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Condizione e presupposto nella logica dell’astratto 92

Attraverso la lettura dell’Atto del pensare come atto puro si è colta l’esigenza gentiliana di stabilire l’assoluta impossibilità di trascendere lo spirito o, in altri termini, l’impossibilità di considerarlo come un essere “condizionato”, dove il condizionato appunto presupporrebbe a sé un qualcosa che sia per lui condizione e che dovrebbe, per un verso, essere identica al condizionato e, per un altro, differente poiché altrimenti non si potrebbe instaurare alcuna relazione di condizionamento (e perciò di causazione). La “condizione”, che nel vocabolario attualistico gioca il ruolo del presupposto, esercita la sua forza vincolante e governa, in silenzio, ciò che è solo

supposto: nella Teoria generale dello spirito come atto puro, Gentile ricorre, come

accadeva nell’Atto del pensare, all’esempio del passato come problema dell’attualità; esso, come si è visto, diviene problema o genera una situazione aporetica, proprio quando viene inteso come vincolo che soggioga il soggetto; ma nello spirito, o atto puro, il passato confluisce nel presente e ne è così unificato, non supposto. L’obiettore potrebbe sempre ravvisare che è esattamente questo “confluire” del passato a divenir condizione di quell’attualità presente che è lo spirito, perché per concepire il presente si dovrebbe, in tal senso, aver concetto di ciò che è passato e l’uno senza l’altro (eludendo la loro sintesi dialettica) resterebbe perciò incomprensibile; se non altro bisognerebbe almeno supporre allo spirito la molteplicità dei momenti che lo costituiscono (condizionano), riportando di nuovo

l’atto sotto il giogo della condizione. Ma Gentile, come già era stato proposto nell’Atto del pensare, avverte che il superamento di quest’aporia, può avvenire solo grazie alla considerazione e dell’”inconsistenza del molteplice nella sua opposizione astratta all’unità”1 e avvertendo che “la condizione non è da concepire astrattamente come divisa dal condizionato”.

Battere il sentiero che l’astratto presupposto al pensiero ha tracciato dietro di sé è l’operazione essenziale che scandisce la lettura e il senso della storia della filosofia esposta attraverso tutta questa serie di opere di Gentile che abbiamo finora considerato – dalle comunicazione della biblioteca filosofica di Palermo, alla Teoria

generale dello spirito come atto puro per finire con il Sistema di logica come teoria del conoscere2. Ciò amplifica la necessità di far luce sul senso della “condizione”, se

si vuol capire quali sono le tappe attraverso cui queste correnti filosofiche sono passate: unificare le correnti filosofiche dell’empirismo e della metafisica sotto il comune segno del logo astratto e così sostanzialmente scovandone l’intima affinità diviene l’obiettivo che si prefigge di raggiungere Gentile sia nelle pagine della Teoria

generale, sia in quelle del Sistema di logica, opere che nonostante il loro differente

andamento espositivo e il loro, apparentemente, diverso contenuto epistemico, appaiono, ad un attento esame, come frutto di quello stesso progetto filosofico che già appariva in tutta la sua chiarezza nel Atto del pensare come atto puro.

Anche tra le pagine della Teoria generale dello spirito come atto puro è presente, forse in modo più velato che in altri scritti, la figura filosofica di Leibniz, la cui opera, anche se non appare in modo così lampante, fa da filo conduttore nei capitoli XI e XII nei quali, attraverso un’attenta lettura, ci si può render conto che uno dei centri attorno a cui gravita la polemica, è esattamente il filosofo di Lipsia. Qui Gentile cerca

1 GENTILE G.,Teoria generale dello spirito come atto puro, Le Lettere, Firenze 2003, p. 150. 2 Scriveva Gentile, nella prefazione alla prima edizione della Teoria generale dello spirito

come atto puro, a proposito dell’intima connessione tra le due opere: “Questa Teoria generale, per altro vuol essere una semplice introduzione, in cui consiste, a mio modo di vedere, il nucleo vivo della filosofia. E questo concetto, se gli anni e le forze non verranno meno, sarà da me esposto sistematicamente in trattati speciali; del primo dei quali, concernente la Logica, ho pubblicato quest’anno il primo volume. Chi legge dunque questa Teoria e non ne rimane del tutto soddisfatto, sa già che non se ne appaga né anche l’autore, e che bisognerà leggere il seguito; almeno se gli sembrasse che ne possa valere la pena. Pisa, ottobre 1917.” (GENTILE

di disvelare la struttura logica che sottende ai dibattiti più fervidi della filosofia moderna, con particolare attenzione alla centenaria polemica tra metafisici ed empiristi, rilevandone, oltre alla loro comune discendenza logico-filosofica, anche il loro distacco essenziale sancito dalla distanza tra il presupposto dell’unità metafisica assoluta e quello della radicale empirica molteplicità: il sistema leibniziano si porrebbe come tentativo di sciogliere il nodo concettuale che si staglia fra i due, ma anche come tentativo di ricomporre la loro separazione formale, confermando pertanto anche il carattere di gran conciliatore che spesso venne attribuito a Leibniz. Nell’analisi che abbiamo condotto sulle forme storiche principali assunte dal logo

astratto abbiamo visto come il concetto, formatosi con Socrate, abbia spinto via via

verso la chiusura sistematica del sistema che, rifugiatosi in un pensiero incapacitato di render conto della realtà e del mondo, ha preferito rinchiudersi dietro a quel muro innalzato dal principio di non contraddizione che, nonostante tutto, non consente al pensiero alcun accesso al mondo reale. In questo chiuso sistema che è la logica

dell’astratto la filosofia ha cercato, malgrado la vanità dei molteplici tentativi, di

escogitare varie modalità per ottenere una valida giustificazione della realtà e quindi dei modi e degli stratagemmi attraverso cui annullare la distanza demarcata dal dualismo di pensiero e natura, da cui ormai non si poteva più far ritorno. È lungo questo filone gnoseologistico che possono essere inserite le correnti della metafisica razionalistica e dell’empirismo inglese, i cui tentativi non sono da disprezzare, anzi, come parte integrante del processo cui il logo astratto ha dato vita, sono da ritenersi due luoghi fondamentali e privilegiati per la comprensione del “motivo” leibniziano.