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Dalla necessità del fatto alla sua prevedibilità 107

Il fatto che cerca di sottrarsi alla sua attuale soggettività scaturisce quindi problematiche inestinguibili che, dinnanzi a quel soggetto non ancora conscio del suo esser in realtà il protagonista e in questo caso anche produttore dell’intero panorama dell’essere, tendono a riproporsi costantemente. Bisogna allora che sia messo in luce che la necessità che avvolge il fatto, sorta dall’immediata presupposizione dell’essere rispetto all’attività cogitante donde quest’ultima rimane affetta dall’errore dell’astratto intellettualismo, non consente neppure una distinzione tra i momenti del passato e del futuro perché lo stesso fatto, in quanto perfetta compiutezza, è un immutabile, eterno ed invariabile e quindi già contenente ogni sua configurazione passata, presente e futura. Proprio questa designazione del factum, la cui necessità diviene l’esatto opposto della libertà, consente ogni forma di “prevedibilità dei fatti naturali” perché la legge che consente il governo del mutamento naturale non può esser concepita come isolata dal “fatto di cui essa è legge”33. La legge naturale quindi è inevitabilmente

31 Scriverà Gentile nell’Introduzione alla filosofia: “Il contingentismo non supera mai il punto di vista dell’astratto; e perciò vuol essere concetto della libertà, ed è invece, come io ho dimostrato, meccanismo e quindi naturalismo” (GENTILE G., op. cit., p.216)

32 GENTILE G.,Teoria generale dello spirito come atto puro,op. cit., p. 170. 33 Ivi, p. 173.

legata alla tradizione speculativa intellettualistico-realista la quale non può che considerare il mondo come un fatto, sì, certo, inteso come mutamento, ma sempre un fatto in cui, a sua volta, la legge si rispecchia pienamente tentando di governarne il mutamento: e quindi se tutta la filosofia tradizionale ha sempre attribuito alla legge la qualità di negatrice del mutamento, allora significa che non al mutamento (falso ed irreale) del fatto ha mirato la legge, quanto piuttosto alla negazione del mutamento del falso mutamento manifestatosi nel divenire considerato come mero factum compiuto. Il fatto naturale è allora prevedibile in quanto è un perfetto non mutevole dato compiuto cui una regola (altro fatto immutabile e compiuto) basta a renderlo riconducibile analiticamente ad altri fatti.

Se il processo di sviluppo della natura è un processo già del tutto esaurito e se esso contiene già tutto ciò che la realtà è stata e sarà, allora è chiaro che il suo sviluppo non può che essere uno sviluppo pienamente analitico, e se, come sappiamo, analitico è ciò in cui il predicato non fa che esplicitare ciò che già è nel soggetto (e quindi il predicato non aggiungerebbe nulla al soggetto), allora è chiaro che nulla nell’ambito del mondo naturale dell’astratto intellettualismo può in alcun modo sottrarsi al governo del principio di non contraddizione. Non resta poi che affermare che il tempo e il mutamento che la natura intende manifestare, non sono che un progressivo disvelamento - “αλήθεια” – di ciò che è già, pertanto essi sono destinati a non aggiunger mai nulla al reale, tuttalpiù non farebbero che seguire il cammino già compiuto della cosa e del factum, concedendo così alla natura di rendersi prevedibile: dunque il φαινόµενoν non è che il già accaduto che attende la sua ideale manifestazione dove quest’ultima, che è qualche cosa di necessario – e che, al contrario, il contingentismo vorrebbe assolutamente slegato da tale necessità – non è che il rispecchiamento della sua piena identità con sé; e si ribadisce che la logica dell’astratto confinando l’accadimento nella sua predeterminazione stabilisce una volta per tutte che ciò che accadrà è in realtà un già accaduto e spiana definitivamente la strada alla legge naturale che può così garantire una prevedibilità di ciò che dovrà

venire.

Se dunque la natura è processo del tutto esaurito e, quindi, processo analitico, non resta che decretare che la previsione non può esser se non un’esplicitazione analitica di ciò che in realtà cade ed è già insito nella conoscenza. È ovvio allora che il già

compiuto che inerisce il dato che appare alla coscienza non è altro che ciò racchiude in sé la coincidenza di passato e futuro della cosa stessa; il pensiero non può pensare la cosa “in via di compiersi”34, bensì si trova dinnanzi ad un già esaurito, ad un

perfectum, ossia immutabile, cosicché reperirne il futuro significherà rilevare il

carattere di qualcosa che in realtà è già se stesso pienamente. E dunque ogni previsione in quanto operazione di calcolo logico e rispecchiando essa una concatenazione analitica già implicita nel mondo della natura, non è che una “proiezione nel futuro di ciò che è antecedente piuttosto all’operazione del prevedere” il cui senso “si riduce al concetto dell’immutabilità del fatto” e “che annulla quindi il futuro nell’atto stesso in cui lo pone”35.

Il quadro teoretico in cui intende immetterci l’attualismo risulta chiaro se teniamo sempre dinnanzi a noi la questione dell’immutabilità della mutabilità che tenderebbe a professare la logica dell’astratto. Se al fondo di ogni gesto sintetico si scova sempre il volto di un’esplicitazione semplicemente analitica di senso, allora significa che il risultato di ogni progresso logico e teoretico non è che, appunto, l’esplicitazione di una struttura logica permanente già data e preordinata, cosa che – come s’è ben visto - la tradizione del logo astratto impone concettualmente sin dall’inizio. Ciò significa che una qualsiasi previsione si può dare solo se il contenuto logico che descrive e quindi afferma il movimento e le sue proprietà, è già dato e non in via di costituzione - costituirsi che importerebbe un non ancora di tale contenuto e quindi una sua radicale imprevedibilità. Se, infatti, il movimento coincidesse con il non-esser-ancora della cosa il fatto non sarebbe più tale e crollerebbe l’intero palco della logica dell’identità, si mostrerebbe cioè che la categoria del fatto dovrebbe risolversi nella categoria dell’atto spirituale.

Il fatto insomma, posto al cospetto dell’atto, appare come negazione pura di ogni libertà e di conseguenza antecedente logico dello spirito: sostenendo ciò l’attualismo non può che ritenere che il contingentismo non sia sufficiente a demolire la necessità, sostituendola semplicemente con la “novità”, cui i fatti sono destinati; non è qui in gioco la necessità causale che lega un fatto ad un altro, bensì quella necessità – che è identità - che suggella e rende immutabile il fatto stesso.

34 Ivi, p. 174. 35 Ibidem.

Non a caso si ripresenta qui la questione leibniziana (questione che, anche e soprattutto in riferimento alla filosofia contingentista, pare comunque permanere nello sfondo dei capitoli prima citati della Teoria generale dello spirito come atto puro) giacché Gentile deve fare i conti con uno dei motivi più controversi e dibattuti della tradizione filosofica, ossia quella dell’ “antitesi tra i concetti di futuro prevedibile e di libertà”.