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Il conflitto tra due monarchie assolute

Capitolo 3. Analisi della filza n 289, Stephani Bertolini collectanea sacerdotii et

3.5 Il conflitto tra due monarchie assolute

Nella filza n. 289 è presente un passo nel quale si afferma l’esistenza di “uno Stato dentro lo Stato” nei paesi dell’Europa cristiana di età moderna. Il riferimento è ancora una volta alla Scrittura, dove si afferma che Gesù Cristo, con la sua

predicazione, non ebbe il fine di dar vita a due repubbliche, l’una di ecclesiastici, l’altra di laici483. La presenza sul territorio di due autorità poste in conflitto tra loro a causa della comune volontà di esercitare una giurisdizione sulla medesima popolazione, conflittualità accentuata dal fatto che sia la monarchia che il papato assoluto rivendicavano un’origine divina, dava vita ad una situazione di profonda crisi. Ognuna delle due “repubbliche” imponeva leggi sui propri sudditi, talvolta l’una regolante un aspetto non presente nella normativa dell’altra, talvolta tra loro contrastanti. Come scrisse Diderot:

«Viviamo sotto tre codici, il codice naturale, il codice civile e il codice religioso. È evidente che finché questi tre tipi di legislazione saranno in contraddizione tra loro, sarà impossibile essere virtuosi. Ora bisognerà calpestare la natura per obbedire alle istituzioni sociali, poi le istituzioni sociali per conformarci ai precetti della religione. E cosa accadrà? Trasgredendo alternativamente queste diverse autorità non rispetteremo alcuna, e non saremo né uomini, né cittadini, né devoti»484.

Questo conflitto era venuto a costituirsi per la mancanza di un confine ben chiaro tra le due potenze, un confine che invece era necessario delineare per porre fine agli scontri; «la molteplicità di leggi è dannosa per uno Stato»485. Jacques Joseph Duguet scrisse che l’unica soluzione per conservare l’indipendenza di Stato e Chiesa era quella di fissare dei confini, al fine di impedire le reciproche usurpazioni e violenze486. Questi confini, scrisse Duguet, erano già stati chiaramente marcati nel Nuovo Testamento487, poiché la

Chiesa non aveva acquisito nessun’altra potestà dopo la sua fondazione. Esemplari erano secondo Duguet le parole di Gregorio II, nella lettera che indirizzò all’imperatore d’Oriente Leone III Isaurico. Il pontefice scrisse che le cose ecclesiastiche

483 ASFi, Reggenza, f. 289.

«Gesù Cristo con le sue leggi non introdusse due Repubbliche fra loro separate o indipendenti, né segregò i fedeli che si convertivano dal corpo della Repubblica e dalla potestà de’ Principi infedeli; ne fra fedeli introdusse due Repubbliche separate e indipendenti, una cioè di chierici, l’altra laici, ma volse una Repubblica Cristiana». Il passo è privo di indicazione bibliografica e si trova in chiusura alla filza, tra le carte sciolte.

484 D. Diderot, Ritorno alla natura. Supplemento al Viaggio di Bougainville, a cura di A. Santucci, Roma-

Bari, 1993, p. 70.

485 ASFi, Reggenza, f. 306. 486 ASFi, Reggenza, f. 289.

(Ecclesiasticarum rerum) sono costruite per altra via rispetto a quelle secolari, pertanto il sommo pontefice non ha il potere di guardare nel palazzo e la dignità di sottoporlo a sé, allo stesso modo in cui l’imperatore non può intromettersi nelle sacre cose ecclesiastiche.

Anche in un brano presente sempre nella filza n. 289, viene proposta come soluzione al problema della conflittualità tra Stato e Chiesa l’idea di dare una definizione universalmente valida delle rispettive pertinenze488. La Chiesa viene innanzitutto definita come un corpo mistico (in quanto sposa di Cristo) e prima nell’ordine delle cose soprannaturali. La Chiesa è poi un’assemblea di fedeli, uniti da una stessa fede e dal medesimo capo spirituale. Diversamente, lo Stato (che nel passo è indicato come “la Città”) è un’assemblea di famiglie e popoli, uniti dalla stessa legge e dal medesimo capo temporale. I chierici, si legge, sono la parte nobile del popolo, e il loro compito è la salvezza delle anime. Ciò non significa che siano esclusi dalla giurisdizione dello Stato in cui risiedono, anzi ne sono soggetti come tutti gli altri sudditi, e non posseggono alcun potere nella temporalità a meno che non svolgano un servizio come ufficiali regi. Il sovrano temporale non è sovrano di due popoli distinti, ma di uno soltanto, composto da laici e chierici. Nel passo si afferma che quindi tutti i fedeli sono sottoposti alla Chiesa nel “soprannaturale” e, al pari, tutti gli uomini facenti parte del “corpo politico” sono sottoposti, senza eccezione alcuna, al potere temporale. In un’ulteriore trascrizione viene supportata la stessa tesi: «Gl’Ecclesiastici sono Cittadini, ed in conseguenza sono sottomessi all’ordine pubblico. I Laici e i Principi stessi sono Cristiani e perciò sono sottomessi alla Chiesa»489. Perciò, compito dello Stato è occuparsi degli affari temporali, intendendo con questo la salvaguardia dei beni

488 ASFi, Reggenza, f. 289. Il passo trascritto da Bertolini è tratto da: Scrittura per la Casa Lagni con i

Padri dell’Oratorio di Napoli, Collezione di Scritture di Regia Giurisdizione, tomo 36.

489 Ibidem. La citazione si trova nelle carte sciolte presenti alla fine della filza, ed è priva di indicazioni

civili di tutti i suoi sudditi, clero compreso, e compito della Chiesa è la salvezza delle anime del popolo cristiano, che include anche i sudditi del regno temporale. Come scrisse Richelieu, il sovrano e i suoi sudditi hanno il dovere di riconoscere e di obbedire alle leggi della Chiesa nella sfera spirituale, in quanto tale potestà spetta alla Chiesa di diritto divino490.

Una linea di demarcazione tra Stato e Chiesa fu tracciata anche da John Locke nella Lettera sulla tolleranza, opera in cui si asserì:

«prima di tutto si debba distinguere l’interesse della società civile e quello della religione, e che si debbano stabilirne i giusti confini tra la Chiesa e lo Stato. Se non si fa questo, non si può risolvere nessun conflitto tra coloro che hanno effettivamente a cuore, o fanno finta di avere a cuore, la salvezza dell’anima o quella dello Stato»491.

La tesi lockiana prevedeva di definire e circoscrivere le competenze proprie di Stato e Chiesa, e di determinare i doveri di ognuna in prospettiva della tolleranza. La proposta nasceva difatti dall’esigenza di pacificare la situazione interna inglese, dove lo scontro tra religioni non trovava alcuna soluzione da ormai troppo tempo. Definire chiaramente e universalmente i diritti e i doveri del potere civile e di quello religioso significava porre fine alle infinite e inconcludenti discussioni sulle rispettive competenze. Nella teorizzazione lockiana lo Stato, che aveva come unico fine la salvaguardia e la promozione dei beni civili492, non poteva intervenire sulle opinioni puramente speculative e sul culto divino, sulle opinioni pratiche e sulle azioni concernenti cose indifferenti, sui vizi e le virtù morali493. Si trattava difatti di affari riguardanti la sfera spirituale e pertanto di esclusiva pertinenza della Chiesa. Da parte sua alla Chiesa, il cui

490 Ibidem.

491 J. Locke, Lettera, op. cit., p. 8. 492 Ivi, pp. 8-9.

il fine non poteva essere altro che il culto di Dio, era interdetta la pratica di qualsiasi attività ricadente nel temporale494.

Nel Leviatano Thomas Hobbes osservò che la presenza in una nazione di altre leggi, oltre a quelle civili, poteva disorientare i sudditi e portarli alla disobbedienza delle norme statali. La situazione era particolarmente grave là dove una delle potenze (la Chiesa) minacciava i disobbedienti con la predizione di un castigo eterno, punizione decisamente più temibile di una sanzione terrena. Hobbes proponeva come soluzione al problema non una separazione netta di Stato e Chiesa mediante una definizione dei rispettivi diritti e limiti, bensì una fusione del potere secolare con quello spirituale. Ciò avrebbe comportato due cose: in primo luogo, la presenza in un’unica persona sia del ruolo di sovrano laico, che di capo della Chiesa; in secondo luogo, la richiesta ai sudditi di un adattamento alla religione di Stato, in quanto non poteva essere ammessa né la libertà di coscienza privata, né la libertà di coscienza pubblica, né la libertà di pensiero. La confessione del sovrano si trasformava in un instrumentum regni necessario all’autorità per disciplinare sia sul versante educativo, che identitario il popolo. Aggettivi qualificanti il termine autorità erano irrevocabilità, assolutezza e indivisibilità: l’autorità era sovrana solo quando era una, ed una sola. Come disse Tito Magri, in Hobbes «ogni Stato cristiano è una Chiesa»495.

Nella filza n. 289 si afferma, quindi, che Gesù Cristo non aveva avuto alcuna intenzione di scindere al suo interno la società in due fazioni. Ciò nonostante, in seguito alla sua morte, la comunità del clero si emarginò da quella dei laici, e mentre i primi si raggrupparono sotto l’insegna di Pietro, i secondi si posero sotto quella di Cesare. Se all’inizio le due istituzioni si diedero compiti differenti, in quanto al clero spettò l’amministrazione delle mere cose spirituali e l’autorità di esprimere giudizi su di esse,

494 Ivi, p. 14.

e al governo civile andò la competenza nella sfera del temporale, con il trascorrere dei secoli la Chiesa acquisì sempre più potere sulle cose terrene, fino a divenire una monarchia assoluta. Non avendo più una esclusività nella giurisdizione ma trovandosi entrambi a dover governare uno stesso popolo ma con fini differenti, il rapporto tra Stato e Chiesa entrò in crisi. Così facendo si erano perse quella iniziale perfezione e quella libertà che caratterizzarono entrambe le potestà nelle origini496.

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