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Il Terzo settore tra diritto speciale e diritto generale

Capitolo II – La categoria giuridica degli Enti del Terzo Settore

3.1 Il Terzo settore tra diritto speciale e diritto generale

Nell’analisi dei potenziali effetti sistematici della riforma in discorso, si conviene circa il fatto che gli enti del Terzo settore non possano (più) essere considerati una categoria meramente interpretativa, dovendosi riconoscere che gli stessi – dopo essere senz’altro usciti da quell’àmbito di marginalità normativa in cui riteneva fossero collocati (nel contesto ordinamentale precedente) rilevante dottrina280 – assurgano ormai al rango di categoria normativa281. Avendo il cod. Terzo settore inteso superare la (tradizionale) flessibilità ontologica della categoria in analisi, risulta rilevante valutare gli eventuali effetti che la riforma potrebbe aver prodotto sul piano dogmatico e delle categorie generali, e ciò onde contro-verificare se la categoria in analisi si connoti causalmente in termini differenti da quella degli enti non lucrativi del c.c., tanto da individuare una nuova fattispecie nel panorama del non profit.

Mentre nel Capitolo II si è tentato di affrontare il tema valutando la capacità qualificatoria (in termini di fattispecie) degli elementi oggettivo- teleologici degli enti del Terzo settore (i.e. attività conseguite e finalità tipiche), il presente Capitolo è volto ad indagare se, almeno, la disciplina sostanziale di associazioni e fondazioni del Terzo settore individui fattispecie nuove rispetto a quelle di cui al Libro I c.c.

Un tale obiettivo speculativo si impone in uno scenario in cui le intenzioni del legislatore delegante erano di momento affatto ambizioso. Tratteggiati, infatti, nel co. 1°, i caratteri essenziali delle finalità perseguite dalla riforma, l’art. 1, al co. 2º della legge n. 106/2016, ne individua l’oggetto, ponendo al primo posto (i.e., alla lett. a), appunto) l’obiettivo di provvedere «alla revisione della disciplina del titolo II del libro primo del codice civile in materia di associazioni, fondazioni

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Così A. ZOPPINI, Le fondazioni, cit., p. 29.

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e altre istituzioni di carattere privato senza scopo di lucro».

Detto obiettivo risulta separato e distinto rispetto a quello di cui alla lett. b), disp. cit., sebbene concorra con quest’ultimo al perseguimento delle finalità ex art. 1, co. 1°, lett. b), cod. Terzo settore. Il riferimento è alla delega al Governo a provvedere «al riordino e alla revisione organica della disciplina speciale e delle altre disposizioni vigenti relative agli enti del Terzo settore di cui al comma 1, compresa la disciplina tributaria applicabile a tali enti, mediante la redazione di un apposito codice del Terzo settore, secondo i princìpi e i criteri direttivi di cui all’articolo 20, commi 3 e 4, della legge 15 marzo 1997, n. 59, e successive modificazioni».

Revisione della disciplina generale del c.c., da un lato (ex lett. a) cit.), e riordino e revisione organica della disciplina settoriale, dall’altro (ex lett. b) cit.), costituivano i principali àmbiti d’intervento programmati dal legislatore della riforma.

Prefiggendosi di operare in tali spazi normativi282, il legislatore aveva inteso definire compiutamente il ruolo del Terzo settore (alla luce di una nuova concezione dei rapporti tra Stato e cittadini, tra pubblico e privato, tale da privilegiare, nella prospettiva indicata dal co. 4° dell’art. 118 Cost., il perseguimento dell’interesse generale, valorizzando il principio di sussidiarietà)283 e, al contempo, dare enfasi al potenziale produttivo del Terzo settore, forte della consapevolezza del peso crescente che il “non per profitto” ha finito con l’assumere nel contesto economico nazionale ed internazionale 284.

Non richiede chiarificazioni la necessità che il perseguimento di tali

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Gli obiettivi di cui alle lett. a) e b) dell’art. 1, co. 2°, legge n. 106/2016 cit. sono destinati ad operare in sinergia con quello di cui alla lett. c), in punto di revisione della disciplina in materia di impresa sociale. Su un piano sistematico, si apprezza altresì il ruolo che l’obiettivo di procedere alla «revisione della disciplina in materia di servizio civile nazionale», di cui alla lett. d), disp. cit., gioca sul piano dei rapporti tra il “Terzo” e il “primo” settore. Più in generale sul tema, v. N.LIPARI, Il ruolo del terzo settore nella crisi dello stato, cit., passim.

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Per riflessioni sul tema, cfr. R. BRIGANTI, La riforma del “Terzo settore” tra sussidiarietà orizzontale e impresa sociale, in Notariato, 2018, V, p. 511 e ss.

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ambiziosi fini passasse, prodromicamente, per il superamento dell’oscurità e del disordine che caratterizzavano la disciplina stratificatasi negli anni in tema di non profit né come, per riportare al centro il Terzo settore, fosse auspicabile fornire un quadro normativo maggiormente chiaro e coerente285.

Gli auspici del legislatore delegante non sono però stati soddisfatti dal legislatore delegato, il quale è risultato (a voler ben pensare) dimentico della delega di cui alla lett. a) cit., essendosi i relativi sforzi concentrati solamente sul riordino e la revisione della legislazione settoriale, mediante l’emanazione di un codice di settore (il cod. Terzo settore, appunto), in attuazione della delega di cui alla lett. b) cit.

Le sinergie, che i due piani d’intervento riformatore erano, de iure condendo, volte a creare, si spostano, così, de iure condito, sul piano dell’analisi della natura e del potenziale impatto (anche sistematico) che la normativa di settore (come revisionata e riorganizzata nel cod. Terzo settore) potrebbe avere sullo statuto generale degli enti del Titolo II del Libro I c.c.286.

Tale tema risulta caratterizzato dalla tensione tra un atteggiamento remissivo del legislatore delegato, rispetto ad un intervento che fosse effettivamente sistematico, ed un atteggiamento accentratore, essendosi paventato come la riforma de qua potesse (o, secondo condivisibile impostazione287, effettivamente possa) finire col risolversi in una marcata neo-pubblicizzazione della materia.

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Cfr. gli ampi ragguagli presenti già in M.V.DE GIORGI, Il nuovo diritto degli enti senza scopo di lucro: dalla povertà delle forme codicistiche al groviglio delle leggi speciali, in Riv. dir. civ., 1999, III, p. 287 e ss., a cui è riconducibile la maternità del termine “groviglio” utilizzato per descrivere la normativa settoriale applicabile agli enti non lucrativi, il quale ha avuto, in seguito, particolare fortuna tra gli studiosi della materia: frequente ne è il richiamo, tra gli altri, in G. PONZANELLI, Terzo settore: la legge delega di riforma, cit., passim, nonché, ID., La nuova categoria degli enti del Terzo settore, cit., p. 3.

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Il riferimento è, lo si ribadisce, alla valutazione se lo statuto degli enti del Terzo settore individui norme di disciplina ovvero norme di fattispecie.

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Come si proverà ad illustrare nel presente Capitolo288, la mancata attuazione della delega potrebbe essere letta secondo due alternative ipotesi ricostruttive. Una prima ipotesi imporrebbe di leggere l’omissione del legislatore delegato in termini riconducibili al brocardo latino “ubi lex voluit dixit, ubi noluit tacuit”, di talché – non avendo il legislatore voluto intervenire sul c.c., oltre gli esigui limiti del novello art. 42-bis – le norme del cod. Terzo settore dovrebbero essere lette ed interpretate come eccezionali e la relativa portata dovrebbe essere confinata nell’àmbito della sfera soggettiva di cui all’art. 4 cod. Terzo settore.

La seconda ipotesi ricostruttiva, invece, potrebbe rinvenire una giustificazione per la scelta omissiva del legislatore in ragioni di “economia nella produzione normativa”: più chiaramente, si potrebbe ritenere che il legislatore abbia considerato superfluo intervenire sul testo del c.c., consapevole che le norme del cod. Terzo settore fossero espressive di princìpi generali destinati ad influenzare direttamente la disciplina di cui al Titolo II del Libro I c.c. (sarebbe a dire, in sostanza, “lex tacuit, tamen voluit”).

In realtà, al fine di potersi disporre lungo l’una o l’altra linea prospettica di cui sopra, appare indispensabile andare oltre l’indagine circa le ragioni delle condotte omissive del legislatore storico ed indagare funditus la relativa ratio legis valorizzando il dato positivo di cui alle disposizioni della codificazione settoriale.

Come anche osservato nel Capitolo che precede, la tensione tra le alternative ora rappresentate disvela un più ampio quesito circa la possibilità di considerare la normativa in discorso come espressiva di una fattispecie nuova ovvero di una disciplina di secondo livello289. In tale ultimo caso – anticipando

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Si rinvia all’ultimo paragrafo del presente Capitolo per cenni circa possibili profili di illegittimità costituzionale (per violazione dell’art. 76 Cost.) nelle modalità di attuazione della delega, proprio con riferimento alle norme di cui al Titolo IV cod. Terzo settore.

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Il che, su un differente piano, potrebbe portare a domandarsi se il cod. Terzo settore possa essere considerato stricto sensu un “codice” – quale sedes di principi e di norme omogenee sistematizzate – ovvero debba essere qualificato, piuttosto, come (mero) “testo unico”. Più in generale, sull’idea di codice e sui rapporti tra tale idea e le tendenze normative moderne e contemporanee si rinvia, integralmente a: N. IRTI, L’età della decodificazione, Milano, 1979,

delle possibili conclusioni – le norme del cod. Terzo settore potrebbero ritenersi applicabili per via analogica (ricorrendone i presupposti generali) anche agli enti del Libro I, poiché dirette a regolamentare comunità intermedie che partecipano della medesima tipologia causale, essendo questi (quantomeno nell’assetto organizzativo associativo e fondazionale) riconducibili alle medesime fattispecie.

3.2 Le “norme applicabili” ex art. 3 cod. Terzo settore e la pluralità di statuti