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Lo spazio teoretico aperto dalla speculazione leibniziana sull’innatismo virtuale, che come abbiamo visto, darà vita alla categoria kantiana, la funzione aprioristica intellettuale, se, certamente, deve la sua consistenza alla distinzione tra verità di ragione e le verità di fatto13 - l’innato compete all’essenza necessaria della verità di ragione – tuttavia può essere concepito sotto il profilo dell’attualismo qualora sia

11 GENTILE G.,Introduzione alla filosofia, Sansoni, Firenze 1958, p. 207. 12 GENTILE G.,Teoria generale dello spirito come atto puro, op. cit., p. 130.

13 Leibniz nel Nuovo saggio sull’intelletto umano, dopo aver fatto esporre i cinque principi di Lord Herbert di Cherbury a Filalete, farà dire a Teofilo: “Sono pienamente d’accordo, signore; infatti considero innate tutte le verità necessarie e vi aggiungo anche gli istinti.” (Nuovi saggi

sottratta l’istanza di immobilità concettuale a cui l’innatismo destina l’essenza. L’intelletto leibniziano – alla luce della formula prima citata nihil est in intellectu

quod prius non fuerit in sensu, praeter ipse intellectus - è una forma che precede

virtualmente il contenuto empirico del senso. Ma la virtualità supera il suo stesso innatismo proprio perché non può ammettere che l’intero contenuto delle idee sia nell’intelletto prima del sopraggiungere del contenuto empirico, sebbene però essa non riesca a coincidere pienamente con la trascendentalità dell’Io penso in quanto essa manca di una vera e propria distinzione tra forma e contenuto. L’aspetto interessante che insorge dalla questione dell’innatismo, è che, certamente, questo fa riferimento esplicito alle verità necessarie di ragione14, ma nell’alveo chiuso della monade tutto viene esplicitamente da lei stessa, proprio perché essa “non ha finestre” ed è specchio dell’universo. L’anima, la monade come unità metafisica originaria, non è e non può essere una tabula rasa15, è innata a sé stessa e “contiene l’essere, la

sostanza, l’uno, l’identico, la causa, la percezione” e al pensiero è “essenziale l’essere appercepito”. Tutte le idee deriverebbero da quel grund che è l’autonoma monade, tutto il contenuto è tratto dal proprio fondo. Essa è punto metafisico, esclude la spazialità e la temporalità – le quali, a loro volta, hanno necessariamente una natura ideale (“La source des nos embarras sur la composition du Continu vient de ce que

vous concevons la matiere et l’espace comme des substances, au lieu que le choses materielles en elles mêmes ne sont que des phenomenes bien règles.” GERHARDT, Die philosophischen Schriften von Gottfried Wilhelm Leibniz, vol III, Georg Olms

Hildesheim, Berlino, 1960, p. 612). In ciò consiste niente meno che la soluzione del problema della continuità che, inerendo essa spazio e tempo in qualità di fenomeni, non pone più gli stessi problemi che affliggevano Zenone, e poi lo stesso Aristotele, poiché essa non consiste più nell’infinita scomposizione della realtà, scomposizione questa che conduce ad un labirinto inestricabile di aporie e paradossi - è questo ne più ne meno la stessa problematicità a cui, ricordiamo, fanno riferimento le antinomie kantiane.

14 “Di conseguenza nelle cose di fatto o contingenti, che non dipendono dalla ragione ma dall’osservazione o dall’esperimento, sono verità prime (rispetto a noi) quelle che immediatamente percepiamo in noi stessi [...] in me stesso, per la verità, io non percepisco soltanto me stesso che penso, ma anche che nei miei pensieri ci sono molte differenze [...]” (LEIBNIZ, Scritti filosofici, vol. II, UTET, Torino 1969, p. 699.)

Se le aporie sorgono proprio nella mescolanza della dimensione fenomenica con la dimensione della realtà presupposta al pensiero, allora la monade concede l’accesso ad una realtà che non sta più semplicemente al di là del pensiero, bensì ne conserva internamente tutta la struttura spalancando le porte all’essenza del fenomeno. Fintanto che stiamo alla luce di questa forma d’idealismo protologico (che come dice appunto Gentile è prima vera forma di “spiritualismo”) in cui il “tutto” cade all’interno della monade, la quale fa da sé i suoi contenuti, sorgono certamente le tracce di quel sentiero speculativo che hanno solcato l’Io penso kantiano, la l’idealistica soggettività hegeliana - il sentiero di una sintesi a priori che non può essere oltrepassata da un’analisi – tuttavia - e lo stesso Gentile ne è convinto e lo ribadisce spesso - la fitta rete dell’armonia prestabilita fa ritornare dalla finestra ciò che la spiritualità monadica aveva espulso: il residuo di spiritualismo leibniziano si converte nuovamente in un realismo intellettualista dove la monade suprema, Dio, stabilisce, preordina, origina e crea l’intero universo composto dalle infinite monadi secondo ciò che le infinite possibilità, o configurazioni di mondi possibili, gli concedono16.

Non c’è da stupirsi del fatto che pure Hegel abbia considerato il pensiero di Leibniz come un idealismo ancora chiuso nei “confini dell’astratto concetto”17. Per questo egli definisce la monade come soggetto ideale di rappresentazione entro la quale cadono i suoi stessi mutamenti e tutta la molteplicità. Il passo che citeremo qui di seguito mostra la concordanza esplicita tra il senso della critica gentiliana e quello della critica hegeliana al senso della monade:

“Che vi siano più monadi, che sian quindi determinate come le altre, ciò non riguarda le monadi stesse; è soltanto la riflessione di un terzo, la quale cade fuori delle monadi. Le monadi non sono in se stesse reciprocamente altre; l’esser per sé vien tenuto puro, senza l’accanto di un esserci. – Ma qui sta in pari tempo l’imperfezione di

16 Si può supporre che accada in Leibniz ciò che Gentile rileva nel sistema di Berkeley il cui idealismo incappa nella trascendenza del pensiero divino, realtà trascendente che da consistenza al pensiero umano. V’è, quindi, un’analogia tematica con le prime battute della

Teoria generale in cui la “felice osservazione” berkeleiana, per la quale ogni oggetto pensato

fuori da ogni mente, pur essendo, in fin dei conti, sempre un oggetto mentale, si annulla nel pensiero divino che precede ogni residuo di creatività e novità presente nel pensiero umano. 17 HEGEL,Scienza della logica, Laterza, Bari 1999, p. 473.

questo sistema. Le monadi son così rappresentative soltanto in sé, o in Dio, la monade delle monadi, oppur anche nel sistema. V’è qui anche l’esser altro; cada poi dove si voglia, nella rappresentazione stessa, oppur comunque sia determinato quel terzo, che le considera come altri, come molti. La molteplicità del loro esserci è soltanto esclusa, e per vero dire solo momentaneamente; è solo per astrazione, che le monadi son poste come tali, che siano non-altri. Se è un terzo, quello che pone il loro esser altro, è anche un terzo, quello che toglie il loro esser altro; ma tutto questo movimento che rende le monadi reali, cade fuori dalle monadi stesse.”18

La molteplicità della monade, proprio in quanto è molteplice, è relazione tra più monadi, e in quanto tale è un qualcosa di estrinseco rispetto a questa molteplicità, è quell’altro, il terzo, che è necessario che venga posto, in quanto riunificazione della molteplicità stessa. Il terzo è chiaramente la monade delle monadi, è Dio, la condizione necessaria e sufficiente per il darsi della molteplicità, che perciò, poiché estranea alla monade in sé, cade fuori, appunto, dalla rappresentatività della monade.

4.3 La ripresa della ragion sufficiente nel secondo volume del Sistema di