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La più celebre ripresa dell’uso civico della musica si ha nell’ultimo libro della

Politica di Aristotele. In questo denso capitolo lo Stagirita dà per certo il carattere

mimetico delle melodie, argomentando che esse nella loro diversità suscitano in noi

21 Il flauto è detto πολυχορδότατον (Resp. III 399d 4) perché incredibilmente più

versatile nella scelta delle note possibili di una lira, e dunque bandito al pari di tutti gli strumenti “panarmonici”, che saprebbero intonare anche motivi proibiti.

22 “Ma Socrate nella Repubblica non fa bene a lasciare insieme al modo dorico

solamente quello frigio, tanto più che respinge tra tutti gli strumenti l’aulo: in realtà tra i modi musicali quello frigio ha lo stesso effetto che ha l’aulo tra gli strumenti: entrambi suscitano entusiasmo e passione”. (ARISTOTELE, Pol. VIII, 7, 1342a 32-

174 reazioni diseguali23, ma affronta il problema da una prospettiva diversa da quella della Repubblica. Gli scopi della mousike si fanno più ampi di quelli che Platone avrebbe

ammesso nella sua città ideale, e più vari divengono i suoi destinatari: Aristotele si rifiuta infatti di confinare la musica al solo fine educativo, e di immaginarla calibrata sul solo gusto degli uomini eccellenti. Ciò comporta una diversa selezione delle armonie, perché se è vero che per il cittadino libero e dedito alla contemplazione alcune armonie sono disdicevoli, tuttavia la città non si compone solo di uomini siffatti. Dovendo anche fornire un doveroso svago e riposo al volgo, alla massa grossolana dei lavoratori manuali ad esempio, è bene che esista per essi una musica adatta ai loro gusti, a scopo ricreativo.24 Quanto all’élite che ha in mente Aristotele, non si addice

per loro il considerare la musica come un riposo dopo le fatiche, perché ciò implicherebbe che si tratti di persone che hanno avuto bisogno di lavorare per mantenersi, applicandosi a compiti ingrati, e che abbiano bisogno di un ristoro. Se di utilità si può parlare per la musica, non dovrà dunque essere quella di rilassare dopo le fatiche del lavoro, bensì essa troverà la sua applicazione primaria nell’educazione dei fanciulli, affinché crescano con un buon carattere. Si aggiunge poi tra le utilità il godimento estetico che comporta il giudicare una melodia eseguita da altri, e a questo fine i cittadini, in quanto futuri giudici, dovranno aver fatto pratica essi stessi in gioventù con uno strumento. Non è facile infatti valutare un suonatore se non s’è mai fatta esperienza in prima persona delle difficoltà dell’esecuzione, ma lo Stagirita precisa che l’addestramento dei fanciulli non deve spingersi fino a renderli dei virtuosi della cetra. Chi suoni infatti come professionista deve dedicare ore ed ore alla pratica,

23 “In realtà nei ritmi e nei canti vi sono rappresentazioni, quanto mai vicine alla realtà,

d’ira e di mitezza, e anche di coraggio e di temperanza e di tutti i loro opposti e delle altre qualità morali (e questo è provato dall’esperienza, giacché quando li ascoltiamo, data la loro natura, sentiamo una trasformazione nell’anima)”. (ARISTOTELE,Pol. VIII,

5, 1340a 16-24).

24 “Ma gli spettatori sono di due tipi, gli uni di liberi sensi e colti, gli altri grossolani,

un’accolta di meccanici, di teti, e di gente simile. […] E come l’anima di essi è stata stravolta dalla condizione naturale, così ci sono deviazioni anche di modi musicali e melodie dal suono acuto e mal colorite. E poiché ciascuno si diletta di ciò che è conforme alla sua natura, si deve dare la possibilità a chi scenda in gara di usare tal genere di musica per spettatori di tal sorta”. (ARISTOTELE,Pol. VIII, 7, 1342a 20-27).

175 come i musicisti che con la musica guadagnano, sottraendo tempo alle occupazioni liberali, sicché sarà sufficiente che il futuro giudice impari i rudimenti su uno strumento semplice come la lira.

La riabilitazione di alcune armonie compiuta in base ad una diversificazione degli scopi e dei destinatari comporta anche il riaccoglimento delle melodie che generano enthousiasmos, e ciò per un peculiare fine terapeutico. Nella Repubblica si cercherebbe invano un valore curativo della musica, essa svolge la funzione di predisporre anima e corpo ad una vita virtuosa, ha cioè un potere preventivo, ma di cure di malattie o di stati psichici morbosi non si fa cenno. Il noto tema aristotelico della catarsi ci interessa in questa sede perché presenta degli echi con alcuni pensieri attribuiti dalla tradizione a Damone, il quale a sua volta è indicato dal Socrate platonico come proprio punto di riferimento in fatto di musica. Scrive lo Stagirita:

In effetti le emozioni, che colpiscono con forza talune anime, esistono in tutte, ma differiscono per la minore o maggiore intensità, ad esempio la pietà, la paura, e anche l’entusiasmo. E infatti vediamo che quando alcuni, che sono esposti a questo movimento (τῆς κινήσεως κατοκώχιμοι) [scil. l’enthousiasmos], odono canti sacri che trascinano l’anima fuori di lei, allora sono ridotti in uno stato normale, come se avessero ricevuto una cura o una purificazione.25

Abbiamo a che fare dunque con una cura di tipo omeopatico della follia, ottenuta tramite una musica frenetica quanto il sommovimento dell’animo da curare26. Il testo

25 ARISTOTELE,Pol. VIII, 7, 1342a 4-12.

26 Un’interpretazione medica della katharsis quale cura omeopatica fu già data nel XIX

secolo (BERNAYS [1857]),appoggiandosi al rigo succitato in cui Aristotele dichiara

che coloro che odono i “canti sacri” ne “ricavano come una sorta di cura medica e κάθαρσις” (Pol. VIII, 7, 1342a 10), e, più di recente, la tesi è stata riproposta da RIST

[1989], pp. 144-145.Il dibattito nei decenni ha prodotto una grande varietà di nuove proposte, nel tentativo di recuperare il lato cognitivo della catarsi tragica tralasciato

176 è una ripresa, e al contempo un rovesciamento, dei poteri che alla musica attribuiva Damone. Un episodio conservato dai dossografi lo vede impegnato a calmare un’anima esaltata non con una melodia frigia ma, temperando un estremo col suo contrario, tramite l’armonia dorica e dunque in maniera allopatica:

Il musicista Damone, trovatosi presente mentre una flautista suonava al modo frigio ad alcuni giovinetti, che, eccitati dal vino, si abbandonavano ad atti folli, le ordinò di suonare al modo dorico; e quelli immediatamente cessarono la loro agitazione insensata.27

Il testo preso singolarmente non fa trasparire alcun meccanismo cognitivo coinvolto nella riabilitazione dei giovani, e ciò lo pone ad un livello diverso rispetto alla catarsi aristotelica che ha luogo nella tragedia, la quale richiede un riconoscimento mentale della mimesis all’opera nell’azione drammaturgica. Provare paura e pietà per la sorte di Andromaca postula infatti una nostra identificazione del personaggio sul palco, la nostra capacità di seguire la trama. La scena descritta con l’intervento di Damone soggiace invece ad una necessità più meccanica, che agisce in maniera pre- conscia, quasi che l’effetto della musica sull’anima fosse quello di una necessità fisica, che non richiede l’assenso o la consapevolezza cognitiva di chi subisce l’azione. È vero che la musica in Damone ha carattere “mimetico”, ma nei frammenti superstiti non si dice, come invece fa Aristotele, che ciò sia dovuto al fatto che noi, sentendo una melodia, riconosciamo mentalmente un carattere umano che le è simile. Si potrebbe congetturare piuttosto che le varie armonie siano considerate mimetiche di un determinato ethos perché in grado di ingenerare quel carattere in un individuo.

dalle ermeneutiche che la riducono ad un mero processo emotivo (per una sintesi delle varie interpretazioni si veda HALLIWELL [1986]).

177 In una testimonianza di Ateneo sull’opera di Damone abbiamo una preziosa indicazione sul meccanismo che stava alla base, secondo questo musicologo, della capacità delle armonie di agire su di noi. Possiamo ricavare quest’informazione indirettamente, da un passo in cui si parla apparentemente d'altro, cioè di come la

musica si generi nel nostro intimo:

Con ragione Damone ateniese diceva che i canti e le danze necessariamente si generano da un certo movimento dell’anima; e quei canti che sono liberi e belli creano tali le anime; quelli contrari, le contrarie.28

Vediamo qui affacciarsi la nozione di “movimento”, che in una cospicua serie di autori successivi fornisce la chiave di volta per giustificare l’interazione tra anima e

musica. L’idea di fondo è che queste due realtà possano interagire, anche grazie alla

mediazione del corpo, perché isomorfe, cioè entrambe descrivibili nella propria struttura come movimenti. Sicché è movimento sia ciò che, provenendo dall’interno dell’animo, genera la musica quale proprio sfogo, sia ciò che, abbattendosi come urto dall’esterno sul nostro udito, può ammansirci con dolci note. Ma in che senso la musica fuori di noi è κινήσις, e soprattutto una κινήσις in grado di influenzare il nostro carattere? Alcune fonti non si pongono il problema, altre abbozzano una risposta che non sappiamo in che misura Platone avrebbe sposato.

Una formulazione chiara di tale vexata quaestio si ha nei Problemata pseudo- aristotelici, in una domanda nella quale ci si interroga sul perché gli udibili siano gli

unici sensibili che contengono ἦθος. Con questa questione siamo dinnanzi ad una sorta

di glossa scolastica volta a chiarire un problematico luogo aristotelico all’interno della

Politica. Durante la trattazione delle mimesis nel libro VIII lo Stagirita pronuncia

un’enigmatica asserzione secondo cui le immagini, a differenza della musica, non sono

178 imitazioni dirette di un carattere, ma solo suoi segni.29 Quale che sia il senso

dell’espressione, essa si basa sull’idea che noi percepiamo il carattere mimetico delle figure solo in maniera mediata, esse sono infatti σημεῖα di altro. Un modo di intendere queste righe può essere di far notare come alcune percezioni richiedano una deduzione per vedervi veicolato un ἦθος: ad esempio nella nostra epoca riconoscere in una donna vestita di nero che piange un carattere lamentoso richiede di sapere previamente che il nero è il colore del lutto, e che le lacrime sono associate nella nostra esperienza degli atti umani al dolore. Nell’ascolto di una melodia questa mediazione non esisterebbe ed il carattere mimetico si palesa immediato:

Invece proprio nelle melodie c’è l’imitazione dei caratteri (e questo è chiaro perché, per cominciare, la natura dei modi musicali è differente, sicché chi li ascolta si dispone diversamente e non ha lo stesso atteggiamento di fronte a ciascuno di essi, ma di fronte a taluni si sente piuttosto triste e grave, come ad esempio di fronte a quello chiamato mixolidio, di fronte ad altri, per es. quelli molli, più abbandonato nello spirito.30

Tornando dunque alla questione posta dai Problemata da cui s’era partiti, e cioè perché gli udibili siano gli unici tra i sensibili a veicolare un ethos, la risposta viene fatta consistere nel fatto che essi sono “movimento”. Il compilatore specifica però che non sta parlando del movimento implicato in qualsiasi percezione sensoriale, anche la vista infatti, per citare un esempio, dipende da una modificazione che avviene nei nostri organi recettori in risposta ad uno stimolo esterno. Il movimento di cui parla è

29 “Succede però che negli oggetti di sensazione non c’è imitazione di qualità morali,

ad esempio negli oggetti del tatto e del gusto, in quelli della vista debolmente (in effetti ci sono delle forme che hanno tale potere, ma in piccola misura e non tutti hanno parte in siffatta percezione). Inoltre queste cose, intendo figure e colori, non sono imitazioni di caratteri, ma piuttosto segni”. (ARISTOTELE,Pol. VIII, 5, 1340a 28-34).

179 invece quello che percepiamo in un’esecuzione musicale grazie alla durata del brano. La kinesis cui si allude è la τάξις che lega i suoni uno all’altro all’interno di una melodia allorché viene da noi percepita come un continuum. Noi infatti non cogliamo i suoni di una sinfonia nella loro singolarità, ma come una serie di note che si dispiega in un ordine durante il tempo dell’esecuzione. La lingua italiana ci viene in aiuto allorché chiama un brano di una sinfonia “primo movimento”, come per alludere al primo dispiegarsi dei suoni in uno schieramento ordinato ed in sé concluso, a cui ne seguiranno magari altri. L’isomorfismo delle melodie col carattere umano starebbe nel fatto che anche le azioni degli uomini, che caratterizzano i vari ἤθη, non sono un punto istantaneo nel tempo: si svolgono in una serie di movimenti, distesi per una durata temporale, e con una logica interna che ne guida lo svolgimento. Le osservazioni dell’ignoto autore ricalcano questo schema:

Perché l’udibile (τὸ ἀκουστὸν) è il solo tra i sensibili a essere espressivo di un carattere? Anche senza le parole, la melodia ha lo stesso un ethos, che invece non hanno né il colore, né l’odore, né il sapore. Oppure perché esso solo comporta un movimento che non è il semplice movimento indotto in noi dal rumore? (Questo movimento riguarda anche gli altri sensi: anche il colore muove la vista). Si tratta piuttosto della percezione del movimento che accompagna un determinato suono. Questo movimento comporta una somiglianza nei ritmi e nell’ordine dei suoni acuti e gravi. […] Nelle altre percezioni questo non accade. I movimenti di cui si è parlato ora sono invece connessi con l’azione, e le azioni sono indicative dell’ethos. […] Perché i ritmi e le melodie, che non sono altro che suono, hanno un rapporto di somiglianza con le diverse disposizioni dell’animo, mentre non è così per i sapori, e neppure per i colori e gli odori? Forse perché sono movimenti come anche le azioni? Ora, l’attività implica un

ethos; mentre così non è per i sapori e i colori.31

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Sicché quando ascoltiamo l’inno nazionale francese possiamo sentir sgorgare un sentimento patriottico dentro di noi, pensando ad un corteo marziale che inceda, perché l’ordine delle note si dispiega nel tempo così come una marcia militare è un insieme coordinato di azioni. Abbiamo in queste righe una delle variazioni sul tema della musica come “movimento”, sebbene, oltre alla spiegazione del perché la musica sia espressiva di un carattere, ancora non venga messo a fuoco in che maniera possa ingenerarlo stabilmente in un soggetto che l’ode. Dire che una certa melodia ci fa balenare davanti, con la sua dorica compostezza e virilità, l’immagine di una marcia militare, non basta ad argomentare che questa disposizione d’animo si cementi nel carattere dell’ascoltatore in maniera persistente. Damone sosteneva che fosse la

ripetizione dell’esposizione ad una determinata armonia a produrre un’assimilazione

del carattere, come per assuefazione.32 Il che pare una considerazione di buon senso

confermata dall’esperienza comune, ma lascia digiuni coloro che fossero interessati ad una descrizione scientifica di come questa impressione nell'animo si produca. Molti oggi assentirebbero all’idea che guardare film violenti sin dall’infanzia guasti il carattere, ma ciò sarebbe diverso dal saper produrre una descrizione neurologica di come le connessioni sinaptiche del nostro cervello siano effettivamente plasmate dalle ripetute scene di brutalità viste in televisione.

La difficoltà ad enucleare nel dettaglio come sia possibile alla musica, di per sé, anche senza parole, imprimersi nell’animo modellandolo, causerà infatti in più di un pensatore una reazione incredula alle teorie damoniane. Filodemo di Gadara, di cui i papiri ercolanesi ci hanno restituito vari frammenti di trattati sulla poesia e la musica, è probabilmente il caso più citato di un atteggiamento scettico e polemico. Nel Περὶ ποιημάτων apostrofa col nome di “Coribanti” coloro che pretendono di far derivare gli effetti della poesia sull’anima dal suo ritmo, dal suono ad essa soggiacente, anziché

32 “La scuola di Damone insegnava che i suoni di una frase melodica, per effetto di

assimilazione, creano nei fanciulli delle tendenze che essi non posseggono ancora, e, negli adulti, sviluppano quelle latenti”. (ARISTIDE QUINTILLIANO, II, 14 = 37 B 7 DK).

181 dal testo del poema.33 Con queste argomentazioni Filodemo si inserisce però in un

dibattito assai vasto, e i suoi strali non puntano a colpire solo Platone. Il Gadareno infatti sembra satireggiare coloro che fanno del suono l’aspetto principale, o addirittura l’unico che conti durante l’esecuzione di una poesia. Il filosofo ateniese invece, come s’è visto in precedenza, faceva della musica un qualcosa di subordinato ad un testo di partenza, sicché era la musica che doveva adattarsi ad un contenuto verbale precedente. Ciononostante Platone riteneva che, se la musica può accordarsi o non accordarsi ad un testo, è perché essa stessa, anche da sola, è in grado di veicolare un qualche tipo di contenuto, diverso per ogni harmonia. Nelle Leggi poi, come si avrà modo di illustrare in seguito, descrive gli effetti salutari che la musica può avere sull’animo umano proprio citando l’esempio dei Coribanti e dei loro movimenti frenetici. Se perciò Filodemo chiama scherzosamente κορύβαντες coloro che danno chissà quale potere psicotropo al suono, dicendo che riducono la poesia a dei rimbombi, sta prendendo di mira alcuni esponenti di una corrente che attribuisce poteri anche alla musica in sé, e fra questi Platone. In tale linea di pensiero, che ha il suo antenato in Damone, si colloca infatti quanto dicono Socrate nella Repubblica o lo Straniero di Atene nelle Leggi, sebbene fra mille distinguo.

33 Noi infatti non pensiamo alla poesia come un insieme di rimbombi e clangori, ma

come ad una struttura significante: “How is it, o Corybantes, that all of us think of a

poem not as twanging and clanging, but as diction that signifies thought as a result of being put together in a certain way?” (PHerc. 1074+1081, fr. c, col. II 5–13 in

SBORDONE [1976],p. 201). Citato pure in ASMIS [1992], p. 399 che così commenta:

“Just as the Corybantes are driven into ecstasy by musical sounds, these lovers of poetry are driven out of their minds by the sounds of poems, not realizing that, unlike musical sounds, the sounds of a poem are words that have meaning”. Il frammento non parla necessariamente dell’accompagnamento musicale della poesia, ma in primis delle proprietà fonetiche delle parole all’interno del verso (ad esempio il trarre piacere dalla sonorità di un’allitterazione). Filodemo contesta coloro che ritengono che sia la sonorità del verso, anche a prescindere dalla comprensione dei significato delle parole, a dare loro piacere. In ogni caso l’argomentazione, così formulata, permette di parlare anche della musica di accompagnamento sulla base dei medesimi presupposti: se non è il mero suono con cui le lettere si combinano a contare, e non conta perché esso da solo non veicola alcun significato, similmente il suono della musica, senza parole, non può modificare il carattere.

182 Nell’età ellenistica il dibattito sui poteri psicagogici delle sonorità proseguì alacremente, in particolare fu un testo di Diogene di Babilonia, il quasi interamente perduto De Musica, che collezionò più reazioni da parte di fautori ed avversari dell’efficacia della musica nella correzione del carattere. Il filosofo stoico aveva ipotizzato che la musica agisse sul corpo e, a partire dalle modificazioni di questo, generasse μεταβολαί nell’anima.34 Prendendo come punto di partenza le sue teorie

si svilupperà un dibattito che vede sia esponenti stoici che epicurei, più o meno ortodossi, prendere posizione, una discussione interessante perché entrambe le fazioni usano le medesime argomentazioni con risultati opposti.

Nel dibattito circa l’influenza della musica sull’anima umana ambedue le correnti accettano il principio che un effetto deve essere simile alla causa che l’ha

provocato35, e che dunque per agire sulla razionalità occorrano stimoli razionali,

mentre per agire sull’irrazionalità dei pungoli irrazionali. L’effetto in questo caso sono i παθήματα provocati in noi dalla μουσική. Tuttavia questi filosofi non sono d’accordo nell’attribuire o meno un contenuto razionale alle emozioni che la musica

suscita, e dunque se esse vadano catalogate tra gli elementi razionali o irrazionali, né

sono d’accordo su quale sia la natura dell’anima che li elabora.

Posidonio ad esempio riflette sugli effetti in noi della musica senza parole, priva