• Non ci sono risultati.

Le condizioni di applicabilità del cod Terzo settore agli enti religiosi (e

Capitolo II – La categoria giuridica degli Enti del Terzo Settore

2.5 Le condizioni di applicabilità del cod Terzo settore agli enti religiosi (e

Ai sensi dell’art. 4, co. 3º, cod. Terzo settore, le norme di quest’ultimo si applicano agli «enti religiosi civilmente riconosciuti», limitatamente alle attività di cui all’art. 5 e subordinatamente al rispetto di specifici oneri conformativi193.

Il legislatore della codificazione settoriale qui oggetto di analisi ha, mediante la previsione richiamata, inteso esercitare la delega attribuitagli ai sensi della lett. d), dell’art. 4, co. 1º, legge 6 giugno 2016, n. 106, ai sensi della quale è stata conferita la «facoltà di adottare una disciplina differenziata che tenga conto delle peculiarità della compagine e della struttura associativa nonché della disciplina relativa agli enti delle confessioni religiose che hanno stipulato patti o intese con lo Stato»194.

193

Come ricordato amplius supra (v. Capitolo I), tratta di oneri conformativi, riferendosi (più in generale) ai requisititi per l’ottenimento della qualifica di ente del Terzo settore: A. BARBA, Soggettività metaindividuale e riconoscimento della personalità giuridica, cit., passim e, segnatamente, p. 652.

194

Gli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti – com’è noto – sono enti aventi finalità di religione o di culto, appartenenti alla Chiesa cattolica o a confessioni religiose diverse dalla cattolica, cui è riconosciuta la personalità giuridica ai sensi della disciplina civilistica. Per quanto riguarda gli enti delle confessioni religiose che hanno stipulato patti, accordi o intese con lo Stato, si ricorda, che, l’art. 8 Cost. stabilisce che i rapporti tra lo Stato e le confessioni religiose diverse dalla cattolica sono regolati per legge sulla base di intese con le relative rappresentanze. Le intese intervenute, alla data di redazione del presente lavoro, danno atto della autonomia e della indipendenza degli ordinamenti religiosi diversi da quello cattolico. Ciascuna intesa reca disposizioni dirette a disciplinare i rapporti tra lo Stato e quella confessione religiosa che ha stipulato l’intesa. Le confessioni religiose con le quali lo Stato italiano ha stipulato intese ex art. 8 Cost. sono: le Chiese rappresentate dalla Tavola valdese (legge n. 449/1984); le Assemblee di Dio in Italia (legge n. 517/1988); l’Unione delle Chiese Cristiane Avventiste del 7° giorno (legge n. 516/1988); l’Unione delle comunità ebraiche italiane (legge n. 101/1989); l’Unione cristiana evangelica battista d’Italia (legge n. 116/1995); la Chiesa evangelica luterana in Italia (legge n. 520/1995); la Sacra Arcidiocesi ortodossa d’Italia ed Esarcato per l’Europa Meridionale (legge n. 126/2012); la Chiesa di Gesù Cristo dei Santi degli ultimi giorni (legge n. 127/2012); a Chiesa Apostolica in Italia

In effetti, nell’esercizio della delega, il legislatore ha optato per una ridefinizione della categoria di riferimento, essendo rilevabile la non sovrapponibilità tra la categoria degli «enti delle confessioni religiose che hanno stipulato patti o intese con lo Stato» (di cui tratta la legge delega) e quella degli «enti religiosi civilmente riconosciuti» (a cui si riferisce, invece, la disposizione in commento del cod. Terzo settore), per i quali non è prescritto che sia stipulato alcun patto o intesa con lo Stato. La scelta del legislatore delegato di ridefinire l’ambito soggettivo della disposizione in commento segue la raccomandazione del Consiglio di Stato, il quale – nell’esprimere il proprio parere ex art. 20, co 3º, lett. a), legge 15 marzo 1997, n. 59 sullo schema di decreto legislativo recante «Codice del Terzo settore, a norma dell’art. 1, co. 2, lett. b), della legge 6 giugno 2016, n. 106», nella formulazione di cui al testo approvato in via preliminare nella riunione del Consiglio dei Ministri del 12 maggio 2017 – ha rilevato come la precedente formulazione dell’art. 4, co. 3°, cit. potesse profilare una questione di legittimità costituzionale, nella parte in cui prevedeva che «solo alle confessioni religiose che hanno stipulato patti, accordi o intese con lo Stato si applicano le disposizioni del Codice del terzo settore»195. Osservava infatti il Cons. Stato come «[omissis] [a] prescindere dalla stipulazione di intese, l’eguale libertà di organizzazione e di azione è garantita a tutte le confessioni dai primi due commi dell’art. 8 Cost. (sentenza n. 43 del 1988) e dall’art. 19 Cost., che tutela l’esercizio della libertà religiosa anche in forma associata. La giurisprudenza di questa Corte è anzi costante nell’affermare che il legislatore non può operare discriminazioni tra confessioni religiose in base alla sola circostanza che esse abbiano o non abbiano regolato i loro rapporti con lo Stato tramite accordi o intese (sentenze n. 346 del 2002 e n. 195 del 1993)».

Le condizioni di applicabilità del cod. Terzo settore agli enti religiosi civilmente riconosciuti sono previste dall’art. 4, co. 3º, cit., il quale prescrive che

legge n. 128/2012); l’Unione Induista italiana, Sanatana Dharma Samgha (Legge n. 246/2012); l’Unione Buddhista Italiana (legge n. 245/2012); l’Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai (legge n. 130/2016).

195

Così Cons. Stato, comm. spec., parere sez. norm., 14 giugno 2017, n. 1405, in Foro Amministrativo, II, 2017, 6, p. 1284.

tali enti: abbiano adottato un regolamento (in forma di atto pubblico o scrittura privata autenticata) recettivo delle norme del cod. Terzo settore; siano iscritti nel Registro unico nazionale del terzo settore; abbiano costituito, per lo svolgimento di una o più delle attività di interesse generale, un patrimonio destinato196, con separata tenuta delle scritture contabili.

È stato osservato come la disposizione in commento non consenta espressamente che gli enti religiosi civilmente riconosciuti possano qualificarsi ex se quali enti del Terzo settore (ai sensi dell’art. 12 cod. Terzo settore), bensì – solamente – che a questi siano applicate le disposizioni del cod. Terzo settore in riferimento all’attività che questi enti eventualmente svolgano ex art. 5 cod. Terzo settore197. Sono tuttavia riscontrabili anche posizioni in senso contrario, le quali in realtà non argomentano circa il riferimento legislativo in termini di (mera) applicabilità della disciplina degli enti del Terzo settore, senza prevedere l’accesso a tale qualifica per gli enti religiosi civilmente riconosciuti198. Infine, oltre al dato letterale qui richiamato, milita a sostegno della prima interpretazione un precedente normativo: il riferimento è all’art. 10, co. 9º, d.lgs. 4 dicembre 1997 n. 460, in tema di ONLUS199, a mente del quale: «[g]li enti ecclesiastici delle confessioni religiose con le quali lo Stato ha stipulato patti, accordi o intese [omissis] sono considerati ONLUS limitatamente all’esercizio delle attività» tipiche di cui all’art. 9, co. 1°, d.lgs. cit.

196

Come è stato osservato, non è certo che il “patrimonio destinato” di cui all’art. 4, co. 3°, debba essere necessariamente collegato a quello di cui all’art. 10 del cod. Terzo settore, stante la differente formulazione tra le due disposizioni (e, in particolare, dato il mancato rinvio alla disciplina societaria ex artt. 2447-bis ss. c.c. ad opera della previsione in tema di enti religiosi civilmente riconosciuti). Per riferimenti e possibili soluzioni operative cfr. le osservazioni di G.M. COLOMBO, Il “ramo” ETS degli enti religiosi, in Cooperative e Enti non profit, II, 2018, p. 14 e ss. e, ivi, p. 17.

197

In questo senso, Ibidem.

198

G. MARASÀ, Appunti sui requisiti di qualificazione degli enti del terzo settore, cit., p. 687.

199

Sul punto, v. P. CLEMENTI - L. SIMONELLI, La gestione e l’amministrazione della