Torniamo, adesso, all‟impostazione del confronto fra Hegel e Kant e discutiamo il lato che riguarda Kant. L‟esame del concetto di psicologia ci ha consentito di intendere il concetto di soggettività come spirito. Lo spirito si distingue dalla coscienza non come una cosa da un‟altra, perché lo spirito non è una cosa, ma come lo stadio dello sviluppo si distingue da quello del rapporto. Mentre nello sviluppo lo spirito è un‟attività di rendere oggetto a se stesso le proprie determinazioni, nel rapporto lo spirito appare a se stesso come Io, cioè come coscienza che presuppone un mondo esteriore, su cui esercita l‟azione contraddittoria di riferirsi ad esso ed escluderlo al tempo stesso da sé. Quando Hegel, nella sezione fenomenologica dell‟ Enciclopedia, tratta la coscienza, definisce Kant un filosofo della coscienza, e concepisce lo spirito
213 Peperzak, 1991, pp.51, 90-92. L‟autore obietta a Hegel che le sue deduzioni dello spirito soggettivo
presuppongono la configurazione empirica del risultato come loro scopo e cercano di illuminare mediante il concetto ciò che si dà immediatamente. L‟argomentazione che l‟attività della volontà sia il conferirsi realtà del concetto è debole perché non spiega la necessità delle mediazioni che conducono dal sentimento pratico alla volontà libera. In realtà, dice Peperzak, è l‟esperienza e la tradizione filosofica, rappresentata da Aristotele e Kant, a decidere che le inclinazioni sono diverse dal sentimento e dalla volontà libera. Lo scopo di Hegel è quello di cogliere una sintesi speculativa dell‟esperienza, abbracciando tutti i fenomeni che essa dà a vedere come modi dell‟esistenza di un‟unica realtà: la volontà libera come guisa dello spirito che entra nellla realtà. Se, però, la descrizione di questa attività teleologica universale non riesce, non resta che un‟alternativa: o rinunciare al progetto hegeliano di intendere il concreto come l‟identità dei fenomeni scoperti „a posteriori‟ con il concetto conosciuto „a priori‟, o ammettere la sua incapacità di realizzare la sua stessa concezione del concreto (p.54).
come quella forma assoluta di soggettività che supera l‟unilateralità della coscienza. Ma finora abbiamo lasciato il giudizio di Hegel su Kant come un presupposto rispetto al nostro interesse di determinare preliminarmente il concetto di pratico in Hegel. Kant, tuttavia, non concepisce la coscienza come uno stadio dello spirito e il compito di un confronto con Hegel deve dunque indagare in Kant, a prescindere dall‟intepretazione hegeliana: a) se la coscienza sia immediatamente soggetto ; b) il percorso trascendentale attraverso cui si costituisce il concetto di soggetto pratico.
Cosa significa coscienza? La critica dei Paralogismi ha mostrato l‟impossibilità di conoscere il soggetto dei pensieri come sostanza, perché il soggetto non può conoscersi mediante le funzioni di cui si serve per conoscere gli oggetti215. Ma quale concezione del soggetto presuppone l‟inconoscibilità del soggetto trascendentale di tutti i pensieri? Che il soggetto sia coscienza di una spontaneità, che questa abbia la forma di funzioni del giudicare, che la conoscenza sia solo di fenomeni perché non trascende i
215 Hegel attacca la tesi kantiana dell‟inconveniente di fare dell‟io penso un oggetto a se stesso
affermando che dell‟io si ha una determinazone astratta o una vuota rappresentazione se lo si prende o solo come oggetto dato o solo come soggetto pensante. Se, obietta Hegel, l‟io penso è relazione a sé, „l‟ io pensa qualcosa, se stesso oppure qualcos‟altro. Questa inseparabilità delle due forme, nelle quali l‟io si contrappone a se stesso, appartiene all‟intima natura del suo concetto e del concetto stesso‟ (SdL p.883). Per Kant, l‟io non è mai oggetto a se stesso come tale, nel senso di un‟autooogettivazione. L‟oggetto è sempre l‟unificazione di un molteplice dato in un concetto. Sia che si tratti di un oggetto fisico che di un oggetto morale, come l‟azione libera, l‟oggetto è reso possibile dalla mediazione – immaginazione, decisione - della ragione pura con qualcosa di „altro da sé‟ e con cui è nondimeno in rapporto indissolubile: la sensibilità e il mondo, che, proprio in forza della sensibilità, risulta esterno e fenomenico. Il soggetto è oggetto a se stesso solo se viene preso solo come soggetto empirico: nell‟esperienza esterna come fenomeno fra i fenomeni e in quella interna come oggetto del senso interno. Se il soggetto è preso per se stesso come soggetto trascendentale, esso pensa se stesso come attività di determinarsi nel determinare qualcos‟altro – la sua esperienza di ente mondano – di cui ha in sé la possibilità e il luogo d‟origine. Cfr. C. La Rocca, Soggetto e mondo, 2003, cap.1. L‟autore individua il passaggio del Kant critico da un io-sostanza a un io-soggetto nel legame fra autocoscienza e categorie. L‟io diviene un soggetto trascendentale non perché è sostrato della cosa o nella cosa (p.37), ma sostrato di regole, cioè sostrato nell‟unità di un atto. L‟appercezione trascendentale è la coscienza di un modo di operare che consiste nell‟attività di unificare i „dati‟ rappresentativi secondo leggi valide per ciascuno. La sostanza è espulsa dall‟io, ridotto a „forma vuota di una funzione‟ (p.47), e fatta riemergere come funzione con cui l‟io interpreta ciò che si dà nel senso esterno. Il soggetto o io trascendentale, però, non si esaurisce nell‟essere appercezione trascendentale, cioè attività ordinatrice di dati, ma, osserva La Rocca, commentando un passo del frammento manoscritto Vom inneren Sinne, „si prolunga in qualche modo oltre di sé‟ (p.51), cioè si pone come soggetto empirico in un sistema dinamico di relazioni con le altre cose di cui deve poter divenire conscio a priori.
limiti dell‟esperienza, che consiste nell‟interazione fra i concetti puri dell‟intelletto e le condizioni della sensibilità, mediante cui gli oggetti ci vengono dati, compresi noi stessi. L‟autocoscienza logica, quindi, non è autoconoscenza. Ma la coscienza non è identica a questo rapporto del soggetto coi propri pensieri, alle proposizioni analitiche dell‟Io penso. Queste sono il risultato di un‟astrazione da qualcosa che Kant ritiene sia il fondamento dell‟intera logica: non la semplice coscienza dell‟identità dell‟io penso con le sue regole, ma la coscienza di una sintesi a priori, della capacità, cioè, di unificare un molteplice di rappresentazioni in un oggetto. La coscienza, dunque, è il riferimento di un‟attività rappresentativa a un che di altro da essa, che è possibile come oggetto solo mediante la connessione all‟unità di quella attività, che assume nelle sue forme a priori la possibilità di una relazione con l‟oggetto come qualcosa di unitario da essa distinto. Siamo coscienti, diciamo, di qualcosa. Questo riferimento è un avere rappresentazioni nei modi più vari, come intuire, percepire, ricordare, immaginare, concepire, volere e così via. L‟avere mette in rilievo il fatto che la coscienza non è identica col rappresentato e rappresentare non è solo il trovarsi in una successione di stati mentali. La coscienza deve poter accompagnare anche il gioco delle rappresentazioni a cui non corrisponde nessun oggetto sensibile, come quelle del sogno o delle allucinazioni, perché esse siano almeno un oggetto del senso interno216. Affinchè la rappresentazione sia il modo in cui il pensiero determini o giudichi qualcosa di altro da se stesso, sussistono per Kant tre condizioni: 1) la rappresentazione può riguardare un oggetto solo se unifica un molteplice di rappresentazioni dato nell‟intuizione secondo una regola della sintesi; 2) la mia coscienza di oggetti è implicitamente coscienza o „appercezione‟217
delle mie funzioni di unificare il molteplice dato nella coscienza: la necessità della possibilità di divenire consci di un „io penso‟ identico a cui attribuire ogni mia rappresentazione (KrV B 138); 3) l‟unità analitica o logica dell‟ autocoscienza presuppone l‟unità sintetica originaria dell‟appercezione (B 133). Mentre l‟unità analitica dell‟appercezione è una condizione logica della coscienza ed è risultato di un atto di riflessione, astratto da ogni contenuto, per mezzo del quale l‟io penso comprende
216 Cfr. La discussione di Allison sull‟unità soggettiva della‟autocoscienza (KrV §18):Allison, Kant‟s
Trascendental Idealism, 1983, pp.152-58.
217 Sulla natura appercettiva dell‟esperienza – cioè il fatto che rappresentare oggetti sia al tempo stesso
giudicare l‟attività del soggetto di riferirsi all‟oggetto – sull‟individuazione del nucleo dell‟idealismo di Hegel nel tentativo di superare la formalità dell‟unità kantiana dell‟appercezione in favore di una soggettività pubblica, intersoggettiva e dialetticamente „rivedibile‟ in una teoria dell‟autodeterminazione del pensare, cfr R.Pippin, 1989, pp.16-41.
l‟identità della sua attività nei distinti atti di „coscienza empirica‟, che accompagnano ciascuna rappresentazione218, e nei distinti modi di giudicare o ordinare le rappresentazioni, l‟unità sintetica dell‟appercezione è la condizione di possibilità degli oggetti dell‟esperienza (B 197 / A158) e stabilisce la connessione reciproca fra le due condizioni precedenti, ossia fra la rappresentazione degli oggetti e l‟unità analitica dell‟appercezione219
.
La coscienza, nella relazione teoretica, è il riferirsi di un‟attività a un molteplice che essa unifica. Per Kant, il modo di questo riferimento è il rappresentarsi un contenuto, sia esso un molteplice dato dalla sensibilità, un oggetto del senso interno – la capacità della coscienza di essere affetta dalla sua attività di porre le rappresentazioni nel tempo 220- o un concetto empirico. La coscienza non è immediatamente autocoscienza ma deve poterlo divenire.
218 In questi casi, „io seguo coscientemente una regola senza essere consapevole di stare applicando una
regola‟ (cfr. Pippin, 1989, p.21). Se, per esempio, mi rappresento la penna che ho in mano, sono cosciente che è un oggetto esistente, determinato spazio-temporalmente, dotato di certe proprietà fisiche, prodotto per un certo uso, e che ho un certo interesse a usarlo, ma non sono necessariamente cosciente delle forme a priori con cui ordino questa cosa in determinati rapporti spazio-temporali, sussumo l‟intuizione di essa sotto il concetto di penna, la penso come un artefatto prodotto da una facoltà di agire secondo le leggi delle sue rappresentazioni e così via. Sulla coscienza empirica come riconoscimento di un oggetto mediante l‟identità delle rappresentazioni riprodotte con le rappresentazioni date nei fenomeni, si veda la triplice deduzione della prima edizione della prima Critica (A 115), che sottolinea in generale il ruolo produttivo dell‟immaginazione sin dal momento stesso della sensazione.
219 Cfr. Allison, Kant‟s Trascendental Idealism, 1983, pp.137-48.
220 Cfr. Allison, op.cit., 1983, cap.12. L‟autore distingue fra due sensi di autoaffezione: uno connesso con
la sintesi trascendentale dell‟immaginazione o sintesi figurata, che serve da condizione dell‟esperienza – l‟influsso dell‟intelletto sulla sensibilità (§24, B 154), di cui Kant porta l‟esempio dell‟attenzione -, l‟altro equivalente alla sintesi dell‟apprensione (§26) che fa da da condizione dell‟esperienza interna. Questa è un giudizio il cui oggetto non è il sé ma „predicati empirici‟, cioè rappresentazioni che il sé o l‟io si attribuisce come „oggetti soggettivi‟ (p.263). Chiarificazioni sul senso di „esperienza interna‟ provengono, più di recente, da A. Nuzzo, Ideal Embodiment, 2008, cap.3. Nel contesto di un‟analisi della Confutazione dell‟idealismo, orientata a confermare la tesi generale del suo studio, secondo cui il corpo è una condizione trascendentale dell‟esperienza, l‟autrice mette in evidenza come l‟esperienza interna presupponga l‟esperienza esterna, ossia il contesto delle percezioni di un mondo reale, intuito nello spazio al di fuori di me. L‟esperienza interna non è la coscienza della nostra esistenza in generale, ma piuttosto la coscienza della determinazione della nostra esistenza nel tempo. Essere conscio della mia esistenza nel tempo, osserva però la Nuzzo, a differenza di Allison, è più che essere semplicemente consci delle mie rappresentazioni, perché fa tutt‟uno con la coscienza empirica della mia esistenza (KrV B 276/77). Questa è basata sulla coscienza immediata della mia esistenza nello spazio, ossia del mio essere presente in un
Nella prima Critica, l‟autocoscienza o „io penso‟ sono intesi come unità sintetica originaria dell‟appercezione, cioè come quell‟aspetto teoretico del soggetto, per cui esso risulta essere coscienza di una spontaneità che organizza o legifera l‟esperienza degli oggetti della natura mediante l‟applicazione alle condizioni della sensibilità221. La necessità del riferimento delle rappresentazioni a oggetti consiste, implicitamente, nella necessità dell‟io penso (l‟atto della spontaneità, KrV §25) di unificare un contenuto molteplice dato, non creato, per „avere luogo‟ (KrV B 422-23n), cioè si fonda sulla finitezza del nostro pensare, che è discorsivo222 ed è dunque alla base della distinzione fra possibilità e realtà. La necessità significa l‟esistenza del pensare
corpo, il quale costituisce il nesso che lega il mondo esterno col senso interno. Cfr. La Rocca, Soggetto e
mondo, 2003, cap.2: l‟autoaffezione non è ricevere dati interni, ma il prodursi di un‟esperienza interna in
cui il soggetto si sdoppia, comportandosi passivamente nei confronti della sua stessa attività di porre le rappresentazioni nel tempo. Quello che non si capisce bene è il significato del porre. Per La Rocca il porre non è un produrre spontaneo delle rappresentazioni, perché queste sono originariamente frutto di affezione esterna (p.58). Il porre è la „decifrazione intellettuale… della forma del tempo‟ (p.57). Se non che il tempo, in quanto forma, non è un dato cui applicare categorie, ma il modo irriducibilmente non intellettuale del „costituirsi di un continuum esperienziale soggettivo‟ (p.59). Se il tempo non è un contenitore dove mettere le rappresentazioni secondo le categorie, ma sia l‟uno che le altre sono attivi, resta difficile capire rispetto a cosa il soggetto sia passivo e come sia „la presenza del tempo a fare dell‟esperienza interna una esperienza di recettività‟ (p.60). Come può l‟affezione interna essere „coscienza di un ordine interno dato‟, se né l‟ „ordine‟ categoriale né l‟ordine di successione sono dati? Quello che è dato, in Kant, è il materiale delle rappresentazioni del senso esterno, la cui esperienza del permanere di relazioni spaziali è presupposta dall‟esperienza interna. Questo allargamento di prospettiva, però, chiarisce il tipo di esperienza del soggetto come ente mondano, non la dottrina dell‟autoaffezione, che rimane tremendamente oscura sia a noi che a La Rocca. Questi, infine, ci pare confondere la passività con la recettività, in quanto dice che le rappresentazioni esterne sono il „frutto‟ dell‟affezione esterna, come dire che sono prodotte. In realtà passività significa affezione, ma la recettività è la facoltà di
produrre rappresentazioni mediante l‟affezione esterna.
221
A.Nuzzo (2008) osserva che la sensibilità non è una condizione empirica del soggetto, né il corpo è semplicemente un oggetto dei sensi. La sensibilità esprime un‟attività che implica strutture a priori della recettività, quindi non viene affetta o modificata da nulla senza avere in sé la possibilità di essere affetta. Le condizioni dello spazio e del tempo sono un‟ a priori, una componente formale o ideale dell‟esperienza, che è indipendente dall‟ a priori logico dell‟intelletto (cfr. KrV B122 / A 90). La rottura kantiana col parallelismo fra anima e corpo, per cui la prima è l‟oggetto del senso interno e il secondo del senso esterno, colloca il corpo come condizione di possibilità della stessa distinzione fra me stesso e il mondo esterno. Pensare il corpo come forma trascendentale delle diverse modalità dell‟esperienza umana permette all‟autrice di mediare le scissioni fra sensibilità e intelletto, fra libertà e natura, che vengono considerate proprie del dualismo di Kant.
determinata mediante la possibilità – la posizione dei pensieri come relazione interna di pensare e pensato – sotto condizioni date – le condizioni sensibili di applicazione dei concetti puri del‟intelletto.
La coscienza è la facoltà di una spontaneità originaria, che deve poter sapere di sé stessa223. Lungo l‟Analitica della prima Critica, Kant collega la spontaneità mediante la quale l‟io penso determina o giudica i suoi oggetti con la determinabilità della recettività propria dei sensi.
Solo nella Dialettica, il cui scopo è disciplinare la pretesa della ragione di conoscere l‟incondizionato mediante la liberazione delle categorie dell‟intelletto dai vincoli dell‟esperienza, si costituisce il punto di partenza del problema della filosofia
223 Nel suo saggio del 1970 sull‟autocoscienza, D. Henrich ha criticato il tentativo di concepire
l‟autocoscienza come prodotto di una riflessione e propone di interpretare la coscienza come stato di fatto (Sachverhalt) che precede tutte le operazioni mirate ad un fine, come dimensione senza io, o evento non deducibile dal rapporto saputo con sé. Questa coscienza può comprendere se stessa solo come autocoscienza. L‟obiezione che Henrich rivolge alla „riflessione‟, cui riconduce la posizione di Kant, è la circolarità: la riflessione pretende di produrre ciò che in realtà presuppone. Il soggetto diviene cosciente di sé dirigendo l‟attenzione a sé come oggetto. Questo atto di introspezione sarebbe la riflessione. Ma in quanto compie questo atto e sa di compierlo, il soggetto del pensare o l‟io è già cosciente di sé, e dimostra così di presupporre in sé come oggetto un‟attività originaria. Per riconoscersi come risultato della riflessione, in virtù dell‟atto di farsi oggetto (riflessione), il soggetto della riflessione deve già presupporsi come l‟identità di quel polo soggettivo, che si oggettiva. Il progresso di Fichte è consistito nel criticare questo circolo sostenendo che l‟io è l‟attività di porre se stesso, una Tathandlung che non preesiste né è un risultato del suo porre. Cfr.D.Henrich, Fichtes Ich, in Selbstverhaeltnisse (1982), e Fichtes
urspruengliche Einsicht (1966), commentato da Pippin, 1989, pp.46-51. Per una discussione del dibattito
contemporaneo sull‟autocoscienza e delle posizioni di Henrich, cfr. A.Ferrarin, Autocoscienza,
riferimento dell‟io e conoscenza di sé, „Teoria‟, 1992/1,pp.111-52. Da parte mia, ritengo che le critiche di
Henrich a Kant non siano corrette, in quanto 1) la coscienza non è immediatamente e sempre autocoscienza, ma deve poterlo diventare, 2) la riflessione non è un rendersi oggetto del soggetto, ma la condizione di un soggetto consapevole della sua attività di rendere sensata l‟esperienza. La circolarità è anzi l‟accusa che Kant rivolge alla psicologia razionale, di pretendere di conoscere il soggetto delle categorie come un oggetto delle medesime (B 442).Se c‟è una circolarità che Kant è disposto a concedere, è l‟autocoscienza puramente logica dell‟io penso. Per una difesa di Kant dall‟accusa di circolarità, cfr. K.Duesing, C‟è un circolo dell‟autocoscienza?, „Teoria‟,1992/1,pp.3-29. Duesing sostiene che Kant non ci ha lasciato una teoria dell‟autocoscienza, che l‟io non è un concetto né deve essere pensato secondo il modello del rapporto soggetto-oggetto, responsabile dell‟accusa di autopresupposizione. L‟argomento del circolo è usato da Kant per distinguere l‟autocoscienza del soggetto trascendentale dalla sua pretesa autoconoscenza mediante il semplice pensare se stesso, e nella riflessione su di sé „l‟io diviene consapevole del suo essere agente della sintesi e della propria identità nelle diverse fasi di questa sintesi‟ (p.8).
pratica: come è possibile la libertà trascendentale?. Nel passaggio dai paralogismi alle antinomie della ragione, Kant muove dal problema di rappresentare l‟Io penso come soggetto del pensare e della conoscenza alla possibilità di legittimare l‟io penso come un soggetto di azione224.
Mentre nei paralogismi Kant ribadisce la necessità di riconoscere la natura fenomenica del soggetto esistente contro le speculazioni dogmatiche della metafisica dell‟anima, l‟ „Osservazione generale intorno al passaggio dalla psicologia razionale alla cosmologia‟ ci permette – in via ancora ipotetica - di rappresentarci come „legislatori rispetto alla nostra propria esistenza‟ (B 430). Secondo la nuova prospettiva, che Kant cerca di dischiudere, il soggetto si determina – senza con ciò conoscersi - secondo la categoria di causa, ma tale concetto avrà nell‟uso pratico un significato solo analogico rispetto a quello dispiegato nell‟uso teoretico (B 431-32).
Il problema che conduce all‟estensione del concetto è la determinazione dell‟esistenza del soggetto. L‟alternativa fra determinazione e indeterminabilità empirica può essere superata solo se riusciamo a trovare una legge di determinazione della nostra esistenza che non richieda l‟intuizione empirica di spazio e tempo, ma si realizzi a priori. Nel passaggio alla cosmologia, vengono poste le condizioni per la connessione fra ragione teoretica e ragione pratica, fra meccanismo della natura225 e causalità mediante libertà.
Il problema della determinazione dell‟esistenza pratica del soggetto consiste nel mostrare la possibilità che, mentre nell‟ambito naturale l‟esistenza del soggetto è determinata dalla presenza del corpo fisico, con le sue condizioni trascendentali, e dalla schematizzazione della categoria di causa, l‟esistenza del soggetto agente si determini interamente mediante la „facoltà interna‟ della ragione.
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Riguardo all‟importanza di collocare il problema della libertà sullo sfondo del problema cosmologico,