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1. Introduzione al contesto balcanico

1.2. Nazioni e nazionalismi secondo le principali teorie

1.2.4. Una conclusione dal confronto con il «perennismo» di Smith

Un'altra corrente che ha conquistato notevole terreno nel campo degli studi sul na- zionalismo è quella degli «perennisti». L’opera più famosa nel quale si trovano delineate in modo migliore i presupposti e gli scopi di questa corrente è Le origini etniche delle nazio-

ni, di Antony D. Smith, che è considerato come il maggior rappresentante di questa corren-

te.

Secondo Anderson, la sua prospettiva «perennista» si erige «in contrapposizione al “modernismo”, ma si distinguerebbe anche dal «primordialismo» più radicale130.

Ma, comunque, sembra che su un punto Smith sia d'accordo con i «modernisti» quando afferma che: «in un certo senso i “modernisti” hanno ragione. Il nazionalismo inte- so come ideologia e movimento è un fenomeno che risale alla fine del diciottesimo secolo […]. Anche lo Stato-nazione, in quanto modello politico è un fenomeno del tutto moderno. Anche se il sistema degli stati europei nacque col trattato di Westfalia nel 1648, questi stati cominciarono a trasformarsi in “stati-nazione” non prima del diciannovesimo secolo, e solo allora venne quindi ad esistere un sistema di stati-nazione. Anche la nazione e il suo “carat- tere nazionale” sembrerebbero moderni: sicuramente l’idea che le popolazioni si diversifi- cavano secondo il “carattere nazionale” e possedevano un’identità comune divenne diffusa tra le classi colte europee non prima dell’inizio dell’era moderna in Europa (precisamente,

128 Ibidem, pp. 102-3. 129 Ibidem, pp. 107-29.

106 alla fine del diciassettesimo secolo)»131.

Quello che divide la prospettiva di Smith da quella «modernista» è l’intento di dimo- strare «che le nazioni moderne, nonostante i loro aspetti nuovi e originali, sono spesso ba- sate su legami e memorie etniche premoderni, e talvolta antichi»132. Così tutti quei movi-

menti politici di stampo nazionalista, che si manifestano nella contemporaneità, sarebbero «conflitti storici» che «si basano su identità molto più antiche che discendono da un senso di differenza culturale, al principio spesso piccola, ma che una varietà di processi ha am- pliato e approfondito, tale da produrre “comunità di storia e destino” completamente distin- te sul piano culturale»133. Si nota nelle ultime righe come Smith eluda quel fenomeno, dei

processi che hanno ampliato e approfondito il senso della differenza culturale, che per i «modernisti» sarebbe nient’altro che il nazionalismo moderno, per concentrarsi solamente a dimostrare l’antichità del sentimento etnico e nazionale. Ma se, da un lato, il processo della definizione del carattere nazionale, con la seguente scoperta delle tradizioni, è stato iniziato dagli intellettuali nazionali già verso la fine del diciottesimo secolo, d’altronde, non sarà poi cosi difficile trovare oggi pronti e consolidati quei miti, memorie e simboli «antichi», che secondo Smith stanno alla base dell’identità etnica e allacciano la nazione di oggi all’etnia, una sorta di nucleo originario della nazione. Eludendo la «anomalia» del na- zionalismo, Smith può considerare positivamente il permanere del valore di riferimento al- la nazione. Il motivo di questa difesa del nazionalismo sembra la sua grande forza coesiva che per un buon sociologo come Smith, interessato al progetto dell’integrazione europea, non può essere sottovalutata. Così in un altro lavoro Smith precisa il suo pensiero parlando di «nazionalismo oltre le nazioni» quale correttivo della forza disgregatrice delle singole etnie o vetero-nazioni e dove il nazionalismo sta per capacità «di forgiare comuni miti, simboli e valori e memorie di una comune eredità. Solo in questo modo un pan- nazionalismo può creare un nuovo tipo di identità collettiva che sovrasta ma non abolisce le singole nazioni»134. È interessante constatare in queste righe che Smith intende perpetua-

re la stessa strategia mitopoietica praticata per la creazione della nazione moderna. Non in- tendiamo certo dire che lo scopo del suo pensiero è un progetto di ingegneria sociale ugua- le a quelli che caratterizzarono il consolidamento delle società nazionali moderne, ma av- vertire, sulla scia delle teorie «moderniste » precedenti, un possibile «piratamento» della nuova creazione politico-culturale. Inoltre, da parte nostra pensiamo che una nuova identi-

131 Ibidem, pp. 45-6. 132 Ibidem, p. 10. 133 Ibidem.

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tà, etnica, nazionale o politica, non può essere raggiunta senza analizzare in modo critico la «anomalia» del nazionalismo moderno, separatista e disgregante. Un’identità culturale co- mune e condivisa richiede l’abbandono, se non la demolizione del mito della nazione. Sen- za di questo l’unificazione politica non sarà seguita dall’unificazione culturale e l’odio che caratterizza le identità contrapposte continuerà disturbare la vita sociale.

1.2.5. Una prospettiva politico-sociale del «modernismo»

Un particolare rilievo, nell'ambito degli approcci storico-sociali al nazionalismo, ha assunto il saggio Nazioni e nazionalismi dal 1780 (1990, ed. it. 1991) di Eric J. Hob- sbawm135, lo storico inglese, che già in precedenza aveva lavorato su questo tema curando,

con Terence Ranger, L'invenzione della tradizione (1983, ed. it. 1987).

Facendo un bilancio della questione sul lungo periodo, in un momento in cui nazio- nalismi e regionalismi acquistano impulsi nuovi su vasta scala, Hobsbawm rinuncia a defi- nire il concetto di nazione. Egli fa notare che tutta la bibliografia moderna – all’interno del- la quale si muove anche il suo lavoro - si è applicata a rispondere alla domanda: che cos’è una (o la) nazione? Ma aggiunge che: «proprio per la specificità di tale classificazione dei gruppi umani, e nonostante le asserzioni di chi vi appartiene, per cui la nazione sarebbe primaria e fondamentale per l’esistenza sociale e persino per l’identità individuale di chi ne fa parte, sembra impossibile reperire un criterio soddisfacente in base al quale stabilire se questa o quella collettività tra le tante possa essere definita nazione»136. Questa difficoltà si

può ritenere per certi aspetti quasi scontata, almeno se si considera che la “nazione” è un concetto nuovo, arrivato di recentissima data nella storia dell’umanità, quale portato di

135 A nostro parere questo lavoro è un’ottima esemplificazione di tanti lavori precedenti sull’argomento – dai

quali l’autore prende spunto scegliendo da quelle che “ha trovato di maggior interesse” - e principalmente a quella di Gellner. Inoltre si può dire che questo lavoro starebbe, a chi si accinge allo studio interpretativo del “nazionalismo”, un po’ come un lavoro etnologico ad uno meramente antropologico-interpretativo. Nell'interpretazione di Hobsbawm è possibile riconoscere l'eredità sia dell'antico dibattito condotto in area marxista sia di una tradizione democratica volta ad attenuare il peso dell'identità nazionale e, alla luce della storia del Novecento, a cogliere la dimensione mitica della nazione, contrapposta alla realtà ben più corposa e concreta dei nazionalismi. Realtà che, pur essendo un prodotto di élites politiche, viene indagata dagli storici anche nelle sue manifestazioni popolari, poiché, come dimostra Hobsbawm, la classe operaia inglese (e non solo quella) ne fu investita spesso nel corso della storia. Il nazionalismo sembra uscire sconfitto da buona parte della storia del XX secolo: nella configurazione degli stati all'indomani della prima e della seconda guerra mondiale, infatti, non si è mai raggiunta una perfetta coincidenza fra stato e nazione. Tutto ciò ha lasciato aperti alcuni problemi tra i quali la periodica ripresa o la permanenza di forme di separatismo da parte dei movimenti neo-nazionali e, su un diverso fronte, quello dell'intreccio fra nazionalismo e patriottismo.