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Osteoporosi: nuovi bersagli farmacologici e nuove molecole in fase di sperimentazione clinica

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Academic year: 2021

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Indice

CAPITOLO 1 ... 3

1.1 IL TESSUTO OSSEO ... 3

1.2 FORMAZIONE DEL TESSUTO OSSEO ... 4

1.3 RIMODELLAMENTO OSSEO ... 6

1.4 PRINCIPALI FATTORI COINVOLTI NELLA REGOLAZIONE DI OBs/OCs ... 12

CAPITOLO 2 ... 17 2.1 OSTEOPOROSI ... 17 2.2 EPIDEMIOLOGIA ... 20 2.3 EZIOPATOLOGIA ... 22 2.4 PREVENZIONE ... 26 2.5 DIAGNOSI ... 29 CAPITOLO 3 ... 31 3.1 INTRODUZIONE ... 31 3.2 BISFOSFONATI ... 31 3.3 TERIPARATIDE ... 33

3.4 FARMACI ANTI-RANKL: DENOSUMAB ... 35

3.5 RANELATO DI STRONZIO ... 42

3.6 SERMs E ASSOCIAZIONI ... 43

CAPITOLO 4 ... 44

4.1 NUOVE OPPORTUNITÀ NEL TRATTAMENTO DELL’OSTEOPOROSI ... 44

4.2 CATEPSINA K ... 46

4.3 INIBIZIONE DELLA CATEPSINA K... 49

4.4 ODANACATIB ... 51

4.5 FARMACOCINETICA ODANACATIB ... 53

4.6 STUDI PRECLINICI SU ANIMALI ... 54

4.7 STUDI CLINICI SULL’UOMO ... 58

4.8 EFFETTI COLLATERALI ... 67

4.9 CATK INIBITORI IN FASE DI SPERIMENTAZIONE ... 68

CAPITOLO 5 ... 78

5.1 IL SISTEMA WNT/β-CATENINA ... 78

5.2 LA SCLEROSTINA... 80

5.3 STUDI PRECLINICI SU MODELLI ANIMALI ... 83

5.4 EFFETTI SULLA BMD E SULL’OSTEOCALCINA ... 86

5.5 ANALISI ISTOMORFOMETRICHE ... 89

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6.1 INTRODUZIONE ... 94

6.2 ROMOSOZUMAB: SPERIMENTAZIONE CLINICA DI FASE I ... 95

6.3 ROMOSOZUMAB: SPERIMENTAZIONE CLINICA DI FASE II ... 100

6.4 ROMOSOZUMAB: SPERIMENTAZIONE CLINICA DI FASE III ... 106

6.5 ASSOCIAZIONE ROMOSOZUMAB-DENOSUMAB ... 107

CAPITOLO 7 ... 109

7.1 BLOSOZUMAB: SPERIMENTAZIONE CLINICA DI FASE I ... 109

7.2 BLOSOZUMAB: SPERIMENTAZIONE CLINICA DI FASE II ... 117

CAPITOLO 8 ... 124

8.1 CONCLUSIONI ... 124

8.2 ALTRI POTENZIALI TARGET TERAPEUTICI ... 128

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CAPITOLO 1

1.1 IL TESSUTO OSSEO

Il tessuto osseo è un tessuto connettivo specializzato dotato di proprietà elastiche e di resistenza; per questo motivo è in grado di assolvere funzioni di tipo meccanico (offre supporto e siti di aggancio per la muscolatura scheletrica), protettive per gli organi vitali (cervello, cuore e midollo osseo) e garantisce una riserva di ioni per l’omeostasi fosfo-calcica.

La matrice mineralizzata rappresenta la principale riserva di ioni minerali, in particolare calcio e fosfato. Il tessuto osseo è costituito da cellule chiamate osteoblasti (OBs), osteoclasti (OCs), osteociti e da una matrice extracellulare costituita da una componente fibrosa formata da collagene e da una sostanza amorfa costituita da cristalli di sali di calcio e proteoglicani. Le fibre conferiscono flessibilità ossea mentre la componente minerale è responsabile della durezza e resistenza meccanica. L’elemento più abbondante è il collagene di tipo I, secreto dagli osteoblasti, che si organizza in fibre che consentono la sedimentazione di sali durante il processo di mineralizzazione; queste fibre danno origine ad una matrice organica nota come osteone che rappresenta l’unità fondamentale dell’osso. L’osteocalcina, l’osteonectina e l’osteopontina sono invece componenti proteiche che hanno la funzione di modulare questo processo di formazione, mineralizzazione e adesione tra le cellule e la matrice ossea. La componente mineralizzata, che nell'adulto costituisce il 60-70% dell'intero osso, è composta da fosfato di calcio in forma di cristalli di idrossiapatite, carbonato di calcio, fosfato di magnesio, fluoruro di magnesio e tracce di ossido di ferro.

La struttura ossea viene costantemente rinnovata da OCs e OBs, i primi liberano idrolasi acide che hanno il compito di dissociare i sali minerali ed enzimi per distruggere le fibre di collagene in modo da poterli riassorbire, gli OBs invece sintetizzano nuova matrice fondamentale.

Gli OBs, originati da cellule staminali midollari multipotenti, possono tuttavia originare anche da cellule mesenchimali aderenti allo strato endoteliale dei vasi. Differentemente i precursori degli OCs sono cellule emopoietiche della linea monocito-macrofagica che raggiungono l’osso tramite il circolo, mentre i precursori osteoblastici migrano dai tessuti connettivi vicini all’osso.

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1.2 FORMAZIONE DEL TESSUTO OSSEO

Lo scheletro è formato da due tipi di tessuti di origine mesenchimale: cartilagine ed osso. Lo sviluppo osseo, durante l’embriogenesi, si articola attraverso processi ben precisi: l’ossificazione intramembranosa, endocondrale e suturale.

Attraverso l’ossificazione intramembranosa si formano le ossa piatte del cranio e della mandibola: in questo processo gli osteoblasti, le cellule deputate alla formazione dell’osso, differenziano da cellule mesenchimali e iniziano a produrre e secernere matrice extracellulare, l’osteoide; questo successivamente mineralizza e si riorganizza originando osso compatto.

La maggior parte delle ossa si forma mediante il processo di ossificazione endocondrale: le cellule mesenchimali differenziano in condrociti (cellule del tessuto cartilagineo) formando una struttura cartilaginea temporanea che funge da modello per quella ossea. Con l’aumento del volume della cartilagine si interrompe la proliferazione dei condrociti della parte più interna, che differenziano in condrociti ipertrofici caratterizzati da una aumentata dimensione e dalla capacità di secernere matrice extracellulare che calcifica. Essi, a causa dell’assenza di nutrienti, muoiono lasciando delle cavità all’interno della cartilagine. Le cellule mesenchimali che circondano questa struttura costituiscono il pericondrio. A questo livello gli OBs iniziano a differenziare e a secernere matrice non mineralizzata, che in seguito darà origine ad osso compatto attraverso la formazione di nuovi vasi sanguigni. Gli OBs migrano successivamente nelle cavità all’interno della cartilagine, sostituendola con la formazione di osso spugnoso. Gli OBs che rimangono intrappolati all’interno della matrice mineralizzata differenziano in osteociti, ultimo stadio del differenziamento osteoblastico. Gli OCs, le cellule responsabili del riassorbimento osseo, sono dotati di microvilli attraverso cui riescono ad attaccarsi ad una determinata sezione ossea. L’azione erosiva dell’osteoclasto porta alla formazione della lacuna di Howship. In queste sedi, grazie alla capacità di secrezione acida e di enzimi proteolitici, riescono a digerire il collagene di sostegno e la matrice inorganica. In seguito, gli OBs si occuperanno della deposizione di matrice organica nelle cavità generate dall’azione degli osteoclasti.

Il processo suturale interviene invece nell’accrescimento delle ossa del viso e del cranio, permettendo, attraverso un continuo accomodamento delle sue dimensioni, la corretta crescita degli organi che racchiude.

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Da un punto di vista macroscopico si distinguono due tipi di osso:

• corticale, distribuito soprattutto a livello degli arti, costituisce il 70-80% dello scheletro ed assolve prevalentemente una funzione meccanica.

• trabecolare, rappresenta il 20-30% dello scheletro, è di struttura prevalentemente spugnosa ed è largamente rappresentato a livello della colonna vertebrale dove racchiude e protegge il midollo osseo.

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1.3 RIMODELLAMENTO OSSEO

Raggiunta la maturità lo scheletro passa da una fase di modellamento, durante la quale viene modellata la forma fisiologica dell’osso, togliendo materia da alcune parti e depositandone in altre, ad una fase di rimodellamento. Questo processo, che porta alla sostituzione di osso vecchio con osso nuovo, è responsabile del mantenimento di una buona struttura dell’osso stesso e porta ad un completo rinnovamento in circa 10-15 anni. Altro fine di questo processo è quello di riparare le microfratture e di prevenire un eccessivo invecchiamento strutturale, oltre che assolvere al mantenimento della omeostasi calcica.

Il tessuto osseo può essere definito un tessuto dinamico; le modificazioni cicliche alle quali è sottoposto sono caratterizzate da fasi coordinate di riassorbimento osseo, da parte degli OCs, e deposizione di nuova matrice, ad opera degli OBs. Questi due tipi cellulari collaborano quindi in questo processo, in quella che viene chiamata Bone Multicellular Unit (BMU) (fig.1). Si calcola che in ogni momento circa 1 milione di BMU sia operante, ed ognuna per un periodo di circa 6-9 mesi. Essendo tale periodo maggiore della vita di molte delle cellule componenti è chiaro che vi debba essere un continuo arrivo di nuovi osteoclasti e osteoblasti dai loro progenitori. L’intervallo tra due successivi eventi di rimodellamento nella stessa area, pur essendo molto variabile, può oscillare tra 2 e 10 anni.

FIGURA 1.ULTRASTRUTTURA DI UNA SEZIONE DI OSSO LUNGO CON RAPPRESENTAZIONE DI UNA TIPICA “BONE

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L’osso è rimodellato grazie alle molteplici BMU al cui livello avviene contemporaneamente un processo di riassorbimento e di neoformazione, accompagnati da un continuo

reclutamento di cellule nei siti attivi, mentre le BMU avanzano seguendo distinte fasi. Durante le fasi di rimodellamento possiamo distinguere 6 eventi che si ripetono ciclicamente (fig.2):

• Quiescenza

• Attivazione: reclutamento, proliferazione e differenziazione di OCs • Riassorbimento

• Inversione: OCs abbandonano l’area del riassorbimento • Formazione: OBs sono attivati e producono matrice • Mineralizzazione

FIGURA 2.FASI DI RIMODELLAMENTO OSSEO.

Normalmente l’80% o più delle superfici ossee libere sono quiescenti in relazione al rimodellamento. In condizioni normali la fase di riassorbimento osteoclastico richiede almeno 2-3 settimane, mentre la fase di formazione richiede alcuni mesi ed è seguita da una fase intermedia di alcuni giorni.

Il ciclo, in risposta a segnali chemiotattici rilasciati dalla matrice osteoide, inizia con il reclutamento di nuovi OCs, derivati da precursori cellulari del sistema monocito-macrofagico, che penetrano la barriera connettivale della superficie quiescente e guadagnano l’accesso allo strato dell’osso mineralizzato.

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FIGURA 3.RIASSORBIMENTO OSSEO DA PARTE DI UN OSTEOCLASTA.

Il riassorbimento (fig.3) inizia con la migrazione di precursori osteoclastici mononucleati verso la superficie ossea dove completeranno il differenziamento in osteoclasti multinucleati. Dopo il completamento di questa fase, inizia quella di inversione nella quale inizialmente l’attività degli OBs è fortemente inibita ed in seguito essi stessi vanno incontro ad apoptosi. Durante il processo di riassorbimento si viene a creare nella lacuna sub-osteoclastica un accumulo di TGF-β, ILGF-1 e BMP oltre ad alcune sostanze liberate dagli stessi OCs (Efrine-2/4) che tendono a inibire l’osteoclasta e a servire da stimolo al reclutamento e proliferazione dei pre-OBs. Alcuni esperimenti in vitro hanno mostrato come gli osteoclasti siano essi stessi capaci di produrre sostanze anabolizzanti, clastokine, che inducono i pre-OBs a formare noduli e a produrre osso.

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FIGURA 4.OSTEOCLASTO CHE RIASSORBE L’OSSO.I MARGINI DELLA CELLULA SONO STRETTAMENTE SERRATI ALL’OSSO,

FORMANDO UN COMPARTIMENTO ISOLATO IN CUI AVVIENE LA SECREZIONE DI ACIDO DALLA MEMBRANA APICALE PIEGHETTATA CON CONSEGUENTE EROSIONE DELL’OSSO SOTTOSTANTE LA CELLULA.

Nell’attivazione della Bone Structural Unit (BSU), cioè a livello della superficie dove si avvia il riassorbimento, si verifica una retrazione delle lining cells monostrato che giacciono sulla superficie ossea e che percepiscono i cambiamenti che si verificano sulla superficie stessa a seguito delle variazioni meccaniche o biomeccaniche. A causa dei segnali inviati dagli osteociti le lining cells producono collagenasi la cui azione si estrinseca degradando la componente non minerale osteoide e liberando frammenti peptidici che unitamente al RANKL (Osteoclast Activating Factor), prodotto da cellule di tipo osteoblastico, promuovono il reclutamento e l’attivazione degli osteoclasti. Arrivando alla superficie ossea, liberata dalla componente cellulare retratta e dalle lamine osteoidi, gli OCs si ancorano alla matrice mineralizzata mediante una struttura specializzata detta ‘sealing zone’ in cui sono presenti molecole recettoriali (integrine) che si legano specificatamente alla matrice proteica extracellulare sulla quale si esplica l’attività riassorbente. La superficie degli OCs, in corrispondenza della zona di segregazione, inizia a subire una modificazione strutturale e presenta una membrana plasmatica con numerose estroflessioni, tali da costituire un poderoso orletto a spazzola, ‘ruffled border’, che amplia la superficie della membrana cellulare aumentandone la capacità riassorbente. Al di sotto del ruffled border si forma uno spazio fortemente acidificato (pH 3.5-4), in cui vengono riversati gli enzimi deputati alla digestione della matrice. L’acidificazione dello spazio di riassorbimento è resa possibile da una serie di meccanismi cellulari che comportano la liberazione dei protoni (H⁺) grazie

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all’azione dell’anidrasi carbonica intracellulare, che converte l’anidride carbonica e l’acqua in ioni bicarbonato e idrogeno; i protoni vengono estrusi e scambiati con ioni sodio da una pompa di membrana (H⁺/Na⁺ ATPasi). Una anidrasi carbonica di tipo II catalizza la scissione del bicarbonato in H⁺ e CO₂, favorendo sia la correzione del pH intracellulare che l’ulteriore efflusso di protoni. Mentre il pH acido dello spazio di riassorbimento consente la solubilizzazione della fase minerale dell’idrossiapatite, le proteasi lisosomiali, secrete nello stesso spazio, determinano la digestione della matrice ossea. Questa proprietà litica è legata all’azione proteolitica di vari enzimi quali le proteinasi a cisteina e le metalloproteinasi (MMP). Un ruolo critico è svolto, tra le proteasi a cisteina, dalla catepsina k (CatK) che viene espressa dagli osteoclasti, capace di spaccare la tripla elica collagenica. A seguito dell’azione litica operata dalla CatK, i frammenti di matrice parzialmente digeriti vengono trasportati per via trans-citotica all’interno degli osteoclasti e da qui all’esterno della cellula. L’inibizione selettiva della CatK determina la formazione di una più ridotta lacuna di riassorbimento. Al termine della fase di riassorbimento, l’osteoclasta si stacca e si muove in altre aree vicine, sostituito da altri OCs a ultimare le lacune di riassorbimento. Nel frattempo è degli OBs il compito di sintetizzare nuova matrice nella stessa unità strutturale.

La fase di formazione prevede che gli OBs appongano nuova matrice (osteoide) fino a che non si sia verificato il completo ripristino di tutto l’osso che era stato precedentemente rimosso. Il tessuto osteoide (precursore del tessuto osseo) è costituito da un supporto di fibre di collagene a formare una matrice organica sulla quale si legano i cristalli di idrossiapatite, durante la sua fase di maturazione in tessuto osseo vero e proprio. L’osteocalcina e l’osteonectina, proteine prodotte dagli osteoblasti, svolgono un’azione di supporto nel processo di deposizione della matrice calcificata. Non appena tale matrice raggiunge un sufficiente spessore viene mineralizzata grazie all’interposizione di calcio. L’osteoblasto, una volta all’interno della matrice ossea, rallenta la sua attività metabolica e diventa osteocita. Da alcuni studi è emerso che il ruolo degli osteociti possa essere quello di partecipare al rimodellamento osseo; sotto lo stimolo di calcitonina e paratormone partecipano inoltre alla regolazione dei livelli ematici di calcio e fosforo, controllando sia l’attività degli OCs che quella degli OBs.

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FIGURA 5.A SINISTRA È RAPPRESENTATA LA CONDIZIONE NORMALE DI BILANCIO TRA ATTIVITÀ DI DEPOSIZIONE DI MATRICE OSSEA, AD OPERA DEGLI OSTEOBLASTI, E DI RIASSORBIMENTO AD OPERA DEGLI OSTEOCLASTI. IN MOLTE SITUAZIONI PATOLOGICHE L’EQUILIBRIO TRA QUESTE DUE ATTIVITÀ VIENE A MANCARE (IMMAGINE A DESTRA).

Il mancato equilibrio fra le fasi del ciclo di rimodellamento può generare importanti conseguenze: la massa ossea non rimane costante e il rinnovamento osseo è compromesso. Si possono distinguere patologie caratterizzate dall’aumento della massa ossea (osteopetrosi) e patologie caratterizzate dalla diminuzione della massa ossea (osteoporosi).

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1.4 PRINCIPALI FATTORI COINVOLTI NELLA REGOLAZIONE DI OBs/OCs

Molti sono i fattori che influenzano il turnover dell’osso ed è dalla loro corretta modulazione che si può mantenere un bilancio idoneo tra le fasi di riassorbimento e di formazione.

FATTORI CHE INFLUENZANO LA FORMAZIONE:

FATTORI CHE INFLUENZANO IL RIASSORBIMENTO:

BMP ⇧⇧(Bone morphogenetic protein) E2 deficienza ⇧

LRP5 / Wnt ⇧ Immobilità ⇧

PTH (paratormone) intermittente ⇧ Basso Calcio/PTH ⇧

Carico meccanico ⇧ E2 ⇩

Androgeni ⇧ SERM ⇩ (modulatori selettivi del recettore degli estrogeni)

𝛽 ̶bloccanti ⇧ BPs ⇩(Bisfosfonati)

𝛼 ̶ adrenergici ⇩ Calcitonina ⇩

Immobilità ⇩ Calcio+VitD ⇩

Invecchiamento ⇩

TABELLA 1.FATTORI CHE INFLUENZANO LA FORMAZIONE E IL RIASSORBIMENTO OSSEO.

Uno dei fattori liberati dagli osteociti è la Sclerostina; è stato osservato come la sua soppressione tenda a far aumentare la massa ossea. Questa proteina è inoltre down-regolata nelle zone di carico meccanico dove viene richiesto uno stimolo osteo-formativo, così come una aumentata liberazione di sclerostina avviene a modulare e arrestare la produzione di matrice da parte degli OBs.

Lo sviluppo e la differenziazione di OCs e OBs è controllato quindi sia da citokine e fattori di crescita, prodotti nel microambiente midollare, sia da stimoli meccanici e da vari ormoni sistemici che controllano a loro volta la produzione di citokine. Nonostante la ridondanza delle citokine regolatorie, i soli fattori realmente capaci di indurre l’osteoblastogenesi da

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progenitori non “committed” sono le BMPs (Bone Morphogenetic Proteins) ed in particolare la 2 e la 4. Queste BMPs stimolano la trascrizione del gene che codifica per uno specifico fattore di trascrizione per gli osteoblasti definito Cbfa1 (core binding factor a 1). Questo fattore a sua volta attiva dei geni osteoblastici specifici per l’osteopontina, la sialoproteina ossea (bone-sialoprotein), il collagene tipo I e l’osteocalcina.

Altri fattori, TGF𝛽 (Transforming Growth Factor), PDGFs (Platelet Derived Growth Factor), FGFs (Fibroblast Growth Factors), ILGFs (Insulin-like Growth Factor) possono stimolare il differenziamento osteoblastico a partire però da “committed progenitors”.

Oltre al controllo da parte delle citokine, le cellule ossee sono esse stesse in grado di produrre proteine che possono modulare l’azione dei vari fattori di crescita legandosi a loro o in competizione per gli stessi recettori. Ad esempio gli OBs producono varie ILGF-binding protein che possono bloccare l’azione dell’ILGF o al contrario possono promuovere l’azione sugli OBs.

Recentemente sono state ritrovate proteine in grado di antagonizzare le BMP; tra queste la noggin e la cordin legano le BMP-2 e BMP-4.

Per quanto concerne più specificamente le citokine, alcune stimolano gli OCs (1, 3, IL-6, IL-11, TNF𝛼, Oncostatin…) mentre altre citokine ne inibiscono lo sviluppo (IL-4, IL-10, INF-𝛼 , IL-18). Un particolare interesse ha destato il ruolo della interleuchina IL-6 nei confronti di stati caratterizzati da accelerato turnover e iper-riassorbimento osseo. L’interazione tra la IL-6 e il suo recettore IL-6R𝛼 attiva una serie di segnali che portano alla osteoclastogenesi mediante un duplice meccanismo: sia agendo direttamente sui progenitori degli OCs, sia attivando le cellule osteoblastico-stromali che supportano la formazione degli OCs tramite la liberazione di specifici fattori attivanti. Le citokine IL-6 sono tuttavia anche capaci di influenzare il differenziamento degli OBs ed il loro legame con i recettori porta verso un osteoblasta più maturo con aumentata osteocalcina mentre diminuisce la proliferazione.

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FIGURA 6. IL RANKL (RECEPTOR ACTIVATOR OF NUCLEAR FACTOR-KB LIGAND) IN SEGUITO AD INTERAZIONE CON IL RECETTORE PRE-OSTEOCLASTICO RANK INDUCE OSTEOCLASTOGENESI.LA OSTEOPROTEGERINA (OPG) ESPLICA INVECE UN POTENTE EFFETTO INIBITORIO SULLA OSTEOCLASTOGENESI E SUL RIASSORBIMENTO LEGANDOSI AL RANK-L ED IMPEDENDONE IL LEGAME COL RECETTORE OSTEOCLASTICO.

Numerosi studi ‘in vitro’ hanno indicato come il messaggio che parte dai pre-OBs, e anche dai Linfociti T attivati, sia dovuto a una citokina appartenente alla famiglia TNF, denominata RANKL (receptor activator of nuclear factor-κB ligand) mentre il suo recettore pre-osteoclastico è il RANK.Tale interazione, assieme alla presenza di M-CSF (Macrophage Colony-Stimulating Factor) o anche di alcune citokine quali IL-24 e la IL-6, induce l’osteoclastogenesi. La successione degli eventi vede quindi la liberazione di RANKL da cellule osteoblastiche od osteociti, il legame con il recettore RANK e la traslocazione nucleare del fattore di trascrizione nucleare NF-kB tramite un passaggio che richiede la fosforilazione di proteine IkB.

Recenti esperienze effettuate ‘in vivo’ indicano come siano i condrociti ipertrofici, inclusi nella cartilagine mineralizzata, i produttori di RANKL durante la crescita delle ossa lunghe mentre il RANKL di origine osteoblastica sia responsabile della generazione degli OCs che

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riassorbono la spongiosa primaria durante la crescita ossea. Tali studi hanno altresì portato alla conclusione che gli OBs non sono le sole cellule responsabili della osteoclastogenesi e della produzione di RANKL; è stato in effetti osservato come l’ablazione osteoblastica in topi transgenici non riduce il numero degli OCs né l’espressione di RANKL. Analogamente la somministrazione di glucocorticoidi, nonostante induca una deplezione degli OBs e dei loro precursori, non influenza il numero degli OCs. Le stesse osservazioni ‘in vivo’ mostrano invece come siano gli osteociti l’elemento chiave nel regolare il rimodellamento osseo e che la deplezione del RANKL, da loro prodotto, porta ad un aumento della massa ossea.

Un’altra proteina prodotta dagli OBs, la osteoprotegerina (OPG), esplica invece un potente effetto inibitorio sulla osteoclastogenesi e sul riassorbimento legandosi al RANK-L ed impedendone il legame col recettore osteoclastico.

Nuove vie nella regolazione di queste cellule sembrano aprirsi con la scoperta del gene LRP5 (low-density lipoprotein receptor-related protein 5); LRP5 e i suoi analoghi 4 e 6 entrano nel controllo del sistema di segnale Wnt/𝛽catenina e quindi nel controllo della massa ossea. Questi geni sono infatti coinvolti nello sviluppo dello scheletro, nel differenziamento e proliferazione degli OBs, nella apoptosi degli osteociti e OBs, oltre alla regolazione della osteoclastogenesi e della risposta al carico meccanico.

Vi sono inoltre vari ormoni che influenzano la formazione, l’accrescimento e il rimodellamento dell’osso, stimolando gli OBs o gli OCs a seconda dell’occorrenza. Tra questi ci sono ormoni deputati alla regolazione diretta dell’omeostasi del calcio.

• PTH (paratormone): sintetizzato dalle ghiandole paratiroidi, fa aumentare la calcemia stimolando il rilascio di calcio dalle ossa e diminuendone l’escrezione attraverso i reni. Il PTH converte inoltre la vitamina D nella sua forma attiva, in grado di stimolare l’assorbimento del calcio nel tubo digerente. Un aumento della calcemia inibisce la secrezione di paratormone.

• Calcitonina: aumenta la resistenza ossea inibendo il riassorbimento osteoclastico; si tratta di un ormone polipeptidico secreto dalle cellule parafollicolari della tiroide che agiscono a livello osseo e renale, esercitando funzioni per molti versi opposte a quelle svolte dal paratormone. La calcitonina determina l’aumento dell’escrezione renale di fosforo e calcio e favorisce la deposizione di quest’ultimo nelle ossa. In virtù di queste proprietà la calcitonina si oppone all’eccessivo aumento della calcemia aumentando la mineralizzazione ossea.

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• Vitamina D (calciferolo): la maggior parte viene sintetizzata a livello cutaneo per azione della luce ultravioletta, attraverso la diretta esposizione al sole. La sua forma metabolicamente attiva è il 1,2,5 diidrossi-colecalciferolo che agisce favorendo l’assorbimento del calcio a livello intestinale e a livello del tubulo contorto prossimale insieme al fosforo, mentre a livello del tessuto osseo stimola la deposizione del calcio. Il 1,2,5 diidrossi-colecalciferolo stimola la sintesi della calcium binding protein (CaBP), proteina deputata al trasporto del calcio, a livello degli enterociti.

• Androgeni e Estrogeni: determinano una inibizione del riassorbimento osteoclastico e la stimolazione a livello renale del 1-α-idrossilasi per l’attivazione della vitamina D. • Ormoni Tiroidei: influenzano il metabolismo osseo; l'ormone tiroideo T3 in particolare è essenziale per la corretta ossificazione endocondrale e intramembranosa e gioca un ruolo fondamentale nella crescita lineare e nel mantenimento della massa ossea. • GH (ormone somatotropo): favorisce l’accrescimento scheletrico nell’infanzia e

nell’adolescenza ma un suo eccesso può determinare gigantismo in età giovanile e acromegalia in età adulta.

Infine la prolattina aumenta la sintesi di vitamina D attiva, mentre i glucocorticoidi comportano la distruzione della matrice ossea determinando osteopenia.

Oltre a segnali di origine endocrina, le ossa risultano sensibili anche a stimoli di natura meccanica. Il tessuto che le compone reagisce infatti positivamente agli stimoli indotti dalle attività di carico, come ad esempio alcune pratiche sportive; al contrario, una prolungata immobilizzazione, si accompagna ad una rarefazione del tessuto osseo.

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CAPITOLO 2

2.1 OSTEOPOROSI

Una accettata definizione di Osteoporosi (OP) porta a considerare questa condizione come legata ad una diminuzione della massa ossea con relativo deterioramento della sua struttura e conseguente rischio di incorrere in fratture.

Questa definizione non tiene tuttavia conto di altri fattori di rischio, oltre la diminuita massa ossea (BMD), sui quali si deve invece porre la dovuta attenzione: tra questi il principale è l’età, ma anche la facilità alle cadute, la qualità e proprietà dei materiali componenti l’osso.

FIGURA 7.GRADIENTE DEL RISCHIO DI FRATTURA SULLA MASSA OSSEA DELL’AVAMBRACCIO IN RELAZIONE ALL’ETÀ.

Già negli anni ‘80 veniva mostrata l’influenza dell’età sul rischio di frattura, indicando l’importanza di promuovere la prevenzione della caduta, oltre ad evidenziare i cambiamenti della struttura e dei materiali dell’osso stesso che si verificano con l’età.

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FIGURA 8.MAGGIORI FATTORI COINVOLTI NELLE FRATTURE OSTEOPOROTICHE (ROBERT P.HEANEY,1994).

In una ampia meta-analisi di Marshall (1996), risultava evidente come la densità minerale ossea (BMD) non poteva rappresentare un valido indice per stabilire la probabilità di incorrere in un evento fratturativo; nello stesso tempo veniva anche chiarito come il Calcio, cruciale durante lo sviluppo, non sia in grado, da solo, di prevenire la perdita di osso. Uno dei problemi che emergono dalle indagini epidemiologiche sulla OP è che molto spesso non è diagnosticata e, ovviamente, non trattata in maniera adeguata a prevenire una eventuale prima frattura; evento quest’ultimo che fa innalzare di circa 5 volte la possibilità di incorrere in una successiva frattura.

Il metodo più corretto per affrontare una terapia preventiva per una OP e il rischio di future fratture, risiede primariamente nel seguire un regime preventivo fatto di adeguati comportamenti nell’età giovanile, così come in quella avanzata, accompagnati da appropriati apporti di proteine (〰1g/Kg), Calcio (1,2-1,3 g/dì), Fosforo (700mg/dì) e Vit D, ben sapendo che nessun farmaco attualmente disponibile è in grado di arrestare una perdita ossea se si trova in un bilancio negativo di questi nutrimenti.

È dimostrato come la forza di un osso dipenda più dalla sua architettura che dalla sua massa e quest’ultima dipenda sia dalla erosione delle trabecole, che le rende più sottili e talora disconnesse, sia dalla rapidità del turnover, ovvero dalla frequenza ed entità del rimodernamento. Milioni di BMU (unità multicellulare di base) operano in ogni momento sul nostro scheletro, sia sulle trabecole che all’interno dei canali Haversiani, facendo sì che in

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ogni istante vi sia una mancanza di materiale osseo (vista le diversità nei tempi di riassorbimento rispetto quelli di formazione) e questa sia tanto maggiore quanto più esteso e rapido è il rimodellamento.

È intuibile che i farmaci ad attività “anti-riassorbitiva”, riducendo il numero e l’attività delle BMU, consentiranno la presenza di una quantità di osso tanto maggiore quanto più intensa sarà la loro attività. Anche il grado di mineralizzazione sarà migliore.

I vantaggi ottenibili con le terapie “anti-riassorbitive” sono già evidenti dopo 1-3 mesi di trattamento mentre quelli legati alla maggiore densità ottenibile si evidenziano dopo 1-2 anni. Questo gap temporale ci conferma l’importanza che un elevato turnover può avere sulle fratture. Questo non vuol dire che l’aumento della BMD non abbia un ruolo importante, in effetti aumenti del 6-7% possono già ridurre il rischio di frattura del 30-50%, a seconda dei vari siti.Quello che emerge dai dati clinici è che questo effetto preventivo non può essere legato solo agli aumenti della densità ossea.

Vari studi clinici riportano che mentre la BMD definisce la quantità di osso mineralizzato che è stato guadagnato durante il trattamento con i farmaci “anti-riassorbitivi”, i valori dei markers di attività osteoclastica e osteoblastica, ci mostrano una riduzione del grado di riassorbimento di 80% in relazione ad un aumento della densità ossea di solo il 5% a livello vertebrale e del 2% al collo femorale. Il modesto incremento della densità ossea non può essere sufficiente per essere il solo responsabile della riduzione del rischio di frattura. Pertanto questo porta a ritenere la BMD come un parametro non idoneo a discriminare quale soggetto potrà andare incontro a frattura; vi sono invece evidenze che indicano come riportare il turnover osseo, entro certi valori vicini alla normalità, riduca il rischio ad ogni età e con ogni valore di BMD.

Nonostante i molti progressi compiuti negli ultimi decenni nel trattamento dell’osteoporosi e nella prevenzione delle fratture, sono ancora molti i pazienti che non riescono a ricevere sufficienti vantaggi dalle terapie sino ad ora messe in atto. Per questi pazienti, oltre a rimarcare la necessità di una maggiore aderenza a regimi dietetici e stili di vita più adeguati, sarà necessario ricorrere, quando sia maggiormente appropriato, anche a nuovi farmaci che riescano a fornire quei vantaggi non ancora soddisfatti dai farmaci attualmente disponibili.

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2.2 EPIDEMIOLOGIA

L’osteoporosi può colpire ogni età, anche se il picco di incidenza è nell’età matura e anziana, e può essere primaria o secondaria a varie cause anche iatrogene.

L’osteoporosi primaria è a sua volta classificata in 2 tipi: tipo 1 - osteoporosi postmenopausale

• associata alla ridotta secrezione di estrogeni

• riscontrabile nel 5-29% delle donne dopo la menopausa • compare entro i primi 20 anni dall’inizio della menopausa

• la perdita ossea, molto accelerata nel periodo perimenopausale, può raggiungere una perdita del 5% della massa ossea totale all’anno

• interessa prevalentemente l'osso trabecolare con effetti particolarmente evidenti a livello della colonna vertebrale, dove il turn-over osseo è elevato

• le fratture vertebrali rappresentano la situazione clinica più comune in questi casi. tipo 2 - osteoporosi senile

• può colpire entrambi i sessi dopo i 70 anni di età • può interessare fino al 6% della popolazione anziana

• la perdita di massa ossea interessa sia l'osso trabecolare che quello corticale

• le fratture possono interessare non solo la colonna vertebrale, ma anche le ossa lunghe, il bacino e altre sedi

• le tipiche complicanze sono rappresentate dalle fratture del collo femorale, dell'estremità distale del radio e dell'omero.

L'osteoporosi secondaria rispecchia l’incidenza delle malattie e/o condizioni cliniche e/o uso cronico di farmaci a cui è associata.

Le condizioni cliniche a cui si associa l’osteoporosi secondaria sono:

• ipogonadismo e malattie endocrino-metaboliche (sindrome di Cushing, tireotossicosi, iperparatiroidismo)

• malattie neoplastiche e terapie correlate

• alcune malattie croniche (insufficienza renale cronica, broncopneumopatia cronica ostruttiva, insufficienza cardiaca cronica congestizia)

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• le connettivopatie e le malattie infiammatorie croniche (artrite reumatoide, spondilite anchilosante, ecc)

• alcune malattie gastrointestinali (morbo di Crohn, celiachia) • deficit nutrizionali, abuso alcolico cronico

• uso cronico di farmaci (corticosteroidi, immunosoppressori, ormoni tiroidei, anticonvulsivanti)

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2.3 EZIOPATOLOGIA

L’osso è un tessuto vivo con una crescita e ricambio costanti. Il collagene è la componente morbida della struttura ossea ed il fosfato di calcio ne è la componente minerale che dà forza e durezza all’osso. La combinazione di queste due componenti fornisce durezza ma anche flessibilità all’osso per resistere allo stress. Normalmente l’osso ha un proprio turnover con un costante riassorbimento di osso vecchio combinato alla formazione di osso nuovo. I bambini e gli adolescenti hanno una maggiore formazione di osso rispetto al suo riassorbimento fino al raggiungimento del picco osseo massimo (massima densità e durezza dell’osso) che avviene nella 2° decade della vita. Dopo tale età il riassorbimento dell’osso comincia a prevalere sulla sua formazione.

L’osteoporosi è caratterizzata dalla riduzione della massa ossea accompagnata dal deterioramento a carico della microarchitettura dell'osso. Il riassorbimento dell’osso è particolarmente evidente nelle donne subito dopo la menopausa, ma l’osteoporosi si sviluppa con maggiore probabilità quando il picco di massa ossea, raggiunto entro i primi 20-25 anni di vita, non è ottimale.

I fattori determinanti il picco di massa ossea sono molteplici:

• fattori genetici e familiarità, fattori ormonali (livelli di estrogeni e androgeni, ormone della crescita)

• alimentazione (apporto di calcio, vitamina D e, molto probabilmente, anche di vitamine C e K)

• stile di vita (attività fisica, esposizione ai raggi UV, abitudine al fumo di sigaretta, eccessivo consumo di caffè)

• malattie congenite (fibrosi cistica, omocistinuria, osteogenesi imperfetta, ecc), malattie croniche e trattamenti farmacologici prolungati (corticosteroidi).

Si è osservato che esiste un livello di densità ossea sopra il quale non si verificano fratture e sotto il quale invece l'incidenza di eventi fratturativi aumenta progressivamente. Questo valore di massa ossea viene denominato "soglia di frattura". Determinare e conoscere i valori che precedono la "soglia di frattura" è importante perché può indirizzare verso l'utilizzo di terapie che riducono il riassorbimento di calcio dalle ossa, ritardando e talora impedendo il raggiungimento della soglia stessa.

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Il raggiungimento di un adeguato picco di massa ossea resta l’obiettivo essenziale se si vuole evitare che il successivo, normale declino della densità ossea porti al raggiungimento della soglia di frattura in età precoce. Come già detto, il raggiungimento del picco di massa ossea è sotto il controllo di diversi fattori (ormonali, esercizio fisico, dieta, ecc.).

Lo scheletro umano alla nascita contiene circa 25 g di calcio, mentre nell'età adulta ne contiene circa 1000 g; una dieta contenente una quantità adeguata di calcio è essenziale per questa trasformazione. Recentemente più fonti forniscono indicazioni su quale dovrebbe essere l’apporto giornaliero con la dieta di calcio e di vitamina D nelle diverse fasi della vita. La variabilità dei dati riportati dalla letteratura e dalle diverse organizzazioni nazionali ed internazionali è legata alla difficoltà nello studio del fabbisogno di calcio. Mancano infatti degli indicatori biochimici appropriati che riflettano lo stato nutrizionale di questi elementi; devono pertanto essere utilizzati indicatori indiretti come la valutazione della massa ossea, studi complessi di bilancio del calcio, trials clinici che approfondiscano la relazione tra diversi apporti di calcio ed il contenuto minerale delle ossa.

TABELLA 2.RANGE RACCOMANDATI DI CALCIO E VITAMINA D.

Durante la gravidanza, in particolare durante il terzo trimestre, occorre ulteriormente aumentare l’apporto di calcio (400 mg/die) in modo da assicurare al feto un rifornimento minerale di almeno 200 mg/die. Per quanto riguarda la vit. D, essa va assunta in misura di almeno 10 mcg/die (= 400 UI).

Molti studi hanno mostrato come un supplemento di calcio in età giovanile sia in grado di permettere il raggiungimento di un picco di massa ossea più elevato. L’assunzione di latte e derivati in età prepuberale avrebbe però un effetto maggiore sulla densità ossea rispetto

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alla sola supplementazione con calcio. Questo effetto positivo del latte e derivati sulla massa ossea è stato attribuito al fatto che il latte ed i suoi derivati hanno un alto contenuto in calcio ma anche di altri importanti nutrienti (magnesio, sodio, vit.D, ecc). Per costruire l’osso in età pedriatica, non possono inoltre mancare altri due fattori quali l’esposizione al sole ed una adeguata attività fisica.

Se dal punto di vista eziopatogenetico la "costruzione dell’osso" in età pediatrica ed adolescenziale è un momento chiave nella definizione dell’eventuale successivo sviluppo di osteoporosi, per ridurre l’incidenza delle fratture conseguenti è anche necessario chiarire i meccanismi eziopatogenetici sottostanti alla osteoporosi primaria e secondaria.

Nell’osteoporosi di tipo 1 o post-menopausale, il turnover osseo con prevalenza della componente riassorbitiva è accelerato nei 5 anni dopo la menopausa ed è quindi in stretto rapporto con la riduzione dei livelli circolanti di estrogeni. Esso si associa ad un incremento dei livelli di calcio e di fosfato inorganico nel siero e nelle urine. Questi aumenti derivanti dall’ipoestrogenismo, riducono inizialmente il paratormone plasmatico, ma non la vitamina D3 circolante. Pertanto, la iniziale riduzione di massa ossea derivante dai bassi livelli di estradiolo non è causata da aumentati livelli di questi due ormoni regolatori del metabolismo calcico, ma probabilmente dalla alterazione di fattori locali ossei, quali citochine (IL-1 e 6) e fattori di crescita (TNF, GMCSF). La perdita di massa ossea in corso di osteoporosi è in genere maggiore a livello dell’osso trabecolare rispetto a quello corticale. La massa ossea in un determinato momento è il risultato del picco di massa ossea raggiunto meno la perdita ossea verificatasi.

L’osteoporosi di tipo 2 o senile, ovvero conseguente alla perdita di massa ossea legata all'età, sarebbe spiegata dal fatto che a partire dalla terza decade di vita, si verifica una diminuzione del numero dei recettori intestinali per la vitamina D attivata, con una riduzione dell'assorbimento intestinale di calcio. Questo porta all'instaurarsi di un iperparatiroidismo secondario, con successivo aumento nella produzione di vitamina D attivata e normalizzazione dell'assorbimento intestinale di calcio, a fronte però di un aumento del turnover osseo. A causa della riduzione dell'attività osteoblastica legata all'età, questo porta inevitabilmente ad uno squilibrio a favore dei processi di riassorbimento. L'iperparatiroidismo secondario interessa principalmente l'osso corticale e si associa all’aumento delle fratture femorali. Nel soggetto anziano, inoltre, si evidenzia anche una riduzione dell'enzima 1-𝛼-idrossilasi, che contribuisce ad una riduzione nell'assorbimento intestinale di calcio.

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L’allungamento dell’aspettativa di vita anche nel maschio ha portato all’emergenza della patologia osteoporotica anche nella popolazione maschile anziana; la carenza di androgeni e di testosterone in particolare è alla base dello sviluppo di osteoporosi.

I meccanismi sottostanti allo sviluppo dell’osteoporosi secondaria sono vari, in relazione alle diverse condizione cliniche di base non ancora ben definiti. È importante comunque riconoscere un aumento di rischio nelle condizioni già elencate per favorire una pronta prevenzione, se del caso, anche farmacologica.

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2.4 PREVENZIONE

La prevenzione delle fratture associate all'osteoporosi è un obiettivo che, ove raggiunto, permette di migliorare la qualità della vita delle singole persone. La prevenzione in questo ambito deve essere orientata su due obiettivi diversi ma correlati:

- prevenzione dell'osteoporosi,

- prevenzione delle fratture in pazienti con osteoporosi.

Grazie alla migliore comprensione delle cause, alla facilità di accesso alla diagnosi ed alla possibilità di trattamento prima che si manifestino le fratture, oggi è possibile una reale prevenzione dell'osteoporosi e delle complicanze ad essa associate. Va innanzitutto ribadito il fatto che la salute dell'osso è un processo che deve svilupparsi durante tutta la vita sia nei maschi che nelle femmine. Costruire un osso forte e sano durante l'infanzia e l'adolescenza può costituire la migliore difesa allo sviluppo di osteoporosi.

I passi chiave che si dovrebbero perseguire a tutte le età per ottenere una valida prevenzione dell'osteoporosi possono essere così riassunti:

1. seguire una dieta bilanciata ricca di calcio e vitamina D 2. praticare esercizio fisico in relazione al peso corporeo 3. seguire stili di vita sani (senza alcol né fumo né droghe)

4. quando appropriato, eseguire esami per definire la densità minerale ossea ed eventualmente sottoporsi alle terapie del caso.

Sono stati recentemente definiti alcuni momenti utili alla prevenzione, differenziando le età di intervento. In particolare:

A) Azioni utili a favorire nei bambini ed adolescenti il raggiungimento di un adeguato picco massimo di massa ossea:

• adeguato introito alimentare di calcio. L'adeguato apporto di calcio può essere ridotto da una dieta ricca di proteine, caffeina, fosforo e sodio ma se l'apporto è adeguato, questi alimenti non influenzano l'assorbimento di calcio

• la quantità di Vit. D dovrebbe essere 400-600 IU/die nell'adulto

• l'attività fisica regolare adeguata all'età pediatrica, aumenta la massa ossea ed il relativo picco

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• gli ormoni steroidei sessuali (estrogeni o testosterone) nell'adolescenza sono importanti perché aumentano la densità minerale ossea ed il picco di massa ossea. Il tempo di comparsa del menarca e le alterazioni del ciclo mestruale (oltre che la menopausa precoce) possono ridurre sia la densità minerale ossea che il picco di massa ossea. Nel maschio tutte le situazioni di ipogonadismo, come per esempio il ritardo della pubertà, sono un rischio di osteoporosi in età adulta. Anche l'ormone della crescita e l'insulin-like growth factor-I, massimamente secreti durante la pubertà, giocano un ruolo importante nell'ottenimento di un alto picco di massa ossea.

B) Azioni utili a prevenire e/o ritardare la comparsa di osteoporosi negli adulti:

gli obiettivi da raggiungere nell'adulto sono orientati più a ridurre il riassorbimento dell'osso al minimo fisiologico. Le donne in età peri-menopausale dovranno avere più attenzione per la rapidità con cui può instaurarsi il riassorbimento osseo che può arrivare ad una riduzione del 5% per anno della densità minerale ossea. Dovrebbero essere previste queste cautele anche nei maschi che superano i 70 anni di età.

Per prevenire l'osteoporosi o ritardare il suo sviluppo si dovrebbe: • evitare il fumo e l'eccessivo uso di alcol

• assicurare un apporto giornaliero di calcio e vitamina D adeguato all'età. Normalmente la produzione di Vit. D è sufficiente se vi è una esposizione giornaliera al sole della superficie corporea normalmente scoperta (mani e viso), per almeno 10 min. Nel caso ciò non fosse possibile e opportuna una supplementazione di Vit. D con la dieta in quantità variabile tra i 400 e 800 IU al dì. Aumentando l'assorbimento intestinale di calcio si ottiene un'inibizione della secrezione di ormone paratiroideo con conseguente riduzione del riassorbimento osseo. L'utilizzo di misure aggiuntive, quali la somministrazione di vitamina D per migliorare l'assorbimento intestinale di calcio, può pertanto essere estremamente utile. Il supplemento di calcio (1000 mg/die per 2 anni) riduce la perdita ossea, in particolare nelle donne dopo 6 o più anni dalla menopausa ed è più efficace nelle persone che in precedenza avevano seguito una dieta povera di calcio.

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• ricercare e trattare le condizioni cliniche che possono compromettere la salute dell'osso (sindromi da cattiva nutrizione, malassorbimenti, ecc). In caso di trattamenti con farmaci che possono ridurre la densità minerale ossea (furosemide, anti-convulsivanti, glucocorticoidi, ecc) valutare l'opportunità di provvedimenti che salvaguardino la salute dell'osso. Dal punto di vista dietetico, un eccessivo apporto di fibra con gli alimenti può ridurre l'assorbimento di calcio. Anche una dieta con apporto di proteine animali preponderante rispetto all'apporto di proteine di origine vegetale può essere concausa di osteoporosi.

• considerare in casi selezionati la possibilità di prevenire l'osteoporosi anche con una terapia farmacologica.

C) La prevenzione dell'osteoporosi secondaria si basa sul principio di identificare meglio le cause e di agire nel singolo individuo a rischio di sviluppare fratture associate all'osteoporosi. Valgono pertanto le stesse regole previste per la prevenzione dell'osteoporosi primaria ma spesso si deve intervenire farmacologicamente (è dimostrato che l'utilizzo di Alendronato e Risedronato previene l'osteoporosi in soggetti sottoposti a terapia con steroidi per lungo tempo). La prevenzione delle fratture in pazienti con osteoporosi comprende, in aggiunta alle azioni utili alla prevenzione, riduzione e trattamento dell'osteoporosi, anche un approccio di prevenzione delle cadute. Le cadute infatti aumentano la possibilità di fratture dell'anca, del polso, delle vertebre o di altre parti dello scheletro.

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2.5 DIAGNOSI

La massa ossea può essere valutata con metodiche non invasive applicabili sia in fase di prevenzione, sia per monitorare l'effetto di una eventuale terapia.

L’osteoporosi può essere prevenuta attraverso una diagnosi tempestiva della densità ossea; in questo modo è possibile intervenire, prima delle complicanze, per ridurre il rischio di incorrere in una frattura. L'osteoporosi viene diagnosticata attraverso esami diagnostici mirati, come la Mineralometria Ossea Computerizzata (MOC), che valuta la densità della massa ossea. Oltre alla densitometria ossea, la diagnosi dell'osteoporosi si avvale di altri esami strumentali; il medico può valutare se sono presenti lesioni recenti o pregresse con un esame radiografico o con la morfometria della colonna vertebrale. Le analisi del sangue e delle urine permettono inoltre di valutare lo stato del metabolismo osseo, possono individuare possibili fattori causali e sono particolarmente utili quando c'è il sospetto di una forma di osteoporosi secondaria.

L’organizzazione mondiale della Sanità definisce l’osteoporosi attraverso l’utilizzo del parametro T-score; questo parametro rappresenta la densità ossea del paziente espressa come numero di deviazioni standard (DS) al di sopra o al di sotto rispetto alla densità ossea di un soggetto giovane adulto (per giovane adulto ci si riferisce ad un soggetto di circa 35 anni con un normale stato di salute ed una normale attività fisica e che ha una certa densità ossea). La diminuzione del valore al di sotto di questo parametro ci permette di conoscere se siamo in condizioni di osteopenia, modesta riduzione del contenuto minerale osseo, o osteoporosi, condizione più grave che può essere più o meno importante e che sottopone a rischio di fratture ossee al minimo trauma (tabella 3).

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Determinare e conoscere la "soglia di frattura" è importante perché permetterà l'utilizzo di terapie che riducono il riassorbimento di calcio dalle ossa, ritardando e talora impedendo il raggiungimento della soglia stessa. Una volta raggiunto e superato il valore limite, le terapie che riducono il riassorbimento non saranno più sufficienti e diventerà necessaria anche l'applicazione di misure che stimolino la formazione di osso. È così importante riconoscere i soggetti con osteoporosi prima del raggiungimento di questa soglia con tecniche adeguate e su popolazioni selezionate.

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CAPITOLO 3

3.1 INTRODUZIONE

Tenendo conto delle basi fisiopatologiche dell’osteoporosi sono stati sviluppati numerosi farmaci con l’intento di contrastarla. Questi vengono distinti tra inibitori del riassorbimento e del turnover osseo e stimolatori della neoformazione. Gran parte dei farmaci disponibili sul mercato rientra nella prima categoria, che include i Bisfosfonati, Denosumab,

estrogeni, modulatori selettivi del recettore degli estrogeni, mentre il PTH (intatto o il suo frammento) è l’unico rappresentante del gruppo degli stimolatori della formazione

dell’osso.

3.2 BISFOSFONATI

Sono considerati farmaci di prima scelta nella prevenzione delle fratture a tutti i livelli per la loro tollerabilità, se si escludono alcuni effetti gastro-duodenali in pazienti sensibili, o il rischio, legato a particolari condizioni, di indurre osteonecrosi della mandibola. L’efficacia si associa anche ad una lunga durata di azione che permette sospensioni terapeutiche abbastanza prolungate senza che si perda l’azione anti-fratturativa. I Bisfosfonati (BPs) non vengono metabolizzati, quindi permangono nell’osso a concentrazioni elevate anche per molto tempo.

Come per tutti i farmaci di questa categoria è consigliato associare Calcio e Vit D3. Contrariamente alla Teriparatide, i farmaci anti-riassorbimento quali i BPs non hanno un effetto anabolizzante vero e proprio; la loro efficacia risiede nella rapida riduzione della frequenza di attivazione delle BMU e nella riduzione della profondità dei “pit” (lacune) di riassorbimento, determinando una maggiore quantità di osso disponibile, ovvero non riassorbito dagli OCs, oltre a consentire un miglior processo di mineralizzazione dell’osteoide. Appaiono quindi in grado di aumentare la densità ossea.

I BPs vanno a legarsi, con affinità differenti a seconda della struttura, all’idrossiapatite dalla quale si liberano solo quando l’area sottesa alla membrana degli OCs diviene acida al punto

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di solubilizzare i BPs e far raggiungere le concentrazioni alle quali esplicano il loro effetto farmacologico di inibizione degli OCs stessi.

I Bisfosfonati non azotati, come il Clodronato e l’Etidronato, inibiscono il riassorbimento osseo interferendo con le funzioni mitocondriali e inducendo l’apoptosi degli osteoclasti. Vengono metabolizzati, a livello cellulare, in un composto in grado di competere con l'adenosina trifosfato (ATP), responsabile del metabolismo energetico della cellula, presentandosi come analoghi non idrolizzabili (pseudo-pirofosfati). A seguito di ciò l'osteoclasto va incontro ad esaurimento energetico e conseguente apoptosi.

I Bifosfonati contenenti azoto sono in grado di bloccare il farnesilpirofasfato sintetasi, enzima responsabile della prenilazione delle proteine coinvolte nell’attività osteoclastica. Di conseguenza il reclutamento e la differenziazione dei precursori degli osteoclasti risultano inibiti, l’adesione degli osteoclasti all’osso è limitata e le unità di rimodellamento osseo vengono diminuite. L’apoptosi degli osteoclasti deriva principalmente dal mancato riassorbimento osseo.

I BPs hanno anche la capacità di proteggere gli OBs e gli OCs dagli effetti inibitori dei glucocorticoidi.

L’impiego dei farmaci anti-riassorbitivi è più idoneo a prevenire più che a “curare” una condizione di grave difetto della massa ossea o anche a mantenere gli aumenti di massa ossea indotta dai farmaci prettamente anabolizzanti.

Nonostante solo di rado il trattamento associativo di farmaci diversi riesca a dare risultati migliori dei singoli farmaci, al fine di ottimizzare il trattamento in casi di osteoporosi, sono stati tentati vari approcci combinando farmaci anabolizzanti, quali la Teriparatide (TPTD) o il (PTH), con farmaci prettamente anti-riassorbitivi. I risultati sinora ottenuti sono tuttavia abbastanza discordanti e con diversi risultati a carico delle diverse parti dello scheletro (colonna, radio, femore, anca), ma anche secondo il metodo di misura (DXA o QCT), oltre a presentare diversi esiti anche nel caso di pazienti precedentemente trattati rispetto a quelli mai trattati con farmaci anti-riassorbitivi (naive). Le varie associazioni di Bisfosfonati (Zoledronato, Alendronato, Risedronato) a Teriparatide pur fornendo risultati, almeno apparentemente, vantaggiosi rispetto ai singoli componenti per quanto riguarda la rapidità con la quale si ottengono maggiori valori di BMD a livello vertebrale, non sembrano così opportuni quanto invece le terapie sequenziali.

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3.3 TERIPARATIDE

Il primo dei farmaci, che si differenzia per meccanismo di azione dagli “anti-riassorbitivi”, è il PTH o meglio ancora il frammento 1-34 o Teriparatide (TPD) per la quale si conferma un importante, per quanto limitato, effetto anabolico. È un attivatore del turnover osseo, in grado di stimolare i processi di formazione prima di interferire con quelli di riassorbimento, offrendo pertanto una finestra di attività anabolica che comporta un aumento della massa ossea ed un miglioramento della sua architettura. Alla sospensione del trattamento si ha una rapida perdita della massa ossea conquistata. La TPD viene somministrata giornalmente (s.c.) alla dose di 20mcg con supporto di calcio e Vit D. In vari studi clinici ha mostrato apportare aumenti di BMD dal 10 al 15% all’anno, riducendo di 2/3 il rischio di fratture vertebrali e del 40% quelle non vertebrali entro 18-24 mesi di terapia. L’efficacia della TPD è legata ad una finestra anabolica conseguente un rapido aumento dell’attività osteoblastica seguita più tardivamente dall’aumento dell’attività riassorbitiva. Il meccanismo responsabile è dovuto alla inibizione della sclerostina (noto inibitore dell’attività osteoblastica), oltre alla attivazione della via metabolica Wnt e all’orientamento dei precursori mesenchimali verso la linea osteoblastica. La TPD è efficace sia in uomini che in donne ed anche verso l’osteoporosi indotta da glucocorticoidi. Questo trattamento è suggerito a persone con gravi perdite di massa ossea.

La TPD tende ad aumentare la porosità a livello degli strati profondi, a minor interesse meccanico, dell’osso corticale mentre ne migliora l’architettura ed aumenta l’apposizione periosteale con incremento dello spessore corticale. Varie motivazioni, sia di safety che di efficacia, limitano l’uso della TPD a soli 18-24 mesi, periodo comunque sufficiente per valutare sia l’effetto anabolico sia la rapidità con la quale i vantaggi ottenuti vengono perduti all’interruzione della terapia.

La TPD è controindicata in soggetti con iperparatiroidismo primario o terziario, con elevata fosfatasi alcalina (PA), Paget, gravidanza, osteosarcoma, metastasi ossee. La TPD e il PTH possono determinare ipercalcemia, ipercalciuria e devono essere usate con cautela con farmaci quali la Digossina e Idroclorotiazide.

Alcune differenze tra TPTD e PTH riguardo le variazioni della calcemia sono verosimilmente dovute alla diversa cinetica dei due ormoni. La TPTD dopo iniezione s.c. ha una emivita di circa 1 ora con picco dopo 30 minuti e con un transitorio e massimale aumento della calcemia in circa 4,25 ore che declina assai rapidamente ai valori normali. La biodisponibilità

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del PTH è circa del 55% mentre quella della TPTD è del 95%. Il PTH ha un’emivita assai più prolungata (2-2,5 ore) e ha due picchi dovuti al frammento 1-34 e al PTH intero, inoltre la concentrazione che si ottiene supera quello che è considerato il valore fisiologico massimo (65 pg/ml) per circa 9 ore, assai più a lungo di quanto avviene con la TPTD (circa 3-4 ore). Da qui i maggiori effetti renali e sull’osso del PTH per quanto concerne la calcemia. Il meccanismo di azione del PTH si esplica attraverso il legame con il recettore PTH1R e l’attivazione della via metabolica Wnt canonica attiva i precursori mesenchimali verso la linea osteoblastica, promuove la maturazione degli OBs e ne inibisce l’apoptosi.

Gli OBs esprimono il recettore PTH1R che risponde non solo con la proliferazione e il differenziamento ma anche con la secrezione di RANK-L; questo comporta un iniziale stimolo alla produzione di osso e successivamente anche ad un aumento del riassorbimento.

L’uso cronico del PTH o della TPTD portano in seguito ad un aumento del riassorbimento che annulla l’effetto anabolico. L’interruzione del trattamento non ferma la fase di riassorbimento che continua con una perdita del 4% di osso nel primo anno.

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3.4 FARMACI ANTI-RANKL: DENOSUMAB

Il Denosumab è un anticorpo monoclonale umano di tipo IgG2, diretto contro il RANK ligando. Il RANK ligando è una citochina in grado di interagire con il recettore RANK, espresso sulla membrana dei pre-osteoclasti e sugli osteoclasti maturi (fig.9). Questo anticorpo monoclonale si lega con elevata affinità e specificità al RANKL prevenendo così l’attivazione del suo recettore; questo è in grado di inibire la formazione, funzione e sopravvivenza degli osteoclasti, determinando così una riduzione del riassorbimento corticale e trabecolare.

FIGURA 9.MECCANISMO DI AZIONE DEL DENOSUMAB.IL DENOSUMAB È UN ANTICORPO MONOCLONALE COMPLETAMENTE UMANIZZATO CHE LEGA CON ELEVATA AFFINITÀ E INIBISCE L’ATTIVITÀ DEL RANKL, UN MEDIATORE CHIAVE DELL’ATTIVITÀ OSTEOCLASTICA. RANKL È UN MEDIATORE ESSENZIALE DELLA FORMAZIONE, ATTIVAZIONE E SOPRAVVIVENZA DEGLI OSTEOCLASTI. [OPG, OSTEOPROTEGERINA. RANK, RECETTORE ATTIVATORE DEL FATTORE NUCLEARE KB. RANKL,

LIGANDO DEL RECETTORE ATTIVATORE DEL FATTORE NUCLEARE KB.TRAIL,TNF RELATED APOPTOSIS-INDUCING LIGAND].

L’effetto biologico persiste finché Denosumab è presente in concentrazioni adeguate e appare completamente reversibile dopo la sospensione del trattamento.

La farmacocinetica di Denosumab è non lineare; ad una fase prolungata di assorbimento, durante la quale il farmaco raggiunge il picco di concentrazione tra i 5 e 21 giorni, segue un’emivita sierica superiore ai 30 giorni, prima di una rapida fase finale di eliminazione. L’assorbimento del farmaco avviene probabilmente attraverso il sistema linfatico e l’eliminazione attraverso il sistema reticolo-endoteliale.

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Il Denosumab è stato commercializzato al dosaggio di 60 mg che vengono somministrati sottocute ogni 6 mesi, e successivamente commercializzato al dosaggio di 120 mg nel paziente oncologico con metastasi ossee.

Gli effetti farmacodinamici dimostrano che questo anticorpo è in grado di ridurre molto rapidamente il turnover osseo provocando un picco di riduzione del CTX (telopeptide C terminale del collagene tipo I) pari all’85% in soli 3 giorni. Al termine dell’intervallo di somministrazione si assiste ad una risalita dei livelli di CTX dimostrando la reversibilità dell’azione di Denosumab.

TRATTAMENTO DELL’OSTEOPOROSI POST-MENOPAUSALE

Lo studio di fase III multicentrico, randomizzato, in doppio cieco, controllato verso placebo FREEDOM ha arruolato oltre 7868 donne in post-menopausa di età compresa tra 60-90 anni con osteoporosi (T score al rachide lombare o femore totale compreso tra -2.5 e -4). Le donne erano randomizzate a ricevere 60 mg di Denosumab o placebo per via sottocutanea ogni sei mesi in associazione a calcio 1000 mg e vitamina D 400-800 UI al dì (a seconda dei livelli di 25OHD di partenza) per un periodo di tre anni.

Dopo 3 anni, le pazienti che ricevevano il Denosumab avevano una più bassa incidenza di: • nuove fratture vertebrali (2.3% vs 7.2%)

• fratture non vertebrali (6.5% vs 8%) • fratture di femore (0.7% vs 1.2%)

L’aumento della densità minerale ossea a livello della colonna vertebrale, femore e la riduzione dei marcatori di turn-over osseo erano significativamente maggiore nel gruppo trattato con Denosumab (fig.10).

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FIGURA 10. VARIAZIONE MEDIA PERCENTUALE DELLA DENSITÀ MINERALE OSSEA (BMD) RISPETTO AL BASALE A LIVELLO DELLA COLONNA LOMBARE (A), FEMORE TOTALE (B), COLLO FEMORALE (C), TROCANTERE (D), TERZO DISTALE DEL RADIO (E)

E CORPOREA TOTALE (F) PER IL GRUPPO PLACEBO E DENOSUMAB DAL SOTTOSTUDIO DXA E FREEDOM.

Dopo questa prima fase, le donne hanno avuto la possibilità di essere arruolate nella fase di estensione dello studio FREEDOM della durata di sette anni. Tutte le donne arruolate nella fase di estensione dello studio hanno ricevuto Denosumab alla dose di 60 mg ogni sei mesi. Le donne che avevano ricevuto il placebo nella prima fase dello studio sono state trattate con Denosumab per un periodo complessivo di sette anni, mentre quelle trattate con il farmaco anche nella fase precedente hanno ricevuto Denosumab per un periodo totale di

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dieci anni in associazione a calcio 1000 mg e vitamina D 400-800 UI al dì. Questo studio è lo studio di più durata eseguito con farmaci anti riassorbitivi nell’osteoporosi post-menopausale

I soggetti trattati per 10 anni con Denosumab hanno mostrato un miglioramento della densità minerale ossea nell’intero periodo di studio pari al 21,7% a livello del rachide lombare, del 9,2% a livello dell’anca, rispetto al basale nello studio iniziale. Il tasso annuale di fratture vertebrali e non vertebrali è rimasto ridotto anche nella fase di estensione dello studio. Dopo 3 anni di Denosumab nello studio di estensione si osservava un’ulteriore e significativa riduzione delle fratture non vertebrali nel 4° anno e nel periodo dal 4° al 7° anno rispetto ai primi 3 anni di trattamento. Anche l’incidenza delle fratture di polso era più bassa negli anni 4° e 5° del gruppo trattato a lungo termine.

I risultati della fase di estensione dello studio di fase III FREEDOM hanno dimostrato che il farmaco è in grado di ridurre l’incidenza di fratture e di aumentare la densità minerale ossea per tutta la durata dello studio (tabella 4).

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TRATTAMENTO DELL’OSTEOPOROSI MASCHILE

Il Denosumab è stato valutato in uno studio di fase III controllato verso placebo in uomini con bassa BMD. Sono stati arruolati 242 uomini (età media 65 anni). Dopo 12 mesi di terapia, il Denosumab determinava un aumento della BMD del:

• 5.7% a livello della colonna lombare • 2.4% a livello del femore totale

• 2.1% al collo femorale, 3.1% al trocantere • 0.6% al terzo distale del radio.

Il trattamento con Denosumab riduceva in maniera statisticamente significativa i livelli sierici di CTX (telopeptide C-terminale del collagene di tipo I, marker sierico del turnover osseo) dopo 15 giorni dall’inizio della terapia. Lo studio ADAMO condotto su 219 soggetti maschi per un periodo di 24 mesi ha confermato come il Denosumab determini un aumento statisticamente significativo della BMD a carico di tutti i segmenti scheletrici studiati (rachide lombare, collo del femore, femore totale, radio distale).

TRATTAMENTO DELLA PERDITA DI MASSA OSSEA IN CORSO DI BLOCCO ORMONALE CON INIBITORI DELL’AROMATASI IN DONNE CON CARCINOMA MAMMARIO

Le donne affette da carcinoma della mammella presentano uno spiccato ipoestrogenismo indotto dalla soppressione ovarica in premenopausa e dalla terapia adiuvante ormonale in post-menopausa. Questa condizione determina una spiccata perdita di massa ossea ed aumenta rapidamente il rischio fratturativo; in effetti il rischio fratturativo aumenta in maniera esponenziale dopo circa 1 anno dall’inizio della terapia ormonale adiuvante e permane elevato anche alla sua sospensione. Le categorie a maggior rischio di osteoporosi e di frattura da fragilità, sono le donne in premenopausa con menopausa indotta da chemioterapia o GnRH (Gonadotropin Releasing Hormone).

Oggi si ritiene di intraprendere la terapia antifratturativa contestualmente alla terapia ormonale adiuvante, in considerazione della velocità di perdita di massa ossea e della rapidità di insorgenza del picco di rischio fratturativo.

L’efficacia del Denosumab è stata dimostrata in studio di fase III randomizzato, in doppio cieco, controllato verso placebo. Sono state arruolate 3420 donne in post-menopausa

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affette da carcinoma mammario non metastatico ormono-sensibile in terapia con inibitori dell’aromatasi. Le pazienti sono state randomizzate a ricevere 60 mg di Denosumab per via sottocutanea ogni 6 mesi o placebo. A tutte le pazienti è stato raccomandato di assumere quotidianamente un supplemento di almeno 500 mg di calcio e 400 U di vitamina D.

Il numero totale di fratture era più basso nel gruppo trattato con Denosumab rispetto al gruppo placebo.

Nelle pazienti si osservava un incremento della BMD fino a 2 anni verso il placebo: - a livello della colonna lombare del 8.2%

- a livello del femore totale del 4.7%

- a livello del terzo distale del radio del 6.1%

TRATTAMENTO DELLA PERDITA DI MASSA OSSEA IN CORSO DI BLOCCO ORMONALE IN UOMINI CON CARCINOMA PROSTATICO

I pazienti affetti da carcinoma prostatico che effettuano una terapia da deprivazione androgenica presentano una riduzione della BMD ed un aumento del rischio fratturativo. L’efficacia del Denosumab è stata valutata in uno studio di fase III multicentrico, randomizzato, in doppio cieco, controllato verso placebo.

Sono stati arruolati 1468 uomini con cancro alla prostata non metastico ormono-sensibile trattati con terapia di deprivazione androginica per una durata ≥12 mesi. I pazienti avevano una età maggiore di 70 anni o inferiore ma con bassa BMD (T-score <-1 a livello della colonna lombare, del femore totale o collo femorale) o una pregressa frattura osteoporotica. Ai pazienti è stato somministrato 60 mg di Denosumab per via sottocutanea ogni 6 mesi o placebo. Tuti i pazienti ricevevano un supplemento di almeno 1 g di calcio e 400 unità di vitamina D.

È stato osservato un incremento della BMD fino a 3 anni verso il placebo:

• a livello della colonna lombare del 6.7% e 7.9% a 24 e 36 mesi, rispettivamente • a livello del femore totale del 4.8% e 5.7% 24 e 36 mesi, rispettivamente

• a livello del terzo distale del radio del 5.5% e 6.9% 24 e 36 mesi, rispettivamente I pazienti che ricevevano il Denosumab avevano una ridotta incidenza di nuove fratture vertebrali a 36 mesi statisticamente significativa (1,5% vs 3.9% con placebo) (fig.11).

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FIGURA 11.INCIDENZA CUMULATIVA DI NUOVE FRATTURE VERTEBRALI A 12,24 E 36 MESI IN PAZIENTI CON CANCRO ALLA PROSTATA.IL RISCHIO RELATIVO PER LE FRATTURE VERTEBRALI TRA I 679 PAZIENTI NEL GRUPPO DENOSUMAB VS 673 DEL GRUPPO PLACEBO ERA 0.15 A 12 MESI,0.31 A 24 MESI E 0.38 A 36 MESI.

EVENTI AVVERSI

Il RANK-L essendo espresso da dendriti, linfociti B e linfociti T attivati, è possibile che si abbiano interferenze sul sistema immune; sono stati infatti osservati alcuni effetti a livello cutaneo di tipo immune. Nel 3% e 1.7 % dei casi era presente eczema nel gruppo trattato vs placebo, rispettivamente. Nel 0.3% e < 0.1% dei casi si verificava erisipela rispettivamente nel gruppo trattato vs placebo.

L’osteonecrosi della mandibola (ONJ) e la frattura atipica (AFF) del femore non si osservano nei primi 3 anni ma al 6 anno si sono verificati 6 casi di ONJ e 1 di AFF. Successivamente, nella fase post-marketing sono stati registrati 32 casi di ONJ, 4 casi di AFF, 8 casi di severa ipocalcemia e 5 casi di anafilassi.

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