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Il concetto di “illness behaviour”

CAPITOLO 4. INDAGINE QUALITATIVA SULLA RAPPRESENTAZIONE D

5.1 Il concetto di “illness behaviour”

La modalità attraverso la quale determinati sintomi possono essere diversamente percepiti, valutati ed avere effetto o meno in diversi tipi di persone viene rappresentata con il concetto di “illness behavior”, descritto come una possibile componenti della struttura sottostante la maggior parte delle rappresentazioni mentali di malattia.

Il concetto di “illness behaviour” (comportamento di malattia) è stato introdotto da Mechanic per cercare di spiegare la modalità attraverso la quale le persone interpretano e reagiscono ai loro sintomi e come esse ricorrono all’aiuto medico (Mechanic, 1986, 1992, 1995). Secondo l’autore, l’illness behaviour è, in larga parte, caratterizzato e si costituisce a partire da fattori sociali e culturali, mentre minima è la relazione con i dati oggettivi di malattia; secondo questa prospettiva, soggetti che convivono con patologie di uguale gravità possono manifestare comportamenti di malattia piuttosto differenti.

Il concetto di illness behaviour è stato successivamente approfondito da Pilowsky, il quale lo ha definito come la modalità attraverso la quale gli individui reagiscono agli aspetti del proprio funzionamento, valutato in termini di salute e malattia (Pilowsky, 1978, 1990; Pilowsky, Murrell, & Gordon, 1979; Pilowsky, Spence, & Waddy, 1989). Pilowsky ha anche indagato il concetto di “abnormal illness behaviour” (AIB - comportamento abnorme nei confronti della malattia) definendolo come un persistente modo di percepire, valutare ed agire inappropriato o disadattato rispetto al proprio stato di salute, malgrado la presenza di una spiegazione ragionevolmente lucida fornita dal medico (o un

altro appropriato agente) in merito alla natura della malattia e nonostante la prescrizione di una terapia appropriata basata anch’essa su di un completo esame e sulla valutazione di tutti i parametri funzionali, tenendo in considerazione l’età, il retroterra educativo e socioculturale dell’individuo. Spesso l’AIB è associato con l’eccessiva adozione del ruolo di malato e può trovarsi, di frequente, connesso al rifiuto dell’idea che fattori psicologici possano essere corresponsabili dell’attuale stato di salute (Pilowsky, 1990). Il concetto di AIB non include solo comportamenti manifesti (ad esempio, stare sempre a letto) ma anche pensieri e sentimenti connessi alla malattia che risultano essere inappropriati e/o disfunzionali. Ad esempio, il soggetto potrebbe credere che il medico non ha fornito un’adeguata spiegazione dei sintomi riportati e che quindi ci potrebbero essere altre possibili spiegazioni nonché opzioni di trattamenti da esplorare. La manifestazione di AIB è spesso sostenuta dai vantaggi secondari che derivano dal ricoprire il ruolo di malato come la dipendenza dagli altri (il medico o i familiari) o l’esenzione dalle responsabilità del proprio ruolo sociale (Winefield, 1991).

L’introduzione del concetto di illness behaviour ha fornito la possibilità di fare un significativo passo avanti nello sviluppo di uno strumento atto a comprendere la relazione del paziente cronico con la sua malattia. Pilowsky ha contribuito anche alla formalizzazione di strumenti testistici atti ad ampliare la conoscenza della percezione soggettiva del disagio fisico e a studiare le modalità relazionali e difensive che il malato adotta per affrontare la sua patologia, mettendo così in evidenza le caratteristiche del comportamento di ammalato e le condizioni che lo rendono inappropriato (Pilowsky, Murrell, & Gordon, 1979; Pilowsky & Spence, 1975).

Inoltre, la somministrazione di tali strumenti, e in particolare dell’Illness Behaviour Questionnaire, rende possibile il riconoscimento di quei sintomi somatici che non sono riconducibili ad una patologia fisica bensì ad un disturbo psichico, soprattutto nel caso in cui i sintomi siano generalmente vaghi e non localizzati e manchino della normale relazione con il tempo, con l’attività fisica o con l’anatomia.

L’utilizzo di questi strumenti di valutazione della componente soggettiva della malattia, permette altresì di raccogliere informazioni sulla sofferenza psicologica del paziente rispetto alla propria patologia fisica – sofferenza che non sempre risulta immediatamente percepibile ai care-giver. Le connessioni tra la presenza di sintomi somatici e disagio psicologico sottostante risultano talvolta poco evidenti e soltanto un approfondimento della conoscenza del malato consente di intendere i sintomi psicologici e fisici come espressione di una dolorosa e costante ricerca di aiuto che, in mancanza della risposta attesa, può drammaticamente incrementare la disabilità del paziente o minacciarne la compliance (Strepparava, 2003).

L’Illness Behaviour Questionnaire - IBQ, ideato da Pilowsky e Spence, presentava, nella sua versione originale, 52 item portati poi a 62 nella versione definitiva del 1983. L’IBQ è scritto in un linguaggio di facile comprensione e la valutazione è semplice essendo gli item dicotomici (Sì/No). È stato tradotto in numerose lingue; la versione italiana (Allegato A), curata da Fava e Bernardi (Fava, Bernardi, Pilowski, & Spence, 1982), deriva dall’elaborazione di una prima traduzione che Pilowsky aveva curato per poter somministrare il questionario a pazienti italiani immigrati in Australia.

L’IBQ, quale strumento di autovalutazione, misura le attitudini e i sentimenti del paziente rispetto alla sua malattia, la sua percezione delle reazioni di persone significative, compreso il medico, rispetto alla propria malattia e la visione della propria situazione psicosociale. Le informazioni che è possibile raccogliere attraverso l’IBQ possono essere utili per identificare la persistenza di

un modo di percepire, valutare, agire disadattativamente e/o inappropriatamente rispetto al proprio stato di salute.

Già nel 1977, Pilowsky e colleghi riferivano di una forte correlazione di quattro delle sette scale dell’IBQ con la depressione. Nello studio finalizzato alla validazione italiana dell’Illness Behaviour Questionnaire, condotto in un setting ospedaliero, sono stati esaminati 325 pazienti provenienti da differenti reparti (medicina, ostetricia e ginecologia, dermatologia, chirurgia, oculistica e ortopedia). Nel 33,5% dei pazienti che riportava una condizione depressiva, i punteggi dell’IBQ mostravano livelli significativamente più alti nelle scale di ipocondria generale, convinzione di malattia, disforia ed irritabilità rispetto a quanto accadeva nei pazienti non depressi (p < 0,001) (Pierfederici, Bernardi, & Fava, 1982). In un altro studio, Fava e colleghi hanno dimostrato come il fattore negazione tenda ad essere positivamente correlato alla presenza di depressione (Fava, Pilowsky, Pierfederici, Bernardi, & Pathak, 1982).

Questi risultati sono coerenti con quelli di un altro studio condotto con pazienti malati di cancro (Grassi & Rosti, 1996; Grassi, Rosti, Albieri, & Marangolo, 1989). All’interno del campione, composto da 196 soggetti, il 23,97% riportava un quadro di depressione. I sintomi depressivi erano significativamente correlati con punteggi più alti in tutte le scale dell’IBQ eccetto quella di percezione psicologica vs somatica della malattia. Grassi e colleghi riportano che diversi lavori hanno dimostrato, in pazienti con patologie organiche, l’associazione tra alti punteggi nelle sottoscale di ipocondria generale, convinzione di malattia, disforia, irritabilità e sintomi di depressione. Nel loro studio non solo hanno confermato queste associazioni in 201 pazienti con diagnosi di cancro, ma hanno anche rilevato come il negare di avere altri eventi stressanti nella vita oltre alla malattia (sottoscala negazione dell’IBQ) fosse correlato sia alla progressione della patologia stessa che alla necessità di doversi sottoporre a chemioterapia.

In uno studio teso a valutare l’outcome psicosociale di pazienti sottoposti a un intervento chirurgico al cuore, è stato riscontrato un valore significativamente predittivo delle dimensioni ipocondria generale e irritabilità su alti livelli di ansia e depressione rilevati al follow-up di un anno (Magni, 1987). Waddel e colleghi (1990) hanno dimostrato che i punteggi dell’IBQ sono significativamente correlati agli indici di disturbi affettivi e di distress psicologico (Waddell, Pilowsky, & Bond, 1989).

Anche nell’ambito della terapia del dolore, il comportamento di malattia sembra avere importanti ripercussioni. Dickens e colleghi hanno rilevato come la depressione, in pazienti con artrite reumatoide, non possa essere spiegata solo dalla patologia, dal dolore connesso ad essa e dalla disabilità che ne consegue (Dickens & Creed, 2001). Essi, coerentemente con la teoria di Pilowsky, ci spiegano come per comprendere la relazione tra depressione, dolore e disabilità sia assolutamente fondamentale considerare la rappresentazione di malattia del paziente (Pilowsky, 1993). In particolare, la depressione è stata associata alla preoccupazione crescente dei soggetti circa la loro patologia oltre che alla convinzione di avere una grave malattia; queste associazioni perduravano anche nel momento in cui il progredire della malattia e i livelli del dolore erano sotto controllo. In sostanza, la depressione risulta correlata ad alti livelli di convinzione di malattia, che nemmeno le rassicurazioni da parte dei medici riuscivano a modificare.

Secondo Fishbain e collaboratori, risultati di questo tipo mostrano una stretta correlazione tra i punteggi dell’IBQ e quadri ansiosi e depressivi (Fishbain, Cutler, Rosomoff, & Steele-Rosomoff, 2002). Inoltre, gli autori sottolineano come alcuni di questi studi supportino l’ipotesi che l’intervento psicologico possa modificare e rendere più funzionale e adeguato il comportamento di malattia.

Infatti, è possibile che specifiche strategie di coping di tipo attivo, orientate cognitivamente al problema e al riconoscimento e gestione delle emozioni, possano avere un impatto positivo sull’outcome riabilitativo e sul riadattamento psicosociale. Al contrario, coping di tipo depressivo, di negazione o di evitamento possono costituire un ostacolo per il percorso di riabilitazione e per il riadattamento alle quotidiane situazioni di vita.