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L’emendazione in chiave trascendentale del metodo filosofico L’ontologia come Philosophia pura dell’esperienza sensibile.

Il progetto originario di una “metafisica del mondo sensibile”.

2. L’emendazione in chiave trascendentale del metodo filosofico L’ontologia come Philosophia pura dell’esperienza sensibile.

“La propria soggettività al pari del ‘proprio’ orizzonte è ‘limite’: lo sdoppiarsi del limite in punto di vista e orizzonte apre lo spazio dell'osservazione. (…) Il limite, pur essendo sinonimo di contingenza e finitezza può essere sempre e soltanto sdoppiato, infinitamente sdoppiato. (…) Lo sdoppiarsi infinito del limite proprio è la fonte di quello spazio e di quel tempo che l’osservazione sempre presuppone”.468

A partire dalla seconda metà degli anni sessanta la filosofia kantiana mette in atto quella che Josef Schmucker ha definito essere “die radikale Abwertung

aller den Bereich der Erfahrung überschreitenden spekulativen Erkenntnis”469; svalutazione che, è bene sottolinearlo, non si traduce affatto

in una rinuncia sommaria alla dimensione immateriale propria del sovrasensibile, ma tradisce piuttosto l’evidente volontà, da parte del filosofo, di distinguere in maniera netta “il sapere sui corpi da ciò che invece si connette alla loro destinazione sovrasensibile (…), distinguendo il modo di conoscere dal pensare”470.

L’abbandono del vecchio dualismo metafisico in funzione del suo corrispettivo di stampo epistemico trova, infatti, la sua più chiara e concreta espressione in quella divaricazione interna alla dimensione metafisica, cui il filosofo fa per la prima volta menzione in una lettera471 indirizzata a Lambert

nel Dicembre del 1765. Qui, annunciando l’imminente uscita di uno scritto dal titolo “L’autentico metodo della filosofia”472, Kant sottolinea la necessità

di premettere ad esso alcuni lavori di carattere preliminare che, a parer suo, risultano indispensabili per l’individuazione del “metodo peculiare della metafisica”.

468 Marco M. Olivetti, Analogia del soggetto, Laterza, Roma-Bari 1992, p. 38.

469 J. Schmucker, Kants kritischer Standpunkt zur Zeit der Träume eines Geistersehers im

Verhältnis zu dem der Kritik der reinen Vernunft, in: Ingeborg Heidemann und Wolfgang

Ritzel (Hrsg.): Beiträge zur Kritik der reinen Vernunft, Berlin/New York 1981, p. 4.

470 E. Franzini, Elogio dell’Illuminismo, Mondadori, Milano 2009, p. 227. A tal proprosito

vedi anche G. Tonelli, L’etica kantiana parte della metafisica: una possibile ispirazione

newtoniana? Con alcune osservazioni su ,I sogni di un visionarioʻ, in: Claudio Cesa (Hrsg.): Da Leibniz a Kant. Saggi sul pensiero del settecento, Napoli 1987, pp. 257–275).

471 AA X, 54-57.

472 Ad esso Lambert fa riferimento nella lettera inviata a Kant il 13 Novembre del 1765,

lettera nella quale egli sottolinea l’affinità tra la sua idea di metodo filosofico e quella prospettata dal secondo all’interno dei Träume. Il testo in questione, in verità, non verrà mai pubblicato. Buona parte delle tesi di natura metodologica cui perviene Kant nel corso di questi anni troveranno infine posto nella sezione della KrV dedicata alla Dottrina

(…) dovrò ancora tenere un poco in sospeso quest’opera, che è la meta principale di tutti i miei studi. Ciò perché mentre procedevo in essa, rilevai che, per illustrare le mie tesi intorno al procedimento sbagliato, non mi mancavano affatto esempi di errore nel giudicare, ma che vi era grave penuria di esempi per mostrare in concreto il procedimento corretto. Perciò, per non essere magari accusato di progettare un nuovo e male assortito trucco filosofico, sono costretto a premettere alcuni lavori più piccoli: i primi saranno i Principi metafisici della filosofia

naturale e i Principi metafisici della filosofia pratica.473

Secondo quanto rilevato sul finire degli anni ottanta da Giorgio Tonelli474,

il progetto qui annunciato dal filosofo intenderebbe nei fatti anticipare, quanto meno nelle sue intenzioni, ciò che nella sezione della KrV dedicata alla

Dottrina trascendentale del metodo assumerà la forma definitiva del

distinguo critico tra la metafisica dell’uso speculativo e la metafisica dell’uso pratico della ragion pura, denominate rispettivamente “metafisica della natura (der Natur)” e “metafisica dei costumi (der Sitten)”475.

In questa sorta di metafisica “doppia” prospettata da Kant già sul finire degli anni sessanta verrebbe alla luce, secondo l’autore, l’ormai evidente volontà del filosofo di svincolare la dimensione morale da quella che, per lui, rappresenta la metafisica stricto sensu, per potere quindi assumere la prima come una disciplina razionale di carattere autonomo, capace di fornire un riferimento di natura pratica a quell’incondizionato che, da un punto di vista teoretico-speculativo, resta per noi del tutto inaccessibile.

La dimensione etica, scrive a tal proposito Giorgio Tonelli, proprio a partire da questi anni verrebbe cioè “incorporata sistematicamente nella metafisica per fornire a quest’ultima un ‘incondizionato’ logicamente sostenibile”476, ma

473 AA X, 56; tr. it. p. 44. Una probabile svista è quella che, nella traduzione italiana curata

da Oscar Meo, vede l’utilizzo dell’espressione “in concetto” al posto di “in concreto”, stravolgendo il senso della frase.

474 G. Tonelli, L’etica kantiana parte della metafisica: una possibile ispirazione newtoniana? Con alcune osservazioni su ‘I sogni di un visionario’, in: Da Leibniz a Kant. Saggi sul pensiero del settecento, Napoli 1987. Di contro, Secondo Gabriel Rivero ci sono buone

ragioni per ritenere del tutto infondata l’idea che ad una tale distinzione corrisponda il progetto kantiano di una doppia metafisica, posto che in questi stessi anni anche le discipline empiriche vengono annoverate tra i principi della conoscenza metafisica del mondo. L’autore sottolinea infatti la radicale eterogeneità tra la prospettiva metafisica adottata da Kant nel ’66 e quella maturata a ridosso degli anni settanta.

475 “La metafisica si divide in metafisica dell’uso speculativo e in metafisica dell’uso pratico

della ragion pura, ed è quindi o metafisica della natura o metafisica dei costumi. (…) La metafisica della ragione speculativa è quel che in sesno stretto si è soliti chiamare metafisica”; A 841-842 e B 869- 870.

476 G. Tonelli, L’etica kantiana, pp. 257-275. Nei Träume la natura specifica degli esseri

immateriali consiste, di fatto, nel loro essere “principi agenti di per sé”, ovvero, sostanze e nature “per sé stanti”, pensabili come appartenenti ad un mondo altro, rispetto a quello nel quale operiamo in qualità di esseri materiali: il mondo degli “spiriti” è, cioè, un mondo intelligibile di esseri che non sottostanno alle leggi meccaniche della causalità fisica, ma agiscono piuttosto secondo le leggi della libertà, la quale restituisce appunto il suo “incondizionato pratico” (Vedi: M. Sgarbi, Kant’s ethics as a part of metaphysics: the role

of spontaneity, in: Kant e-Prints (2) 2008, pp.265-278). Nella Fondazione della metafisica dei costumi il mondo immateriale degli spiriti verrà indicato quale collegamento sistematico

di diversi esseri ragionevoli mediante leggi oggettive comuni: “Di qui nasce un collegamento sistematico degli esseri razionali mediante leggi oggettive comuni, cioè un regno che, avendo tali leggi in vista appunto le relazioni di esseri razionali tra loro come mezzi e fini, può ben

che per noi esseri umani, data la limitatezza delle nostre risorse cognitive, risulta determinabile solo in termini etico-pratici.

L’incorporazione della morale nella metafisica, detto altrimenti, avrebbe avuto come suo obiettivo primario quello di gettare le basi necessarie per la creazione di una metafisica pratico-dogmatica del sovrasensibile, che fosse in grado di accogliere la naturale aspirazione della ragione umana ad oltrepassare la dimensione contingente dei fenomeni sensibili, per approdare ad una loro necessaria ed originaria totalità incondizionata.

A tal proposito, nella sezione della KrV dedicata alla Disciplina della ragion

pura rispetto al suo uso polemico, Kant scriverà quanto segue:

L’insieme di tutti i possibili oggetti della nostra conoscenza è come una superficie piana, che ha il suo orizzonte apparente – quello cioè che abbraccia la sua intera estensione – ed è stato chiamato da noi il concetto razionale della totalità incondizionata. Raggiungere empiricamente questo concetto è impossibile, e tutti i tentativi di determinarlo a priori secondo un certo principio sono risultati vani. Ciò nonostante, tutte le questioni della nostra ragione si riferiscono a quello che può trovarsi al di là di tale orizzonte, o se non altro sulla sua linea di confine.477

Parallelamente a ciò, le istanze di carattere espressamente teoretico478 della

metafisica vengono letteralmente “confinate” alla dimensione del tutto contingente della materia dei fenomeni del mondo sensibile: le aspirazioni di natura conoscitiva della ragione umana vengono, cioè, riportate “sul basso terreno dell’esperienza e del comune intelletto”; ambito, oltre il quale, le ricerche condotte esclusivamente per mezzo della sola ragione non possono mai essere dirette, pena il valore del tutto illusorio dei suoi giudizi a priori. Nell’ottica kantiana, infatti, facendo unicamente uso dei soli principi di ragione è certo possibile definire a priori la possibilità logico-formale di tali giudizi, dal momento che essa si basa esclusivamente sulla non- contraddittorietà dei predicati chiamati in causa, ma non è affatto possibile dimostrare altrettanto a priori quella che è la possibilità reale di quanto è

chiamarsi regno dei fini (sia pure come un ideale)”; I. Kant, Fondazione della metafisica dei

costumi, tr. it. a cura di V. Mathieu, Rusconi, Milano 1994, p. 164.

477 KrV, A 760 B 788. L’aspirazione della ragione di giungere all’unità incondizionata dei

fenomeni, andando al di là della dimensione contingente dell’esperienza sensibile, è quanto dà vita allo sviluppo delle “antinomie”. L’esigenza di totalità della ragione, in sede critica, si esprime in tre idee – quelle di anima, Dio e mondo – che non hanno, né potranno mai avere, un reale contenuto empirico, nella misura in cui restituiscono un bisogno metafisico di totalità che non può essere soddisfatto da parte della ragione speculativa umana. Secondo quanto riportato da autori come Riehl ed Erdmann la questione delle antinomie rappresenta un elemento chiave per il successivo sviluppo della filosofia trascendentale kantiana. Kreimendahl, da parte sua, sostiene che il riconoscimento del problema antinomico in sede cosmologica, favorito dall’influsso della filosofia humeana sul pensiero kantiano, sia stato quanto ha vita alla “grande luce” del 1769 (vedi: L. Kreimendahl, Kant - Der Durchbruch von

1769, a.a.O., Dinter, Köln 1990). Sullo sviluppo del concetto kantiano di antinomia e sul

ruolo da esso giocato per la nascita della filosofia

478 Le Riflessioni datate tra il 1769 ed il 1770 testimoniano come, a partire da questi stessi

anni, Kant operi una divaricazione interna alla stessa metafisica, distinguendo tra la sua parte “teorica” e quella “pratica” (vedi a tal proposito: R. 4150, R. 4163, R. 4361). La filosofia teoretica, come vedremo in seguito, viene a sua volta distinta “razionale” – la vera e propria metafisica – ed “empirica” (cfr. R. 4364).

oggetto di giudizio: quest’ultima, sottolinea il filosofo, può infatti esserci “data” sempre e solo a posteriori per il tramite dell’esperienza sensibile. A questo proposito, in una Riflessione datata da Adickes nella seconda metà degli anni sessanta, leggiamo:

Possiamo rappresentarci come [realmente] possibile soltanto ciò che è stato dato nei sensi, tanto nei suoi dati, quanto nei suoi rapporti reali. Quindi le nostre possibilità sono solamente modificazionidi ciò di cui il principio generale è dato per esperienza (dessen allgemeiner Grund

durch Erfahrung gegeben ist).479

Occorre tener presente, però, che per Kant il confinamento della conoscenza umana alla concretezza dei fenomeni dell’esperienza sensibile, non ha come sua diretta conseguenza, alcun ripensamento in chiave “empirica” della conoscenza metafisica, contrariamente da quanto suggeritoci da una parte piuttosto consistente degli interpreti480 del criticismo.

Un’ipotesi di tal genere, ad esempio, è stata avanzata da Lothard Kreimendahl481, il quale ha evidenziato come, nel generale contesto teorico

restituitoci da Kant nei Sogni, sia possibile rinvenire l’iniziale suo tentativo di restituire una sorta di “fondazione” di natura empirica alla conoscenza metafisica; tentativo che, a detta dell’autore, risulterebbe essere del tutto coerente con quella progressiva rivalutazione del concreto, che era stata messa in atto dalla filosofia kantiana già a partire dai primi anni sessanta. È alla realtà concreta dei fenomeni sensibili dell’esperienza soggettiva, come sottolinea l’autore, che Kant assegna “il diritto di decidere”482 sulla verità o

meno di tutte le nostre cognizioni, siano esse di carattere empirico (a

posteriori) o di natura razionale (a priori), salvo poi abbandonare un tale

progetto – scrive l’autore – per far posto, pochi anni dopo, ad una metafisica assunta come una conoscenza pura a priori sulla esperienza483.

Nonostante prima facie non sembrino mancare elementi a suo favore – basti pensare, ad esempio, a quanto scritto dallo stesso Kant in merito ai concetti fondamentali di causa ed effetto484 – l’ipotesi avanzata da Kreimendahl, a mio

479 AA XVII, 388. Vedi anche la R. 3756, AA XVII, 248.

480 Secondo quanto ammesso ad esempio da Gualtiero Lorini, nei Träume Kant avrebbe di

fatto finito col qualificare la metafisica come “empirica”, nella misura in cui avrebbe ammesso una conoscibilità solo empirica (a posteriori) di concetti come quello della causalità (Cfr. G. Lorini, op. cit., p. 167).

481 L. Kreimendahl, Kant - Der Durchbruch von 1769, Dinter, Köln 1990, XII. 482 AA II, 371; tr. it. p. 403.

483 „Die Metaphysik ist also nicht länger eine Wissenschaft von den Grenzen der menschlichen Vernunft, wie sie die Träume noch definiert hatten (II, 368), sondern eine solche von den Grenzen der menschlichen Erfahrung und Erfahrbarkeit.“ L. Kreimendahl, Kant -Der Durchbruch, p. 134.

484 Scrive Kant: „(…) i concetti di fondamentali delle cose come cause, quelli delle forze ed

azioni, se non sono tratti dalla esperienza, sono del tutto arbitrari e non possono essere né dimostrati né contraddetti”; AA II, 369; tr. it. p. 401. Facendo leva su espressioni di tal genere, Kreimendahl sottolinea l’influenza decisiva dell’empirismo humeano sulla prospettiva metafisica adottata da Kant nel corso di questi anni. Giorgio Tonelli tende invece a ridimensionale l’influenza esercitata dall’empirismo humeano, sottolineando come nel corso di questi anni vengano di fatto poste le basi necessarie per la svolta metodologica che avrà luogo nel 1769, consistenti nel riconoscimento di un doppio “fondamento” per la conoscenza filosofica (metafisica) della realtà. In polemica con la lettura di Kreimendahl, è a quest’ultima interpretazione che intendiamo qui fare riferimento.

avviso, risulta in verità poco coerente non soltanto alla luce del successivo sviluppo delle posizioni metafisiche kantiane485, ma anche e soprattutto in

relazione a quel progetto di natura metodologica che, come recentemente evidenziato dagli autori della stessa Kant-Forschung, guida sotterraneamente la stesura degli stessi Träume. Qui, infatti, l’indagine critica promossa dal filosofo, a dispetto dell’asprezza dei toni con la quale essa viene spesso condotta, non mira affatto a screditare il valore teoretico dell’indagine metafisica, né a sminuire lo statuto epistemico delle sue cognizioni “a priori”, ma intende piuttosto scardinare quello che finora è stato il suo proprio modo di procedere da quei principi metodologici di natura dogmatica che, a detta del filosofo, non hanno fatto altro che “accrescere infinitamente l’illusione di

sapere”486 qualcosa sulla realtà concreta del mondo sensibile.

Nei Träume, il bersaglio polemico di Kant, come lui stesso ammette in una lettera indirizzata a Moses Mendelssohn pochi mesi dopo la pubblicazione degli stessi, non è mai stata “die Metaphysik selbst”, ma piuttosto la “Weg” sulla quale essa è stata finora immessa, a causa del ricorso a stratagemmi di natura metodologica, che risultano essere del tutto inadeguati dinanzi alla complessità ed alla concretezza del reale.

Per quanto concerne l’opinione che ho manifestato intorno al valore della metafisica generale (Metaphysik überhaupt), forse posso a volte aver scelto le espressioni con prudenza ed accuratezza insufficienti, ma non nascondo affatto che guardo con avversione, anzi con una punta di astio, alla tronfia arroganza di cui danno prova interi volumi colmi di quelle che oggidì passano per illuminazioni, pienamente convinto che la via che si è scelta è sbagliata, che i metodi di moda non possono non accrescere infinitamente l’illusione e gli errori e che l’estirpazione totale di tutte queste immaginarie illuminazioni non potrebbe essere così nociva come lo è la scienza di cui si va fantasticando, così maledettamente foriera di contagio.487

A dispetto della palese insoddisfazione per le sue attuali metodologie, Kant continua di fatto col tenere nella massima considerazione la “metafisica generale”, tanto da ricondurre al suo corretto sviluppo il “vero e duratuto benessere” del genere umano:

Sono lontanissimo dal considerare di scarso valore o superflua la metafisica stessa, se la sie esamina con obiettività (obiectiv erwogen). Tanto è vero che, specialmente da qualche tempo, da quando credo di aver compreso la sua natura ed individuato il posto che le spetta nell’ambito delle conoscenze umane, sono convinto che da essa dipenda addirittura il vero e duraturo benessere del genere umano (das

wahre und dauerhafte Wohl des Menschlichen Geschlechts).488

485 Vedi G. Rivero, op.cit., p. 93. 486 AA X 55; tr. it. pp. 43-44. 487 AA X, 70; tr.it. p. 47.

488 AA X, 70; tr. it. p. 48. Già nella seconda metà degli anni sessanta, l’idea di Kant è che

tale “benessere” sia legato alla capacità di saper ponderare la ricerca speculativa ai reali bisogni del genere uman; un’ottica, questa, in parte già progettualmente diretta all’ideale kantiano di un “concetto cosmico” di filosofia, quale “scienza dei fini ultimi della ragione umana” (KrV, A 839 B 867). Tale concetto si collega ad una dottrina della saggezza in aggiunta ad una dottrina della abilità (Cfr. Log. AA IX, 24; tr. it. p. 18). Nella sezione dei

Occasionata dal dibattito polemio sulla natura delle presunte visioni di cui si era detto testimone lo Swedenborg, l’opera del ‘66 ha infatti fornito al filosofo la tanto desiderata occasione per poter finalmente “mostrare in

concreto il procedimento corretto”489 da seguire in ambito metafisico, così

come in ogni altra indagine di natura filosofica, che ambisca a fornire un sapere certo ed obiettivo sulla realtà concreta del mondo sensibile.

In quella sede, infatti, l’intento del filosofo era stato proprio quello di mostrare la necessità di abbandonare “la via finora scelta” in ambito metafisico, per adottare un metodo che fosse capace di assicurare alle sue cognizioni quel necessario riferimento alla realtà concreta dell’esperienza sensibile, senza per questo tradire il suo profilo razionale.

È opportuno tenere a mente, infatti, che a fare da sfondo teorico alle indagini condotte da Kant nel corso della seconda metà degli anni sesssanta è, ancora una volta, quel suo originario proposito di fornire una (spiegazione) metafisica del mondo sensibile, che sia capace di restituire del tutto a priori il fondamento razionale di quella realtà che, nel mutato paradigma epistemico restituitoci nei Träume, viene ora circoscritta alla concretezza empirica di quei particolari fenomeni, che risultano essere realmente dati a posteriori nel contesto sensibile dell’esperienza soggettiva.

Nel ’66, Kant ha di fatto reso nota quella che è la radicale insufficienza dei due ordini conoscitivi nell’ambito progettuale di una scienza metafisica del mondo sensibile: né la cosiddetta via “a priori”, classicamente intesa come quella conoscenza che fa appello unicamente ai principi della ragione, né quella “a posteriori” che, al contrario, prende le mosse dall’esperienza sensibile, sono infatti in grado di restituire – da sole – il corretto modo di procedere, per poter pervenire ad una spiegazione razionale della realtà visibile del mondo sensibile – dei suoi fenomeni –, che pure possegga quel grado di evidenza e certezza, che è sempre richiesto nelle cognizioni di carattere scientifico. Nel caso della conoscenza a priori, sottolinea infatti Kant, “si inizia non so dove e si va verso non so dove” ed in questo modo “il processo dei principi non riesce a cogliere la esperienza”490 e la concretezza

empirica dei suoi fenomeni; mentre per quanto concerne la cosiddetta via a posteriori, sebbene qui il modo di procedere sia certamente più cauto, esso risulta del tutto insufficiente a risolvere questioni di natura filosofica: procedendo in tal modo, infatti, si giunge il più delle volte “ad un perché cui non si può dar risposta”491.

Prese di per sé, dunque, entrambe le vie risultano affatto insufficienti per mettere in atto quell’indagine di natura filosofica, che pretende di potersi fare carico della spiegazione razionale del reale e, cioè, per quello che fin da principio è stato il progetto kantiano di restituire una conoscenza metafisica

dell’esperienza sensibile.

metafisica come la vera “compagna della saggezza”, chiamando in causa la figura emblematica di Socrate: “Quando la scienza ha percorso il suo giro, arriva naturalmente Ma la ragione maturata dalla esperienza, che diventa saggezza, con più serena anima esclama per bocca di Socrate in mezzo alle merci di un mercato: E pur quante cose vi sono, di cui io non mi servo! Così alla fine si fondono in uno due studi di così dissimile natura, sebbene a