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§1. La necessità di un cambio di prospettiva

La ricerca di una correlazione tra assetto dei poteri di sindacato ispettivo delle commissioni parlamentari e forma di Governo ha generalmente sofferto di una ben definita aporia di cui si deve rendere conto in questa sezione dedicata alle conclusioni del lavoro. In un quadro di trattazione “di nicchia”, essendo l’indagine comparata sul sindacato ispettivo relativamente recente171, ed essendo ancor più

residuale e nuova l’analisi organica dei rapporti tra forma di governo e poteri delle commissioni parlamentari (e in particolare delle sole commissioni permanenti)172,

anche le trattazioni monografiche più approfondite in materia pongono la questione da un preciso punto di vista, che può essere visto come esattamente opposto allo scopo del presente lavoro. Laddove la dottrina, infatti, ha sinora analizzato la questione del rapporto tra commissioni parlamentari e forme di governo dal punto di vista delle prime, per capire se queste ultime avessero un influsso sul sistema politico, il presente lavoro, al contrario, ha cercato di enucleare la questione assumendo le forme di governo come base di osservazione. Come si è avuto modo di ricordare in più luoghi, cuore della presente analisi è capire se, ad un’evoluzione storica delle forme di governo, corrisponda un rafforzamento delle funzioni ispettive in capo alle commissioni parlamentari –

permanenti o istituite ad hoc.

Se dunque non è la forma di governo, o, quantomeno, il modello statico delle forme di governo, che cosa può determinare, in maniera risolutiva, una differenziazione – e magari un’evoluzione - dei poteri delle commissioni parlamentari?

La chiave di volta può essere rintracciata nella necessaria differenza, tracciata nella prima sezione, tra modello statico e modello dinamico delle forme di

171 Cfr. R.DICKMANN, op.cit., pp. 177-ss.

103 governo. Uno dei meriti fondamentali del dibattito contemporaneo sulla nozione di forma di governo è stato quello di emancipare la modellistica in materia dal rischio di divenire una stanca catalogazione di esperienze che non tenesse conto, però, di variabili fondamentali. A partire dall’analisi di Leopoldo Elia precedentemente ricordata, alla forma di governo si è riconosciuta una necessaria

dinamicità dipendente da numerosi fattori173.

E proprio la dinamicità del concetto permette di inquadrare al meglio la questione. Assumendo la mobilità di un sistema di assetti tra poteri che deve tenere conto di più fattori, sovente extragiuridici, si può comprendere come le dinamiche interne alla singola forma di governo possano influenzare i poteri di controllo e ispettivi delle commissioni parlamentari. Del resto, la dottrina ha notato come nelle tre esperienze prese in esame da questo lavoro –Regno Unito, Stati Uniti e Francia- siano stati i sistemi di commissione, prima che le funzioni concretamente assegnati ad essi, a conoscere trasformazioni non sempre lineari, secondo traiettorie tra loro poco accomunabili. Le commissioni parlamentari inglesi hanno conosciuto, per la maggior parte del tempo, una certa stabilità nell’assetto, ove non una certa stasi, prima della grande riforma del 1979; quelle statunitensi, invece, eccettuate rare riforme miranti a rendere organiche, per via legislativa e regolamentare, atteggiamenti già affermati e collaudati in via di prassi, di fatto si sono stabilizzate in relativamente poco tempo, raggiungendo già nel XIX secolo un assetto che si può ritenere perdurante a tutt’oggi, caratterizzato da un prestigio e da numerosi aspetti virtuosi tali da fare di quello statunitense un vero e proprio modello cui hanno guardato numerose altre esperienze; ancora più emblematico è poi il caso francese, dove le commissioni parlamentari hanno avuto una storia fatta di continue evoluzioni e regressioni, anzitutto dal punto di vista dei poteri, che hanno peraltro conosciuto, per così dire, lo zenit e il nadir in un arco pressoché breve (meno di un secolo, tra

104 il 1902 e il 1958), per poi intraprendere una leggera ripresa di importanza a partire

dalla riforma del 2008174.

Basterebbero dunque questi succinti richiami storici per capire come la forma di governo in sé sia rilevante nel determinare i poteri delle commissioni parlamentari permanenti e d’inchiesta, ma non sia tutto. Alla base del concreto assetto di tali poteri va posta una sommatoria strettamente legata alle fasi storiche, ai contesti politici, sovente alle esigenze procedurali di efficienza parlamentare delle singole esperienze.

Inoltre, la relazione tra caso inglese e caso statunitense costituita, come si è avuto modo di ricordare, dal fatto che il modello di commissioni del Regno Unito sia, sotto numerosi aspetti, debitore verso l’omologo d’oltreoceano, fa capire come non si possa tralasciare quel fenomeno che è stato definito dai fondamentali studiosi del diritto comparato come circolazione di modelli giuridici175.

§ 2. Superare i dogmatismi

Sempre in sede di prima sezione, si è avuto modo di esporre la critica radicale di Massimo Luciani alla nozione di forma di governo, tanto più nella sua accezione dinamica176. Come si è ricordato, per lo studioso l’eccesso di variabili di cui tenere

conto nella descrizione della forma di governo rischia di frustrarne la validità gnoseologica.

Questa impostazione può tuttavia essere utile, più che come base per sminuire la validità scientifica della nozione di forma di governo, quale caveat circa la necessità di guardare alle esperienze concrete, prima che ai modelli cristallizzati di forme di governo. Pretendere che i poteri delle commissioni parlamentari si atteggino in materia determinata in base alla forma di governo tout court in cui

174 Cfr. C. Fasone, op. ult. cit., p. 566.

175 Cfr., inter alia, U.MATTEI, s.v. Circolazione dei modelli giuridici, in Enciclopedia del Diritto. Annali,

Giuffrè, Milano, vol. I, pp. 173-ss.

105 operano, come se essa fosse di per sé ineliminabile garanzia del comportamento delle commissioni può addirittura risultare controproducente e infruttuoso. E forse proprio questo aspetto ha sinora sconsigliato di analizzare il rapporto in parola partendo non dalla forma di governo, bensì dai sistemi di commissione. In questo senso, la visione di Luciani va vista come un richiamo a non dare per scontato il rapporto tra forma di governo e sindacato ispettivo. La necessità di considerare le variabili che, sommate tra loro, costituiscono la forma di governo, come già anticipato, è utile ai fini dell’inquadramento perseguito da questo lavoro. Le variabili, infatti, permettono di dare una descrizione dei rapporti in analisi la più possibile aderente alla realtà. Più che la forma di governo in sé, conta come queste variabili abbiano determinato il comportamento della forma di governo e le relative ricadute sui poteri del sindacato ispettivo delle commissioni parlamentari.

§ 3. Le trasformazioni interne alle forme di governo come elemento evolutivo del sindacato ispettivo delle Camere

Nella sezione precedente, si è reso conto di come l’evoluzione dei poteri di sindacato ispettivo sia certamente collegata alle vicende storiche conosciute da ogni ordinamento. È dunque questo aspetto, prima che il modello di forma di governo in sé, che può essere utilizzato per tracciare lo sviluppo e l’acquisizione, nel tempo, da parte delle commissioni parlamentari, di poteri ispettivi e di controllo. Se, infatti, può apparire peregrino pretendere che l’emergere di modelli di forme di governo nel corso del tempo segni ex se l’emergere di nuovi e più penetranti modelli di sindacato ispettivo, più utile e coerente è cercare di capire se il fattore evolutivo si debba ricercare all’interno delle forme di governo recate dai casi ricordati, e non all’esterno di esse, nelle mere tassonomie. A questo proposito, possono essere isolate due situazioni emblematiche. La prima è quella conosciuta nel caso inglese. In un contesto storico caratterizzato dalla necessità di far riguadagnare spazio al Parlamento in una forma di governo

106 ove esso è ad un certo punto risultato limitato nella sua azione dalla possibilità per la maggioranza politica –e dunque, tramite essa, per l’esecutivo- di orientarne le attività, e nonostante in una forma di governo parlamentare il Parlamento tenda ad essere centrale, la principale via attraverso cui è stata perseguita la volontà di soddisfare tale necessità è stata la riorganizzazione del sistema di commissioni parlamentari e dei loro poteri, non ultima la possibilità per i report finali delle inchieste di essere discussi dall’Aula, e dunque di far permeare, tramite il Parlamento, nel sistema generale e nel dibattito pubblico gli indirizzi espressi dall’assise circa gli ambiti che questa ha ritenuto opportuno sottoporre al proprio scrutinio.

Seconda situazione è quella conosciuta dal caso francese. Il contesto, in questo caso, è costituito, anzitutto, da una riforma costituzionale avente lo scopo di razionalizzare la forma di governo presidenziale, aspirando, in particolare, ad evitare il fenomeno delle coabitazioni tra forze politiche diverse. In questo frangente, come si è avuto modo di ricordare, il sistema è stato orientato ad una certa riparlamentarizzazione degli assetti. Come nel caso inglese, si è avvertita l’esigenza (o, forse, sarebbe meglio dire che si è colta l’occasione) di aumentare i poteri di incisione, nel sistema complessivo, del Parlamento nel complesso e delle sue articolazioni. Anche in questo caso la via principale, oltre all’eliminazione di numerosi vincoli ai lavori d’Assemblea posti dall’esecutivo, è stato il rafforzamento, sul modello americano, del lavoro finale dell’inchiesta, visto come una relazione comprensiva tanto di quanto l’inchiesta ha avuto modo di conoscere, quanto e soprattutto delle raccomandazioni fatte all’esecutivo e portate all’attenzione del Parlamento nel complesso e dell’opinione pubblica. In queste due situazioni, dunque, a determinare un salto di qualità del sindacato ispettivo delle commissioni sono state delle precise contingenze storico-politiche, momenti non traumatici ma capaci, tuttavia, di riorganizzare e rafforzare i poteri di controllo riconosciuti al Parlamento, incisi direttamente da una forma di

107 Governo in trasformazione. È dunque ai cambiamenti, seppur minimi, avvenuti all’interno delle singole forme di governo che si deve guardare quale principale fattore di evoluzione di tali poteri; mutamenti, come si è già detto, non traumatici e limitati per lo più all’assetto dei sistemi di commissione, ma pur sempre dei mutamenti di cui tenere conto. E per quanto riguarda i casi analizzati nel presente lavoro, essi possono essere inquadrati in chiave diacronica, in quanto, a ben vedere, si svolgono in sequenza, ma non secondo l’emergere progressivo delle forme di governo, bensì come fatti storici in sé considerati. L’ordine, dunque, va riscritto tenendo conto anzitutto dell’assetto dei poteri inquirenti dell’assemblea parlamentare proprio dell’esempio di sistema presidenziale adottato (quello statunitense), poi di quello visto nella forma di governo parlamentare di cui abbiamo tenuto conto (quella inglese, all’indomani della riforma del sistema di commissioni del 1979), infine nella forma di governo semipresidenziale considerata (quella francese per come ridefinita dagli interventi costituzionali e

regolamentari del 2008).

Ponendo la questione in questi termini, si deve fare una premessa preliminare a

due tipi di conclusioni.

La premessa, necessaria e che si è avuto modo di tratteggiare, è che, almeno considerando la variabile parlamentare all’interno della singola forma di governo ed esemplificata dai casi analizzati, un’evoluzione della forma di governo è certamente ravvisabile, per quanto in maniera diversa tra le due esperienze. Ovviamente, e tenendo ben presenti le ricordate puntualizzazioni dottrinarie in materia, questo non vuol dire che vi sia un cambio definitivo di forma di governo. Lo schema resta, in quanto ad essere toccata da modifiche è appena una variabile tra le tante che compongono l’assetto generale inquadrato quale modello di forma di governo singolarmente considerato. Non vi è un sovvertimento dello schema generale, la forma di governo continuerà ad essere parlamentare, presidenziale o semipresidenziale; lo schema generale, tuttavia, non sarà perfettamente identico a

108 quello di partenza, dovendo necessariamente accogliere le modificazioni occorse alle procedure parlamentari, e che tuttavia hanno un riverbero ben visibile all’esterno.

Da questa premessa, e cioè dalla - pur limitata, limitatissima - evoluzione della forma di governo, discendono due tipi di modifiche progressive ai poteri di

sindacato ispettivo delle Camere.

La prima modifica in senso evolutivo è, per così dire, meno appariscente, ancora meno di quella percepibile guardando alla forma di governo nel complesso. Tanto nel caso inglese, quanto in quello francese, più che i poteri a cambiare è l’assetto dei sistemi di commissioni. Nel Regno Unito, con la più volte ricordata riforma affrontata dalla House of Commons in tema di commissioni permanenti, queste ultime sono state riorganizzate, dal punto di vista dell’organizzazione dei lavori, della composizione, delle competenze, della permanenza degli organi; in Francia, invece, le commissioni parlamentari sono state liberate da alcuni limiti posti alla loro organizzazione dalle possibilità di ingerenza in materia riconosciute all’esecutivo, in parte mitigate dalla riforma costituzionale e dalla relativa riforma del regolamento d’Assemblea. In entrambi i casi non sono stati ridisegnati gli strumenti a disposizione del sindacato ispettivo delle commissioni -strumenti, a ben vedere, stabilizzatesi a livello complessivo, potendo essere riassunti in elenchi tendenzialmente esaustivi e validi per chi si approcci al tema del sindacato ispettivo parlamentare in generale-; tuttavia, la riorganizzazione ha certamente permesso, rispetto agli assetti precedenti nella singola esperienza, che tali strumenti venissero messi a disposizione delle commissioni in maniera innovativa e più aderente alle esigenze di ricentralizzazione, più o meno avvertite, del

Parlamento nella relativa esperienza.

La seconda modifica, invece, va inquadrata dall’esterno. Accanto alla riorganizzazione delle procedure, infatti, è l’evoluzione interna allo schema di forma di governo ha che permesso alle commissioni parlamentari e di inchiesta di

109 acquisire maggior rilevanza all’esterno. L’esempio va rintracciato anzitutto nel potenziamento, tanto nel riassetto conosciuto dall’esperienza britannica, quanto da quello occorso in Francia, dei risultati immediati delle inchieste parlamentari – indipendentemente dal fatto che siano state condotte da commissioni permanenti o speciali. La dottrina ha notato come, sull’esempio statunitense, in ambo i casi i

report finali siano utilizzati proficuamente nel corso dell’attività parlamentare. La

discussione in sé delle relazioni finali d’inchiesta consente, anzitutto, di riportare al centro del dibattito politico i temi che la stessa Assemblea parlamentare ritiene opportuno affrontare; in varia guisa, tale discussione riesce a raggiungere l’esterno dal Parlamento; inoltre, senza mai mettere in discussione diretta il rapporto fiduciario e la responsabilità dei singoli Ministri competenti, la riorganizzazione dei sistemi di commissione ha aumentato la possibilità, per le commissioni stesse, di farsi promotrici di un controllo maggiore e più penetrante sulle attività dell’esecutivo. Infine, come si è avuto modo di ricordare, le relazioni finali sono spesso la base di partenza, nel Regno Unito, e, soprattutto, in Francia, per la presentazione di proposte di legge, sintomo, questo, di un Parlamento messo meglio in grado, grazie alla funzione di controllo, di svolgere anche una funzione legislativa e d’indirizzo rispondente alle concrete contingenze politiche e sociali. Per poter parlare dunque di evoluzione dei poteri di sindacato ispettivo, si deve andare, in un certo qual modo, oltre la nozione di forma di governo, quantomeno nell’accezione statica: occorre, infatti, un’accezione ampia, dinamica, che comprenda nello schema della forma di governo i cambiamenti determinanti l’evoluzione. Senza questo passaggio, non si potranno mai cogliere le relazioni intercorrenti tra emergere di nuove forme di governo (meglio, di nuovi assetti di forme di governo) e l’evoluzione dei poteri di sindacato ispettivo delle Camere. Del resto, come si è avuto modo di ricordare, il parlamentarismo, fin dalle prime assemblee di Westminster, ha modellato molti dei suoi poteri anzitutto in chiave difensiva, dotandosi di strumenti che permettessero di arginare lo prevalenza

110 dell’esecutivo nelle forme di governo. Solo successivamente – e di ciò sono testimoni anzitutto gli studi di Walter Bagehot - i Parlamenti, in quanto rappresentanti del popolo (e non solo di limitate e ben definite classi di sudditi) hanno sviluppato, tra le altre, la tendenza a garantire un’attenzione costante sui problemi emergenti dal Paese, perché l’esecutivo se ne facesse carico, e perché emergessero, eventualmente, le mancanze dell’amministrazione nell’affrontarli. Nei tre casi analizzati, i sistemi di commissione, per quanto concerne i poteri di controllo, hanno tratti comuni, ben evidenziati dalla dottrina177. In particolare, si

tratta sempre di organi parlamentari, di comitati politici di eletti, per utilizzare un’espressione che si è incontrata agli inizi di questo lavoro, dunque di organi incardinati nel Parlamento, composti da parlamentari e che conoscono, fin dalla loro composizione, una dialettica tra maggioranza e opposizione analoga a quella propria del plenum assembleare; si consente che le inchieste siano svolte non solo da organi ad hoc, ma anche da commissioni permanenti e che gli organi parlamentari investiti abbiano, per quanto sovente opportunamente bilanciati, poteri simili a quelli dell’autorità giudiziaria, le cui attività non giungono a paralizzare l’inchiesta parlamentare e sempre nel segno del principio della separazione tra poteri; infine, nei tre contesti considerati, un’ampia disciplina di rango sub-costituzionale presiede alla regolamentazione dei poteri di controllo. A questi tratti comuni, pare non insensato aggiungerne un ulteriore: col passare del tempo, le mutazioni interne alla forma di governo hanno consentito alle Camere di aumentare i propri poteri di controllo e di inchiesta, di rendere organici gli strumenti di sindacato ispettivo a propria disposizione, di raggiungere, almeno nei tre casi analizzati, l’opinione pubblica in sedi spesso privilegiate e incoraggiate dagli stessi regolamenti parlamentari – si pensi alle ricordate forme di diffusione sui mezzi di informazione nazionali recata dal regolamento dell’Assemblea

177 Cfr., per un riepilogo, R.DICKMANN, Tratti comuni e profili originari della funzione parlamentare d’inchiesta nel diritto comparato, in IDEM (cur.), L’inchiesta parlamentare, pp. 179-ss.

111 Nazionale francese.

§ 4. Una ricerca sbagliata?

Se si considera l’ordine di emersione delle forme di governo per come ridisegnato in questa sezione, dunque tenendo conto dell’assetto raggiunto dalle tre esperienze grazie alle ricordate esperienze, si può compiutamente affermare che l’evolversi della forma di governo possa comportare un’evoluzione dei poteri di

sindacato ispettivo delle Camere.

Più che sugli strumenti in sé, però, è necessario concentrarsi, come si è avuto modo di ricordare, sulle virtualità del sistema di commissioni singolarmente considerato. Il caso francese, in particolare, insegna come la volontà precipua di riequilibrare gli assetti interni alla forma di governo si trasformi in un acquisto di poteri –per quanto limitato- per le commissioni d’inchiesta, e in generale per le

commissioni permanenti in sede di controllo.

Non va dimenticato, come si è ricordato, come le analisi dottrinarie in argomento tendano a partire dalla direzione opposta. Si considerano le commissioni parlamentari messe a sistema come fattori capaci di influenzare le forme di governo.

Ci si potrebbe chiedere, dunque, se quella affrontata da questo lavoro non sia, a ben vedere, una ricerca sbagliata. La dottrina ricorda come il rapporto tra forma di governo e commissioni parlamentari stia diventando un passaggio ineliminabile per comprendere le contemporanee prospettive di un parlamentarismo sempre più chiamato ad operare in sistemi di commissione in quanto miglior modo di organizzazione dei lavori assembleari di un mondo in continua trasformazione, dove i tempi dell’economia e dei processi globali rischiano di essere troppo veloci per un organo di vitale importanza nelle democrazie contemporanee quali le Assemblee legislative –peraltro soggette, come si è ricordato, a continue erosioni di poteri (ove non di sovranità) da parte di organi analoghi, ma presenti in livelli diversi che si situano ora al di sopra, ora al di sotto di quello statale. Ai Parlamenti

112 viene oggi chiesto di essere efficienti e soprattutto olistici178. Non basta, ad oggi,

una mera specializzazione dei membri delle Assemblee determinata dal fatto che questi vengano chiamati a fare parte in maniera stabile di articolazioni interne alle Camere ciascuna delle quali deputata all’analisi delle politiche attinenti ad aree determinate, né basta che queste articolazioni siano fornite di risorse umane e strumentali per operare a meglio quella vasta gamma di azioni ricomprese nelle nozioni di funzioni di controllo e di sindacato ispettivo. La funzionalità dei

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