§ 1. La classificazione delle forme di governo
55 tuttora questione molto dibattuta in dottrina. Ciò nonostante, almeno per quanto riguarda la trattatistica e la manualistica italiane, sulla base di tale nozione si continuano a basare tassonomie il cui uso è ampiamente invalso. Vale la pena, dunque, di tracciarle almeno succintamente. In particolare, punto di forza di questo richiamo è costituito dalla possibilità di catalogare le forme di governo in maniera diacronica, evidenziando come esse abbiano cominciato a differenziarsi nel corso del tempo, e dunque permettendo di mettere in relazione gli strumenti di sindacato ispettivo a disposizione delle commissioni con l’evoluzione delle forme di governo, scopo principale di questo lavoro nel complesso. Com’è del resto noto, l’analisi delle forme di governo deve essere circoscritta all’ambito ben preciso degli ordinamenti liberaldemocratici occidentali, dovendosi dunque escludere quelle forme di governo non fondate sui principî-cardine accolti delle democrazie odierne (libertà, uguaglianza, principio di separazione dei poteri
in primis).
La tassonomia che si ritiene opportuno utilizzare in questa sede è, in un certo qual senso, semplice. Essa guarda all’essenza delle forme di governo contemplate, senza tenere conto di integrazioni che pure possono essere utili alla presente indagine, in primis l’inclusione, all’interno di queste tassonomie, del fattore costituito dalla presenza di sistemi di commissioni nelle forme di governo e del loro atteggiarsi. Servirà dunque anzitutto per rendere conto dell’evoluzione cronologica delle forme di governo considerate e delle strutture-base che le compongono, richiamandone il contenuto in maniera sintetica. Si eviterà dunque di richiamare i plurimi criteri in base ai quali è possibile catalogare le forme di governo (si pensi, a titolo di esempio, ai binomi forme pure-forme miste, forme moniste-forme dualiste); analogamente, come si è già avvertito, non si terrà conto di altre tassonomie, pure di rilievo, quale quella compiuta da Leopoldo Elia e su cui si è avuto modo di dire nella precedente sezione. Ai fini dell’analisi, dunque, si terrà conto di una classificazione delle forme di
56 governo basata sull’elemento del rapporto fiduciario tra Governo e Parlamento. Come ha rilevato taluna dottrina, col venir meno della validità descrittiva della distinzione monarchia-repubblica94, e tenuto conto delle numerose proposte di
classificazione generate dall’allargamento della gamma di criteri avanzati dagli studiosi come basi per distinguere fra loro le forme di governo, essa può oggi essere ritenuta come la più utilizzata e, allo stesso tempo, la più affidabile95. In
base a tale criterio, le forme di governo prevalentemente osservabili, in ordine temporale di emersione, sono quattro:
- parlamentare; conformatasi nei suoi schemi fondamentali in Inghilterra tra il XVII e il XVIII secolo, è la più diffusa tra gli ordinamenti contemporanei; essa, come noto, basa il proprio circuito politico sull’esistenza del rapporto fiduciario tra Governo e Parlamento - essendo la piena funzionalità del primo condizionata dalla presenza della fiducia parlamentare accordatagli dal secondo, che di tale rapporto può pienamente disporre -, e sulla presenza di tre organi ciascuno caratterizzato da una legittimazione politica. Al Governo e al Parlamento, infatti, va aggiunto il Capo dello Stato, la cui figura si caratterizza per il fenomeno della controfirma ministeriale degli atti presidenziali, in virtù del quale la responsabilità per gli stessi ricade sul Ministro controfirmatario (dunque, sull’esecutivo) e non sul Capo dello Stato96. È tuttavia l’aspetto del rapporto fiduciario tra
esecutivo e Parlamento ad assumere un’importanza primaria ai fini degli equilibri interni alla forma di governo parlamentare; esso ha spinto
94 Vd., L.ELIA, op. ult. cit., pp. 635-ss. 95 Cfr. S.PANIZZA, op. cit., pp. 56-57.
96 Sulla legittimità politica del Capo dello Stato e sulla responsabilità di questi assorbita dal potere
di controfirma, cfr.C.ESPOSITO, s.v. Capo dello Stato, in Enciclopedia del Diritto, Giuffrè, Milano, 1960, vol. VI, pp. 34-ss; IDEM, s.v. Controfirma ministeriale, in Enciclopedia del Diritto, Giuffrè, Milano, 1962, vol. X, pp. 285-ss.
57 numerose Carte costituzionali a cercare di apportare dei correttivi in chiave di rafforzamento della cd. governabilità e di razionalizzazione del parlamentarismo; e proprio su tale binomio si innestano molte delle variabili endogene alle singole esperienze, tali per cui esse, pur ricadendo tutte nello stesso schema di forma di governo, possono a primo acchito apparire anche molto diverse; in particolare, queste variabili possono agire sui poteri del Capo dello Stato, che continua a restare fuori dalla determinazione dell’indirizzo politico, ma sovente viene ad essere titolare – per disposto costituzionale, o anche solo per prassi - di una serie di poteri di intervento che si spingono nell’ottica dei due obiettivi ricordati (si pensi al ruolo, più o meno determinante, che questi può avere nella nomina del Capo del Governo e nelle situazioni di crisi governativa); oltre al Regno Unito, principali espressioni di questa forma di governo sono la Germania e la Spagna (realtà dove, in particolare, questa forma di governo opera in una forma di Stato federale), mentre, storicamente, è stata una repubblica parlamentare la Francia della cd. Quarta Repubblica (1946-1958);
- presidenziale; è lo schema apparso per la prima volta negli Stati Uniti d’America, fissato nella Costituzione del 1787 all’indomani della Guerra d’Indipendenza; vista dall’angolatura del rapporto fiduciario, questa forma di governo si caratterizza per non averlo, a vantaggio di un forte rafforzamento dei poteri del Capo dello Stato, eletto direttamente, vertice dell’organo esecutivo e dunque dotato ex se di una fortissima legittimazione politica – per quanto non manchino sistemi in cui è previsto un Primo Ministro97 - e che difatti assume su di sé la responsabilità degli atti
presidenziali, non essendo essi sottoposti a controfirma; questo non impedisce al Parlamento di avere poteri anche considerevoli, non ultimo
97 È il caso di alcune esperienze extraeuropee relativamente giovani, come la Corea del Sud,
58 quello di impeachment del Presidente; la forma di governo presidenziale, inoltre, si basa su una rigida separazione dei poteri orientata ad un serio sistema di checks and balances anzitutto tra i due poteri principali (si pensi al potere presidenziale di veto per quanto riguarda l’influenza dell’Esecutivo sul Legislativo, laddove il già menzionato impeachment si muove lungo la direttrice opposta); anche questa forma prevede numerose variabili (spesso ritenute degenerate, e per questo definite presidenzialiste, si pensi a numerosi regimi sudamericani, formalmente improntati a questo schema ma non di rado sfociati in vere e proprie dittature); oltre che nei già ricordati Stati Uniti la forma di governo in esame è attuata in Sudafrica e Brasile98;
- direttoriale; emersa in Francia nel 1795 (con la Costituzione dell’Anno III), essa si caratterizza per la sua recessività, essendo ad oggi espressa esclusivamente dall’ordinamento svizzero. Fulcro del sistema è l’organo legislativo; ad esso spetta, secondo una struttura che Elia definiva «indiretta
o mediatizzata»99, l’elezione di un organo collegiale titolare del potere
esecutivo, senza che però tra i due sussista un rapporto fiduciario, assente nello schema di tale forma di governo. Si tratta di un sistema che presenta caratteri comuni ai due precedentemente ricordati: in particolare, i tratti propri della forma parlamentare sono visibili nel peso che ha l’assemblea elettiva nella scelta dei membri dell’organo esecutivo, membri che una volta nominati restano in carica per un periodo di tempo rigidamente fissato e
98 A proposito della forma di governo brasiliana, possono essere avanzate numerose riserve
relativamente alla rilevanza del potere giudiziario e delle forze armate in alcuni momenti critici della storia recente del Paese, non ultimo quello culminato nell’impeachment dell’ex-Presidente Rousseff; cfr. M. GOLDONI, Brasile: La crisi istituzionale e la fine di un ciclo, in Forum di Quaderni
Costituzionali-Rassegna, n. 4/2016; S.GIANELLO, Non un golpe democratico: l’impeachment nei confronti
di Dilma Rousseff come sintomo di una grave crisi istituzionale, in Osservatorio costituzionale, f. 2/2016. 99 L.ELIA, op. ult. cit., pp. 669.
59 sono irrevocabili dall’assemblea legislativa; laddove, invece, lo schema presidenziale è ravvisabile nella già ricordata assenza di un rapporto fiduciario, nell’impossibilità, per il legislativo, di rimuovere dall’incarico i membri del direttorio e, soprattutto, nell’impossibilità, per quest’ultimo, di sciogliere l’altro. Si tratta, comunque, di tratti peculiari anche ove ci si rifaccia alla forma di governo presidenziale, essendo il direttorio un organo collegiale e, nell’esperienza svizzera attuale, improntato ad una sorta di consociativismo, in quanto la nomina del Consiglio Federale elvetico avviene con modalità affermatesi in via di prassi che consentono la rappresentanza di tutte le comunità linguistiche del Paese e delle principali forze politiche. Ne scaturisce un sistema basato su un controllo reciproco tra gli unici due attori (Assemblea Federale, legislativa; Consiglio Federale, esecutivo), nel quale tende a prevalere il Parlamento, almeno sulla carta, e per quanto negli ultimi tempi la dottrina tenda a ravvisare un aumento della rilevanza del Consiglio Federale100;
- semipresidenziale; la più recente delle tre forme di governo considerate, che non ha mancato di costituire spesso un problema per gli studiosi101,
ibridando elementi tanto della forma di governo parlamentare, ora della forma di quella presidenziale. Essa è emersa nella sua attuale forma con la cd. Quinta Repubblica102 francese inaugurata dalla Costituzione del 1958,
per quanto siano riconducibili a tali forme alcune esperienze precedenti (si
100 Cfr. più diffusamente in argomento, A.DI GIOVINE, Le forme di governo, in P.CARROZZA,A.DI
GIOVINE,G.F.FERRARI, Diritto costituzionale comparato, Laterza, Roma-Bari, 2009, pp. 734-ss. Data la marginalità di tale forma di governo, essa non sarà tenuta in considerazione nel prosieguo del lavoro.
101 Per una prima analisi sul sistema semipresidenziale si rimanda a L.ELIA, op. ult. cit., pp. 644-ss. 102 Non va dimenticato che la nozione di semipresidenzialismo è stata coniata, con riferimento
precipuo al sistema francese, da M. DUVERGER, Institutions et droit constitutionel, Presses
60 pensi alla Repubblica di Weimar) e solo nel 1962 si affermi, sempre in Francia, uno dei cardini del sistema, vale a dire l’elezione del Capo dello Stato a suffragio universale e diretto. In questo schema, il rapporto fiduciario di cui l’esecutivo – composto da Primo Ministro e Ministri, ma alle cui attività partecipa attivamente anche il Capo dello Stato - dovrà godere diviene addirittura doppio. Da un lato, infatti, dovrà avere quello che lo lega al Capo dello Stato (che di tale rapporto può pienamente disporre), dall’altro quello che lo lega al Parlamento. Anche il fenomeno della controfirma viene ad essere peculiare: sono infatti numerosi gli atti del Presidente della Repubblica che non la prevedono, tanto per disposto costituzionale (si pensi allo scioglimento delle Camere e alla nomina del Primo Ministro), quanto per via di prassi (ad esempio, la convocazione dei referendum)103. A questo proposito, facendo riferimento ad un sistema che
non può non definirsi ambiguo (soprattutto alla previsione esplicita di un rapporto fiduciario, che nella pratica tende ad atteggiarsi come bifasico), Elia ha parlato di «costituzioni a molteplici virtualità»104; e infatti, su questo
schema essenziale, come per le altre due forme di governo, si innestano numerose varianti relative al singolo contesto; l’esperienza francese, ad esempio, soprattutto con le riforme costituzionali del 2007-2009, ha teso a rafforzare, seppur minimamenti, i poteri del Parlamento rispetto all’esecutivo ed ha introdotto istituti di garanzia miranti a smussare la predominanza del Capo dello Stato; e in altre esperienze (si pensi ad Austria e Irlanda), quest’organo è titolare di minori poteri d’intervento rispetto allo schema originario.
103 Sulla controfirma nel sistema francese, cfr. M.P.VIVIANI SCHLEIN, Irresponsabilità del Capo dello Stato e controfirma ministeriale in Italia e Francia, in Rivista trimestrale di diritto pubblico, 1982, pp. 132-
ss.
61 § 2. La classificazione dei sistemi di commissione. Una prima disamina. In sede di prima sezione, si è fatto accenno alla nozione di sistemi di commissione. In particolare, essa è stata messa preliminarmente in rapporto – seppure con talune avvertenze preliminari che si avranno modo di richiamare - con la forma di governo da un’interessante analisi posta da Fasone105. Sembra dunque opportuno
rendere conto, quantomeno in via sintetica, dei tipi di sistemi di commissione
ravvisati dalla dottrina.
In particolare, va premesso che da quest’analisi sono anzitutto escluse le commissioni d’inchiesta, le quali, per i motivi ricordati nella precedente sezione, ad avviso della studiosa si presterebbero poco alla comparazione, prima che ad una loro sistematizzazione. Inoltre, si ricorderà detta analisi nel suo stato basilare, dunque escludendo la sua correlazione con alcune variabili tenute in considerazione dall’Autrice (variabili su cui si avrà subito modo di tornare). In base a questo studio, i sistemi di commissioni sono classificati in base alle proprie caratteristiche strutturali e alle relazioni che le commissioni permanenti hanno o possono avere tra sé e con altri organi. Si dovrà dunque tenere conto, in particolare, del coordinamento tra commissioni e della loro specializzazione per materia.
Secondo l’analisi, si possono inquadrare quattro tipi di sistemi di commissioni permanenti:
- debole, comprendente sistemi caratterizzati da poche commissioni, dotate di limitata autonomia organizzativa e da scarse attività di coordinamento e collaborazione, sovente deputate solo all’esercizio della funzione legislativa -storicamente, è stata l’esperienza delle commissioni permanenti francesi prima di alcune modifiche regolamentari, legislative e costituzionali incorse tra il 1999 e il 2008, i cui poteri di controllo erano molto limitati;
62 - parzialmente influente, classe dei sistemi di caratterizzati da numerose commissioni con competenze molto specializzate, dotate di rilevanza pressoché paritaria e di ampia autonomia organizzativa senza però che a questi dati si accompagnino sedi di coordinamento, e le cui attività, singolarmente considerate le commissioni, sovente si limitano ad una sola ben determinata funzione parlamentare – ad oggi, è la descrizione che si può fare del sistema di commissioni parlamentari permanenti della Camera dei Comuni inglese;
- forte, dove vi è un buon equilibrio tra specializzazione e autonomia, e non mancano strumenti di coordinamento tra le numerose commissioni (la cui consistenza in termini di membri varia in base alle competenze dell’organo), che hanno risorse strumentali adeguate, possono articolarsi in sottocommissioni e partecipano a numerose funzioni parlamentari – è il caso, per rifarci allo studio di partenza, delle commissioni del Parlamento europeo;
- predominante, costituito da commissioni numerose e di piccole dimensioni, aperte spesso alla contemporanea partecipazione del singolo parlamentare a più di una commissione e dotate di ampia autonomia e di una vera e propria iperspecializzazione (che spesso si traduce in un’articolazione interna per sottocommissioni), fornite di ampi apparati strumentali e capaci di intervenire sulle attività parlamentari nell’ambito di plurime funzioni, e che nel complesso sono in grado di orientare in maniera rilevante l’attività parlamentare globalmente considerata – è il caso del sistema di commissioni parlamentari ravvisabile nel Congresso statunitense.
L’analisi dei sistemi di commissione, ovviamente, ha come scopo precipuo quello di rendere conto delle relazioni tra commissioni permanenti e organo legislativo; ben altra valenza ha invece un’altra tassonomia, che mette in relazione le forme di governo e i sistemi di commissione, e che sarà utilizzata come punto di partenza
63 per un’attenzione specifica a singole esperienze ordinamentali.
§ 3. Le variabili da considerare nel rapporto
L’analisi dei rapporti tra sistemi di commissioni e forme di governo, come si è avuto modo di anticipare, deve sicuramente essere messa in rapporto con plurime variabili capaci di rendere l’idea del concreto svolgersi di tali rapporti negli ordinamenti considerati. Del resto, come si ricorderà dalla prima sezione, questo aspetto è valido anzitutto per l’analisi delle forme di governo in sé, al punto che l’introduzione o meno di condizioni da tenere in considerazione nell’approccio alla nozione ha non di rado avuto come effetto la messa in dubbio dell’utilità dello stesso concetto di forma di governo, ritenuto inconcepibile alla luce dei numerosi
profili di cui tenere conto.
Per quanto riguarda le commissioni parlamentari nel loro rapporto con le forme di governo, le variabili possono essere divise in parlamentari ed extraparlamentari. La dottrina ha individuato di esse una vasta gamma; gamma che pare opportuno riportare, ma sulla quale andrà operata una selezione onde
fare emergere quelle più rilevanti.
Delle variabili parlamentari si è già avuto modo di accennare. Esse pertengono principalmente alla forza delle commissioni nel sistema in cui operano; pertanto, si tratterà di elementi strutturali, quali il numero e le dimensioni degli organi; il ruolo dei partiti nella designazione dei loro membri; l’organizzazione interna delle commissioni, e in particolare l’attribuzione di ruoli riguardanti quest’ambito (presidenza in primis); l’autonomia organizzativa; gli apparati informativi e di documentazione di cui sono dotate; la capacità di coordinamento con le altre commissioni e, in particolare, la risoluzione di conflitti di competenza. Si tratta, dunque, di variabili che attengono alla configurabilità stessa dei sistemi di commissione per come sono stati descritti sopra106.
Sono invece variabili extraparlamentari quelle che pertengono non tanto e non
64 solo alla ricaduta esterna all’organo commissariale nell’attività di organi diversi dall’assemblea legislativa, ma soprattutto i condizionamenti che essa subisce dall’esterno. Si tratta, in estrema sintesi, dell’integrazione, nel quadro dell’analisi dei sistemi di commissione, di tutti quegli elementi derivanti dalla configurazione della forma di governo nel cui ambito le commissioni sono chiamate ad operare. Anche in questo caso, la gamma di variabili considerabili è piuttosto corposa, potendosi ravvisare nel pluralismo dell’ordinamento; nella composizione del governo in rapporto alla maggioranza parlamentare (e ai tipi di maggioranza parlamentare, dunque se si sia in presenza di una compagine monocolore, di coalizione, di minoranza, ecc.); nei rapporti e nella sovrapponibilità reciproca tra competenze dei dicasteri e competenze delle commissioni; nei ruoli tra Governo e Parlamento nella programmazione dei lavori parlamentari; nella possibilità per le commissioni di intervenire effettivamente ed efficacemente nella determinazione dell’indirizzo politico; nelle interazioni necessarie delle commissioni in sede di esercizio di funzioni parlamentari, e in particolare delle funzioni di controllo107.
Di questi criteri si dovrà operare, necessariamente, una selezione; in particolare, ci si dovrà concentrare sull’esercizio, da parte delle commissioni, di funzioni diverse dalla legislativa; né si potrà trascurare il ruolo dei partiti. D’altro canto, se da un lato si ritiene opportuno ridurre l’apparato di elementi su cui porre l’accento, dall’altro lo si estenderà anche all’analisi delle commissioni parlamentari d’inchiesta, o comunque sull’esercizio dell’inchiesta parlamentare da parte delle commissioni permanenti in quegli ordinamenti in cui, come si anticipava in sede di prima sezione, non è contemplata l’istituzione di commissioni parlamentari
destinate ad hoc alle inchieste parlamentari.
In particolare, merita di essere approfondito l’aspetto partitico, che, come si ha modo di notare raffrontando i due elenchi di variabili, può essere inteso in maniera tanto endoparlamentare, quanto extraparlamentare.
65 Dal primo punto di vista, la qualificazione delle commissioni parlamentari quali comitati politici di eletti presuppone, come si è avuto modo di dire, che nella loro composizione entri in gioco la dimensione politica dei membri delle commissioni; dimensione che si traduce nella necessaria presenza di gruppi parlamentari sulla cui base differenziare i membri delle assemblee legislative, nonché, in maniera tendenziale, nella riproduzione, in sede di commissione, dei medesimi rapporti numerici occorrenti tra le forze politiche in sede di plenum assembleare. Tale principio può essere visto come la cartina tornasole di situazioni ben diverse, che molto possono dire sui sistemi di commissioni, permettendo, anzitutto, di dividerli in sistemi dove è obbligatorio per i parlamentari partecipare ad almeno una commissione (si pensi all’Italia, alla Francia e agli Stati Uniti) e sistemi dove tale obbligo invece non sussiste (Regno Unito), e in base alle modalità di distribuzione tra i gruppi politici dei seggi commissariali – affidata, ad esempio, alla maggioranza negli Stati Uniti; tenendo conto della rilevanza all’interno del gruppo del singolo parlamentare, come avviene nel Regno Unito, dove non partecipano alle commissioni parlamentari i back-benchers; affidata al Presidente