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Le condizioni di impiego

Nel documento Il lavoro nella New Economy (pagine 45-49)

LE AZIENDE INTERNET IN PROVINCIA DI MILANO: IL SONDAGGIO

2. Analisi dei principali risultati del sondaggio

2.5. Le condizioni di impiego

2.5. Le condizioni di impiego

Più della metà delle aziende (69%) ricorre a corsi di formazione e di aggiornamento: il 25% li organizza in autonomia, il 19% utilizza centri di formazione specializzati, mentre il 10% finanzia i corsi a cui si iscrivono i propri dipendenti e collaboratori. Il 15% delle aziende dichiara che il proprio personale frequenta corsi di formazione, ma come scelta individuale, senza il supporto dell’azienda.

Il 10% delle aziende, invece, non prevede la formazione per mancanza di tempo e il 6% perché non trova corsi adeguati alle proprie esigenze. Tra le altre motivazioni indicate per il mancato utilizzo di corsi di formazione vengono riportate le seguenti risposte: «non ce li possiamo permettere, sono troppo cari per un’azienda piccola come la nostra»; «non ci servono»; «vengono da noi per imparare e non il contrario»; «si impara facendo, non studiando»; «in internet è tutto autoformazione».

Fig. 20 – Distribuzione delle aziende per utilizzo della formazione

0

Rispetto al contratto collettivo nazionale di lavoro (ccnl),il 36% delle aziende intervistate non lo applica, perché si tratta di aziende individuali o che utilizzano esclusivamente contratti di collaborazione coordinata e continuativa. Anche la ricerca promossa da Federcomin (2002), rileva la scarsa forza di penetrazione dei contratti collettivi nazionali di lavoro, che sono adottati da meno del 50% delle piccole imprese del settore It. La forte spinta verso la contrattazione individuale dei rapporti è determinata anche da un ridotto livello di iscrizione sia alle associazioni imprenditoriali che a quelle sindacali. Il sindacato è presente solo in poco più dell’1% delle piccole aziende dell’Ict, se considerate nel loro complesso, e in appena il 3,7% delle imprese con più di sedici dipendenti.

D’altro canto, l’assenza di un contratto collettivo nazionale specifico per i lavoratori di internet o, per lo meno, dell’Ict ha costretto le imprese di questo settore a fare uso di contratti collettivi nati per regolare il lavoro in altri settori produttivi, provocando così una frammentazione del settore Ict sul piano delle relazioni industriali.

La ricerca Federcomin (2002) riferisce che nel settore delle nuove tecnologie i due contratti prevalenti sono quello del commercio (55%) e quello metalmeccanico (41%): tra le imprese maggiori predomina il contratto metalmeccanico, mentre tra le imprese intermedie o minori si rileva una maggiore diffusione del contratto del commercio. Questi due contratti riflettono le due anime delle nuove tecnologie: la parte più “materiale” di lavoro a contatto con le macchine, con l’hardware, e quella più immateriale, la creazione di contenuti, l’offerta di servizi, il rapporto con i clienti, la progettazione e gestione di software.

In internet prevale questa seconda anima, anche se il panorama è più articolato rispetto all’Ict: tra le aziende che applicano un contratto collettivo, il 46% applica il contratto del commercio, ma sono presenti anche il contratto metalmeccanico (9%), editoria (6%), banche e assicurazioni (1%) e grafico (1%).

La scelta dell’uno o dell’altro contratto pare essere frutto, più che delle caratteristiche produttive dell’azienda, del percorso industriale da cui l’azienda proviene: la “storia” dell’impresa (precedenti acquisizioni o frazionamenti) porta con sé l’eredità di un determinato contratto collettivo.

A questi contratti, si è recentemente affiancato il primo contratto collettivo di settore delle telecomunicazioni, siglato il 28 giugno 2000, che si propone di

disciplinare i rapporti di lavoro delle aziende che lavorano via internet, nell’e-commerce e nel multimediale, oltre ai tradizionali settori della telefonia fissa e mobile. Finora questo contratto è stato applicato prevalentemente agli ambiti più tradizionali (soprattutto la telefonia), mentre nel comparto internet permane la precedente frammentazione.

Fig. 21 – Distribuzione delle aziende per ccnl

47%

6% 9%

36%

1%

1%

commercio metalmeccanico editoria

banche e assicurazioni grafico

nessuno

Il 52% delle aziende con meno di 5 addetti non applica alcun contratto; nelle aziende con più di 5 addetti, invece, la percentuale delle aziende che non applicano il contratto collettivo si riduce al 10% nelle aziende fino ai 30 addetti e si annulla in quelle con più di 30 addetti.

Fig. 22 – Distribuzione delle aziende per dimensioni dell’azienda e ccnl

0 2 4 6 8 10 12 14 16 18 20

meno di 5 addetti

tra 6 e 30 tra 31 e 100

commercio metalmeccanico editoria

banche e assicurazioni altro

nessuno

Le aziende della net economy presentano caratteristiche peculiari non assimilabili a quelle di altri settori. È evidente, quindi, che i contratti pensati per

processi di lavoro e figure professionali diversi da quelli di internet non sono funzionali alla regolazione dei rapporti di lavoro in questo settore e così, in parte per necessità, in parte per mancanza di controllo, non vengono rispettati, spesso senza che il lavoratore ne sia consapevole. Secondo l’ultima ricerca Federcomin (2002), le aree dei contratti collettivi che meno soddisfano le società internet sono: la formazione, l’inquadramento, la mobilità delle mansioni, i modelli di regolazione degli incentivi alla stabilità. Inoltre, le aziende che utilizzano il contratto metalmeccanico nel settore delle nuove tecnologie criticano: la scarso spazio assegnato alla flessibilità, la rigida disciplina degli orari, la mancata considerazione della gestione reperibilità, l’insufficiente disciplina delle trasferte.

Nelle aziende che adottano il contratto del commercio, il quadro di giudizi critici è sostanzialmente simile, anche se maggiormente positivo per quanto riguarda la possibilità di gestire in modo flessibile l’orario. Per questi motivi, da più parti (sia imprenditoriali che sindacali) viene richiesta l’introduzione di un contratto collettivo ad hoc per il settore della net economy.

Le voci critiche rispetto a questa ipotesi sottolineano due rischi connessi all’introduzione di un nuovo contratto: in primo luogo, potrebbe causare una situazione di potenziale conflitto in sede di contrattazione tra impresa e lavoratori, determinando una situazione di incertezza in una fase delicata per il mercato;

inoltre, con il contratto collettivo si ridurrebbe lo spazio negoziale demandato alla contrattazione aziendale, chiudendo uno spazio di negoziazione che fino a ora è stato apprezzato per gli esiti positivi cui ha condotto (Federcomin 2002).

Nel documento Il lavoro nella New Economy (pagine 45-49)