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La condotta di appropriazione

I delitti di peculato

1.3. La condotta di appropriazione

Come detto, il legislatore della riforma ha inteso espungere dallo schema descrittivo del delitto di peculato la condotta di distrazione, che indubbia- mente in passato ha costituito il nodo problematico della fattispecie incrimi- natrice. La disposizione nella sua formulazione originaria, in realtà, se ben ap- plicata, non avrebbe meritato tutte le censure che sono state rivolte alla sua for-

64 Cfr. in tal senso S.V

INCIGUERRA, I delitti contro la pubblica amministrazione, cit., 335:

“Secondo la regola dell’interpretazione nota come regola dell’ejusdem generis, le parole che hanno fra loro un rapporto logico vanno interpretate secondo questo rapporto, sì che quan- do la legge contiene un’elencazione seguita da espressioni di genere come ‘o altri’, esse non vanno intese come enuncianti un altro genus ma come un’ulteriore specificazione del gene- re già enunciato. Nel caso, si dovrebbe trattare di un vantaggio appartenente al medesimo genere individuato dalla parola (denaro) a cui l’espressione ‘altra cosa mobile’ accede e cioè di un vantaggio economicamente valutabile”. Contra, M.ROMANO, I delitti contro la pubblica

I reati contro la persona nei rapporti istituzionali 786

mulazione, ma la giurisprudenza era venuta creando una norma “reale” indi- viduante un “altro reato” rispetto ad una lettura costituzionalmente orientata della disposizione in esame. Si assisteva, infatti, a vere e proprie distorsioni interpretative nell’ottica di una funzione “vicaria” del giudice penale, la quale conduceva a scorgere il delitto di peculato in ogni erogazione di pubblico de- naro effettuata in violazione di regole, per lo più, di carattere essenzialmente formale. In sintesi, un’interpretazione “allargata” dell’art. 314 c.p. che muove- va dall’individuazione di un generico oggetto di tutela (dovere di fedeltà con- nesso alla corretta cura e gestione dei beni mobili appartenenti alla P.A.) e dalla descrizione dei concetti di “distrazione” e “profitto” in termini vaghi e sostan- zialmente onnicomprensivi: dare al danaro ed alle cose mobili una destina- zione difforme rispetto a quella fissata, deviare tali beni dallo scopo che l’am- ministrazione intende raggiungere 65.

Difficoltà applicative destinate ad aggravarsi nel tempo, peraltro, per la progressiva espansione dell’intervento dello Stato e degli enti pubblici nell’eco- nomia di mercato.

Posto di fronte all’alternativa di ridefinire sul piano della struttura il con- cetto di distrazione (in modo da assicurare una maggiore precisione e tassati- vità alla formula normativa così come scongiurare ingerenze della magistra- tura suscettive di minare l’efficienza dell’agire amministrativo) ovvero di eli- minare puramente e semplicemente tale forma realizzativa del delitto, il legi- slatore della riforma ha optato per questa seconda possibilità. Come sempre avviene allorquando non si affronti, ma si aggiri il problema, questo si ripro- pone oggi – se possibile – in modo più complesso: da un lato, infatti, v’è da stabilire con esattezza quali siano i fatti distrattivi che ora ricadono nell’area di operatività della previsione delittuosa di cui all’art. 323 c.p.; dall’altro, è gioco-forza definire l’appropriazione tipica dal momento che – come eviden- zia la divergenza delle posizioni dottrinali emersa in materia – l’eliminazione della condotta distrattiva, in considerazione dello stretto rapporto che corre tra le due modalità esecutive, influenzando i rispettivi confini di tipicità, non è priva di conseguenze e, quasi naturalmente, comporta una espansione del concetto di appropriazione 66.

È facilmente comprensibile come le due condotte (appropriazione e di- strazione) nel quadro della originaria formulazione tendessero ad uniformarsi sul piano contenutistico, dovendo entrambe presentare – analogamente a quan- to avveniva per “costrizione” ed “induzione” nello schema del delitto di con- cussione – una portata offensiva sostanzialmente omogenea in considerazione della identità di risposta punitiva. In tale ottica la “distrazione” penalmente rilevante avrebbe dovuto essere identificata in quella caratterizzata da finalità “private” o quanto meno “extra-istituzionali”. Ora, reciprocamente, si pone il problema di ricomprendere nel concetto di “appropriazione” anche le ipotesi

65 Per un’analisi del tema v. R.R

AMPIONI, Bene giuridico e delitti dei pubblici ufficiali con- tro la pubblica amministrazione, cit., 267 s.

66 Per una rassegna delle posizioni dottrinali sul punto v. M.R

OMANO, I delitti contro la

in cui il bene venga destinato a vantaggio di soggetto diverso dall’agente pub- blico.

Cercando di fare chiarezza sul punto, appare opportuno innanzitutto ri- cordare che “appropriazione” sta per interversio possessionis: il soggetto com- pie sui beni atti di disposizione incompatibili con il titolo della situazione pos- sessoria e che manifestano una signoria sui medesimi beni che non gli compe- te, ma che egli si riconosce. Dunque, nell’appropriazione possono distinguersi due diversi momenti: l’uno negativo – comune alla distrazione – l’“espropria- zione” individuantesi nella negazione del diritto altrui; l’altro positivo, l’“im- propriazione” consistente nell’affermazione del proprio dominio sulla cosa. Essenziale affinché si realizzi l’interversio è la compresenza di un coefficiente di volontà, che consente – fra l’altro – di differenziare la mancata restituzione – ancora penalmente irrilevante – dal rifiuto di restituire, condotta che, evi- denziando un’intenzione rem sibi habendi, è pienamente tipica.

Ora, appunto, se è indubbio che l’appropriazione a profitto proprio sia tipi- ca, e se è chiaro che la deviazione delle risorse verso finalità non coerenti con il possesso per ragione dell’ufficio o del servizio, al ricorrere dei presupposti, è suscettivo di integrare l’ipotesi delittuosa di cui all’art. 323 c.p. 67, il problema da

affrontare e risolvere è quello relativo alle ipotesi in cui l’agente destini il bene a profitto altrui. Ed al riguardo appare ragionevole affermare che costituisce “ap- propriazione” l’atto di disposizione che si riveli del tutto privo di qualsivoglia collegamento con la finalizzazione pubblicistica del potere possessorio, come avviene nel caso del pubblico agente che emetta un mandato di pagamento, in difetto di alcuna causale, a favore di familiare od amico.