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Conclusione: la psicologia di Platone come risvolto della sua ontologia di base

Le aporie in cui si incorre allorché si analizza la psicologia platonica dipendono in gran parte dal tipo di interrogazione cui si sottopongono i testi, in questo caso attraverso le lenti deformanti di paradigmi cartesiani. Cartesio faceva della res extensa e della res cogitans due sostanze separate, solidificandole nella loro contrapposizione. Ma perché quest’operazione di contrapposizione fosse possibile per quelle due particolari sostanze chiamate mente e corpo, occorreva previamente che una tradizione filosofica avesse codificato un concetto di “sostanza individua”. Il mondo aristotelico a questo proposito è colmo di sostanze che sono alcunché di determinato, un τόδε τι, enti individuali. Al lato opposto la tradizione che convenzionalmente viene vista come speculare al Peripato, e cioè il platonismo, finì per immaginare la realtà come l’emanazione discendente da un unico principio. In questa seconda linea di pensiero la realtà non è costituita da singole sostanze che si fanno fronte l’un l’altra, al contrario tutto non è che un’emanazione per gradi discendenti del mondo intelligibile. Contro la solidificazione della sostanza individua in un’auto-identità, in cui la “relazione” è qualcosa di estrinseco all’ente e dunque può darsi o non darsi, i neoplatonici fanno della relazione ciò che costituisce ogni singola realtà. Ciascun ente è, in quando è

156 Qualcosa di simile a quello che verrà dispiegato compiutamente in Plotino deve a mio avviso leggersi nella caratterizzazione che Platone dà dell’anima come ente eminentemente relazionale, un metaxy la cui essenza sarebbe quella di colmare il cosiddetto chorismos tra il mondo delle Idee e il mondo divenente. Quando Platone ci informa che nella composizione dell’anima sono confluiti l’Essere, l’Identico ed il Diverso, sia quelli divisibili sia quelli indivisibili, vuole che prestiamo attenzione agli ingredienti. L’anima essendo così composta non può essere vista, nel suo rapportarsi

al corpo, secondo lo scherma di due sostanze che si fronteggiano, la cui relazione

reciproca sia qualcosa di estrinseco alla loro natura.

Nessuna delle due presunte sostanze che vorremmo artificiosamente legare a posteriori ha una vera indipendenza. Questo sia perché l’anima è in se stessa relazione, avendo in sé una mescolanza di divisibile ed indivisibile, sia perché a sua volta lo stesso mondo diveniente in Platone, e con esso dunque il corpo, non è propriamente “essere” in senso pieno (pienezza spetta solo alle Idee)106. L’essere dell’anima nel corpo può dunque essere riassunto con le parole di Nemesio di Emesa che, tentando

un’esegesi di Platone sulla base di alcuni spunti porfiriani, scriveva:

Quando diciamo che l’anima è in un corpo, non vogliamo dire che ella vi sia contenuta come in un luogo, intendiamo solamente che essa è in rapporto con

lui. […] Allorché dunque una sostanza intellettuale è in rapporto con un luogo,

o con una cosa che è in un luogo, noi diciamo, in maniera figurata, che è dentro

106 I passi più significativi a questo proposito sono Tim. 48e-50e e Theaet. 157b-c nei

quali, contro l’idea di una sostanza solidificata nella sua auto-identità, si parla della realtà diveniente come una collezione di qualità non fissabili in scorrimento. Sul

background platonico delle idee neoplatoniche circa la sostanza si veda SAMEK

LODOVICI [1979], pp. 35-54. Di questo parere anche Lavecchia che annota: “l’identità di ogni cosa sensibile, a cominciare dai 4 elementi costitutivi del cosmo, non ha il proprio fondamento nel sostrato materiale dell’universo. La funzione dell’Urmaterie consiste esclusivamente nel farsi impronta delle cose che entrano nella sua sfera. Ma l’identità di quelle cose affonda le propria radice nel mondo intelligibile”. (LAVECCHIA [2007], p. 208).

157 quel luogo, perché essa vi tende a causa della propria attività. […] Mentre si sarebbe dovuto dire: essa esercita là la sua attività, noi diciamo impropriamente che è là.107

La psyche però non è solo rapporto al proprio corpo, e, attraverso di esso, rapporto al mondo: è anche essenzialmente la possibilità di relazionaci agli eide. L’anima dunque è il continuo farsi di una relazione tra l’uomo e le Idee, o tra l’uomo e il mondo; e questa relazione non è qualcosa che le sia estrinseco, bensì ciò che ne ridefinisce continuamente l’essenza tra modeideticità e polieideticità: il suo farsi una ed in sé sola, oppure il suo farsi plurima e somatica.108 Ciò che rende possibile

all’anima interfacciarsi tanto con le realtà superne quanto con quelle infere è una comune struttura matematica, trasversale a tutto il reale, che soggiace ai meccanismi di interazione psicosomatici. Ciò avviene perché l’anima, essendo κίνεσις, muove il corpo e subisce movimenti da esso, e ciascuno di questi movimenti è suscettibile di essere ordinato o disordinato matematicamente. Il buon ordinamento matematico è quello che crea armonia tra psyche e soma, facendo sì che collaborino reciprocamente al perseguimento degli scopi fissati dalla ragione. Ciò avviene facendo sì che il desiderio intralci il meno possibile il λογιστικόν o, nel migliore dei casi, venga sussunto in esso fornendogli spinta ed energia.

107 NEMESIO, De nat. hom. III, 41.

108 Neppure la tripartizione dell’anima come la vediamo ricavata nel libro IV della Repubblica, laddove Platone argomenta che lo stesso soggetto non può volere cose

contraddittorie circa uno stesso oggetto, è indice di reificazione in tre sostanze separate che si fronteggiano. Esso infatti, come discusso alle pp. 133-136, è solo un modo volutamente approssimativo di descrivere l’anima che Platone chiama “via breve”, il quale è incapace di coglierne la vera essenza. L’anima può oscillare tra monoeideticità e polieideticità a seconda delle sue dinamiche interne ridefinendo il proprio assetto continuamente, ed infatti nel libro X della Repubblica si nega che tale molteplicità appartenga alla sua natura costitutiva (PLATONE, Resp. X 611b).

158 Giacché l’anima però non è per essenza solo κίνησις ma αυτοκίνησις, la

psyche sarà tanto più se stessa quanto più non subirà passivamente i movimenti che le

vengono dal corpo. Gli enti inanimati hanno come peculiarità di non muoversi da sé ma essere mossi da altro, per questo se l’anima si abbandona a moti che le sono estrinseci, diventando un ente mosso al pari degli altri, perde la sua specificità, si confonde col corpo, trascinata dai suoi flussi. Il prossimo capitolo ha la funzione di mostrare come le pratiche di persuasione di cui parla Platone nei suoi dialoghi politici presuppongano lo schema di interazione psicosomatica che abbiamo descritto in questo capitolo, e saranno validi esempi per testarlo.

159 CAPITOLO III

La musica riflette l’armonia tra il Cielo e la Terra. I riti mostrano ordinatamente la relazione tra Cielo e Terra. Tutte le cose ricevono la loro esistenza e la loro ordinata distinzione dall’armonia. Il Cielo è l’origine della musica; la Terra porta all’esistenza i riti nelle loro varie forme. Se ci fossero troppe forme, il caos apparirebbe; se ci fossero troppe innovazioni nella musica, la violenza prevarrebbe. Solo se l’interazione fra Cielo e Terra è ben compresa i riti e la musica avranno le loro corrette rappresentazioni.1

DAL CORPO ALL’ANIMA

1. INTRODUZIONE

Il presente capitolo intende fornire una casistica di interazioni corpo-anima tratte dai Dialoghi platonici spiegabili sulla base del modello antropologico esposto nel capitolo precedente. Si illustrerà come la nozione di “movimento”, chiave di volta per ripensare il modo in cui l’anima ed corpo si interfacciano a vicenda, sia necessaria per spiegare anche il modo in cui Platone pensa la persuasione. Una riflessione sulla

kinesis è infatti trasversale alla mimesis teatrale, alla musica utilizzata in chiave

paideutica, alla ginnastica, alla danza corale, alla gestione della corporalità nelle punizioni, e alla medicina. Ciascuno di questi ambiti è sollecitato dal legislatore sulla base di una medesima intelaiatura concettuale: nella plasmatura dei movimenti esterni ed interni del corpo si ha un possibile riverbero sull’anima, sul carattere. La gestione della corporeità, il preservare il proprio corpo dalla corruzione, diventa perciò una precondizione che rende possibile una successiva persuasione condotta coi logoi. Non si tratta però solo di preparare preliminarmente il terreno alla persuasione condotta in un secondo tempo coi ragionamenti: il movimento insito nella musica e nella coreutica, che attraverso il corpo si trasmette all’anima, lavora all’unisono coi discorsi verbali anche nelle fasi successive e più avanzate dell’educazione del cittadino. Musica, danza, e parole del testo devono infatti essere accordati, perché ciascuno di essi, anche

1 Shi-San Jing Zhu Shu (Interpretazioni e spiegazioni dei tredici classici) 5, 668, tr.

160 preso singolarmente, è latore di un messaggio. Poiché ognuno veicola un contenuto risulta impossibile per il nomoteta lasciare che siano fra loro difformi, se debbono produrre un’impressione coerente nell’anima dell’ascoltatore.