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Il professor Junji Tsuchiya, sociologo dell’Università di Waseda, parlando della crisi che il Giappone affronta a seguito del disastro, ha richiamato alla memoria un libro intitolato Le lacrime delle mele. Si tratta di una raccolta di racconti scritti dai bambini di Aomori nel 1991, a seguito di quello conosciuto come il «tifone delle mele», che devastò intere coltivazioni di quell’area, da cui dipendevano molte famiglie di coltivatori, seminando miseria e povertà. Scrive il professor Tsuchiya:

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«I bambini delle scuole elementari capirono con i loro piccoli occhi a mandorla le lacrime di disperazione dei genitori. A loro sembravano simili a quelle mele che il tifone aveva fatto cadere. I pensieri di genuino affetto dei bambini nei confronti delle famiglie e della campagna si concretizzarono in quella raccolta di racconti. Oggi, mi chiedo cosa sia successo nel Tōhoku.

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Tre fattori sono determinanti per comprenderlo: gli effetti a livello locale, il tipo di impatto del disastro e la forza sociale di reazione e prevenzione delle calamità. Nelle zone colpite migliaia di cittadini tornano tuttora per cercare i propri cari e gli sfollati sopravvissuti cercano riparo e medicine.

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A Fukushima, Miyate e Miyagi (le tre prefetture più colpite) si calcola che 106.461 persone siano rimaste senza lavoro. Queste aree sono tra le più pescose del Giappone e, secondo le fonti locali, su 13.370 pescherecci ben 12.011 sarebbero stati danneggiati, dunque circa l’88,5%. E ancora più grave è la contaminazione radioattiva che sta avendo luogo nell’Oceano Pacifico.

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Il governo, l’industria e i Media sono filonucleari e le informazioni che trasmettono seguono questa linea. Ma nel 75% delle scuole a Fukushima i valori di radioattività superano largamente la soglia massima. E il limite delle radiazioni cui i bambini possono essere sottoposti è stato alzato da 1 a 20 millisievert all’anno, pari a quello che si assumerebbe sottoponendosi a una radiografia al torace ogni mese per un anno. Si tratta della dose massima fissata annualmente per un operaio che lavora in una centrale nucleare tedesca. Penso che dovremmo avere un senso di maggiore responsabilità socio-etica nei confronti delle generazioni future. Alti livelli di radioattività si sono registrati anche al largo della costa di Fukushima.

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La popolazione prova ora rassegnazione e delusione e sembra che i giapponesi preferiscano ignorare ciò che li circonda. Circola tra di noi la tacita consapevolezza che il Giappone non potrà mai più tornare quello di prima».

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La contaminazione radioattiva è tuttora localizzata nell’area evacuata anche se era previsto che entro i nove mesi successivi al disastro sarebbe stato ultimato il processo di raffreddamento dei tre reattori allora attivi. In realtà, questo processo rimane a tutt’oggi in corso.

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Takashi Hirose, scrittore giapponese vincitore del prestigioso premio letterario Noma nel 2007, ha commentato con queste parole il modo in cui le autorità hanno reagito al disastro di Fukushima:

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«Poco dopo l’incidente ho pensato subito che ci sarebbero state delle esplosioni di idrogeno. E’ incredibile che gli specialisti non siano stati capaci di prevederlo. Evidentemente non conoscono il reattore».

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Dall’incidente di Three Mile Island del 1979, Hirose indaga sulle centrali atomiche. Al pericolo delle centrali, inadatte a reggere l’impatto dei terremoti, nel 2010 Hirose aveva dedicato il libro Genshiro jigen bakudan («I reattori, bombe a orologeria»). La centrale che ai suoi occhi presenta i maggiori rischi è proprio quella di Hamaoka, gestita dalla Chubu Electric a Omaezaki, nella prefettura di Shizuoka. In questa zona, secondo le statistiche, si calcola che nei prossimi trent’anni ci sarà un terremoto di entità simile a quello del Tōhoku. Hirose ha affermato:

«In Giappone le informazioni non sono trasmesse correttamente. Gli specialisti minimizzano i rischi. Senza dubbio cercano di evitare il panico, ma prima di tutto bisogna dire la verità alla popolazione. Chi può dichiararsi favorevole alle centrali nucleari dopo essere stato informato su tutti i rischi?

Questa catastrofe nucleare è la prova che tutte le centrali rischiano di trovarsi nella stessa situazione di Fukushima. La Germania ha intenzione di abbandonare il nucleare. Anche noi dobbiamo riconsiderare la questione, a costo di rimetterci in termini di comodità e qualità di vita. Spero che questa volta impareremo la lezione».

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Anche la chiusura della centrale di Hamaoka ha avuto molta risonanza. Secondo un

sondaggio pubblicato lunedì 30 maggio 2011 dal Sankei Shimbun l’80% dei giapponesi riteneva allora che le notizie fornite dal governo non fossero attendibili, l’84% che le informazioni date dalla TEPCO fossero sbagliate e il 73,7% che la decisione del premier Naoto Kan di far chiudere la centrale di Hamaoka fosse da apprezzare. Nuovamente, non bisogna dimenticare che il Giappone, per il rifornimento di energia elettrica, dipende quasi per un terzo dall’energia nucleare. Si calcola che nel 2010, il rifornimento di energia elettrica del paese fosse così ripartito: il 28% dal nucleare, il 29% dal carbone, il 26% dal gas naturale, il 9% dal petrolio e il restante 10% da altre forme di energie rinnovabili, come l’idroelettrico (8%). Da queste stime si evince che il Giappone, essendo quasi completamente privo di materie prime, ha una dipendenza quasi totale dall’energia importata.

Il piano economico elaborato dal paese nel 2010 prevedeva la costruzione di altre 14 nuove centrali nucleari entro il 2030 per aumentare l’autosufficienza energetica e diminuire le emissioni di CO2. Tuttavia, alla luce del disastro di Fukushima, se prima l’opinione popolare era favorevole per il 60% alla costruzione delle nuove centrali, a seguito del disastro soltanto il 34% si dice ancora favorevole all’utilizzo dell’industria nucleare.

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Nei giorni successivi agli incidenti nella centrale Fukushima Dai-ichi, Keiji Takeuchi, giornalista dell’Asahi Shimbun, scriveva:

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«Il terremoto che ha devastato la regione del Tōhoku ha provocato il primo vero stato di emergenza per gli impianti nucleari giapponesi. La situazione ci ricorda ancora una volta la pericolosità delle centrali nucleari e smentisce chiunque affermi che non sono rischiose perché progettate con cura. Gli incidenti che si sono verificati negli impianti nucleari durante il terremoto ci costringono a porci una domanda fondamentale: un paese così esposto dal punto di vista sismico può permettersi le centrali nucleari? Ora dovremmo essere più umili nel prepararci ad affrontare i terremoti, tornare al punto di partenza per approfondire alcune questioni fondamentali e chiederci fino a che punto in questo paese la sicurezza delle centrali potrà mai essere garantita».

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Nonostante il Giappone sia leader nella produzione di materiali per la produzione delle energie rinnovabili, non sembra possibile, tuttavia, cambiare radicalmente il programma economico del paese in tempi brevi. I problemi fondamentali da affrontare sembrano essere due. Il primo, è il regime monopolistico che detiene il controllo sul settore nucleare, che andrebbe smantellato e liberalizzato come in California. Ma in questo caso gli interessi in gioco sono enormi e i compromessi non vengono accettati facilmente dalle lobby che controllano il settore. I molti blackout che tra il 2001 e il 2002 sono avvenuti in California sono stati utilizzati come pretesto dell’inaffidabilità del sistema californiano e si è spinto verso il mantenimento della privatizzazione del settore.

Il secondo problema da affrontare è la perdita di credibilità popolare nei confronti del settore stesso. La produzione di energia nucleare da sempre si era basata sulla fiducia nella completa sicurezza delle centrali nucleari giapponesi. Ora, i giapponesi non sembrano più fidarsi delle informazioni fornite dal governo o dalla TEPCO stessa. La comunicazione degli eventi non è stata né perfetta né immediata a seguito del disastro e questo ha generato una sfiducia diffusa.

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L’allora primo ministro Naoto Kan, come abbiamo visto, aveva lanciato un nuovo programma economico fondato sulle energie rinnovabili e avviato un dibattito sul nucleare nei mesi successivi al sisma. Secondo il programma di Kan, il paese avrebbe dovuto passare dal 10% al 20% della produzione di energia da fonti rinnovabili entro il

modo di produrre energia, che potesse servire d’esempio anche per gli altri paesi. Tuttavia, successivamente - come abbiamo visto - vi è stato un ulteriore cambio di rotta. L’attuale primo ministro, Abe Shinzo, si è proclamato infatti deciso sostenitore dell’industria nucleare, auspicando alla futura costruzione di centrali nucleari di terza generazione nel paese.

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