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Capitolo 3. Analisi della filza n 289, Stephani Bertolini collectanea sacerdotii et

3.6 Il modello gallicano

«La potestà secolare si è meglio sostenuta in Francia; gli ecclesiastici a riserva di qualche formalità sono soggetti al giudizio della potestà sovrana, come gli altri sudditi»497.

Il gallicanesimo costituì un esempio interessante a cui rifarsi nella Toscana della seconda metà del XVIII secolo, in particolare per il settore della giustizia. La lettura della filza n. 289 permette di vedere le riforme che ebbero luogo in Francia attraverso gli occhi di uno spettatore allora contemporaneo, Stefano Bertolini, nonché consente di comprendere come questi avvenimenti furono recepiti nella Toscana dell’epoca.

L’immagine che Bertolini dà della situazione francese è quella di uno Stato in cui le rivendicazioni giurisdizionalistiche avevano avuto successo. L’obiettivo dello Stato francese era stato quello di avere il controllo della popolazione al fine di poter disciplinare ogni aspetto concernente la vita sociale dei sudditi, anche la religione. Non a caso, il Parlement francese aveva diritto ad avere l’ultima parola sulle bolle dogmatiche emanate dai vescovi, prima che fossero pubblicate498. La giustificazione a cui si alludeva era che le bolle potevano contenere clausole contrarie ai diritti della corona e della Chiesa di Francia; inoltre, si sottolineava, una norma, se emanata per

496 ASFi, Reggenza, f. 289.

497 Ibidem. Trascrizione tratta dal: Dissertazione sopra i diritti dei Sovrani dopo l’Istoria del diritto

canonico e del governo della Chiesa.

ordine del sovrano, acquisiva un valore maggiore, divenendo legge dello Stato499.

Héricourt spiegò che in Francia la legge proibiva agli arcivescovi e ai vescovi di pubblicare nelle diocesi o di distribuire nelle parrocchie bolle, costituzioni e brevi provenienti da Roma, per tutelare i diritti temporali e le libertà del sovrano. Quest’ultimo veniva definito da Héricourt come il “Protettore della Chiesa”, pertanto da lui doveva passare al vaglio ogni tipo di decisione, anche quelle che provenivano dal pontefice. Le uniche eccezioni erano composte dagli “affari ordinari” (come le provvisioni di benefici), i quali potevano essere eseguiti senza il permesso del

Parlement500. Tale possibilità per lo Stato di concedere o meno l’esecutività degli atti della Santa Sede prendeva il nome di exequatur, ed era presente anche in alcuni degli antichi Stati italiani. Anche nel Granducato di Toscana si era tentato di introdurre questo istituto e alla fine del 1776 Pietro Leopoldo aveva sollecitato l’allora Segretario del Regio Diritto Giulio Rucellai ad imporne una rigida applicazione in tutto lo Stato. Tuttavia, ancora agli inizi del ‘78 questo non aveva trovato una concreta attuazione501. Il motivo per cui Bertolini probabilmente collezionò informazioni sul caso francese, era quello di voler prendere spunto da una situazione in cui una rigida applicazione dell’exequatur si era già concretizzata da diverso tempo, per attuare successivamente delle riforme nel Granducato.

Ciò che poi Bertolini aveva recepito delle politiche francesi erano due editti, quello del 1539 di Francesco I e quello del 1695 di Luigi XIV. Nella Francia del XVI e XVII secolo, spiega Mario Sbriccoli, si cercarono di realizzare leggi maggiormente efficaci, uniformi e valide su tutto il territorio nazionale; questo comportò la creazione e il rafforzamento degli apparati giuridici, la riduzione del potere della giustizia

499 Ibidem. 500 Ibidem.

comunitaria e delle giurisdizioni locali, l’imposizione di processi inquisitori molto penetranti502.

L’editto di Francesco I prende il nome di ordinanza di Villers-Cotterêts ed è considerato di grande rilevanza perché negli articoli 110 e 111 si impone l’uso della lingua francese al posto di quella latina per tutti i documenti pubblici, sancendo la nascita di un diritto francese linguisticamente autonomo, così come autonoma e indipendente era la nazione francese503. Questo editto risultava essere particolarmente interessante per i regalisti in quanto al suo interno conteneva una riforma della giurisdizione ecclesiastica. Héricourt spiegò che l’ordinanza separava la giurisdizione ecclesiastica da quella secolare ed attribuiva alla prima competenze negli affari spirituali su ogni sorta di persona, e alla seconda il compito di occuparsi degli affari temporali sia di laici, che di chierici. Un’eccezione era prevista per gli affari personali nei quali il reo era un ecclesiastico: in tal caso la pertinenza era della curia. Ad ogni modo, ai tribunali ecclesiastici era assolutamente vietato di occuparsi degli affari personali dei laici.

«Avons défendu et défendons à tous nos sujets, de ne faire citer, ni convenir les laïcs par-devant les juges d’église, les actions pures personnelles, sur peine de perdition de cause et d’amende arbitraire»504.

Héricourt giustificò questo cambiamento nella gestione della giustizia, asserendo che in passato gli imperatori romani avevano concesso al clero il privilegio di poter svolgere arbitraggi, al fine di snellire le procedure burocratiche e rendere più veloci i processi. Tuttavia, i chierici non potevano pretendere di diventare giudici ordinari e di sostituire le semplici procedure di arbitraggio, fino ad allora gestite, con quelle più complesse,

502 M. Sbriccoli, Giustizia criminale, in Lo Stato moderno in Europa. Istituzioni e diritto, Bari, Laterza,

2010, p. 180.

503 P. Grossi, L’Europa del diritto, Bari, Laterza, 2015.

504 «Abbiamo difeso e difendiamo tutti i nostri sudditi, di non parlare, o di convenire i laici davanti ai

giudici della Chiesa, sono azioni pure personali, con la pena della perdita della causa e di un’ammenda arbitraria». B. Durand, Délits, op. cit., p. 39.

proprie dei tribunali secolari505. L’ordinanza, dal suo punto di vista, ben difendeva i

diritti e gli interessi della Stato, nonché conservava l’onore della Chiesa in Francia506. Il contenuto nell’ordinanza di Villers-Cotterêts venne ulteriormente definito da altre norme emendate successivamente, e nello specifico dall’editto dell’aprile 1695 promulgato dal sovrano Luigi XIV507. Il fine di queste leggi era quello di modificare altri aspetti della giurisdizione ecclesiastica all’interno della nazione francese, privando i chierici delle loro competenze. In particolare, il contenuto di questo secondo editto rivela la volontà da parte del sovrano francese di riformare in numerosi aspetti il sistema giuridico, portando la maggior parte delle cause sotto la pertinenza del tribunale secolare e assegnando ai giudici ecclesiastici una posizione marginale.

Tuttavia, a differenza di quanto scriveva Daniel Jousse, «la Potestà secolare si è meglio sostenuta in Francia; gli Ecclesiastici a riserva di qualche formalità sono soggetti al giudizio della potestà sovrana»508, non c’era una perfetta coincidenza tra il contenuto di queste riforme e la loro effettiva messa in pratica. Carlo Capra asserisce che quello della giustizia è forse l’esempio migliore per mostrare i limiti dell’assolutismo francese509. Nonostante i tentativi di Luigi XIV di perseguire la linea giurisdizionalista

avviata dai suoi predecessori, le intenzioni del monarca si dovettero scontrare con la realtà dei fatti, ovvero la presenza sul territorio nazionale di una giustizia particolare molto forte e difficile da portare sotto il controllo dello Stato. Come gli altri paesi europei, anche la Francia presentava una moltitudine di diritti (romano, consuetudinario, canonico, regio, etc.), a cui corrispondeva una gran varietà di giudici, nominati da persone o enti differenti. L’intento di facilitare la pratica forense mediante

505 Héricourt riconosce l’episcopalis audientia come un semplice arbitraggio. La questione non è stata

tutt’ora definita, come evidenzia Giulio Vismara in La giurisdizione civile dei vescovi (secoli I-IX), Milano, Giuffrè, 1995.

506 ASFi, Reggenza, f. 289. 507 Ibidem.

508 Ibidem. Cfr.: J. P. Royer, Histoire de la justice en France, Paris, Puf, 2016; Justice pénale et droit des

clercs en Europe, XVIe-XVIIIe siècles, a cura di B. Durand, Lille, Histoire de la Justice, 2005.

l’elaborazione sistematica e innovativa del diritto, fu destinata al fallimento, poiché non risolse il problema dell’accumulazione normativa. Perciò, nonostante fosse stata riconosciuta la diversa “potenza” del diritto regio (che a differenza di qualsiasi altro era dotato di sovranità), gli altri diritti particolari presenti in suolo francese continuarono a sopravvivere510; la forza sovrana rimase ancora una volta limitata. Il problema della giustizia non era ancora desinato a risolversi, bisognerà attendere l’avvento di Napoleone Bonaparte per vedere le cose mutare.

510 M. Fioravanti, Stato e costituzione, in M. Fioravanti (a cura di), Lo Stato moderno in Europa.

Conclusione

La filza Stephani Bertolini collectanea sacerdotii et imperii de iurisditione è dunque una sorta di zibaldone, contenente testi di carattere giuridico volti a legittimare e a fornire un supporto per le riforme giurisdizionaliste già intraprese, o ancora da realizzare, nel Granducato di Toscana. Questa raccolta mostra chiaramente l’interesse di Stefano Bertolini per la storia, che non è mai intesa come un prodotto fine a sé stesso, ma come strumento di supporto alle rivendicazioni regaliste. Ecco dunque la nascita di un nuovo approccio alla storiografia mediante una ricerca storica erudita volta al raggiungimento della verità. La ricerca di una verità storica diviene fondamentale per comprendere quelle che erano le origini e gli sviluppi storici del potere temporale della Chiesa; la conoscenza di ciò avrebbe permesso, congiuntamente a un certo utilizzo di fonti quali la Scrittura e la patristica, la creazione di una teologia della secolarizzazione volta a legittimare come unica fonte del potere temporale del principe il diritto divino. L’assegnazione al Granduca di Toscana della somma sovranità sul suo territorio era fondamentale per uscire da quella frammentazione dei poteri tipica dell’antico regime e per creare un moderno Stato accentrato, in cui vigesse un unico diritto. La filza n. 289 doveva dunque fornire quell’apparato di fonti bibliche, storiche e giuridiche, necessario a supportare l’attività del governo toscano. Nei suoi contenuti il codice si mostra perfettamente in linea con quelle che erano le questioni centrali nel dibattito giurisdizionalista della seconda metà del XVIII secolo, e il suo studio permette di conoscerne quelli che erano i fondamenti teorici.

Fonti e Bibliografia

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