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Bruno Snell aveva dedotto dall’inesistenza in Omero di una concezione unitaria del corpo e dell’anima l’assenza di una consapevolezza dell’io, e doveva perciò cercarla altrove. Notò innanzitutto che leggendo Omero non ci troviamo (quasi) mai dinnanzi ad un “io” del poeta, e che le gesta narrate non riguardano lui stesso. Al contrario sfogliando i lacerti giunti sino a noi della produzione lirica greca arcaica troviamo sin troppo spesso poeti che, almeno apparentemente, ci parlano della loro individualità. Non solo si “firmano”, rompendo con la tradizione orientale di millenni che vuole il poeta anonimo, ma i loro versi hanno un carattere intimistico. Stando alla mera lettera dei testi questo carattere sarebbe ben difficile da contestare: Archiloco rompe coi codici tradizionali dicendo che non gliene importa nulla di lasciare lo scudo in battaglia e fuggire70, Anacreonte ci parla dei suoi gusti personali per il simposio71 e

70 “Si gloria ora uno dei Sai del mio scudo, arma perfetta, / ch’io, non volendo, lasciai

presso il cespuglio: / però ho salvato me stesso. Alla malora vada lo scudo; / me ne comprerò uno più bello!” (ARCHILOCO, fr. 5 WEST).

71 “Non amo chi presso il cratere bevendo / narra risse e lacrimevole guerra, / ma chi,

delle Muse e di Afrodite gli splendidi doni / associando, pensa all’amabile gioia”. (ANACREONTE, fr. 56 GENTILI).

50 si lamenta della vecchiaia72, Saffo sembra descrivere un attacco di gelosia che la lascia

quasi morta.73

Eppure, nonostante la copiosità delle prove che ai nostri occhi sembrano dispiegare la soggettività del poeta assente in Omero, questa linea interpretativa è oggi

universalmente abbandonata, al punto che la sua smentita è penetrata nella

manualistica come fosse un dato ormai acclarato. Scrive ad es. Privitera:

Gli studi più recenti hanno messo in guardia contro questo biografismo ed hanno chiarito che il lirico arcaico, più che informare il pubblico delle sue vicende private, voleva esprimere una condizione affettiva e soggettiva condivisa da molti e, anzitutto, dal pubblico che ascoltava la recitazione o il canto dei suoi versi.74

La poesia arcaica è cioè una poesia “d’occasione”, eseguita in un contesto sovente rituale che ne relativizza il carattere autobiografico. Se ad esempio Pindaro deve dar voce all’ammirazione del pubblico per un vincitore di un agone, scrive dei versi che a noi potrebbero sembrare il bigliettino segreto di un innamorato, in cui il poeta dice di sciogliersi dinnanzi alle membra floride di Teosseno come cera morsa dai raggi del sole. Ed è difficile credere alla sincerità del suo trasporto, visto che il

72 “Ormai canute son le mie / tempie, e bianco è il capo; / la giovinezza amabile / non

c’è più, e vecchi sono i denti: / della dolce vita non molto / è il tempo che resta. / Per questo, io piango / spesso, temendo il Tartaro. / Terribile è l’antro / di Ade: penosa / è la discesa; e per chi è andato giù / è destino non risalire”. (ANACREONTE, fr. 36

GENTILI).

73 “A me sembra beato come un dio / quell’uomo che seduto a te di fronte / t’ascolta,

mentre stando a lui vicino / dolce gli parli / e ridi con amore; si sgomenta / il cuore a me nel petto, non appena/ ti guardo un solo istante, e di parole / rimango muta. / La voce sulla lingua si frantuma, / sùbito fuoco corre sottopelle, / agli occhi è cieca tenebra, e agli orecchi / rombo risuona. / Sudore per le membra mi discende / e un brivido mi tiene; ancor più verde / sono dell’erba; prossima alla morte / mi sembro”. (SAFFO, fr. 31 VOIGT).

51 numero dei giovinetti lodati farebbe sì che avesse una nuova infatuazione in qualsiasi porto sbarcasse chiamato a comporre un epinicio. Lo scherno beffardo di Archiloco, che le fonti ci descrivono come un eccellente soldato, non deriva dalla sua biografia ma è probabilmente una componente rituale delle feste di Demetra di cui la famiglia era devota. Saffo era una sacerdotessa di una comunità votata ad Afrodite, il tiaso, la quale mimava rapporti omoerotici ed innamoramenti per preparare le ragazze al matrimonio e alle dinamiche dell’amore di coppia, il tutto in un contesto culturale codificato e pubblico. Gli studi di Calame hanno chiarito come l’omoerotismo dei tiaso fosse in realtà una cosciente iniziazione all’eterosessualità.75

Lo stesso discorso si potrebbe fare, mostrando di volta in volta il contesto, con ogni esponente della lirica arcaica. Naturalmente è possibile trovare una mediazione tra gli eccessi di entrambe queste opzioni esegetiche, cioè la lettura autobiografica dei versi e quella che vede invece un carattere finzionale pressoché in ogni componimento. Ad esempio Anacreonte può ben star dando voce al suo pubblico quando si lamenta della vecchiaia, ma il fatto che proprio lui si sia dato la pena di farlo e abbia partorito versi tanto mirabili è indice del fatto che l’argomento lo interessava da vicino perché anch’egli era in età avanzata.

Meno problematico del tentativo di districare il difficile rapporto tra autobiografia e finzione letteraria nei lirici è andare nei loro versi a vedere quali siano le occorrenze della parola psyche per accertare quali funzioni svolga. Se in Omero essa non aveva alcuna funzione tranne quella di abbandonare l’uomo al momento della morte, vediamo che ora la parola reclama delle prerogative che furono dello thymos. Pindaro è il primo a dire in maniera inequivoca di un soldato che ha una psyche coraggiosa (τλάμονι ψῦχᾷ)76, ed altri poeti espandono le emozioni di cui l’anima è

suscettibile facendone l’equivalente di quello che noi oggi chiameremmo “cuore”. Tra le varie citazioni che si potrebbero portare come esempio eccone una di Anacreonte che fa dell’anima la sede del tormento amoroso:

75 CALAME [1988], pp. 73-87. 76 PINDARO, Pyth. I, 48.

52

Bimbo d’occhi femminei, / cerco te: tu non senti. E non / sai che tieni le redini / di quest’anima mia.77

Una digressione sulla lirica arcaica s’è resa necessaria in quanto, mancando i personaggi omerici secondo Snell di un io unitario, egli doveva rintracciarne altrove le prime attestazioni. Non ci si può però sottrarre all’impressione, leggendo la bibliografia più recente, che la sua tesi sia oggi considerata troppo estrema. Non c’è dunque bisogno di scoprire per la prima volta nei poeti del VI secolo una consapevolezza di se stessi prima ipotizzata come assente, in quanto esisteva già. Più interessante è seguire un altro filone della ricerca, cioè quello dell’evoluzione del termine psyche e della sua progressiva identificazione col sé dell’individuo. Si tratta

di un problema diverso da quello della nascita dell’io, perché può esserci una

consapevolezza dell’io anche se non lo si fa coincidere con la psyche. Occorre dunque ricominciare il discorso da dove era stato interrotto e riprendere le fila della storia degli eventi che occorsero alla parola psyche dopo Omero.