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CAPITOLO 4. INDAGINE QUALITATIVA SULLA RAPPRESENTAZIONE D

4.1 La ricerca qualitativa

Sebbene la ricerca qualitativa abbia più di un secolo di storia, il primo testo che cercò di definirne la metodologia apparve solo alla fine degli anni Sessanta. The Discovery of Grounded Theory: Strategies for Qualitative Research di Glaser e Strauss è infatti comunemente riconosciuto come il primo contributo articolato sulla metodologia qualitativa (Glaser & Strauss, 1967).

Una maggior attenzione ai metodi di analisi qualitativa deriva, tra le altre cose, dal cambiamento di natura epistemologica che aveva messo in discussione, con la teoria della complessità (Capitolo 1), alcuni degli assunti di base del metodo scientifico tradizionale, tra cui:

- l’idea che gli oggetti nel mondo naturale hanno una natura “reale” ed indipendente dall’essere umano come soggetto osservatore;

- la convinzione che la conoscenza scientifica sia basata su caratteri tangibili e verificabili del mondo fisico;

- il consenso rispetto ai metodi e alle procedure sino a quel momento utilizzati nella ricerca scientifica effettuata soprattutto nell’ambito del laboratorio; - la credenza che la scienza sia un’attività di natura prettamente individualistica e mentalistica.

Il superamento di un paradigma positivista in psicologia della salute comporta alcune nuove dimensioni di ricerca in cui vengono messi progressivamente in crisi i tradizionali criteri di validazione, quali attendibilità e generalizzabilità, che devono essere rivisitati alla luce di nuove assunzioni epistemologiche, come ad esempio la credibilità, la trasferibilità, la trustworthness o l’autenticità (Lyons, 1999). Contemporaneamente, viene enfatizzata l’idea che la “realtà” possa essere

vista in modo più appropriato come prodotto dell’interazione tra ricercatore e soggetto della ricerca, i quali non sono, né potrebbero essere, scevri da valori che orientano la costruzione delle aspettative e delle azioni che sono oggetto della ricerca. Infatti, l’analisi qualitativa ben si applica ad un campo come quello della psicologia della salute dove la necessità di forme alternative di indagine, sempre più evidente con l’assunzione di un approccio biopsicosociale, si unisce alla diffusa esigenza di “umanizzare” le tecniche di intervento e quelle di ricerca. Inoltre, l’”irruzione” della metodologia qualitativa nell’ambito della psicologia della salute sottolinea l’esigenza di rendere più ricco di significato il quadro fenomenologico, laddove la ricerca quantitativa ambisce soprattutto a restituire un quadro di relazioni causali o di relazioni tra variabili dotate di un grado sufficiente di attendibilità e generalizzabilità.

In molti casi, ad ogni modo, la ricerca e l’intervento sulla salute e sul benessere evidenziano la presenza di ragioni che rafforzano la necessità di un approccio di tipo qualitativo, come ad esempio:

- l’indistinguibilità tra processo e prodotto; - l’intreccio evidente tra contesto e soggetto;

- la sovrapponibilità tra il piano dell’intervento e quello della promozione alla partecipazione attiva alla ricerca.

Di fatto, la scelta degli strumenti di raccolta, analisi e interpretazione dei dati, dovrebbe essere coerente con gli obiettivi specifici della ricerca e dovrebbe tenere molto bene in considerazione le domande a cui sta cercando di rispondere (Braibanti, 2004).

Tecniche di ricerca qualitativa: l’intervista discorsiva. Con il termine ‘intervista’ generalmente si intende un’interazione diretta tra due soggetti che assumono ciascuno un ruolo specifico (intervistatore e intervistato) allo scopo di produrre informazioni rilevanti su un oggetto cognitivo a fini di ricerca. In particolare, l’intervista discorsiva (a differenza dell’intervista con questionario) ha la caratteristica di concedere all’intervistato molta libertà nell’esprimere il proprio punto di vista, con l’obiettivo di conoscere le sue esperienze, opinioni, interpretazioni relativamente all’oggetto di indagine (Atkinson, 2002; Bichi, 2002; Cardano, 2003).

Nell’ambito della ricerca nelle scienze sociali, l’intervista può giocare differenti ruoli a seconda della funzione che le viene attribuita nell’economia dell’indagine. Può assumere un ruolo da protagonista laddove venga utilizzata come unica tecnica, oppure, può avere, un ruolo ancillare se viene usata in combinazione con un questionario; in questo caso la funzione delle interviste è quella di collaudo del questionario oppure di specificazione delle domande o dei concetti (Campelli, 1996). Infine, può giocare un ruolo alla pari con le tecniche standardizzate nell’approccio detto multi-tecnica o triangolazione, che prevede l’uso combinato di informazioni rilevate mediante differenti strumenti al fine di localizzare un medesimo oggetto cognitivo.

L’intervista discorsiva si serve di una traccia che generalmente comprende una lista di temi su cui l’intervistatore deve raccogliere informazioni. La traccia svolge una funzione assimilabile a quella del canovaccio nella commedia dell’arte: suggerisce all’intervistatore i temi da trattare e la formulazione linguistica più appropriata, ma lascia a quest’ultimo la facoltà di sviluppare un certo tema in ragione del profilo dell’interlocutore e dell’andamento delle interviste già concluse. La traccia può avere un grado variabile di strutturazione a seconda dell’obiettivo dell’indagine e delle caratteristiche dei soggetti da intervistare: in alcuni casi si potrà trattare di domande vere e proprie (ovviamente a risposta aperta), in altri di un succinto elenco di argomenti-base. Qualsiasi sia la sua

forma, essa è costruita per essere uno strumento flessibile, soggetto a modifiche anche rilevanti per buona parte del percorso di ricerca, adeguato a rispondere al rapporto circolare tra concetti e base empirica.

Aspetto peculiare di questo tipo di intervista è il suo svolgersi faccia a faccia in un contesto che assicura molta libertà di azione ai soggetti in campo. Essa infatti – a differenza del questionario – permette all’intervistatore di affrontare gli argomenti nella sequenza e nella forma che giudica più appropriate, adattando la traccia alla situazione relazionale, formulando le domande nel modo che giudica più opportuno, modificandone l’ordine oppure evitando di sottoporne alcune. Ciò è necessario anche perché la traccia (per quanto strutturata possa essere) non è in grado di prevedere tutte le direzioni che prenderà la conversazione e pertanto la qualità del materiale raccolto dipende molto dalla capacità e dalla sensibilità dell’intervistatore nell’interloquire con l’intervistato. All’intervistatore, infatti – oltre che una profonda conoscenza dell’oggetto di indagine – sono richieste competenze e capacità specifiche, quali intuizione, empatia, sensibilità, immedesimazione, ascolto, senza che questo comporti una sua preminenza nello svolgimento dell’intervista. Infatti, la voce prevalente deve essere quella dell’intervistato, al quale viene lasciato ampio margine di espressione: egli è chiamato a raccontarsi usando il proprio linguaggio e articolando le risposte in base ai propri schemi cognitivi. Ciò perché lo scopo dell’intervista discorsiva è raccogliere il punto di vista del soggetto, capire come i soggetti studiati vedono il mondo, apprendere la loro terminologia e il loro modo di giudicare. Obiettivo prioritario dell’intervista qualitativa è quello di fornire una cornice entro la quale gli intervistati possano esprimere il loro modo di sentire con le loro stesse parole (Patton, 1990).

In generale, l’intervista discorsiva consegna al ricercatore non solo un insieme di informazioni sull’intervistato, sul suo profilo sociodemografico, sulle credenze, sugli atteggiamenti che lo contraddistinguono, ma anche una presentazione delle credenze, degli atteggiamenti, dei valori che, espressi con specifica coloritura emotiva, sono inscritti all’interno di una struttura argomentativa in cui è possibile cogliere i nessi tra elementi cognitivi, emotivi e comportamentali. Il discorso dell’intervistato fornisce anche forme espressive tipiche di un gergo e che segnalano quindi una specifica appartenenza socio- culturale, nei suoi aspetti cognitivi e affettivi. Nel discorso, inoltre, è possibile cogliere la posizione dell’intervistato, attraverso i modi in cui si appropria o si distanzia dalle cose che dice, modulando la sua presenza mediante l’attribuzione, con un “io”, della paternità o della responsabilità di un’azione, oppure distanziandosi o annullando la propria presenza per lasciare il campo ad altri attori (Cardano, 2003).

Per quanto riguarda le modalità di lettura dell’intervista discorsiva si confrontano due posizioni: quella cosiddetta “testualista”, ben espressa da Demazière e Dubar e quella definita come “realista” di Bertaux (Bertaux, 1999; Demazière & Dubar, 2000). Nella prospettiva di Demazier e Dubar, l’intervista discorsiva consegna al ricercatore non “fatti” ma “parole” che, nello specifico dei racconti di vita, costituiscono un insieme di definizioni della situazione vissuta. Si coglie qui il richiamo al processo di costruzione di una narrazione autobiografica e, più in generale, di un discorso all’interno di un’intervista discorsiva: la presenza di un lavoro ermeneutico con il quale l’intervistato legge quel testo vivo che è la sua azione e consegna all’intervistatore la sua personale interpretazione (Cardano, 2003). In questa prospettiva, si ritiene che le sole informazioni pertinenti che si possono desumere da un’intervista discorsiva riguardino le forme discorsive, specchio dell’universo simbolico condiviso da coloro che le hanno messe in parola. Secondo altri autori, il corpus testuale che raccoglie un insieme di racconti di vita contiene innanzitutto informazioni, fatti o

indizi utili a cogliere uno specifico frammento di realtà storico-sociale (Bertaux, 1999).

Secondo Cardano, l’accostamento delle due posizioni sottolinea il carattere composito dei discorsi costruiti nel contesto delle interviste discorsive. Il corpus testuale di cui dispone il ricercatore è innanzitutto una collezione di forme discorsive e come tale può essere analizzato. Tuttavia, nel testo è possibile individuare numerosi indizi che consentono di ricostruire la personalità e il quadro cognitivo e valoriale degli interlocutori. Vi sono, inoltre, numerosi elementi che, valorizzati nel quadro di un’analisi comparativa tra le diverse interviste, possono consegnare informazioni largamente intersoggettive sulle caratteristiche di una cultura. Rimane fondamentale l’importanza di stabilire in anticipo quale tipo di informazione si desidera ottenere da un insieme di interviste discorsive per poter progettare in modo coerente una strategia di raccolta e di analisi del materiali (Cardano, 2003).

La fase di analisi della documentazione, basata su una lettura metodica del corpus testuale costituito dalla trascrizione dei colloqui di intervista, è costituita da un insieme composito di operazioni dirette ad articolare una risposta alle domande formulate nel disegno della ricerca e a quelle che emergono dall’esperienza dei colloqui di intervista e dalle stesse procedure di analisi stessa. Questa fase inscrive i testi all’interno di una cornice teorica di cui contribuisce a definire i contorni. Di fatto, l’articolazione del quadro teorico procede in parallelo alla lettura metodica delle interviste trascritte, legate l’una all’altra da una relazione circolare. I testi letti, riletti, posti a confronto gli uni con gli altri suggeriscono il percorso teorico che consente di dare loro forma. Inoltre, l’applicazione al materiale empirico delle categorie teoriche sviluppate dal ricercatore (codici) consente di verificarne l’adeguatezza, indicando così i luoghi dello schema teorico che è opportuno modificare. Spesso questa operazione coincide con la classificazione dei testi delle interviste, cioè con la costruzione di una tipologia o di una tassonomia che può rispondere a esigenze descrittive o esplicative (Cardano, 2003).