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Forme di governo e sindacato ispettivo delle Camere: casi a confronto

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Academic year: 2021

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UNIVERSITÀ DI PISA

Dipartimento di Giurisprudenza

Corso di Laurea Magistrale in Giurisprudenza

Tesi di Laurea

F

ORME DI GOVERNO E SINDACATO ISPETTIVO DELLE

C

AMERE

:

CASI A CONFRONTO

Candidato: Relatore:

Giuseppe Lauri Ch.mo prof. Rolando Tarchi

(2)

2

“The third function of Parliament, is what I may call — preserving a sort of technicality even in familiar matters for the sake of distinctness — the teaching function. A great and open council of considerable men cannot be placed in the middle of a society without altering that society”.

(W.BAGEHOT, The English Constitution, 1867)

“Figlio mio, ricorda bene che la vita che avrai non sarà mai distante dall’amore che dai. Ricorda di disobbedire perché è vietato morire”. (E.META)

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3

INDICE

INTRODUZIONE ... 5

SEZIONE I – I CONCETTI FONDAMENTALI: FORMA DI GOVERNO. COMMISSIONI PARLAMENTARI E COMMISSIONI PARLAMENTARI D’INCHIESTA. ... 10

CAPITOLO I - LA NOZIONE DI FORMA DI GOVERNO ... 10

§ 1. La forma di Governo a partire dalla definizione di Costantino Mortati ... 12

§ 2. L’allargamento della questione: le istanze politologiche nella definizione di forma di Governo data da Leopoldo Elia e le successive evoluzioni e reazioni ... 18

§ 2.1. Il rapporto tra forma di governo e sistema partitico negli studi successivi a quello di Elia ... 23

§ 3. Un concetto utile? Scopi e funzioni della classificazione per forme di governo ... 25

CAPITOLO II – LE COMMISSIONI PARLAMENTARI PERMANENTI E D’INCHIESTA, ASPETTI COMUNI ... 28

CAPITOLO III – LE COMMISSIONI PARLAMENTARI PERMANENTI ... 42

CAPITOLO IV – LE COMMISSIONI PARLAMENTARI D’INCHIESTA ... 49

SEZIONE II – FORMA DI GOVERNO E COMMISSIONI PARLAMENTARI. L’ESPERIENZA DI REGNO UNITO, STATI UNITI E FRANCIA ... 54

CAPITOLO I – FORME DI GOVERNO E SISTEMI DI COMMISSIONE, UN PRIMO INQUADRAMENTO. LE TASSONOMIE ... 54

§ 1. La classificazione delle forme di governo ... 54

§ 2. La classificazione dei sistemi di commissione. Una prima disamina. ... 61

§ 3. Le variabili da considerare nel rapporto ... 63

§ 4. Sistemi di commissioni parlamentari permanenti e forme di governo, una prima traccia ... 68

§ 5. Il concetto di base: l’evoluzione della forma di governo come evoluzione del sindacato ispettivo delle Camere ... 72

CAPITOLO II – IL SINDACATO ISPETTIVO DELLE COMMISSIONI E L’INCHIESTA PARLAMENTARE NEL REGNO UNITO ... 73

CAPITOLO III – IL SINDACATO ISPETTIVO DELLE COMMISSIONI E L’INCHIESTA PARLAMENTARE NEGLI STATI UNITI D’AMERICA ... 83

CAPITOLO IV – IL SINDACATO ISPETTIVO DELLE COMMISSIONI E L’INCHIESTA PARLAMENTARE IN FRANCIA ... 93

SEZIONE III- CONCLUSIONI ... 102

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4

§ 2. Superare i dogmatismi ... 104

§ 3. Le trasformazioni interne alle forme di governo come elemento evolutivo del sindacato ispettivo delle Camere ... 105

§ 4. Una ricerca sbagliata? ... 111

§ 5. Un’analisi che deve continuare ... 115

BIBLIOGRAFIA ... 117

SITOGRAFIA ... 121

(5)

5

INTRODUZIONE

Il presente lavoro intende analizzare il rapporto tra evoluzione delle forme di governo ed evoluzione del sindacato ispettivo considerando tre precise esperienze: il Regno Unito, gli Stati Uniti d’America e la Francia. Questi tre sistemi, in particolare, sono ciascuno il più rappresentativo, allo stato attuale, di altrettante forme di governo – rispettivamente, la parlamentare, la

presidenziale e la semipresidenziale.

L’analisi del rapporto tra forme di governo e sindacato ispettivo delle commissioni parlamentari – in particolare, relativamente all’istituto dell’inchiesta parlamentare - è un tema di per sé poco affrontato dalla letteratura giupubblicistica. Inoltre, esso è stato affrontato in direzione, per così dire, opposta, avendo preferito la letteratura scientifica esistente in materia (o comunque una buona parte di essa) analizzare l’influenza della variabili parlamentari – e, all’interno di esse, dei poteri di controllo e degli strumenti di sindacato ispettivo in capo alle Camere - sulla forma di governo. Idea di base della presente analisi è, invece, cercare una correlazione (più o meno diretta) tra emergere progressivo di nuove forme di governo ed evoluzione dei poteri di controllo e di sindacato ispettivo, relativamente alle potenzialità che questi

possono assumere nel concreto.

A questo scopo, il lavoro si suddivide in tre sezioni. Una prima sezione è dedicata all’enucleazione dei concetti fondamentali utili all’indagine. In particolar modo, essi sono stati individuati nel concetto di forma di governo e nella chiarificazione delle nozioni di commissione parlamentare permanente e di commissione parlamentare d’inchiesta. A proposito del concetto di forma di governo, si rende conto delle elaborazioni dottrinali in argomento, assumendo come punto di vista privilegiato il dibattito occorso nella letteratura giuspubblicistica italiana del secolo scorso. Vengono

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6 tracciate le linee essenziali delle diverse prospettive, talora confliggenti tra loro, elaborate in un lungo arco di tempo e ben lungi dall’essere giunte ad un approccio definitivo. Tali prospettive, in particolare, non possono prescindere da rendere conto della necessità di stabilire in che termini la nozione di forma di governo, da questione giuridica, diviene questione politologica. Della nozione di forma di governo, dunque, si è proceduta a fornire tanto la pars costruens segnata, in particolare, dagli studi di Costantino Mortati e Leopoldo Elia e, in tempi più recenti, di Mauro Volpi; quanto la pars destruens, rappresentata dai contributi di Massimo Luciani che, in particolare, hanno reso conto dei rischi metodologici e gnoseologici della nozione. Il tema della forma di governo, infatti, è stato via via arricchito, dagli studiosi, della necessità di inserirvi la contemplazione e l’analisi di numerose variabili. Proprio questo aspetto può essere ritenuto uno dei principali apporti della dottrina nostrana all’analisi delle forme di governo, e non ha mancato, tuttavia, di generare perplessità anche radicali, come

si avrà modo di illustrare.

Per quanto riguarda le commissioni parlamentari permanenti e d’inchiesta, si è ritenuto opportuno dividere la trattazione in tre partizioni. Anzitutto, sono stati specificati i caratteri comuni ai due istituti, prestando anche qui attenzione al fatto che anche questa trattazione, come quella relativa alla nozione di forma di governo, dev’essere necessariamente impostata lungo una prospettiva borderline che renda conto delle numerose considerazioni svolte tanto dagli studiosi di diritto quanto di scienza politica circa le ragioni che hanno condotto e conducono il parlamentarismo moderno e contemporanee ad organizzarsi in commissioni. Tenendo comunque maggiormente in considerazione l’ottica giuridica, il capitolo in esame riconduce lo studio delle commissioni parlamentari nel complesso all’ambito degli studi parlamentaristici contemporanei, a partire dall’enucleazione delle funzioni riconosciute, in varie fasi storiche, dalla dottrina a quegli organi che talvolta solo parzialmente possono essere definiti come assemblee “legislative”,

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7 essendo state incaricate, nel corso del tempo, di una molteplicità di ruoli anche radicalmente diversi da quello di meri legislatori. Tenendo conto, in particolare, degli spunti dottrinari in argomento emersi a partire dagli studi di Walter Bagehot e Joseph Barthélemy, e proseguiti, solo per tener conto di alcuni esponenti, da Andrea Manzella e Cristina Fasone, si cercherà di inquadrare nell’ambito di quali, tra le funzioni parlamentari individuate dalla dottrina, le assemblee elettive hanno ritenuto ricorrere al lavoro in commissione, e per quali motivi. La seconda sezione prosegue poi con l’approfondimento relativo alle sole commissioni parlamentari permanenti, a partire dall’emergere storico dell’istituto e della sua funzione in rapporto alle attività dell’esecutivo e della maggioranza parlamentare. Anche in questo caso, accento particolare è posto sull’articolarsi, nel corso del tempo, dei compiti specifici attribuiti alle commissioni parlamentari e alla possibilità di inquadrare l’esistenza di veri e propri “sistemi di commissione”. La prima sezione del lavoro si chiude con l’analisi dell’istituto delle commissioni parlamentari d’inchiesta e del potere di inchiesta parlamentare quale peculiare strumento di sindacato ispettivo delle Camere. Data la nozione di inchiesta parlamentare, in particolare, si approfondirà il tema dell’opportunità del suo svolgimento in forma commissariale. Si avrà modo, poi, di anticipare come in non tutti gli ordinamenti l’inchiesta parlamentare sia affidata in via esclusiva a

commissioni costituite ad hoc.

La seconda sezione del lavoro è dedicata all’analisi dei casi concreti. All’analisi delle tre esperienze parlamentari di cui questo lavoro si occupa sono premesse le tassonomie relative alle forme di governo e ai sistemi di commissioni parlamentari, spiegandone le origini e descrivendole. In particolare, vengono tratteggiati i tratti fondamentali delle tre forme di governo privilegiate dal lavoro (parlamentare, presidenziale, semipresidenziale) e delle tipologie di sistemi di commissioni parlamentari permanenti in rapporto all’esecutivo (deboli, parzialmente influenti, forti, predominanti). Quest’ultima classificazione tiene

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8 conto dei rapporti tra forma di governo e commissioni parlamentari permanenti globalmente considerate a partire dalle influenze delle seconde sulle prime; tuttavia, si è ritenuto opportuno richiamarla per due ordini di motivi. Intanto, perché è un primo approccio di tipo correlativo tra l’istituto commissariale e la forma di governo, a significare come non sia peregrino cercare una relazione tra questi due poli - per quanto questo avvenga da una prospettiva diametralmente opposta a quella del presente lavoro. Secondariamente, permette di cogliere, come già fatto per la forma di governo, la presenza di alcune variabili di cui tenere conto. È stata operata una selezione tra esse delle più rilevanti, al fine di poterle

descrivere al meglio.

La sezione seconda prosegue poi con l’esplicazione del sindacato ispettivo delle commissioni parlamentari, permanenti e d’inchiesta, nei singoli casi analizzati dal presente lavoro. Per ognuno degli ordinamenti viene descritto l’atteggiarsi concreto del sindacato ispettivo a partire dalle fasi storiche che esso ha conosciuto, per proseguire con l’analisi degli strumenti a disposizione dell’inchiesta parlamentare, sia affidata alle commissioni permanenti, che ad organi ad hoc costituiti.

La terza sezione è dedicata alle risultanze dell’analisi nel complesso. In particolare, si cercherà di fornire una risposta al quesito circa la possibilità di vedere una correlazione tra evoluzione delle forme di governo ed evoluzione del sindacato ispettivo delle Camere.

(9)

9 ***

Questo lavoro è dedicato alla memoria di Valeria Solesin, Giulio Regeni, Fabrizia Di Lorenzo, e di tutti i giovani italiani all’estero per motivi di studio o di lavoro sottratti all’abbraccio delle loro famiglie da tragici eventi, spesso in circostanze tuttora gravate da colpevoli silenzi. Fatti non fummo a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza.

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SEZIONE I – I CONCETTI FONDAMENTALI: FORMA DI

GOVERNO. COMMISSIONI PARLAMENTARI E COMMISSIONI

PARLAMENTARI D’INCHIESTA.

L’analisi del rapporto tra forme di governo e sindacato ispettivo non può non iniziare senza l’enucleazione e la precisazione delle componenti principali di questa relazione; elementi che possono essere rintracciati in una sorta di trinomio notevole espresso dai tre concetti fondamentali di forma di governo, commissioni parlamentari permanenti e commissioni parlamentari d’inchiesta. Questa prima sezione, nell’intento di porre le basi dell’intero lavoro, sarà dunque dedicata alla specificazione di queste tre nozioni fondamentali. Tra esse, ha sicuramente maggior rilevanza – per importanza, pervasività e complessità – la prima; le altre due, invece, possono, a primo acchito, essere viste come legate tra loro da un rapporto genus (commissioni parlamentari) a species (commissioni parlamentari d’inchiesta).

CAPITOLO I - LA NOZIONE DI FORMA DI GOVERNO

Nell’introduzione alla presente sezione, si è fatto riferimento alla complessità del concetto di forma di governo; e non sembra azzardato riassumere con questa parola il tortuoso (e tendenzialmente non concluso) percorso compiuto dalla letteratura giuspubblicistica nel tentativo di definire cosa si debba intendere per forma di governo. Si tratta di un lungo dibattito che è andato ben oltre lo scopo di approdare ad una definizione pacifica del concetto, ma che ha interessato anche le sue relazioni con altri ambiti del diritto pubblico e della scienza politica, nonché le concrete “ricadute pratiche” dell’utilizzo – in un senso, piuttosto che in un altro – dell’espressione1, e di cui si tenterà di dare maggior conto nel corso del lavoro. La

definizione di forma di governo più invalsa nella letteratura scientifica italiana, quella di Costantino Mortati, che oggi si dà di forma di governo è frutto, e allo

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11 stesso tempo tappa (e non approdo definitivo), di un percorso le cui tappe

meritano di essere tratteggiate2.

Va peraltro detto che il dibattito sul significato da dare all’espressione “forma di Governo” e al suo utilizzo ha costituito una punta di diamante della letteratura giuspubblicistica italiana. Per molto tempo, infatti, la dottrina straniera ha fatto molta fatica nello scindere tra loro quelle due nozioni che oggi sono inquadrati

come “forma di Stato” e “forma di Governo”, stante la tendenza degli studi più

risalenti ad identificare come una sola cosa i termini “Stato” e “Governo”; a questo proposito, la dottrina ha notato come vi fosse una serie di ostacoli che possono essere ravvisati in due ordini:

- un primo fattore, che potremmo definire “metodologico”. Invero, gli studi

sulla forma di Stato e la forma di Governo risalgono già agli albori della civiltà occidentale col Politico di Platone3, e si sono susseguiti nel corso dei

secoli sulla sua scia nell’opera di altri illustri pensatori4, pressoché fino ai

giorni nostri5; senonché questi studi, oltre a non tracciare la distinzione

fondamentale tra i due concetti base di forma di Stato e forma di Governo, avendo intenti prescrittivi piuttosto che descrittivi ovvero metodologici,

2 Per una rapida ricostruzione del dibattito sulla nozione di forma di Governo, sono fortemente

debitore verso M.VOLPI, Il metodo nello studio e nella classificazione delle forme di governo, in Diritto

pubblico comparato ed europeo, fasc. 1/2015, pp. 131-166. Ad esso si rimanderà diffusamente nel corso

della trattazione.

3 In particolare, la questione è affrontata nelle sezz. 292a-297c del dialogo, dove vengono tracciate

le linee di sette diverse costituzioni: monarchia, aristocrazia, democrazia retta da leggi, democrazia non retta da leggi, oligarchia, tirannia, sofocrazia. Per un approfondimento, rimando all’apparato critico del dialogo curato da M. C. PIEVATOLO, Il Politico di Platone, 2009 (disponibile all’url:

http://btfp.sp.unipi.it/dida/politico/index.xhtml).

4 Si pensi, solo per limitarci ai più influenti, ad Aristotele, Machiavelli, Bodin, Hobbes, Locke. 5 Giungendo dunque ai contributi, anche qui per ricordare solo i più importanti, Schmitt, Kelsen e

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12 hanno quasi sempre suggerito quale forma di organizzazione politica sarebbe stato più opportuno realizzare, procedendo, non di rado, ad una distinzione tra forme apprezzabili e forme degenerate. In questo senso, il pregiudiziale apprezzamento per un determinato modello elevato a modello di paragone di tutte le esperienze analizzate ha fatto sì che mancasse la neutralità di analisi intesa quale separazione tra intenti analitici e intenti prescrittivi relativamente alla forma di governo;

- un fattore che potremmo definire linguistico, dato dall’ambivalenza di

parole come “Government” (in inglese) e “régime” (in francese) tale da ricoprire entrambi i concetti oggi definiti come forma di Stato e forma di Governo6.

Solo sul finire degli Anni Trenta del secolo scorso, grazie agli studi di Emilio Crosa7, comincia ad avvertirsi in Italia l’esigenza di delimitare tra loro i concetti di

forma di Stato e forma di Governo, e restringendone il campo di indagine onde pervenire ad una caratterizzazione degli istituti ad esse riconducibili. E proprio l’opera dello studioso piemontese ha aperto la strada ai più fecondi contributi successivi: quelli di Costantino Mortati e Leopoldo Elia.

§ 1. La forma di Governo a partire dalla definizione di Costantino Mortati La nozione di forma di Governo più fortunata in letteratura e manualistica è quella prefigurata da Costantino Mortati agli inizi degli Anni Settanta del secolo scorso. Secondo l’illustre studioso, si deve intendere la forma di Governo come

«il modo con cui le varie funzioni dello Stato sono distribuite e organizzate

6 Per quanto tale argomento possa risultare peregrino, cfr. inter alios M.VOLPI, op.cit., p.131 (sub n.

1) e L. ELIA,Governo (forme di), in Enciclopedia del Diritto, Giuffrè, Milano, 1970, XIX, p. 637.

7 La dottrina ravvisa la compiutezza degli studi sull’argomento in E.CROSA, Sulla classificazione delle forme di governo, in AA.VV., Scritti giuridici in onore di Santi Romano, Giuffrè, Milano, 1939, vol. I, p.

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13

fra i diversi organi costituzionali»8.

Si tratta di un assunto che ha dato origine ad una serie nutrita di ulteriori approcci dottrinari tesi a chiarirne il significato e la portata, nonché ad evidenziarne l’utilità ai fini scientifici e il rapporto con la realtà. Anzitutto, ci si è chiesto quali tipi di regole presidino i modi di distribuzione e organizzazione delle funzioni statali. È un tema centrale ai fini dello studio del diritto pubblico, in quanto portato diretto dell’essenziale divario metodologico tra la scienza giuridica e la scienza politica nello studio delle forme di governo. Si tratta di due diversi punti di vista sulla medesima questione; a parità di oggetto, la scienza politica si concentra sull’incidenza dei soggetti politici nel funzionamento delle istituzioni, laddove invece lo studioso di diritto assumerà come base della propria analisi il dato normativo, e dunque le regole su cui si basa il rapporto9.

In particolare, il giurista individua la tensione tra regole giuridiche (comprese le norme consuetudinarie) e regole convenzionali. A rigore, queste ultime andrebbero escluse, in quanto esprimono atteggiamenti propri degli attori politici,

8 Cfr. C.MORTATI,Le forme di Governo. Lezioni, CEDAM, Padova, 1973 p. 3.

9 Cfr. sull’argomento, inter alios, L. ELIA, op. cit., p. 638; G. BOGNETTI, Introduzione al diritto costituzionale comparato, Giappichelli, Torino, 1994, pp. 11-12. Non si può inoltre sottacere il

contributo di Norberto Bobbio alla questione. Secondo l’illustre Autore, «Tanto al giurista quanto allo

scienziato della politica interessano i comportamenti tipici o astratti, non i comportamenti di questa o quella persona, indicata con un nome proprio: in ciò differiscono entrambe dalla storia. Ma il giurista fa oggetto delle proprie ricerche i comportamenti in quanto sono regolati dalle norme di un determinato ordinamento giuridico, e li studia per conoscere quali sono le cosiddette conseguenze giuridiche (e quindi in termini di doveri, poteri, facoltà, ecc.) che da quella determinata qualificazione normativa derivano. Un comportamento non regolato non entra nell’orizzonte di ricerca del giurista. Lo scienziato della politica, invece, studia, di un comportamento, soprattutto le motivazioni e le conseguenze rispetto ai fini proposti». Cfr. N.BOBBIO, La

scienza politica italiana: insegnamento e autonomia interdisciplinare, in Tempi moderni, VI, n. 13, 1963,

pp. 45 ss., ora in ID. Saggi sulla scienza politica in Italia, Laterza, Roma-Bari, 1996, pp.3 ss, spec. pp. 8-9.

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14 spesso oggetto di veri e propri accordi tra gli stessi, tendenzialmente stabili, ma liberamente modificabili in qualsiasi momento, e dunque non dotati della stabilità e della cogenza proprie delle regole giuridiche (in primis, di quelle di rango costituzionale); la modifica di queste ultime spesso può adombrare un mutamento della stessa forma di governo, di cui esse basano, in un certo qual senso, l’identità10.

Altra questione riguarda l’identificazione degli organi costituzionali che vengono in considerazione nel momento in cui si accetta la nozione di forma di Governo proposta da Mortati. Ci si è chiesto, in particolare, se vadano considerati tutti gli organi costituzionali, o solo alcuni di essi. Su questo tema, i contributi più originali sono quelli di Mauro Volpi e di Massimo Luciani; contributi, peraltro, che in un certo senso possono essere visti come evoluzioni della nozione di forma di governo fornita da Mortati, in quanto permettono, sulla scorta degli studi di Leopoldo Elia11, di inquadrare la nozione di

forma di governo in un contesto più sensibile alle dinamiche politologiche, oltre che giuspubblicistiche, nel momento in cui si ponga la possibilità di includere i

10 Sul rapporto tra norme convenzionali e forma di governo, e anticipando in parte quanto si dirà

sulle convenzioni partitiche, si innesta la distinzione, operata da Antonio Ruggeri, tra regole della

politica e regolarità della politica. Le prime possono essere viste come il sostrato fondamentale che,

nel lungo periodo, presidia al funzionamento del sistema politico, laddove le seconde possono invece essere viste come comportamenti episodici destinati a funzionare nel breve periodo. In entrambi i casi ci si trova di fronte a norme di natura convenzionale o consuetudinaria capaci di influire sulla forma di governo, integrando le norme costituzionali. Questo fa sì che la prassi politica possa ben essere compresa nell’esame della forma di governo, purché essa non ingeneri in comportamenti contrari a Costituzione. Cfr. A. RUGGERI, Il Governo tra vecchie e nuove regole e regolarità (spunti problematici), in ASSOCIAZIONE ITALIANA DEI COSTITUZIONALISTI, Il Governo,

Annuario 2001, CEDAM, Padova, 2002, pp. 317-ss; M.LUCIANI, Governo (forme di), in Enciclopedia del

Diritto, Giuffrè, Milano, 2010, Annali III, p. 566; C.FASONE,Sistemi di commissioni parlamentari e forme di governo, CEDAM, Padova, 2012, pp. 27-28.

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15 partiti tra gli organi di cui tenere conto. Si avrà modo di approfondire la questione

nei prossimi paragrafi12.

Secondo Volpi, è possibile specificare la nozione di forma di governo come «l’insieme delle regole giuridiche che caratterizzano la distribuzione del potere

politico tra gli organi costituzionali»13.

In questo caso, la nozione fa un passo ulteriore rispetto a quella proposta da Mortati. Essa, infatti, viene ad accogliere la dimensione della politicità nella descrizione del concetto di forma di governo. La forma di governo, per come deve essere intesa dal giurista, è un corpus di regole imperniato sulla distribuzione del potere politico tra organi titolari di una funzione costituzionalmente regolata, ma marcatamente politica, avente cioè caratteri ed effetti politici14. Saranno dunque certamente da tenere in considerazione il

Governo e il Parlamento, organi costituzionali che notoriamente, nei sistemi democratici, sono i primi titolari nella compartecipazione all’indirizzo politico. La loro azione tiene costantemente conto di un dato politico (si pensi, per fare un esempio basilare, ai risultati elettorali) e sulla base di un dato politico orientano i rapporti tra loro (si pensi al rapporto fiduciario, o comunque a tutte quelle variabili che legano alla caratterizzazione politica del Parlamento quella dell’esecutivo). In tal senso, inoltre, è sicuramente organo costituzionale da tenere in considerazione il Capo dello Stato, a prescindere dall’incisività che esso può avere nelle diverse esperienze ordinamentali sulla determinazione dell’indirizzo politico15. Al contrario, la

12 Cfr. infra, in particolare, § 2.1.

13 M.VOLPI,Libertà e autorità. La classificazione delle forme di Stato e delle forme di Governo, Giappichelli,

Torino, 2013, p. 6.

14 Cfr., a questo proposito, M.VOLPI, Il metodo, pp. 134-135.

15 Ad esempio, per riprendere alcuni esempi fatti dall’Autore, un conto è il ruolo di impulso e

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16 mancanza di discrezionalità che caratterizza l’agire tanto delle Corti costituzionali, quanto dei giudici, depone in senso decisamente negativo nei confronti di una loro inclusione tra i componenti della forma di governo. Le prime, nel fornire l’interpretazione costituzionalmente orientata delle leggi, trovano proprio nella Costituzione un argine a qualsivoglia esercizio discrezionale di un potere che non è certo libero nel fine; i secondi, garantendo l’applicazione delle leggi, sono a maggior ragione vincolati da queste ultime, oltre che dalla Carta fondamentale. Va peraltro notato come la funzione giurisdizionale – sia essa quella tipica del sindacato di legittimità costituzionale propria delle Corti superiori, piuttosto che quella dedicata alla soluzione di controversie singole tra attori giuridici – si svolga con tecniche e atti propri, ed è comunque cosa ben diversa ed estranea rispetto alla

determinazione dell’indirizzo politico16.

Altri spunti ci derivano dalla definizione di forma di governo fornita da Luciani, in base alla quale ci si trova di fronte ad un

«insieme dei regole giuridiche che disciplinano i rapporti fra i poteri e gli

organi costituzionali titolari di attribuzioni decisionali di natura politica»17.

In questo caso, agli organi costituzionali e all’imprescindibile dato dell’indirizzo politico, si aggiunge il riferimento ai poteri costituzionali18, potenzialmente capace

per l’Autore di dilatare ulteriormente il novero delle componenti di cui tenere conto in tema di forma di governo. Secondo Luciani, infatti, oltre al Parlamento, al

eccezionali), un altro quello dei Capi di Stato repubblicani (che in non poche esperienze hanno invece un peso decisivo nel riequilibrio tra organi costituzionali).

16 Cfr. M.VOLPI, op. ult. cit., p. 135. 17 M.LUCIANI, op. cit., p. 540.

18 Sembra utile rimandare alle nozioni di potere dello Stato, potere-organo e organo-potere enucleate da

Roberto Romboli in R. ROMBOLI, La giustizia costituzionale, in IDEM (cur.), Manuale di diritto

(17)

17 Governo e al Capo dello Stato, bisogna tenere senz’altro conto di un altro attore: il popolo in quanto corpo elettorale, capace di determinare l’indirizzo politico con propri atti che vengono ad essere «a contenuto costituzionale, liberi nel fine e con limiti

indicati […] soltanto dalla Costituzione». Da ciò, dunque, deriverebbe la valenza di

componenti della forma di Governo del sistema elettorale, dell’iniziativa legislativa popolare e del referendum. Se il popolo in sé è certamente elemento costitutivo della forma di Stato, in quanto fondamento di ogni potere costituzionale e titolare della sovranità, il popolo corpo-elettorale può certamente afferire alla forma di Governo, poiché capace di incidere – in maniera anche

decisiva - sull’assetto dei poteri politici.

A questa visione, tuttavia, lo stesso Volpi ribatte ponendo alcune osservazioni19.

Si è detto che il corpo elettorale incide sull’assetto dei poteri e degli organi politici; questa possibilità, però, è cosa ben diversa dall’incidere sui rapporti tra poteri e organi politici, in quanto tali rapporti sono fissati in via preventiva dalla

Carta costituzionale.

Né può ravvisarsi la natura di componente della forma di Governo del sistema elettorale. L’insieme delle regole che presidiano, ai vari livelli di governo, a trasformazione dei voti in seggi, e dunque la composizione delle assisi politiche, ha certamente un rilievo costituzionale; ma anche a proposito di esso si può e si deve notare come non sia suscettibile né di distribuire i poteri tra gli organi costituzionali, né di determinarne i rapporti. Per riprendere un esempio dello studioso in punto di critica al Luciani, è noto come i risultati elettorali spesso non siano decisivi neppure ai fini della configurazione dei rapporti di forza politici che vengono a determinarsi tra Governo e Parlamento20.

Un discorso più articolato merita la questione della comprensibilità dei referendum tra le componenti della forma di Governo. Certamente, non

19 Cfr. M.VOLPI,op. ult. cit., pp. 136-139.

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18 afferiscono a quest’ultimo concetto quelle tornate referendarie che possono essere definite come “fondative” (si pensi al referendum istituzionale italiano del 1946). Esse hanno natura costituente e, come tali, si pongono alla base di una nuova e ben

definita forma di Stato rispetto alla precedente.

Le tornate referendarie di natura diversa, così come l’iniziativa legislativa popolare, sarebbero invece insuscettibili di rientrare tra le componenti della nozione di forma di Governo in quanto o hanno funzione limitativa, integrativa e solo eccezionalmente sostitutiva di quella esercitata dagli organi rappresentativi (ed è il caso, principalmente, dell’iniziativa legislativa popolare, anche in sistemi ove essa è molto forte, quale quello elvetico) o, comunque, pur riguardando aspetti complessi e virtualmente incisivi, non modificano i rapporti tra poteri e organi dello Stato (si pensi ai referendum elettorali del 1993 in Italia).

§ 2. L’allargamento della questione: le istanze politologiche nella definizione di forma di Governo data da Leopoldo Elia e le successive evoluzioni e reazioni

Finora, si è volutamente accantonata una definizione di forma di governo che pure ha riscosso apprezzamenti nella dottrina giuspubblicistica italiana. Si tratta del contributo sulla nozione di forma di governo curato nel 1970 da Leopoldo Elia per l’Enciclopedia del Diritto. Tale scritto, come nota Volpi, «ha segnato certamente uno

spartiacque proponendo un approccio non più solo statico ma dinamico al tema delle forme

di governo»21.

Tale mutamento di prospettiva si deve alla vera novità insita dallo studio di Elia: allargare il discorso sulle forme di governo ai suoi rapporti col sistema dei partiti; un mutamento di prospettiva, per così dire, che getta un ponte tra scienza giuridica e scienza politica nell’approcciarsi al tema della forma di governo, e che rende conto della forte, oltre che storica compresenza delle due discipline

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19 sull’argomento22.

Secondo Elia, che pone a base del suo ragionamento la definizione di forma di governo posta da Mortati,

«non è possibile (né in funzione conoscitiva, né in funzione prescrittiva) prescindere dal contesto partitico in cui si iscrivono le formule organizzative dei rapporti tra esecutivo e legislativo. Sicché il criterio di classificazione dovrà, senza rifiutare come elemento di partenza le formule predette23, qualificarle in relazione ai diversi sistemi di partito»24.

La necessità dell’inclusione dei partiti nell’analisi delle forme di governo (e non, come esplicitamente notato dallo stesso Elia, tra le componenti della nozione) deriva dalla presa d’atto dell’ingresso dei partiti politici - e poi dei partiti di massa

- nei moderni sistemi politici democratici.

Si tratta di una tappa fondamentale della riflessione giuspubblicistica sul tema della forma di governo, che ben merita di essere ricostruita, anche ai fini di porre alcuni punti fermi nell’ambito della nozione in analisi. L’interpretazione di Elia parte da una questione pregiudiziale: la nozione di forma di governo è legata a quella di forma di Stato, e strumentale ad essa. Esse, stante la dinamicità del diritto costituzionale vivente, sono necessariamente interferenti tra loro. In particolare,

«il carattere strumentale della forma di governo rispetto alla forma di stato

implica giudizi di adeguatezza della prima rispetto alla seconda, sicché sia possibile (…) valutarne la rispondenza, ad esempio, alle esigenze di piena democraticità. In secondo luogo, è impossibile nascondersi che il cattivo funzionamento della forma di governo può mettere in pericolo la

22 Cfr. supra alla n. 9.

23 Scil., i diversi tipi di forme di governo nell’ambito dello Stato democratico. 24 L.ELIA, op. ult. cit., p. 640.

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20

sopravvivenza della forma di stato»25.

Il vero punto critico, infatti, secondo l’Autore, è il modo di intendere il collegamento tra forme di Stato e forme di governo. A questo proposito, si ricollega ad un precedente ragionamento di Massimo Severo Giannini, secondo il quale – in tema di classificazioni delle varie forme di governo – non si potrebbe parlare di forma di governo parlamentare per gli stati democratici contemporanei in quanto quest’ultima forma di governo sarebbe «storicamente congiunta ad una

forma statale predemocratica di natura oligarchica», essendo espressione di un vero e

proprio «Stato monoclasse borghese» contrapposto allo «Stato pluriclasse

contemporaneo»26.

Nella critica che Elia muove a Giannini si affaccia per la prima volta il tema del rapporto tra partiti politici e forma di governo. Nel riconoscere la subordinazione della forma di governo alla forma di stato nell’analisi giuspubblicistica, Elia rigetta la visione gianniniana circa la inconfigurabilità, negli Stati contemporanei, di una formula di governo parlamentare ricordando come i Paesi europei (ma il discorso può essere esteso a tutte le democrazie occidentali) abbiano conosciuto numerose mutazioni nella loro vita costituzionale. E tra queste mutazioni, l’emergere dei partiti politici è sicuramente quella messa più in risalto dallo studioso. Esso si accompagna e si relaziona, necessariamente, con l’emergere di una «accentuata

tendenza a predeterminare ab extra le deliberazioni del Parlamento».

Secondo Elia, dunque, ha poco senso parlare di una contrapposizione forte tra un parlamentarismo visto come espressione oligarchia e altre forme di governo contemporanee classificate, queste sì, da una democrazia capace di accorgere gruppi di potere (politico, economico, sociale) diversi da quello dominante e di frustrare, sulla base di questa contrapposizione, qualsiasi studio sulle forme di

25 L.ELIA, ibid.

26 Cfr. M.S.GIANNINI, Prefazione a G. BURDEAU,Il regime parlamentare nelle costituzioni europee del dopoguerra, Edizioni di Comunità, Milano, 1950, trad. it. S.COTTA.

(21)

21

governo democratiche.

A questo proposito, Elia nota come il sistema politico parlamentare sia improntato ad una vera e propria «poliarchia»27. Secondo lo studioso, la chiave di

volta per confutare la pretesa limitazione proposta da Giannini va individuata nel pluralismo. È infatti innegabile che vi sia stata una decisiva, costante democratizzazione dei modelli decisionali; questo fenomeno, tuttavia, non ha fatto venire meno gli schemi di forma di governo che sono emersi a partire dal XVIII secolo nelle esperienze inglese e statunitense. Il processo di democratizzazione, in particolare, ha implicato un ingresso dei rappresentanti provenienti dai partiti politici negli organi le cui relazioni compongono la forma di governo, tanto che, giusto per limitarsi al Parlamento, quest’ultimo più che un rappresentante delle oligarchie classiste ravvisate da Giannini è divenuto, per Elia, un vero e proprio «Parlamento dei partiti». Ciò fa sì che lo studio delle forme di governo debba sì adattarsi; ma rispetto a quelli che si potrebbero definire gli schemi classici (presidenzialismo-parlamentarismo28), l’analisi assume una variazione

quantitativa, più che qualitativa, nel momento in cui si tenga conto dei partiti politici; variazione, peraltro, sollecitata dalle mutazioni sociali che si sono vieppiù palesate nei Paesi occidentali nel secondo dopoguerra. Con una grande lungimiranza29, Elia riconosce come si debba allargare il discorso

sulla forma di governo ai partiti senza aver timore dell’utilizzo, da parte del

27 Sulla poliarchia, di fondamentale importanza sono gli studi del politologo Robert Dahl. Cfr. R.

DAHL, On democracy, Yale University Press, Yale, 1998 (trad. it. C. PATERNÒ, Sulla democrazia, Laterza, Roma-Bari, 1998).

28 L’analisi di Elia, in particolare, ricorda come abbia poco senso impostare il discorso sulle forme

di governo secondo l’accezione dualistica monarchia-repubblica, in quanto questo dipolo riguarda la forma di Stato.

29 Che in parte riprende a sua volta una precedente analisi esposta da Vezio Crisafulli in V.

CRISAFULLI, I partiti nella Costituzione, in Studi per il XX anniversario dell’Assemblea Costituente,

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22 giurista, degli studi propri della scienza politica; si dovrà anzi tenere conto del fatto che anche laddove manchino norme sui partiti e sulla loro pluralità, essi si pongano comunque come attori di vere e proprie convenzioni, le convenzioni partitiche30. Queste certamente non sono regole giuridiche, in quanto non fanno

parte della costellazione dei principi costituzionali; non possono essere tradotte in norme scritte di rango costituzionale; né, tantomeno, possono essere utilizzate dalla Corte Costituzionale per la risoluzione di conflitti tra poteri; tuttavia, le convenzioni partitiche producono e recano veri e propri «oneri di natura giuridica», tali per cui l’influenza dei partiti sui principali attori tenuti in conto dallo studio sulle forme di governo (esecutivo e Parlamento) sono tutt’altro che un mero fatto. E anzi, il fenomeno partitico, nelle Costituzioni contemporanee, è spesso contemplato, più o meno implicitamente31.

«Ogni forma di governo include oggi un contesto partitico che la qualifica

almeno in parte, sia dal punto di vista strutturale, sia, più ancora, da quello funzionale: e da ciò deriva che la classificazione delle forme stesse si fonderà su dati normativi e insieme su dati insuscettibili di essere in via diretta disciplinati con norme della Costituzione, ma tuttavia a più di un titolo giuridicamente rilevanti»32.

È per questo che, secondo Elia, va proposta una vera e propria tassonomia autonoma tarata sulla presenza dei partiti nell’ambito della forma di governo, e in particolare della forma di governo parlamentare. Vale la pena di ricordare questo catalogo per come fissato dall’illustre studioso: governo parlamentare a

30 La principale delle quali, nota, Elia, è la conventio ad excludendum.

31 Elia porta ad esempio l’art. 49 Cost. It. (previsione esplicita) e gli artt. 72 e 82 Cost. It. (previsione

implicita per il rimando alla proporzionalità delle rappresentanze dei gruppi parlamentari – e dunque delle forze politiche- nella composizione di commissioni parlamentari e parlamentari d’inchiesta).

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23 bipartitismo rigido; governo parlamentare a multipartitismo temperato; governo parlamentare a multipartitismo esasperato; governo presidenziale; governo a componenti presidenziali e parlamentari; governo direttoriale.

§ 2.1. Il rapporto tra forma di governo e sistema partitico negli studi successivi a quello di Elia

Lo scritto di Elia circa i rapporti tra forma di governo e sistema dei partiti è stato seguito da numerose precisazioni (una delle quali posta dallo stesso Autore). Oltre al cambio di prospettiva – da statica a dinamica - nell’approccio allo studio delle forme di governo33, la dottrina ha insistito sul caveat di non guardare al

sistema dei partiti come componente della forma di governo. Altro tema che pure è stato affrontato è quello di come si debbano tratteggiare le influenze tra i due aspetti (ovvero, se sia la forma di governo ad influenzare il sistema dei partiti

politici, o viceversa).

Quest’ultimo argomento è stato ben considerato da Giuliano Amato, secondo cui le influenze tra forma di governo e sistema dei partiti vanno viste come reciproche. Per lo studioso, la chiave di volta è nella distinzione tra sistema politico e forma di governo: il primo «include tutti i soggetti che organizzano interessi sociali, che effettuano

per ciò stesso mediazioni e compensazioni tra interessi organizzati, che ne fanno valere le istanze in tutte le sedi – comprese quelle pubbliche- dalle quali possono ottenere appagamento»; la seconda, invece, «si ferma ai supremi organi e alle supreme attribuzioni dello Stato e del sistema politico ingloba soltanto il precipitato che ne deriva in ordine alla formazione di questi organi e all’esercizio di quelle attribuzioni».34

In un siffatto quadro, è inevitabile che le due nozioni si influenzino; e tuttavia, il tentativo di cercare relazioni unidirezionali è frustrato da diversi esempi35.

33 Esplicitato dallo stesso Elia e confermato, tra gli altri, da Volpi.

34 G.AMATO,Forme di Stato e forme di governo, Il Mulino, Bologna, 2006, p. 22.

35 Cfr. G.AMATO,op. ult. cit., p. 22-23. All’analisi di Amato può essere ricondotta – di recente -

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24 Certamente più visibili sono i casi in cui il sistema politico influisce sulla forma di governo e sul suo funzionamento (è il caso del Governo di gabinetto in presenza di un sistema bipartitico, situazione che spesso ha portato l’esecutivo ad assumere una centralità nella determinazione dell’indirizzo politico, in quanto espressione di una sola forza politica), ma ciò non toglie che possano osservarsi casi che depongono nel senso contrario in cui «la stessa conformazione del sistema politico può

essere plasmata dal modo in cui sono istituiti e regolati gli organi supremi dello Stato»

(per esempio, nel sistema statunitense e in quello francese, la preminenza del Presidente nella forma di Governo e il fatto che in entrambi i casi esso sia eletto direttamente dai cittadini favorisce assetti partitici bipolaristi, ove non bipartitici). La prima questione, forse la più prolifica di contenuto, derivata dall’analisi di Elia riguarda, come si è avuto modo di anticipare, la qualificazione, o meno, del sistema dei partiti quale componente diretta della forma di Governo. A questo proposito, già pochi anni dopo lo scritto di Elia, Mario Dogliani poneva un argomento contrario. Anzitutto, i partiti, in quanto elementi non normativi, dunque giuridicamente non rilevanti, non dovrebbero rientrare nella nozione di forma di governo. Un apporto del genere, afferma lo studioso, minerebbe la natura prescrittiva delle analisi sulla forma di governo, e dunque impedirebbe quella che per lo studioso è la principale funzione di tale analisi (ovvero, sulla base dei dati normativi, capire se i comportamenti giuridici posti in essere dagli organi componenti la forma di governo siano inquadrabili in un determinato schema di tale nozione, soprattutto quando questi fossero incostituzionali). Si scadrebbe nella mera descrittività, insuscettibile di fornire valutazioni normative36.

In particolare, secondo lo studioso una cosa è il regime costituzionale, «una determinata struttura

giuridica, un insieme di regole relative all’attribuzione e all’esercizio del potere» (e che dunque coincide

col concetto di forma di governo), un’altra il sistema politico, che si sostanzia nei due sottoinsiemi del complesso delle regole giuridiche e del ruolo degli attori politici.

36 M. DOGLIANI, Spunti metodologici per un’indagine sulle forme di governo, in Giurisprudenza costituzionale, 1973, pp. 214-ss.

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25 Il secondo ordine di critica, avanzato invece da Luciani è, in un certo qual modo, negativo: ci si chiede, cioè, perché considerare nella forma di governo (e non solo nella nozione di sistema politico) solo i partiti politici e non anche altri soggetti consimili, pure rilevanti nelle esperienze contemporanee – si pensi ai sindacati e ai gruppi di interesse e pressione - e, in generale, tutti quei fattori extra-giuridici capaci di incidere sul funzionamento della forma di governo. A questo argomenti, Volpi ha ribattuto come Luciani sembri tralasciare un elemento di fondo molto importante: l’inqualificabilità, quali organi costituzionali, dei partiti, e dunque degli altri soggetti cui accenna Luciani nella sua critica37.

È comunque lo stesso Elia, in uno scritto del 200638, a precisare la questione. Nel

distinguere tra struttura della forma di governo e funzionamento della stessa, lo studioso definisce i partiti politici non come componenti costitutive, bensì come

elementi condizionanti la forma di governo, a loro volta da essi condizionata,

accogliendo dunque l’impostazione concettuale espressa in argomento da Amato. «Se i partiti influiscono sugli assetti di governo, a loro volta questi ultimi e le leggi

elettorali possono incidere anche profondamente sul contesto partitico»39.

§ 3. Un concetto utile? Scopi e funzioni della classificazione per forme di governo

Al termine dell’inquadramento – che certamente non ha la pretesa di essere esaustivo - della nozione di forma di governo e dei suoi aspetti principali, sembra opportuno rendere conto circa il dibattito dottrinale sull’utilizzabilità e l’utilità di questa nozione. La validità concettuale della nozione di forma di governo, infatti, è risultata tutt’altro che monolitica, in quanto non sono mancati studiosi che l’hanno

37 I due argomenti sono rintracciabili in M.LUCIANI, op. ult. cit., pp. 553-554 e in M.VOLPI, op. ult. cit., p. 140.

38L.ELIA, Forme di Stato e forme di governo, in S.CASSESE (cur.), Dizionario di diritto pubblico, Giuffrè,

Milano, 2006, vol. III, pp. 2600-ss.

(26)

26

messa in dubbio.

Secondo Luciani, le numerose e complesse variabili che presidiano tanto la struttura, quanto il funzionamento delle forme di governo, frustrerebbero in anticipo la validità di qualsiasi classificazione. Per lo studioso non restano che due strade: operare una classificazione arbitraria – con l’avviso che questa non potrà «offrire indicazioni non sommarie su ciò che accomuna e ciò che differenzia le singole forme

di governo»; oppure, procedere a quella che l’Autore definisce una «non tassonomia» - che si sostanzierebbe in «una sorta di tabella che, per ogni forma di governo storica, consenta di determinare come ciascuna di quelle variabili sia giuridicamente disciplinata ovvero (…) concretamente funzioni»40. Senonché, come

avverte Volpi, quest’ultima soluzione minerebbe alle basi qualsiasi macrocomparazione sull’argomento, dovendosi dunque necessariamente optare per microcomparazioni ciascuna basata sul riscontro, tra le varie forme di governo, della singola variabile considerata. In realtà, la base della critica mossa da Luciani è da rintracciarsi nell’ampio novero di variabili che da più parti della dottrina si vorrebbero considerare quali componenti della forma di governo; il rischio di ravvisata inutilità della nozione di forma di governo a fini comparatistici può essere annullato ove si faccia una seria cernita degli elementi costitutivi della forma di governo, e dunque solo di quei «fattori giuridici che definiscono la ‘forma’ e

non tutti quelli che incidono sul suo funzionamento»41.

D’altro canto, ricorda Giovanni Bognetti, non si può nemmeno indulgere nel senso esattamente opposto a quello di chi vorrebbe criticare l’opportunità dell’impiego, nella scienza giuridica, della nozione di forma di governo, avallando cioè una vera e propria “concezione dogmatica” della classificazione per tipi. Essa, infatti, ha quale principale scopo quello di presentare i profili sostanziali degli ordinamenti giuridici considerati in sé e in quanto raggruppati tra loro, veri e

40 Cfr. M. LUCIANI, op. ult. cit., pp. 583-ss. 41 M.VOLPI, op. ult. cit., p. 144.

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27 propri «concetti riassuntivi di tratti approssimativamente ricorrenti (…) [e] parametri di

apprezzamento della coerente attuazione, in quegli ordinamenti, di idee di fondo a cui pure essi sembrano ispirarsi», senza però per ciò solo pretendere che la singola esperienza

debba pedissequamente aderire e corrispondere al tipo cui la si riconduce42.

Volendo tracciare un punto fermo sulla validità gnoseologica dello studio delle forme di governo, si evince come il dibattito possa considerarsi tutt’altro che compiuto. La trattazione dei paragrafi precedenti ha ben messo in evidenza come le diversità di vedute siano tante e spesso marcatamente lontane tra loro; inoltre, queste diversità influenzano immancabilmente ogni trattazione dedicata al tema, sia essa destinata ad un pubblico più specialistico o anche solo all’uditorio universitario; anzi, proprio in sede di manualistica universitaria, operando un confronto tra autori, si può osservare una vera e propria disomogeneità

nell’approccio all’argomento.

Non vanno poi tralasciati altri tipi di fattori che impediscono un trattamento pacifico della nozione in dottrina. Anzitutto, continua a persistere l’argomento linguistico-terminologico cui si è accennato all’inizio della sezione, tale per cui la nozione di forma di governo è affrontata in maniera diversa dalla dottrina estera, che non sempre, peraltro, si mostra interessata a tale analisi43; inoltre, anche la

dottrina nostrana fa i conti con l’utilizzo di termini espressione di approcci orientati da prospettive storiche, filosofiche, politologiche diverse. Certamente, la nozione di forma di governo (e con essa quella di forma di Stato, con la quale è continuamente messa in relazione) fa parte dello strumentario solitamente utilizzato dalla dottrina italiana nell’ambito del diritto costituzionale

42 Cfr. G.BOGNETTI, op. ult. cit., p. 171. Fra l’altro, Volpi mette questo parere in relazione con gli

orientamenti generali espressi da A. PIZZORUSSO in Sistemi giuridici comparati, Giuffrè, Milano, 19982, p. 148, in quanto «per i costituzional-comparatisti la conoscenza delle singole esperienze costituisce non il fine, ma il mezzo per operare un confronto fra di esse, mettendone in luce differenze e analogie» (cfr.

M.VOLPI, op. ult. cit., p. 143).

(28)

28 comparato per descrivere tutta una serie di fenomeni su cui pure si è avuto modo di porre l’accento in questo primo capitolo; tuttavia, persino sulla valenza prescrittiva, piuttosto che descrittiva, di queste classificazioni non si è giunti ad un punto fermo. Fino ad adesso, si è dato conto di una valenza che per alcuni autori è marcatamente prescrittiva; ma non mancano studiosi che, al contrario, individuano nella descrittività il punto di forza delle tassonomie relative alle

forme di governo44.

Proprio di tassonomie si dovrà poi parlare nella seconda parte del lavoro, quando una rapido cenno alle principali classificazioni tradizionalmente poste in materia di forme di governo sarà la base per descrivere quelle proposte dalla dottrina nel mettere in relazione forma di governo e commissioni parlamentari.

CAPITOLO II – LE COMMISSIONI PARLAMENTARI PERMANENTI E D’INCHIESTA, ASPETTI COMUNI

Come anticipato all’inizio della sezione, insieme alla forma di governo, sono due gli altri elementi del trinomio notevole imprescindibili per l’analisi che si intende portare avanti in questo lavoro. Si tratta, prima che di due concetti, di due istituti, fondamentali per il parlamentarismo contemporaneo: le commissioni parlamentari

permanenti e quelle d’inchiesta.

Come è ben comprensibile anche solo dal dato letterale del nomen, i due istituti possono quasi essere visti in un rapporto genus a species. Del resto, si tratta del medesimo modo di organizzarsi di cui si sono dotati, col tempo, gli organi legislativi nazionali (e non solo) nello svolgimento effettivo delle proprie attività – l’organizzazione per commissioni –, espressione di tutta una serie di funzioni tipiche dei Parlamenti, che possono essere però trovare maggiormente affinate nelle commissioni parlamentari di inchiesta, laddove invece la gamma di compiti

44 È il caso, per fare un esempio, di S.PANIZZA, Lo Stato e gli altri ordinamenti giuridici. Le forme di Stato e di governo. La storia dello Stato italiano e del cammino europeo, in R.ROMBOLI (cur.), op. ult. cit., vol. I, pp. 49-ss.

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29 svolti dalle commissioni parlamentari permanenti è ben più ampia. I due istituti sono dunque più che affini tra di loro; e in quanto primaria espressione di plurimi aspetti delle Assemblee elettive, meritano un’introduzione comune su cui poi riposerà l’esplicazione di analogie e differenze. In quanto facce dell’organizzazione per commissioni parlamentari, infatti, l’esistenza delle commissioni permanenti e delle commissioni d’inchiesta ha senz’altro origini storiche comuni, così come comuni ad entrambe sono le ragioni che hanno spinto i Parlamenti a dotarsi di questi due istituti, a regolamentarli e a mantenerli nel corso del tempo nell’ambito

pratico dell’attività parlamentare.

In questa introduzione comune, dunque, si cercherà, anzitutto, di comprendere a quale ambito di funzioni parlamentari possa essere ricondotta, attualmente, l’organizzazione per commissioni e, successivamente, di fronte a che tipo di organi ci si trova guardando alle stesse per come inquadrate nel loro aspetto primario di organi interni ai Parlamenti. Successivamente, si analizzeranno in breve i due

istituti separatamente.

Per chiarire il primo punto, non si può non affrontare il tema delle funzioni parlamentari. Come si ricorderà, fin dagli studi condotti da Walter Bagehot nella seconda metà del XIX secolo, la dottrina giuspubblicistica si è interrogata su quali fossero gli effettivi compiti delle Assemblee legislative e come si potessero classificare i vari compiti via via riconosciuti a questi organi. Lo studio delle funzioni parlamentari è stato, nel corso del tempo, uno degli argomenti più prolifici affrontati dagli esperti. In particolare, il grande sforzo compiuto nel corso del tempo dagli studiosi è stato quello di emancipare le funzioni parlamentari diverse dalla legislativa dall’essere automaticamente identificate come mere componenti di quest’ultima, ravvisata dalle trattazioni più risalenti quale unica,

vera funzione dei Parlamenti.

Nel 1867, nel suo The English Constitution, Bagehot dedica al quarto capitolo lo studio della House of Commons, la camera bassa elettiva del Parlamento inglese.

(30)

30 A tal proposito, analizzando le funzioni dell’organo, e in generale quelle di un buon Parlamento, lo studioso inglese ne elenca cinque, espresse da altrettanti doveri: «eleggere un buon governo, fare buone leggi, educare bene la nazione, farsi

correttamente interprete dei desideri della nazione, portare compiutamente i problemi all’attenzione del Paese»45. Dunque,

- una funzione “elettiva”, per Bagehot la più importante (per quanto,

afferma, le trattazioni a lui coeve tendano ad ignorarla) che si sostanzia nel rapporto fiduciario tra Parlamento ed esecutivo;

- una funzione “legislativa”;

- una funzione “pedagogica”, data dalla consapevolezza che «un collegio di uomini considerevoli non può porsi al centro di una società senza modificarla»46; - una funzione “espressiva” del parere della collettività sulle singole materie

analizzate dal Parlamento;

- infine, una funzione “informativa”, evidenziando «davanti all’opinione pubblica gli argomenti che le classi dirigenti non vogliono sentire»47.

In particolare, notava Domenico Fisichella48, le ultime tre funzioni vanno

senz’altro viste come espressione dei rapporti del Parlamento con l’opinione pubblica, ben esprimendo quel ruolo di «istituzioni-porticato» riconosciuto alle

Assemblee da Andrea Manzella49.

45 W.BAGEHOT, The English Constitution, Chapman and Hall, Londra, 1867, cit. in L. GIANNITI-N.

LUPO,Corso di diritto parlamentare, Il Mulino, Bologna, 2008, p. 122. 46 W.BAGEHOT, op. cit., p. 123 (trad. nostra).

47 W.BAGEHOT, ib. Nel prosieguo dell’esposizione, Bagehot ricorda come si possa pensare ad una

sesta funzione del Parlamento, quella finanziaria (consistente, essenzialmente, nella pianificazione delle entrate e delle uscite fiscali); tuttavia, lo studioso elenca una serie di motivi in virtù dei quali tale funzione debba essere –come del resto era nel sistema britannico conosciuto dall’Autore- pertinenza dell’esecutivo.

48 Cfr. D.FISICHELLA, La rappresentanza politica, Giuffrè, Milano, 1983. 49 A.MANZELLA, Il Parlamento, Il Mulino, Bologna, 20033, p. 60.

(31)

31 A questa classificazione delle funzioni parlamentari, seguendo l’esempio proposto da Luigi Gianniti e Nicola Lupo, si può giustapporre la classificazione più moderna delle funzioni parlamentari proposta dal decano dei parlamentaristi italiani, il già menzionato Manzella. Anche in questo caso lo studioso propone una classificazione a cinque; essa, però, è nettamente differenziata da quella di Bagehot, dalla quale si distingue – oltre che per la notevole distanza temporale - per la presa di coscienza della mutazione di numerose variabili, in primis l’affermarsi di sistemi partitici e dei mezzi di comunicazione di massa50. In

particolare, l’eminente studioso distingue:

- una funzione “di indirizzo politico”, debitrice nei confronti delle

concettualizzazioni contemporanee di questa nozione, e che dunque vedrà il Parlamento agire nella determinazione degli obiettivi politici nazionali e incidere sull’azione del Governo in materia;

- una funzione “legislativa”, che rispetto a quella analizzata da Bagehot a

suo tempo si pone in contesti dove i Parlamenti nazionali devono tener conto di altri tipi di legislatori, a più livelli di governo (locale e sovranazionale);

- una funzione “di controllo”, che si sostanzia nella possibilità di

sottoporre a verifica l’attività di un soggetto politico allo scopo di reagire alla stessa (eventualmente ponendo una sanzione)51;

- una funzione “di garanzia costituzionale,” concorrendo i Parlamenti

moderni all’attuazione e alla tutela della normalità costituzionale insieme agli altri organi a ciò deputati (Corte costituzionale, corti minori, Capo dello Stato, ecc.);

- una funzione “di coordinamento delle autonomie”, per quanto si debba

tenere conto di come anche quest’ultimo aspetto delle attività

50 Cfr. L.GIANNITI-N.LUPO, op.ult.cit., p. 124. 51 Cfr. ibidem.

(32)

32 parlamentari debba relazionarsi con i nuovi sistemi di governo a più livelli e che il raccordo tra essi avvenga anzitutto sotto forma di rapporti tra gli esecutivi.

A proposito della seconda classificazione, si è notato come le prime tre funzioni appartengano al Parlamento come organo dello Stato-persona; laddove le altre due, invece, afferiscono al ruolo del Parlamento nell’ambito dello Stato-ordinamento.

Sulla base di queste due classificazioni, si può tracciare una prima differenziazione di funzioni tra i due tipi di commissione parlamentare. Anticipando quanto si dirà successivamente, e tenendo conto anzitutto dell’analisi svolta da Manzella, si può affermare come le commissioni parlamentari permanenti svolgano (o sono comunque messe in condizione di svolgere) tutte le funzioni afferenti al Parlamento, in quanto sue articolazioni che concorrono – in varia guisa - all’operato generale di quest’ultimo; regno delle commissioni parlamentari d’inchiesta è invece la funzione di controllo, stante la rilevanza del dato inquirente e la capacità di porre censure nella loro attività. A questa può certamente affiancarsi la funzione di indirizzo nel momento in cui si valuti la proposta di istituzione di una commissione di inchiesta su un determinato tema come l’approvazione di una volontà generale, da parte dell’organo istituente, di approfondire l’ambito oggetto dell’inchiesta e laddove, nelle valutazioni finali della commissione, queste, in vari modi, integrino la formazione di un indirizzo comune a tutta l’Assemblea52. Riprendendo la classificazione di Bagehot, invece, si

può affermare come le commissioni di inchiesta abbiano risposto a quello che lo

52 Si pensi al caso in cui la relazione finale di una commissione di inchiesta divenga oggetto di

dibattito in Assemblea, ed eventualmente di atti deliberativi esprimenti l’indirizzo dell’intero organo elettivo.

(33)

33 studioso definiva come una vera e propria «curiosità senza limiti del Parlamento»53.

Del resto, come si avrà modo di specificare, nell’inchiesta parlamentare è ravvisabile il principale di quegli strumenti denominati, nel complesso, come

“sindacato ispettivo”.

Rimandando al prosieguo del lavoro la specificazione dei rapporti tra commissioni parlamentari e funzioni del Parlamento, resta ora da affrontare il tema delle ragioni che possono aver spinto, in determinati momenti e congerie storici, le assemblee elettive a dotarsi di un sistema di commissioni. Il discorso deve essere ancorate a quelle che sono delle esigenze di ordine meramente pratico: le commissioni parlamentari emergono per garantire una migliore organizzazione dei lavori parlamentari, demandati dal plenum (l’Assemblea legislativa nel complesso) a quelli che possono essere ravvisati in collegi numericamente più ristretti (le commissioni). Può essere ricordato come il tema del rapporto tra consistenza numerica dei collegi e loro efficienza sia stato studiato – con esiti anche interessanti - fin dai tempi di Aristotele, per giungere pressoché alle soglie della contemporaneità54, per quanto essa non abbia

riguardato direttamente il tema delle commissioni parlamentari55. Ai fini del

lavoro, però, merita di essere analizzata, in particolare, la posizione assunta da Jeremy Bentham. Questi, ponendo nel suo Political Tactics (1832) alcune considerazioni sui collegi elettivi, notava come collegi parlamentari eccessivamente numerosi fossero da evitare, in quanto suscettibili di dare adito al fenomeno del cd. “informational free riding”, in base al quale ciascun deputato

53 Del resto, già prima di Bagehot, il francese Charles Guillame Hello, nel 1850, aveva parlato di bisogno di conoscere la verità per ogni organo deputato ad assumere delle decisioni. Cfr. L.GIANNITI -N.LUPO, op. ult. cit., p. 153.

54 Aristotele, Politica, libro IV, 15, fr. 1299a; il tema è però stato affrontato anche da Bentham,

Madison, Rousseau, Buchanan e, in tempi più vicini ai nostri, Sartori.

55 Il collegamento è infatti di molto successivo agli studi benthamiani; in particolare, si rimanda

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