo di vecchia scuola. È proprio all’interno del rinnovato contesto teorico restituitoci dal realismo empirico kantiano, che le aspirazioni conoscitive della ragione umana vedono ristretto il loro ambito di validità alla realtà concreta dei fenomeni, portando ad un necessario ripensamento del valore epistemico delle nozioni metafisiche dello spazio e del tempo, in un senso che è sempre più prossimale a quella idealità puramente formale che queste stesse nozioni otterranno in sede critica.

Nel corso degli anni sessanta, la filosofia kantiana è certo ancora lontana dal riconoscere l’idealità pura delle forme sensibili dello spazio e del tempo rispetto alla realtà empirica dei fenomeni dell’esperienza: per giungere ad un tale riconoscimento, infatti, occorrerà dapprima individuarne lo statuto soggettivo di principi formali della nostra sensibilità. Già in questi anni, però, l’abbandono kantiano del dualismo di natura metafisica a favore del suo corrispettivo di stampo epistemico-soggettivo, finisce col chiamare in causa un’accezione non più “relazionale” dei concetti metafisici dello spazio e del tempo che, a dispetto di quanto suggeritoci da una consistente parte degli interpreti, non risulta per questo assimilabile tout court a quella forma di assolutismo sostanziale che era stata assunta dai sostenitori della fisica newtoniana, ma piuttosto funzionale ad essa.

In un saggio pubblicato nel ’68, intitolato Von dem ersten Grund des

Unterschiedes der Gegend im Raum, la filosofia kantiana farà infatti proprio

il valore originario ed assoluto del concetto metafisico dello “spazio puro”421,

assumendolo come un Grundbegriff che per primo rende possibili tutte le

419 Si tratta delle annotazioni manoscritte apposte da Kant alla sua edizione della Metaphysica

di Baumgarten, riguardanti l’antropologia e risalenti, secondo Adickes, agli anni settanta. Molte delle tesi rinvenibile nelle Riflessioni verranno integrate nella “Antropologia dal punto

di vista pragmatico”. 420 R. 619; AA XV, 268.

421 AA II, 383. È facendo appello ad una tale nozione che, per Kant, è possibile spiegare in

termini puramente razionali il fenomeno per cui l’essere materiale occupa realmente una regione dello “spazio cosmico assoluto. La “regione (Gegend)” consiste infatti nella relazione del sistema delle posizioni reciproche di una cosa con le altre nello spazio con lo spazio cosmico assoluto. Negli anni successivi Kant non farà più riferimento alla notio di spazio puro come “assoluta”, mantenendone però il valore originario di notio primae.

nostre sensazioni, restituendosi quindi come un elemento assolutamente necessario per le nostre rappresentazioni empiriche degli oggetti.

Scrive a tal proposito Giorgio Tonelli:

Tutta l’enfasi data all’aspetto a posteriori del conoscere non esclude affatto che le prove in concreto servano a scoprire degli universali metafisici assoluti, magari concreti essi stessi, come il concetto di spazio. Anzi, la primarietà di quest’ultimo serve appunto ad appoggiare metafisicamente e gnoseologicamente l’irriducibilità del conoscere concreto ad astratti principi di ragione.422

Sul finire degli anni sessanta, la filosofia kantiana finisce quindi col dover ammettere l’assolutezza originaria423 dello “spazio puro” (e del tempo) rispetto alla materia sensibile (Empfindung) delle nostre rappresentazioni

soggettive (Erscheinungen): il significato metafisico di tali concetti viene quindi precisato in un senso che è ora capace di rendere razionalmente conto degli stessi giudizi intuitivi424 della geometria e che, nei fatti, risulta essere

preliminare a quell’idealità pura che, nell’ambito del maturo criticismo, finirà col caratterizzare lo spazio ed il tempo quali forme a priori della nostra intuizione sensibile. Ed è facendo leva sull’idealità pura delle forme spazio- temporali dell’intuizione sensibile, come vedremo in seguito, che la filosofia kantiana finirà quindi col prospettare quella declinazione in senso

trascendentale della funzione sintetica propria del concetto di un “oggetto in

generale”, rispetto ai fenomeni empirici ed alle loro costruzioni matematiche. Guardando da questa prospettiva alla rimodulazione in chiave empirica delle istanze realiste della metafisica kantiana è facile comprendere come sia stata proprio la ridefinizione del profilo epistemico della conoscenza metafisica ad aver portato il filosofo a dover ripensare la natura “formale” della notio ontologica dell’Etwas überhaupt, in relazione alla concretezza empirica dei singoli fenomeni dati nell’esperienza sensibile del soggetto. Indicato da Kant come il vero e proprio oggetto dell’ontologia, sul finire degli anni sessanta, tale concetto restituisce infatti la rappresentazione, prodotta dall’intelletto, di un “oggetto” che dal punto di vista empirico risulta essere del tutta indeterminata (=x), ma che pure serve ad anticipare formalmente425

la realtà empirica di ogni fenomeno dato. I Träume eines Geisterseher erklärt

durch Träume der Metaphysik restituiscono, come già accennato, uno

sguardo privilegiato sulla questione: è in quest’opera, infatti, che il confronto diretto con alcune delle tematiche chiave della psicologia razionale offre a Kant l’occasione concreta di chiarire, anzitutto, quello che è il profilo epistemico della distinzione tra il mondo materiale ed il mondo spirituale

422 G. Tonelli, Dall’estetica metafisica, p. 245.

423 Nel saggio sulla distinzione delle regioni dello spazio, come è noto, Kant ammetterà che

“non le determinazioni dello spazio sono conseguenze delle posizioni reciproche delle parti della materia, ma queste posizioni sono conseguenze di quelle determinazioni, e che quindi nella costituzione dei corpi possono trovarsi differenze e certo vere differenze che si riferiscono unicamente allo spazio assoluto ed originario, giacché soltanto per esso è possibile il rapporto delle cose corporee (…)”; AA II, 383; tr. it. p. 417.

424 Cfr. AA II, 378; tr. it. p. 412.

425 Scrive a tal proposito Gabriel Rivero: “Das Etwas X ist in dieser Phase der kantischen Denkentwicklung eine vom Verstand hervorgebrachte Vorstellung, die die einzelnen Vorstellung der (gegebenen) Objekte antipiziert”; G. Rivero, op.cit., p. 136. Di tale questione

(immateriale), individuandone il fondamento in due diverse tipologie della rappresentazione soggettiva. Ed è sempre all’interno dei Träume, infine, che la progressiva rivalutazione della concretezza empirica dei fenomeni dell’esperienza nell’ambito della conoscenza metafisica, parallela all’individuazione dei limiti conoscitivi dell’intelletto umano, finisce col determinare quella che si profila essere una vera e propria ri-definizione in chiave empirica dell’ambito di validità della conoscenza ontologica; ridefinizione cui però non segue affatto, come vedremo in seguito, alcuna determinazione empirica del suo “oggetto”.

Procedendo per gradi vediamo anzitutto in che modo il confronto con le problematiche chiave della psicologia razionale, il cui banco di prova è rappresentato per Kant proprio dal concetto di “rappresentazione”, abbiano dato l’occasione concreta per ripensare la distinzione tra il “mondo materiale” ed il “mondo spirituale” nei termini sopracitati, riservandoci in un secondo momento di chiarire quello che, a nostro avviso, è l’autentico significato che una tale distinzione giocherà sul piano ontologico.

Nel primo capitolo della sezione “dogmatica” dei Träume Kant riprende alcuni degli assunti fondamentali della psicologia razionale, relativamente alla natura dell’animo umano come sostanza semplice ed immateriale, introducendo una serie di elementi teorici in grado di specificare ulteriormente quelle che, in buona sostanza, erano state le sue convinzioni in merito già nel corso della seconda metà degli anni cinquanta.

Il filosofo ammette, infatti, di essere particolarmente incline ad affermare l’esistenza di sostanze immateriali (spirituali) e a ricondurre ad esse la natura specifica dell’animo umano: “confesso di essere molto propenso ad affermare l’esistenza di nature immateriali nel mondo e a porre la mia anima nella classe di questi esseri”426. Una tale propensione, tuttavia, non potrà mai raggiungere

quel livello assoluto di certezza intuitiva, che è proprio delle dimostrazioni matematiche, ma resterà sempre limitata a quel grado di certezza discorsiva che, d’altra parte, è almeno “sufficiente a indurre la persuasione”427.

Ciò che determina il filosofo verso la propensione, piuttosto che verso una conoscenza certa e indubitabile è il fatto che l’ipotesi metafisica (a priori) relativa all’esistenza di tali esseri immateriali non potrà mai ottenere conferma da parte dell’esperienza (a posteriori). Quest’ultima, permette di conoscere intuitivamente soltanto la natura e le leggi di quelle sostanze contingenti con cui intratteniamo una reciproca relazione causale: unicamente questo genere di sostanze, infatti, è in grado di impressionare i nostri organi di senso, causando una modificazione reale del nostro stato rappresentativo,

426 AA II, 327; tr. It. P. 390. In una lettera indirizzata a Moses Mendelssohn poco dopo la

pubblicazione dei Träume Kant, riferendosi alla natura delle visioni dello Swedenborg, scriverà: “(…) non riesco a sottrarmi ad una lieve propensione per storie come questi racconti, né riesco ad evitare di nutrire qualche supposizione sulla giustezza delle loro basi razionali, nonostante le assurdità che privano di valore queste basi razionali”; AA X, 69; tr. it. p. 47.

427 “La certezza metafisica è dello stesso genere di quella di ogni altra disciplina filosofica

(…). Sappiamo per esperienza che per mezzo di motivi razionali, anche fuori del campo matematico, in molti casi possiamo raggiungere la certezza completa fino alla persuasione”; AA II, 292; tr. it. p. 237. La metafisica, proseguiva Kant nella Deutlichkeit, non possiede quella certezza intuitiva che è propria delle dimostrazioni matematiche. In quella sede, non sembra essere un caso, Kant sottolineava l’impossibilità di poter giungere, tramite semplici concetti razionali, alla dimostrazione della natura immateriale dell’anima.

una modificazione, cioè, che può essere immediatamente riconosciuta come determinata da oggetti posti realmente al di fuori di questo stesso stato rappresentativo. Nel paragrafo conclusivo della sezione dogmatica, Kant fornirà un’illustrazione più particolareggiata del meccanismo fisiologico428

sotteso a tale processo rappresentativo, mostrando il carattere essenzialmente “disfunzionale” di quella conoscenza metafisica, che pretende di indagare ciò che, per sua definizione, trascende i limiti dell’esperienza.

Il quadro teorico nel quale si colloca il giudizio kantiano sulla metafisica speciale429, come è noto, è infatti rappresentato dalla discussione polemica

sorta intorno alla natura delle visioni di cui si era detto diretto testimone Emanuel Swedenborg nei suoi Arcana coelestia430. Tali visioni, nell’ottica

kantiana, non sono altro che il risultato di un inganno di natura “patologica”,