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1. Introduzione

2.4 Conclusioni provvisorie

La prima caratteristica del testo plautino che è emersa con prepotenza dall’analisi è costituita dalla tendenza ad utilizzare la concretezza del corpo come catalizzatore degli spunti comici di qualunque tipo.

Abbiamo visto che gli occhi pumicei, rivendicati da Pseudolo come un tratto distintivo del suo genus siccoculum, creano un ancoraggio corporeo al tema, ampiamente sviluppato nella commedia, degli atteggiamenti aristocratici del servus truffaldino. Lo stesso tema peraltro si inserisce nel ‘corpo comico’ di Pseudolo anche a livello di posture: si pensi ai diversi rilievi sugli status spavaldi che lo schiavo assume nel corso della pièce, in contrasto col suo ruolo sociale.

Il corpo di Pseudolo è contrassegnato da tratti caricati di forti valenze espressive e simboliche: il supercilium danzante che comunica ‘profeticamente’ (e ‘metateatralmente’) la sua fiducia nella vittoria; gli admodum magni pedes che funzionano come una sorta di cifra distintiva che ne permette l’anagnorisis e insieme lo tipizza nei suoi incespicamenti da ubriaco e nei passi della danza di vittoria finale; il tergum che richiama il suo duplice ruolo di servo piglia-botte e di trionfatore onusto delle spoglie del nemico vinto.

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Un problema con cui l’analisi dei testi ci ha portato a confrontarci è se effettivamente, come sembrano suggerire alcuni studiosi206, gli spunti comici relativi alla corporeità si riferiscano sostanzialmente ad argomenti ‘bassi’ (in senso bachtiniano), il che giustificherebbe l’applicazione in toto di un certo modo di intendere le teorie dell’inversione carnevalesca come legata unicamente a tematiche che esaltano una popolarità grezza e piuttosto volgare, privilegiando battute incentrate soprattutto sul cibo, sul sesso e sulle funzioni ad essi collegate, comprese le più vili, per suscitare il riso nel pubblico dell’epoca. Dalla nostra analisi dei tratti della corporeità nello Pseudolus, come s’è visto, emerge nel complesso semmai una diversa, più elastica modalità di applicazione dell’inversione carnevalesca, intesa più ampiamente come effetto di un qualunque ‘rovesciamento’ di un parametro che generalmente venga accettato come ovvio all’interno di una cultura. Il corpo, cioè, non deve necessariamente mostrare le proprie funzioni più ‘basse’ per muovere al riso, ma può fornire lo spunto per giocare con stereotipi culturali relativi ad argomenti anche molto ‘elevati’, talvolta perfino astratti, agendo come un catalizzatore estremamente efficiente della comicità, qualunque sia la tematica a cui si fa riferimento.

Un’indagine come la nostra non poteva poi ignorare il modo in cui vengono descritti i personaggi che si muovono sulla scena: quale riferimento al corpo, infatti, può essere migliore della sua descrizione? Partendo ancora una volta dallo Pseudolus ed analizzando appunto le descrizioni che alcuni personaggi plautini fanno di altri personaggi (ma talvolta anche di se stessi), abbiamo incontrato termini dalla valenza generale, quali facies, forma, statura, color, ed altri che indicano invece precise parti del corpo: oculi, os, malae, caput, venter, pedes e così via, a seconda del personaggio, delle sue caratteristiche e della sua funzione nell’intreccio. Abbiamo qui incontrato uno σχῆμα διανοίας che appare tipicamente plautino: talvolta la ricognizione dei caratteri fisici, se sviluppata nel corso di uno scambio dialogico, inizia in genere fissando una descrizione piuttosto stereotipata; solo alla fine di essa viene isolato un unico elemento rilevante e distintivo della corporeità, su cui si insiste con variazioni, in modo da creare una battuta che si basi sulla tecnica dell’aprosdoketon. Abbiamo anche notato che tale

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variazione sullo stereotipo è in genere funzionalizzata a una scena di anagnorisis, essenziale nello sviluppo dell’inganno al centro dell’intreccio comico.

Nel terzo e ultimo capitolo dedicato a Pseudolo, la nostra attenzione si è appuntata sulla modalità con la quale vengono suggeriti nel testo i movimenti del personaggio in riferimento a precisi modi di presentarsi o a determinate parti del corpo. Il lavoro di questa sezione è consistito prima nell’analisi di un atteggiamento fisico caratteristico del personaggio di Pseudolo e in seguito nella rilevazione dei ripetuti riferimenti alla sua schiena nel corso della pièce. Abbiamo anche tentato di spiegare il significato che la postura e la specifica parte del corpo in questione rivestivano all’interno della cultura condivisa da Plauto con il proprio pubblico. Abbiamo insomma rilevato una serie di indicazioni che tendono a metaforizzare la performance attraverso l’insistenza su gesti o su dettagli anatomici di forte rilevanza culturale. Spesso non è possibile arrivare a cogliere con esattezza in quale modo si concretizzassero i movimenti scenici, ma talvolta le rappresentazioni iconografiche ci vengono in aiuto. Del resto lo scopo della nostra indagine non è quello di ricostruire la performance, ma di indicare a quali modelli culturali dell’epoca essa potesse fare riferimento, spingendosi talvolta fino a ‘metaforizzare’ il corpo ed i suoi movimenti.

In conclusione, sembra proprio di poter affermare che, nell’assistere alla rappresentazione dello Pseudolus, il pubblico fosse obbligato a mettere in moto la propria fantasia per evocare un corpo che sulla scena doveva apparire più scialbo di quello che le invenzioni di Plauto ci fanno pensare. Sia che si trattasse di alludere a caratteristiche non sempre chiaramente visibili (per esempio, gli occhi verdastri del lenone Cappadoce) o di insistere scenicamente su movimenti o parti del corpo (per esempio, la postura spavalda di Pseudolo o la sua schiena), abbiamo infatti visto che nella commedia è probabile che la parola fosse essenziale per ‘ricreare’ il corpo e farne quell’elemento drammatico che ancora oggi si può apprezzare, non a caso, perfino alla sola lettura. Si comincia così a comprendere che probabilmente il teatro di Plauto ci appare tanto ‘fisico’ proprio perché il corpo emerge dalle parole e dai testi, è cioè un corpo in gran parte ricreato tramite la fantasia per dispiegare tutte le possibilità di una comicità elaborata, basata non esclusivamente sul visivo, ma in gran parte sull’evocazione

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di ciò che, per la sua complessità, non si poteva completamente percepire sulla scena.

La seconda parte di questa ricerca, destinata a indagare sul piano ‘paradigmatico’, cioè sui vari modi di presentazione di uno stesso elemento corporeo in tutte le opere plautine, potrà forse contribuire a confermarci queste prime sommarie conclusioni e aiutare a farci un’idea ancora più chiara della questione nel suo complesso.

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Seconda parte: le molteplici valenze del lessico

corporeo.

A questo punto dell’indagine, l’obiettivo è costituito dalla scelta di un termine specifico del lessico corporeo plautino e dal tentativo di effettuare una panoramica trasversale attraverso tutte le commedie ‘varroniane’, per avere l’agio di indagare ulteriormente sulle svariate modalità con cui l’autore declina le allusioni al corpo, ma anche, e forse soprattutto, per riprendere, approfondire e verificare, tramite quest’approccio complementare, le conclusioni provvisorie emerse alla fine della prima parte di questa indagine.

Si tratta quindi di scegliere un termine marcatamente ‘plautino’, che non compaia nei testi soltanto o prevalentemente in situazioni ‘neutre’, ma che riesca di frequente a caricarsi di valore metaforico, in modo da poterne studiare più agevolmente l’impatto sui passi in cui compare, grazie alla funzione di ‘lente d’ingrandimento’ che le metafore riescono ad esercitare sui dati di un sistema culturale. In proposito, val la pena di tenere presente che, quanto più la situazione in cui compare il termine in esame è ‘lontana’ dall’attuale sistema culturale e letterario, tanto più ci costringe a interrogarci sul valore del termine senza farci cadere nella tentazione di sovrapporre la nostra mentalità, le nostre abitudini e i nostri valori a quelli del mondo plautino207.

207 Per il ruolo della comparazione nel lavoro dello studioso di letteratura antica, cf. BETTINI 2014, in particolare pp. 36-44, dove viene sottolineata la difficoltà di considerare ‘diversa’ una cultura come quella romana, su cui si fonda anche la nostra attuale cultura: il rischio che si corre è quello di non riuscire a considerare i Romani come ‘altri’ rispetto a noi (e quindi, di conseguenza, di ‘appiattire’ la loro cultura omologandola ai valori e alla mentalità attuali). Il confronto fra cultura moderna e cultura romana (ma anche quello fra cultura romana e cultura greca) deve necessariamente fondarsi, invece, sugli elementi che distinguono una cultura dall’altra e che quindi appaiono ai nostri occhi come ‘stranezze’, per consentire un’indagine che giochi più sugli scarti che sulle analogie.

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