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Il perimetro soggettivo del Terzo settore nella legislazione antecedente la

Capitolo II – La categoria giuridica degli Enti del Terzo Settore

2.2 Il perimetro soggettivo del Terzo settore nella legislazione antecedente la

Come premesso, nell’evoluzione normativa che ha preceduto l’approvazione della legge delega 6 agosto 2016, n. 106, risultava centrale la nozione di (ente) non profit, come concetto unificante del Terzo settore, pur essendo, in tale contesto, la relativa portata tutt’altro che pacifica152.

Era, in primo luogo, discussa da parte di alcuni studiosi la stessa dignità ontologica della nozione unitaria di ente non profit, dovendosi questa ritrarre esclusivamente dalle concrete ed asistematiche scelte di politica legislativa tempo per tempo effettuate dal legislatore, senza che fosse identificabile un formante costante ed immutabile in tali diverse manifestazioni del fenomeno de qua153. Di

151

Per una simile impostazione dell’indagine (seppur con riferimento elettivo al tema degli enti costituiti in forma societaria) si rinvia alla fondamentale opera di P. SPADA, La tipicità delle società, Padova, 1974, passim, nonché (con riferimento, invece, agli enti non lucrativi) alla brillante ricostruzione, di poco successiva, di D. VITTORIA, Le fondazioni culturali e il consiglio di amministrazione. Evoluzione della prassi statutaria e prospettive della tecnica fondazionale, in Riv. dir. comm., 1975, I, p. 316 e ss., opera ampliata ed arricchita nella pubblicazione monografica, ID., Le fondazioni culturali e il consiglio di amministrazione, Napoli, 1976.

152

Così, M.CEOLIN, Il c.d. codice del Terzo settore, cit., p. 5.

153

Così, R. BRIGANTI, Organizzazioni “Non profit” e ONLUS, Milano, 2000, p. 16 e ss.; nonché, con riferimento al precedente quadro normativo in tema di ONLUS (cfr. art. 10, co. 8 ̊, d.lgs. n. 460/97), con l’ulteriore avvertimento – di altro Autore – che tale impostazione sia «ora decisamente mutata con il Codice del terzo settore»; in questo ultimo senso, v. M. CEOLIN, Il c.d. codice del Terzo settore, cit., pag. 5, nota 21.

contrario avviso è, peraltro, la copiosa dottrina che ha profuso sforzi notevoli nel tentativo di determinare la portata contenutistico-ontologica del concetto in discorso154.

Su tale ultimo piano, si sono fronteggiate le posizioni di quanti hanno disputato della co-essenzialità o meno del perseguimento di uno scopo di tipo solidaristico (o, quantomeno, non egoistico) ai fini dell’ottenimento della qualifica de qua. Sebbene non trascurabili risultino le risposte di orientamento positivo a detto interrogativo155, è andata affermandosi come prevalente l’impostazione secondo cui l’elemento ontologico caratterizzante gli enti non profit fosse individuabile nel c.d. non distribution constraint, ossia nel divieto di distribuire alla compagine associativa il profitto eventualmente realizzato dall’ente, unitamente alla circostanza che detto profitto dovesse essere necessariamente reimpiegato (anche, eventualmente, realizzando un lucro oggettivo156) ai fini del perseguimento delle finalità istituzionali dell’ente157. Lungi dal voler indugiare in

154

P. SCHLESINGER, Categorie dogmatiche e normative in tema di «non profit organizations», in AA.VV., Gli enti «non profit» in Italia, a cura di G. Ponzanelli, Padova, 1994, p. 273 e ss.; nonché B.A. WEISBROD, Toward a Theory of the Voluntary Nonprofit Sector in a Three-Sector Economy, in AA.VV., The Economics of Nonprofit Institutions, a cura di S.R. Ackerman, New York-Oxford, 1986, p. 21 e ss.

155

In questo senso, cfr., C.M.BIANCA, La norma giuridica. I soggetti, in Diritto civile, I, Milano, 2002, p. 330, con riferimento alla disciplina di cui all’art. 1, co. 3º, d.P.R. 10 febbraio 2000, n. 361; nonché, più in generale, G. NAPOLITANO, Le associazioni private «a rilievo pubblicistico», in Riv. crit. dir. priv., 1994, p. 583; L. NATOLI - P. MONTESANO, Enti non profit. Respicere finem, in Il Fisco, 1996, p. 9873. D’interesse risulta – innanzitutto per ragioni di tipo metodologico – la distinzione in E. QUADRI, in F. BOCCHINI - E. QUADRI, Diritto privato, cit., p. 356, nota. 25, tra scopo dell’associazione (che ben potrebbe essere di tipo meramente “interno”) e scopo della fondazione (di tipo necessariamente “esterno”).

156

Contra, cfr. C. GOBBI, Profili del non profit, in Riv. dir. civ., 2001, II, p. 29.

157

V. G. PONZANELLI, voce Enti senza scopo di lucro, cit., p. 6; nonché, ID., Novità nell’universo «non profit», in Giur. comm., 1993, I, p. 411.

elucubrazioni d’ispirazione (esclusivamente) sociologica158, l’adesione ad una tale impostazione, nell’epoca antecedente alla riforma principiata con la legge n. 106/2016 cit., ben potrebbe derivare da un’attenta meditazione attorno al dato normativo di riferimento.

Sostanzialmente compatta appare la dottrina circa l’insussistenza di un requisito di tal fatta nella disciplina generale di cui al Libro I, Titolo II, c.c.159; né indicazioni di segno contrario potrebbero del resto derivare dall’analisi della disciplina di cui al d.P.R. 10 febbraio 2000, n. 361. Difatti, nel rilevare come gli unici requisiti prescritti ai fini (specifici) dell’ottenimento del riconoscimento si sostanzino nel controllo della possibilità e liceità dello scopo, oltreché dell’adeguatezza del patrimonio al raggiungimento dello scopo, la dottrina maggioritaria si esprime nel senso di disconoscere l’imprescindibilità del requisito di un fine di utilità sociale160.

158

Sulla ampia (ancorché disorganica) dimensione normativa del fenomeno de qua in epoca antecedente alla riforma, è stato richiamato supra il lavoro di M. GORGONI, Il codice del Terzo settore tra luci ed ombre, cit., p. 17, a cui si rinvia nuovamente.

159

Per gli opportuni riferimenti, cfr. M. TAMPONI, Commento sub art. 13 c.c., in Il Codice Civile. Commentario, fondato da P. Schlesinger e diretto da F.D. Busnelli, Milano, 2018, p. 106.

160

Cfr.,A.ZOPPINI, Le fondazioni, cit., pp. 13 e ss. e 141; nonché M.V. DE GIORGI, La scelta degli enti privati: riconoscimento civilistico e/o registrazione speciale?, in NGCC, 2001, II, p. 88. Circa il sistema di attribuzione della personalità, anche nel quadro normativo risultante dalla riforma de qua, individua una connotazione di carattere sostanzialmente concessorio (e non meramente normativo), tra gli altri, A. BARBA, Soggettività metaindividuale e riconoscimento della personalità giuridica, cit., p. 653.

Condivisibile appare la ricostruzione – richiamata molto chiaramente in E. QUADRI, in F. BOCCHINI - E. QUADRI, Diritto privato, cit., p. 351 – secondo cui, quantomeno nel regime ex d.P.R. n. 361/2000 cit., il margine di (seppur ridotta) discrezionalità residuante in capo all’amministrazione preposta all’attribuzione della personalità giuridica agli enti richiedenti imporrebbe di qualificare il sistema in termini di “quasi normativo”. Mette comunque conto di ricordare come Cass. civ., SS.UU., ord. 8 giugno 2014, n. 9942, in Foro It., 2014, 9, 1, p. 2542, si esprima nel senso che il sistema ex d.P.R. n. 361/2000 cit. fosse ancora di tipo sostanzialmente concessorio stante il «rilevante àmbito di apprezzamento», soprattutto sul piano dell’adeguatezza del patrimonio; il che, nel regime odierno dove il requisito

Militavano, invero, in senso contrario le previsioni della legislazione speciale fiscale; valga, in particolare, il richiamo: all’art. 8, legge 11 agosto 1991, n. 266161, c.d. legge-quadro sul volontariato; all’art. 10, co. 4 ̊, d.lgs. 4 dicembre 1997, n. 460, recante norme per il «[r]iordino della disciplina tributaria degli enti non commerciali e delle organizzazioni non lucrative di utilità sociale»162; o, ancora, l’art. 7, co. 2 ̊, legge 8 novembre 1991, n. 381, recante la «[d]isciplina delle cooperative sociali»163.

In realtà, tali disposizioni, lungi dal fornire indicazioni di carattere sistematico, non fanno che stabilire le condizioni speciali per l’applicazione di un determinato regime di vantaggio e non possono, epistemiologicamente, assurgere, di per se stesse, a canoni da cui dedurre un principio di carattere generale. Benché quindi, sulla base di un dato di regolarità statistica, le finalità di solidarietà sociale o altruistiche risultassero solitamente presenti, l’unico elemento ontologicamente determinante ai fini della qualificazione degli enti non profit veniva identificato – quantomeno secondo l’orientamento più diffuso in dottrina – esclusivamente con il menzionato non distribution constraint164.

Come evidenziato in maggior dettaglio nel corso del Capitolo I, il cod. Terzo settore non rappresenta che l’ultimo dei tentativi volti «al riordino e alla revisione organica della disciplina vigente in materia di enti del Terzo settore». Il medesimo obiettivo era infatti espressamente perseguito già dal richiamato d.lgs.

patrimoniale è fisso e predeterminato ex lege, concorrerebbe a ritenere ulteriormente compressa la discrezionalità dell’amministrazione preposta nell’attribuzione della personalità agli enti del Terzo settore.

161

La disposizione menzionata concede l’esenzione da imposte di bollo e registro per gli atti costitutivi delle organizzazioni di volontariato, solo se costituite per fini di solidarietà.

162

La disposizione menzionata considera «comunque inerenti a finalità sociali» alcune attività svolte in settori determinati (quali, e.g., l’assistenza sociale, il settore socio-sanitario e di beneficienza) con conseguente applicazione delle agevolazioni fiscali ivi previste.

163

Che reca disposizioni agevolative in tema di imposte ipotecarie e catastali.

164

Cfr. gli opportuni riferimenti in M.V. DE GIORGI, Le associazioni riconosciute, in Tratt. Rescigno, Persone e famiglia, I, Torino, 1999, p. 386 e ss. Si vedano però le autorevoli posizioni in senso (in tutto o in parte) divergente richiamate supra, alla nota 155.

4 dicembre 1997, n. 460 (c.d. decreto ONLUS), il quale si prefiggeva il proposito di dare una ricollocazione organica del frammentario quadro normativo riferibile agli enti senza scopo di lucro165, fissando i requisiti per la sussunzione nella categoria “ONLUS” (consistenti, in particolare, nel fine sociale dell’ente, nel divieto categorico di arricchimento dei membri, nel carattere aperto della organizzazione).

Ai fini qualificatori, risultava del tutto irrilevante la forma strutturale dell’ente, ben potendo qualificarsi come ONLUS: gli enti (svolgenti attività non commerciale) del Libro I, Titolo II, c.c.; le società cooperative; gli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti; le associazioni di promozione sociale e, in genere, tutti gli enti privati, riconosciuti e non riconosciuti, che osservassero le prescrizioni del decreto. L’esclusione dallo spettro della fattispecie ONLUS era quindi riservata, oltre agli enti pubblici e alle società commerciali, ai partiti politici, alle associazioni sindacali e di categoria. Del pari era irrilevante, ai fini della qualifica, l’aver o meno ottenuto la personalità giuridica. Peraltro, nonostante l’intervento legislativo in materia di ONLUS interessasse squisitamente il regime fiscale premiale delle organizzazioni a scopo sociale, non è dubbio che, almeno implicitamente, il decreto abbia avuto una rilevanza civilistica dogmatica (quantomeno in termini di influenza) nient’affatto trascurabile166.

165

Una panoramica del menzionato quadro normativo è riportata da M. CEOLIN, Il c.d. codice del Terzo settore, cit., pag. 8, nota 33; ove anche il rilievo secondo cui la Relazione illustrativa del provvedimento de qua mira dichiaratamente allo sviluppo del settore non profit «attraverso un razionale impiego della leva fiscale, così da consentire allo Stato di effettuare risparmi in diversi comparti di servizi, ora direttamente gestiti, che potrebbero essere efficacemente assicurati da queste realtà emergenti e non più marginali». In ciò disvelandosi l’atteggiamento del legislatore, consapevole della crisi che interessa lo Stato moderno, fallimentare nella sua – ormai solo predicata – vocazione sociale, il quale Stato, per una struttura troppo farraginosa e per le risorse sempre più limitate, abdica il compito di soddisfare certi bisogni sociali, lasciando spazio ai privati, organizzati nelle forme di enti del Terzo settore.

166

Dà atto delle interferenze tra regime fiscale e categorie civilistiche G. PONZANELLI, Le fondazioni in diritto comparato, in Contr. e impr., 1989, p. 236 e ss.

Lungi dall’aver creato (recte normato) una mera etichetta, la disciplina in oggetto ha regolato, in effetti, il campo complessivo di operatività delle organizzazioni non profit167, sino al punto da dettare alcuni vincoli contenutistici statutari per gli enti che avessero inteso qualificarsi come ONLUS, finendo per connotarne la fattispecie 168.

Tale sfondo normativo (integrato con i richiami svolti nel Capitolo I) descrive in termini esemplari il panorama ordinamentale sul quale è andata a stagliarsi la riforma del Terzo settore e, in particolare, il relativo codice.

2.3 Le forme organizzative degli enti del Terzo settore nella definizione