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È noto come nella vita adulta il rimodernamento osseo avvenga grazie a pacchetti di cellule (BMU) che nell’osso trabecolare si trovano sulla sua superficie e sono coperti da cellule prevalentemente mesenchimali, mentre nell’osso corticale operano all’interno dei canali haversiani accompagnate da vasi, midollo e precursori cellullari. la quantità di osso perduto con l’invecchiamento è il risultato tra quanto osso viene rimosso dagli strati endostali (endocorticale, trabecolare e intracorticale) e quanto ne viene formato sotto lo strato esterno periostale.

È importante considerare come la neoformazione ossea non riempie istantaneamente le lacune di riassorbimento ma impiega un tempo assai lungo (alcuni mesi) rispetto a quanto operato dagli osteoclasti (2- 3 settimane) e anche la fase di mineralizzazione richiede un tempo prolungato. Quindi esiste, durante il rimodellamento, un momento di deficit nel volume di matrice depositata e del suo contenuto minerale. Ovviamente più rapido è il rimodellamento più numeroso sarà il numero degli osteoni che non raggiungono la piena maturazione, in quanto l’intenso rimodellamento rimuove anche quegli osteoni che non hanno avuto il tempo di raggiungere la piena mineralizzazione.

Su queste premesse è risultata interessante l’attività dei vari Bisfosfonati che riducono l’intensità del rimodellamento con l’effetto di consentire un più completo riempimento delle cavità esistenti oltre ad una più completa mineralizzazione degli osteoni neoformati, unitamente ad una minore quantità di siti di riassorbimento. Per questi farmaci risulta importante non solo la potenza anti-riassorbitiva ma anche la loro distribuzione a livello intracorticale, endocorticale e sulle trabecole. Maggiore è l’affinità per la matrice, minore sarà la capacità di penetrare all’interno e raggiungere i foci di rimodellamento. Questa caratteristica è meno importante per l’osso trabecolare, dove il rapporto superficie/volume è ampio, ma lo è per l’osso corticale vista l’importanza di poter penetrare in profondità nei canali haversiani. L’utilizzo dei Bisfosfonati, che rappresentano tutt’oggi il trattamento di prima scelta dell’osteoporosi primaria e di quella indotta da glucocorticoidi, ha determinato una significativa riduzione dell’incidenza di fratture, incrementi della densità minerale ossea e riduzione del rimodellamento osseo (BT). Tuttavia, negli ultimi anni, sempre più numerose

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sono state le segnalazioni relative alla possibile relazione fra l’uso di questi farmaci, soprattutto se prolungato, e la comparsa di un serio evento avverso rappresentato dall’osteonecrosi dei mascellari (ONJ). La patogenesi dell’ONJ, per alcuni aspetti non ancora del tutto chiarita, sembra comunque riconoscere come fattore determinante (in analogia con la patogenesi delle fratture femorali atipiche, altro evento avverso documentato in pazienti in trattamento con Bisfosfonati), l’inibizione dell’attività, differenziazione e sopravvivenza degli osteoclasti con conseguente riduzione del BT. L’inibizione del BT che è particolarmente elevato nell’osso mandibolare e mascellare, ad opera dei BPs e del Denosumab, ostacola di conseguenza il processo di guarigione, in risposta a microtraumi fisiologici e soprattutto a procedure invasive (estrazioni dentarie, impianti ecc…), essendo l’attività osteoclastica fondamentale per il processo riparativo.

I farmaci inibitori del fattore di attivazione degli osteoclasti quali il Denosumab, non si legano alla superficie dell’osso e pertanto possono penetrare rapidamente al suo interno, seguendo il circolo sanguigno, ed interagire con i precursori degli osteoclasti e con gli osteoclasti maturi. Ne deriva un più rapido aumento della BMD sia a livello trabecolare che corticale. Il Denosumab è un anticorpo monoclonale diretto contro il RANK ligando, una citochina che interagisce con il recettore RANK espresso sulla membrana dei pre-osteoclasti e osteoclasti maturi. L’anticorpo si lega al RANKL prevenendo l’attivazione del suo recettore. Questo è in grado di inibire la formazione e funzione degli osteoclasti, determinando così una riduzione del riassorbimento osseo. Essendo però il RANKL espresso anche su dendriti, linfociti B e T si possono avere interferenze sul sistema immune, in particolare a livello cutaneo. Sono stati inoltre segnalati casi di ONJ e di fratture femorali atipiche in seguito ad esposizione prolungata al farmaco.

La Teriparatide, frammento N-terminale 1-34 del PTH, è il farmaco anabolico approvato per il trattamento dell’osteoporosi ad elevato rischio di fratture. Favorisce la formazione ossea a livello trabecolare endostale e periostale, con aumento sia della connettività trabecolare che dello spessore corticale, cui consegue un incremento della resistenza microarchitetturale dell’osso. Lo stimolo alla neo-formazione si accompagna ad uno stimolo al riassorbimento osseo attraverso una aumentata espressione di RANKL ed una ridotta liberazione di osteoprotegerina nel microambiente osseo. L’aumentata attivazione degli osteoclasti che ne consegue favorisce l’interazione fra osteoclasti e osteoblasti. La Teriparatide aumenta anche l’interazione tra osteoblasti e osteociti, cellule queste ultime che svolgono un ruolo fondamentale per iniziare il ciclo di rimodellamento nei processi

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riparativi ossei. È ben documentato infatti come l’effetto anabolico di questo farmaco si accompagni ad un aumento dei marcatori del BT, più rapido e precoce per quelli di neoformazione, più tardivo e di minor entità per quelli di riassorbimento, creando quella che viene definita “finestra anabolica”. Si deve tuttavia considerare che l’importante effetto anabolico è purtroppo di breve durata in quanto l’interruzione del trattamento comporta la necessità di intervenire con altri farmaci anti-riassorbitivi per non perdere la massa di osso acquisita. Sono state inoltre osservate alcune carenze per quanto riguarda la formazione di osso corticale, anche se il ricorso a terapie associative ha migliorato notevolmente l’uso di questi farmaci.

Sebbene quindi sia gli anti-riassorbitivi che osteo-anabolici siano trattamenti con solide evidenze di efficacia nel ridurre l’incidenza di fratture, essi presentano alcuni limiti. Quanto sopra riportato, ha spinto a valutare nuove opportunità, anche se al momento non vi sono concreti risultati tali da poter considerare il problema dell’osteoporosi un problema risolto. In questi ultimi anni gli studi si stanno spostando verso la ricerca di nuovi target farmacologici tra cui un notevole successo è stato ottenuto nell’individuazione della catepsina K. L’inibizione di questa proteasi, abbondantemente espressa dagli osteoclasti e responsabile della degradazione della matrice organica, determina infatti una riduzione del riassorbimento senza interferire significativamente con l’integrità degli osteoclasti e con la fase di neoformazione. La mantenuta vitalità degli OCs consente infatti la liberazione di fattori stimolanti l’attività osteoblastica. Bloccando la catepsina K, i ricercatori sperano quindi di riuscire ad impedire il riassorbimento osseo senza influenzare la capacità degli osteoblasti nella costruzione delle ossa, mantenendone la qualità e integrità strutturale. Questo beneficio clinico aggiuntivo potrebbe prevenire lo sviluppo di reazioni avverse scheletriche quali osteonecrosi della mandibola e fratture femorali atipiche.

L’identificazione del ruolo centrale della via di segnalazione Wnt nella formazione ossea ha messo a disposizione ulteriori potenziali bersagli per lo sviluppo di nuovi prodotti farmaceutici. Tra questi vi è la sclerostina, una proteina prodotta dagli osteociti e studiata come bersaglio di un potenziale trattamento anabolizzante nell’osteoporosi. La produzione di sclerostina, che si riduce in seguito al carico meccanico e alla secrezione intermittente di PTH, determina l’inibizione dell’attività degli osteoblasti (e quindi della neoformazione ossea) attraverso il sequestro delle proteine 5 e 6 correlate con il recettore dell’LDL (rispettivamente LRP5 e LRP6) e, di conseguenza, l’inibizione della via di segnalazione Wnt.

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È stato dimostrato che il trattamento con anticorpi anti-sclerostina è in grado di produrre un importante aumento della neoformazione ossea accompagnato ad un contemporaneo calo del riassorbimento osseo. Promettenti risultati sono stati infatti ottenuti dal Blosozumab e dal Romosozumab.

Sulla base di quanto descritto appare evidente come a breve avremo a disposizione due nuove classi di molecole per la prevenzione delle fratture nei pazienti osteoporotici. Sebbene siano premature considerazioni conclusive circa la loro efficacia e le loro caratteristiche, in attesa dei risultati definitivi dei trials registrativi, possiamo comunque evidenziare due punti rilevanti:

1. entrambi i farmaci appaiano avere un meccanismo d’azione che li differenzia significativamente dagli attuali anti-riassorbitivi ed osteo-anabolici. Nel caso degli inibitori della CatK questa differenza risulta dalla non interferenza con la neo- formazione ossea. Nel caso degli anticorpi anti-sclerostina invece si osserva un vero e proprio “disaccoppiamento” tra riassorbimento e formazione ossea.

2. ambedue le categorie di molecole sembrano evidenziare effetti benefici significativi, a livello dei comparti trabecolare e corticale, che potrebbero avere implicazioni estremamente rilevanti in termini di riduzione del rischio di frattura.

Sia gli inibitori della CatK che gli anticorpi anti-sclerostina, pur rappresentando approcci ulteriori finalizzati al raggiungimento di un minor rischio di fratture osteoporotiche, non sembrano comunque portare ad una soluzione definitiva per la protezione dalle fratture e alcuni potenziali effetti collaterali ne suggeriscono un maggiore approfondimento.

Quello che possiamo trarre come insegnamento è che solo un corretto comportamento seguito fin dalla prima infanzia, integrando una adeguata alimentazione ad una corretta attività fisica secondo l’età, potrà consentire il raggiungimento di una struttura scheletrica sufficiente a tollerare gli stress minori anche in età avanzata, facendo ricorso ai farmaci più opportuni solo nei casi di particolare gravità o di rischio eccessivo.

In attesa di ulteriori conferme relative alla sicurezza ed efficacia a lungo termine di queste due nuove classi di molecole, la ricerca si è orientata anche alla valutazione di altri fattori coinvolti nel metabolismo osseo, cercando elementi significativi sia nell’inibire il riassorbimento, sia nel favorire la neo-deposizione di matrice.

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