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Confronto fra la logica del concetto di Hegel e la logica della volontà di Kant

CAPITOLO 2: La logica dell’universale concreto

2. Confronto fra la logica del concetto di Hegel e la logica della volontà di Kant

La sintesi a priori dell‟intelletto, che mira a costituire la forma della natura in generale, ha un significato di autodeterminazione solo per la ragione pura, che nel rendersi oggetto l‟intelletto conosce la propria attività di rendersi indipendente dalla datità e indirizzarla all‟unità sistematica di una finalità interna. Ma l‟intelletto, preso per sé, cioè non come momento della ragione pura nel suo complesso246, è una facoltà che astrae dai fini ed è esposta a quegli aspetti di finitezza rimproverati a Kant da Hegel: 1) la separazione di forma logica e contenuto e 2) il collegamento estrinseco di universale e particolare. Il primo aspetto consiste, per Kant, nella necessità delle categorie di riferirsi, mediante la sensibilità, agli oggetti del mondo esterno per avere significato o validità oggettiva; il secondo nel rapporto di sussunzione, operato dal Giudizio trascendentale, dei casi particolari sotto le categorie. L‟eterogeneità, che il Giudizio cerca di mediare in vista dell‟esperienza, fra le intuizioni sensibili e i concetti puri è un dato originario che appartiene alla costituzione del nostro intelletto discorsivo, a cui Kant collega la distinzione fra le categorie modali di possibilità e realtà. L‟intelletto, da solo, fornisce la possibilità logica degli oggetti (Objekte) in generale; la sensibilità offre la realtà degli oggetti (Gegenstaende); la ragione pura stabilisce che solo la possibilità trascendentale delle cose – o viceversa la possibilità reale dei concetti -, cioè il fatto che i concetti dell‟intelletto determinino a priori il molteplice dato per farne un oggetto determinato, assicura le condizioni dell‟esperienza possibile. A questo punto intendiamo esaminare la sintesi a priori pratica, per vedere se la ragion pratica, a differenza dell‟intelletto, non dispieghi i caratteri di quell‟universale concreto, che Hegel presenta nella logica del concetto.

La sintesi pratica è esposta da Kant in diversi modi, uno dei quali cerca di descriverla in conformità alla sintesi dell‟intelletto: le determinazioni della ragion pratica assoggettano il molteplice dei desideri nell‟unità della coscienza della ragion pratica pura e questa non è altro che la volontà pura247, cioè causalità mediante libertà. Con questa formulazione , però, sembra che noi presupponiamo un contenuto per la ragione, che essa trova in un'altra facoltà del soggetto. La ragione pura, invece, non presuppone nessun contenuto o oggetto come fondamento della sua determinazione, né eventi del mondo naturale né moventi psicologici interni al soggetto. Migliori si rivelano, pertanto, i tentativi di giustificare la sintesi mediante la categoria di relazione, che esprime la struttura logica della libertà: la categoria di causa. La sintesi a priori connette il concetto di causa, che ha un‟origine pura, documentata dall‟intelletto, con quello di libertà, concepita come causa noumenon, mediante un „fatto‟ (Faktum), la legge morale248. Questa determina a priori l‟uso pratico della categoria di causa, che in relazione a tale uso è empiricamente incondizionata perché non ha bisogno dell‟intuizione sensibile per avere un significato. Sintesi a priori, quindi, non significa solo superamento di una datità, ma rapporto di una attività con un‟altra che la prima pone per sè come suo oggetto determinabile. La sintesi a priori teoretica, del resto, ha già mostrato che la „datità‟ cui si riferisce non è la passività dei sensi, ma il molteplice formale di una recettività. La sintesi pratica è insieme una sintesi della modalità, nel senso che la possibilità logica della libertà, pensata come un oggetto della ragione teoretica senza contraddire il meccanismo causale della natura, viene trasformata in una realtà mediante il fatto della ragione; tale realtà è più precisamente una possibilità reale della libertà, perché la sintesi appartiene alla ragione di un soggetto finito – l‟uomo – per il quale nel concetto di causalità non è già contenuto analiticamente il concetto di volontà pura e le leggi (teoretiche) di ciò che accade – che manifestano l‟uso

247

KpV A 115. La definizione di sintesi proposta da Kant potrebbe essere considerata „quantitativa‟, se riflettiamo sulla tavola delle categorie di quantità, esposte nella prima Critica, e notiamo la definzione di totalità: „la molteplicità considerata come unità‟ (KrV B 111). La „qualità‟ della sintesi esprime il fatto che la massima, come principio soggettivo della volontà, si qualifica assumendo la forma di una legislazione universale (KpV A 54). Dato che la massima è un principio di determinazione universale della volontà (A 35), nel senso di esprimere un orientamento fondamentale della vita, non ci pare molto appropriato stabilire il rapporto fra massima e legge come il momento quantitativo della tavola delle categorie della libertà (A 117). Il compito della nostra ricerca è mostrare che l‟universale pratico non è la quantità di estensione di una regola, che sussume sotto di sé una molteplicità di casi, ma ha a che vedere con l‟assunzione di una „libera disposizione della mia vita‟ (A 76).

condizionato della categoria di causa nella conoscenza della natura – non sono leggi (pratiche) di ciò che deve accadere, secondo l‟uso incondizionato della stessa categoria. Il fatto della ragione assume la forma di una necessità o di un Sollen – dovere – per una volontà che è destinata a mediare la scissione fra affezione e determinazione, fra fondamenti soggettivi e oggettivi del volere. In ogni caso, la legge morale è il medium o il fondamento della sintesi a priori249.

I concetti puri dell‟intelletto si riferiscono a oggetti – „Objekte‟250

– in generale, siano essi sensibili o no. Che un concetto abbia realtà oggettiva (objektive Realitaet) significa la possibilità logica di pensare degli oggetti, a prescindere dal fatto che si possano determinare a priori come oggetti di un‟esperienza possibile, cioè che le categorie producano conoscenze mediante le limitazioni che sappiamo. La „validità oggettiva‟, invece, significa la possibilità reale delle categorie e dunque la condizione trascendentale della verità. Ma forse l‟analitica trascendentale della prima Critica, che fornisce il canone dell‟intelletto puro251, indica l‟unico modo di esistenza della verità?

Poniamo che nella filosofia pratica la verità mantenga la sua definizione nominale:

249 Kant non si è interessato esplicitamente a una sintesi pratica a posteriori, ma possiamo ritenere che

mentre la sintesi a priori è oggettivamente necessaria perché la ragione si occupa dei motivi della volontà – massime e intenzioni – la sintesi a posteriori sia quella dell‟eteronomia, che mira alla produzione di oggetti, assumendo dalla conoscenza dell‟oggetto le condizioni per riprodurne la realtà nell‟esperienza, o al perseguimento della felicità, in quanto è un fine posto dalla „necessità naturale‟ (G 415) di appagare i nostri bisogni. Questi modi dell‟attività non sono per sé eteronomi, ma, dato che anche l‟eteronomia è scelta mediante l‟atto di negare l‟autonomia, lo divengono se subordinano a sé l‟orientamento della vita in base al principio della moralità, in virtù del quale la volontà non vuole mettersi al servizio della nostra costituzione naturale o dei fini di un processo produttivo, ma vuole l‟accordo con sé stessa.

250

KpV A 94

251

KrV B824/A796. Kant definisce anche l‟analitica trascendentale come una „logica della verità‟ (B 87/A63) e l‟analitica dei principi come un „canone per il Giudizio‟ (B 171/A132). La dialettica trascendentale non è un canone, ma una disciplina della ragione speculativa (B 739/ A711) , cioè la correzione della sua tendenza a servirsi delle conoscenze pure dell‟intelletto come organo per produrre la conoscenza di oggetti pensati necessariamente al di là dell‟esperienza possibile. Il canone della ragion pura vale solo per l‟ uso pratico della ragione, come coronamento complessivo del sistema (B 825/A797). Sui concetti di organo, canone e disciplina, e sul senso della metodologia della filosofia trascendentale, cfr. C. La Rocca, Soggetto e mondo, 2003, cap. 6, pp.183-215. La Rocca sottolinea che la dottrina del metodo non è un organo per produrre conoscenze, ma „la descrizione del modo di procedere di una ragione autonoma, di un tipo di conoscenza che non è tale se non è in grado di prodursi secondo il

l‟accordo di una conoscenza col suo oggetto252

. La conoscenza in questione non può che essere, nella prospettiva trascendentale e non solo empirica, la coscienza della legge morale e il suo oggetto non è altro che l‟idea di libertà. Nella prima Critica, dove viene solo ipotizzato un uso pratico delle categorie, Kant non può permettersi di parlare di conoscenza in relazione a un‟idea, ma con la discussione della terza antinomia ne salva la possibilità logica da un uso indebito del concetto di causalità meccanica e le assicura un „posto vuoto‟253

nel sistema della ragion pura. Ma a partire dalla „scoperta‟ del principio dell‟autonomia della ragione, che Kant espone per la prima volta nella

Fondazione e che, a motivo dell‟impossibilità di dedurlo, rielabora nella seconda

Critica, si apre per il concetto di verità pratica una nuova prospettiva: l‟idea della libertà – il pensiero di una causa noumenica – che è una proposizione analitica della ragione pura speculativa, si „realizza‟ come principio sintetico a priori mediante la conoscenza che la ragion pura pratica ha della legge morale come risultato del suo operare puro: un „fatto‟. Il problema della verità riguarda ora oggetti immanenti alla causalità della ragione pura e si configura come il problema della realtà (Wirklichkeit) della volontà: a un livello empirico, significa che le conoscenze pratiche sono fondamento della realtà dei loro oggetti254; a un livello trascendentale, si tratta della fondazione del principio della moralità, con il quale si esprime il fatto che la volontà vuole l‟accordo con se stessa, cioè vuole la sua essenza, l‟autonomia, come fondamento di determinazione delle sue massime. La questione della realtà effettiva della libertà ha in Kant due volti, a seconda che egli si rivolga all‟uso che la „comune ragione umana‟ fa della legge o al compito della deduzione che spetta al filosofo, il quale deve dimostrare se e come la ragione pura sia per se stessa pratica. Nel primo caso, Kant dice che tutti i problemi sono già risolti, che la realtà del principio della moralità è dimostrata dal fatto di agire255 e dalla più comune osservazione di noi stessi256. Ma nel corso della deduzione, che deriva la realtà effettiva della libertà dalla legge della ragione pura, la realtà257 della legge morale è data come un fatto della ragione258, di cui noi siamo consapevoli a priori,

252 KrV B 82/A58 253 KpV A 85 254 Ibid. A 80

255 Ibid. A 3: „durch die Tat‟. 256

Ibid. A 75, 163, 277

257

Ibid. A 79: „la critica può, senza errore, e deve cominciare dalle leggi pure pratiche e dalla loro realtà (Wirklichkeit)‟.

senza poterlo dimostrare (a priori) mediante alcuna deduzione né poterla confermare (a posteriori) con gli esempi dell‟esperienza259

. Che la libertà sia reale per degli esseri razionali puri, è dimostrato o dedotto dal fatto della ragione, la coscienza del quale corrisponde immediatamente alla coscienza della libertà260, ma che essa lo sia per degli esseri razionali finiti come l‟uomo, richiede il suo riconoscimento dell‟obbligatorietà della legge e l‟assunzione di un interesse per la sua attuazione261

.

Nell‟esperienza pratica, la verità non è altro che l‟accordo della volontà con „oggetti‟ che essa stessa ha prodotto. Se tale accordo sia più di una produzione e possa pensarsi come un‟autoproduzione, processo che Hegel chiama identità di soggetto e oggetto, è questione da lasciare aperta finchè non stabiliamo cosa Kant intenda per „oggetto‟ (Gegenstand) della ragione pura pratica262

e come egli distingua l‟agire dal produrre.

Nella filosofia pratica, dove si tratta di esaminare le condizioni di possibilità dell‟esperienza pratica, la verità in senso trascendentale è definita dalla scoperta della condizione di applicazione reale263 del concetto di causa al campo del soprasensibile e precisamente al concetto di una intelligenza (un essere razionale puro) dotato di una volontà pura (causa noumenon); tale condizione è il medio della sintesi a priori, la legge

259 Ibid. A 81-82; G 407.

260 KpV A 52. Sulla formulazione della „tesi di reciprocità‟, cfr. Allison, 1990, cap.11.

261 Sulla connessione fra carattere intelligibile e carattere empirico e sull‟imputazione del secondo al

primo, si veda la Delucidazione critica della seconda Critica. Sul problema di come l‟uomo venga ad assumere la coscienza del fatto della ragione e ne faccia un principio di formazione del carattere empirico, si veda il primo capitolo della Religione. Allison è convinto che la realtà effettiva della legge morale consista nel rispetto e quindi nella libera disposizione di una vita che faccia dell‟interesse morale una regola delle massime: cfr. Allison, Kant‟s Theory, 1990, p.248.

262 L‟ „oggetto‟ della volontà ha vari significati: 1) „un effetto possibile mediante la libertà‟, cioè la

relazione della volontà, che si rappresenta l‟effetto, ad un‟azione, come mezzo per produrre la realtà dell‟effetto (KpV A 100); 2) l‟intenzione della volontà (Willensgesinnung) (A 116), resa manifesta da azioni libere, azioni che non sono, cioè, dei mezzi in vista di effetti possibili, ma l‟attività di una causalità che ha fine in sé stessa ; 3) il sommo bene come l‟intero oggetto di una ragione pura pratica (A 196); 4) l‟idea di una natura soprasensibile, che assumiamo come modello per ordinare in base ad essa la natura reale o sensibile, dove hanno luogo le azioni, e che „consideriamo come oggetto (Objekt) della nostra volontà in quanto siamo esseri razionali puri‟ (A 76). Chiaramente solo il secondo significato giustifica un‟identità di soggetto e oggetto, l‟idea di una volontà che vuole se stessa come oggetto.

morale che dà una realtà oggettiva alla causalità noumenica rispetto all‟uso pratico della ragione264.

In che modo la sintesi pratica a priori, di cui è responsabile la legge, può essere confrontata con le determinazioni hegeliane del concetto? Universale, particolare e singolare, si obietterà, sono per Kant titoli della categoria di quantità, fondati su una logica trascendentale che fa loro avere un significato solo in relazione all‟estensione delle conoscenze nei giudizi dell‟intelletto. La possibilità di un confronto dipende dall‟elaborazione di una logica della volontà e dalla scoperta di un nesso di progressiva autodeterminazione e non quantitativo fra i momenti concettuali della volontà. La rivoluzione della filosofia pratica di Kant, per cui la volontà non è né una fonte oscura di impulsi né una facoltà di desiderare che presta il suo braccio attivo alla facoltà di conoscere, ma la causalità della ragione pura secondo una legge che dà a se stessa, rappresenta il presupposto per una logica della volontà.

Kant dà all‟ Analitica della seconda Critica il nome di logica della ragion pura pratica (KpV A 161), in analogia con la denominazione della prima Critica, nella sezione finale dell‟Analitica: la Delucidazione critica. Scopo di questa è, in parte, il confronto fra l‟ordine o il modo di procedere della prima Critica e quello della seconda, ma principalmente la ricapitolazione e la chiarificazione dei momenti dell‟Analitica della ragion pratica, specificamente la connessione di fondamento e conseguenza fra il carattere intelligibile, discusso nei primi due capitoli, e il carattere empirico, su cui si concentra il terzo capitolo. Mentre l‟analitica della ragione teoretica ha un andamento ad ascesa, che parte dalle intuizioni, passa ai concetti e si eleva alle idee, l‟analitica della ragion pratica presenta un ordine inverso, per così dire di discesa: comincia dai principi, passa ai concetti e termina con la sensibilità. Kant presenta questo percorso nella forma di un sillogismo: la ragione pura muove dal principio della moralità

264 Quello che non è chiaro è se la legge morale, che vale per tutti gli esseri razionali (KpV A 57), abbia il

significato di una sintesi per sé stessa o solo in quanto vale come imperativo categorico per gli esseri umani, contraddistinti dall‟eterogeneità delle facoltà e dalla possibilità di pensare un „oggetto‟, come la libertà, senza realizzarlo. In un essere razionale puro o perfetto non c‟è differenza fra un mondo sensibile, costituito secondo leggi del meccanismo, e un mondo intelligibile, retto da leggi della libertà; non c‟è differenza fra obbligazione e azione, fra atto di volere e concetto di una volontà incondizionata (G 420n). Non essendoci una differenza fra leggi teoretiche, riguardanti come le cose sono, e leggi pratiche, circa come le cose devono essere, il concetto puro di causa non ha bisogno di essere collegato sinteticamente col concetto di volontà pura, perché vale l‟equivalenza: intelletto puro= ragione pura= volontà pura (KpV A 96).

(premessa maggiore) e attraverso la sussunzione sotto di esso di azioni possibili (premessa minore) perviene alla determinazione soggettiva della volontà (conclusione)265. Il nostro tentativo di confrontare logica kantiana della volontà e logica hegeliana del concetto deve giudicare se i termini di tale sillogismo possano costituire, rispettivamente, il momento universale, particolare e singolare dell‟universale concreto. Il cambiamento decisivo che ci manifesta la differenza rispetto all‟analitica trascendentale, il cui nucleo è caratterizzato dalla giustificazione della sintesi di datità e spontaneità, sta nel fatto che l‟estetica della volontà è una parte integrante della logica della volontà, non isolabile da essa. La logica si occupa 1) di un problema di validità oggettiva o fondazione del principio della causalità incondizionata della ragione (analitica dei principi); 2) di un problema di applicazione del principio, cioè della sua manifestazione in azioni, che si pongono sempre al limite fra le legislazioni di due mondi, quello dato e quello ideale (analitica dei concetti). La logica dà la parvenza di un dualismo fra sensibilità e ragione, perché Kant isola il principio formale della volontà da quello materiale, che unifica i moventi empirici sotto il movente generale costituito dall‟amore di sé, cioè dalla ricerca della felicità. Ma l‟isolamento si rivela un momento di un ragionamento più ampio, volto a dimostrare come la ragione stessa, una volta stabilito l‟ordine che le attribuisce un‟indipendenza dalla legge delle cose o della natura umana sensibile, produca un aspetto a priori della sensibilità che le permette di manifestarsi nelle azioni libere e permette all‟uomo di rivestire la figura dell‟agente morale, che dà un corpo trascendentale e uno spazio morale alla libertà266. L‟estetica della volontà, quindi, dà conto del secondo termine dell‟ordine di fondamento e conseguenza, che è inseparabile da un‟idea di relazione, quale è quella contenuta nell‟idea di libertà. Essa giustifica il riferimento del progetto di una critica della ragion pratica alla figura della volontà umana, in quanto affronta il problema dell‟efficacia della ragione pura sul sentimento, cioè la sensibilità pratica considerata come „fondamento soggettivo del desiderare‟267

. Il sillogismo ci dice che la relazione di causalità fra il momento universale e il momento singolare della volontà non è una successione temporale né corrisponde alla concezione meccanica della causalità, per cui

265 KpV A 162 266 Cfr. A.Nuzzo, 2008, cap.5 267 KpV A 161

posta la causa, ne deriva l‟effetto come qualcosa di diverso268

. La relazione è circolare, se con il circolo intendiamo una metafora dell‟autoriferimento. Con questo concetto pensiamo una causalità finale, per cui la causa è sia un momento della relazione, come effetto possibile o rappresentato, che l‟intera relazione, in quanto tale effetto è la causa di se stesso come effetto realizzato. La volontà universale realizza la sua „possibilità reale‟ nella volontà singolare e in questa manda a effetto il suo carattere intelligibile, contraddistinto dal fatto di mantenersi immediato – ciò che Kant indica parlando della causalità immediata che la ragione pura esercita sulla volontà – e inalterato269 nella manifestazione del suo potere causale, che è essenzialmente relazionale270.

Il modo in cui il principio della moralità si comporta, in quanto è volontà universale, lo distingue dall‟universale dell‟intelletto. Non ci riferiamo solo alla categoria di quantità, ma al complesso dei concetti puri dell‟intelletto, che sono mediati con le realtà individuali dalla sussunzione del giudizio determinante, che presuppone sia la contingenza degli individui che la contingenza delle regole271, che determinano gli individui – l‟oggetto dato – come casi particolari mediante il Giudizio, che fornisce la condizione per sussumerli. L‟universale della ragione pratica è la sua finalità interna. La ragione è libera, come volontà, perché ha in sé il principio di determinazione. L‟avere in sé non significa semplicemente che la ragione è mossa da un fondamento interno dell‟agire, in quanto l‟interiorità può limitarsi alla condizione temporale dell‟esperienza interna. Il lato „in sé‟ del principio significa che la causalità della volontà è indipendente dalle condizioni spazio-temporali, ivi comprese le condizioni ambientali e storiche del carattere empirico, ed è perciò incondizionata. Per Hegel la libertà non si definisce