guarigione da stati parossistici è sedimentata nella stessa mitologia greca. I poeti narrano di come Anfione, figlio di Zeus, edificò le mura di Tebe smuovendo le pietre del monte Citerone col solo suono della cetra donatagli da Hermes. Il cantore tracio Orfeo ammansiva le belve, comprese quelle infere, e, persa la sua Euridice, con le sue melodie persuase le divinità dell’Oltretomba a restituirgliela. L’incarnazione della fusione tra musica e arte della guarigione è consacrata a livello divino da Apollo, che è insieme musico e nume tutelare dei medici. Si tratta di uno strato di credenze molto antico, e ciò non sorprende, se ad esempio utilizziamo come parallelo comparativo gli studi di etnomusicologia condotti dagli antropologi presso le cosiddette “società tradizionali”.15 Platone sembra riecheggiare questo sfondo mitico allorché nelle Leggi
chiama i prologhi cantati che andranno preposti alle norme epodai (incantesimi), quasi a suggerire che la musica dei cori, che dovranno intonare questi preamboli legislativi, agisca in una maniera sotterranea, o, diremmo oggi, inconscia, piegando le menti come
15 Un esempio vicino a noi potrebbero essere i ben noti studi di Ernesto de Martino
condotti in Sud Italia sul “tarantismo”, e di come i balli frenetici delle cosiddette “tarantolate” vengano visti come un farmaco per epurare il morso dell’insetto (si veda ad es. DE MARTINO [2008]).
168 un sortilegio. Se chi abbia studiato etnoantropologia respira perciò un’aura a lui nota leggendo echi di questi argomenti nei Dialoghi, sbaglierebbe tuttavia a ritenere che il filosofo ateniese erediti questi temi meramente dalla cultura tradizionale. La sofistica non aveva infatti mancato di discutere anche questo portato del sapere tradizionale greco, dandone una rielaborazione più intellettuale. È Platone stesso ad indirizzarci su quali siano le sue fonti allorché all’interno della Repubblica cita il sofista Damone, eminente musico del quinto secolo e maestro nonché consigliere politico di Pericle. Il suo nome compare in un punto cruciale della discussione tra Socrate e Glaucone, dopo che i due hanno consentito che le diverse armonie siano portatrici ciascuna di un ἦθος
diverso e dunque vadano attentamente selezionate. I dialoganti concordano sul fatto di
rimettersi al giudizio di Damone per sapere quali siano i ritmi esistenti, e a quali caratteri umani siano associati. Parla Glaucone:
-Posso dire che tre sono le forme da cui derivano tutti i sistemi ritmici, così come nei suoni esistono quattro toni dai quali scaturiscono tutte le armonie. Però non ti saprei proprio dire a quali stili di vita siano associati.
- Ma se è per questo potremmo unirci a Damone per decidere quali siano i ritmi conformi a volgarità, a violenza oppure a pazzia e ad ogni altro vizio, e quali invece vadano tenuti in serbo per le qualità contrarie. 16
I ῤυθμοί, con la loro sequenza di tempi deboli e tempi forti variamente combinati, sono in realtà solo l’ultimo anello della catena, e Socrate ne elenca alcuni svogliatamente (il ritmo dattilico, il giambico, il trocaico, ecc.). È più interessato a stabilire una gerarchia tra le varie componenti della μουσική che parta da una
selezione dei discorsi, ad esempio il discorso che loda l’uomo temperante e l’uomo
169 coraggioso, e, sulla base di questo vaglio preliminare, isolare i ritmi e le harmoniai che veicolino un ethos compatibile. Afferma Socrate:
Ma il buon ritmo e il cattivo ritmo tengono dietro, per assimilazione, l’uno alla bella dizione, l’altro a quella opposta, e così anche l’armonico e il disarmonico, se è vero, come dicevo poco fa, che il ritmo e l’armonia dipendono dal
discorso, e non il discorso da loro.17
Per capire come possano un ritmo ed un’armonia uniformarsi ad un discorso, inteso qui come la descrizione verbale di un carattere umano, e perché questa compagine di tre elementi possa influenzare un’anima, occorre definire previamente che cosa si intende per harmonia. Il corrispettivo etimologico dell’italiano contemporaneo potrebbe trarre in inganno perché il termine ha subito uno slittamento impercettibile di significato. Gli aggettivi utilizzati contestualmente a questa parola possono gettare luce sul suo significato originario, sebbene oggi vengano usati in maniera inavvertita e non vi si presti attenzione. Socrate parla di armonie “tese” ed “allentate”, e ancora oggi potrebbe capitarci di attribuire ad una musica caratteri di “tensione” o di “mollezza”. Se il campo semantico di questi aggettivi oggi passa inosservato, non è però difficile rendersi conto che essi originano da strumenti come la cetra o la lira, le cui corde possono essere più o meno “tese” e “allentate” da chi compia un lavoro di accordatura sullo strumento. L’uso metaforico di questi termini è passato all’anima, per la quale parliamo di rilassatezza o di tensione interna, a riprova che per i Greci v’era una qualche forma di isomorfismo che congiungeva la tensione
delle corde della cetra, la musica che ne derivava, e l’anima su cui agiva il suono prodotto. La parola ἁρμονία deriva da una radice greca *ar che rimanda
all’adattamento, al combaciare, all’accordarsi a qualcosa. Da essa derivano verbi come ἁρμόζω (connettere, adattare), ἀραρίσκω (accomodo, adatto, connetto), sostantivi
170 come ἅρμα (il “carro”, nel senso della connessione reciproca delle parti di legno che lo compongono), e, più importante ancora, ἀρετή (virtù) ed ἄριστος (migliore), da intendersi come ciò che è adatto a fare qualcosa. In base al suo significato pre- filosofico infatti arete è la capacità di svolgere una funzione nel modo più eccellente, nel senso in cui potremmo dire che la virtù di una spada è il suo saper tagliare. Questa digressione etimologica aveva lo scopo di introdurci al senso originario di ἁρμονία,
che era quello di “accordatura”, cioè il predisporre uno strumento con le corde in una
particolare tensione, affinché fosse adatto a suonare questo o quel diverso tipo di melodia.18 Allorché Socrate insieme a Glaucone fa un elenco delle diverse ἁρμονίαι,
abbinandone ciascuna ad un carattere, quella dorica ad esempio all’uomo coraggioso, si sta riferendo a diversi modi di accordare una cetra, con maggior o minore tensione. Il meccanismo che sta alla base di queste differenze, e che spiega la diversità delle ἁρμονίαι, risiede nel diverso modo che i Greci avevano di trattare la scala musicale. Nel nostro sistema standard contemporaneo adottiamo infatti 7 note, costituite da 5 toni e 2 semitoni che si susseguono in base a precisi intervalli (fra tutte le nostre note, ad esempio tra do ed il re, l’intervallo è, come d’abitudine, di un tono, ma fanno eccezione mi-fa e si-do, che distano solo mezzo tono fra loro. Su una tastiera di pianoforte infatti non v’è alcun tasto nero tra il mi ed il fa perché distano già un semitono). Le diverse ἁρμονίαι citate da Platone sono basate su una ripartizione degli
intervalli lungo la scala dissimile rispetto alla nostra consueta: in base al differente
numero delle corde, alla loro mutevole lunghezza e tensione, si poteva costruire una scala musicale con intervalli diversi, cosicché non tutte le scale avevano le medesime note. Segue un prospetto:
18 “Il significato originario di questo termine era quello di «giuntura, connessione,
adattamento» e quindi di «patto, convenzione»; in senso musicale il suo primo valore fu quello di «accordatura di uno strumento» e di conseguenza «disposizione degli intervalli all’interno di una scala»”. (COMOTTI [2011], p. XV).
171
(Tratto da WERSINGER [2002], p. 193)
Ogni scala è una struttura ben organizzata al proprio interno di una sequenza di note, la cui coesione è data dai rapporti matematici che legano gli intervalli. Similmente nella filosofia platonica l’anima, tanto quella individuale quanto quella cosmica, proprio perché ἁρμονία è un insieme di fattori aritmetici organizzati in una maniera specifica.
La ricostruzione delle diverse modulazioni scalari riportata nello schema è quella dataci dal musicologo Aristide Quintilliano, la cui vita è datata tra II ed il IV secolo della nostra era. Non è particolarmente rilevante per gli scopi del presente lavoro stabilire se gli intervalli matematici da lui menzionati per ogni harmonia siano esattamente gli stessi che aveva in mente Platone. Basti constatare che i nomi sono i medesimi, e che opera il medesimo concetto fondante della distinzione tra le armonie, cioè la diversa ripartizione degli intervalli lungo la scala musicale. In particolare su consiglio di Glaucone vengono escluse l’armonia mixolidia e la sintonolidia perché giudicate buone solo per comporre trenodie, ed una città ben governata non ha bisogno
172 di lamenti; vengono espunte dalle mura della polis pure le armonie ioniche e lidie, considerate molli e simposiastiche.19 Solo due vengono salvate dall’epurazione:
-Attenzione, ti restano la dorica e la frigia.
-Non conosco le armonie, ma lasciaci quella che possa convenientemente imitare i toni di voce di un uomo coraggioso impegnato in un’azione di guerra e in ogni impresa cui è costretto – e che, se per una sorte avversa va incontro a ferite e alla morte o è caduto in qualche sventura, in tutti questi frangenti sopporta con fermezza i colpi della sorte. E poi lasciane un’altra, adatta a chi attende ad un’azione di pace e non compiuta sotto costrizione bensì volontariamente. […] Queste due armonie – la violenta e la spontanea – che imiteranno nel modo migliore i toni di chi nella cattiva e nella buona sorte è moderato e coraggioso, quelle lasciale.
-Ma non mi chiedi di lasciare se non proprio quelle che dicevo poco fa.20
Più di un elemento suscita stupore. In primo luogo che Socrate si dichiari ignorante dei nomi delle harmoniai, lasciando che sia Glaucone a metterglieli in bocca, e che stranamente fra le armonie venga accolta quella “frigia”, venendo attribuita all’uomo moderato che agisce senza costrizione. La classificazione suona anomala rispetto al resto delle fonti, che attribuiscono l’armonia frigia alle danze sfrenate dei coribanti servi della frigia Cibele. Aristotele non mancherà di far notare poi la contraddizione tra la volontà platonica di bandire lo strumento dionisiaco per antonomasia, il flauto, perché considerato “lo strumento dalle molte corde per
19 PLATONE, Resp. III 398c 6-399a 4. 20 PLATONE, Resp. III 399a 4-c 7.
173 eccellenza”21, e l’accettazione dell’armonia frigia che veniva intonata per l’appunto
sull’aulos22. È possibile che Platone, non impegnando direttamente Socrate nella
classificazione, e tuttavia descrivendolo come condiscendente, voglia inscenare una presa di distanza parziale rispetto al grado di approfondimento e sistematizzazione cui erano giunti i musicologi della sua epoca, quasi a dire che, pur condividendo l’idea di fondo del discorso, non si impegnava in un assenso di tutti i particolari delle loro teorie. Altra ipotesi, approfondita nel prosieguo del capitolo, è che il testo rifletta le incertezze del Socrate storico su questo argomento.
Documentare l’esistenza di una somiglianza strutturale tra l’anima umana nelle sue declinazioni caratteriali e alcuni tipi di musica, isomorfismo creato grazie al concetto di harmonia presente in entrambe, non costituisce però ancora una spiegazione di come una realtà agisca sull’altra. Per averne un’idea sarà bene illustrare le posizioni del partito ideologico avverso, ossia i negatori del potere plasmante della musica rispetto a quel blocco di cera che è la nostra anima. Ciascuna delle parti in causa in un dibattito porta infatti le proprie ragioni, ed è perciò plausibile attendersi dallo studio della controversia indizi sul meccanismo che veniva presupposto nella trasmissione dell’ethos tramite la musica.