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Lo sfondo trascendentale come punto di partenza del confronto

Capitolo 3 : La possibilità della libertà

1. Lo sfondo trascendentale come punto di partenza del confronto

La questione sollevata dal titolo è orientata da uno sfondo trascendentale. Il fatto stesso che si presenti la questione „se e come la libertà sia possibile‟, da una parte, sospende la certezza che il senso comune ha della propria rappresentazione della libertà aprendo un campo di determinabilità, dall‟altra, indica in tale campo il presupposto della formulazione della domanda stessa. L‟atto del porre in questione non ci offre la determinazione completa del presupposto e dell‟estensione del campo; esso prescrive, piuttosto, il compito di una giustificazione del presupposto e di una progressiva determinazione del campo. Ma cosa significhi che la domanda indica lo sforzo verso la determinazione di un campo, come si formi un „campo filosofico‟ e in che senso il campo non indichi un presupposto oggettuale esterno alla filosofia ma il processo di

autogiustificazione del presupposto interno alla filosofia, sono domande che, se

vogliono essere filosofiche, l‟interprete deve porre a partire da Kant, in modo tale che la loro connessione con la risposta consista nello sviluppo di quell‟idea di filosofia espressa nelle domande. Tale idea corrisponde al metodo della filosofia trascendentale e grazie ad essa il nostro discorso sullo sfondo e la considerazione di esso secondo la metafora del campo può cominciare ad acquistare un significato più preciso. „Trascendentale‟ denomina quel modo di pensare mediante cui la ragione pura intraprende un compito di riflessione sulle proprie conoscenze a priori, in quanto rendono possibile ogni „altra‟ conoscenza, sia essa appartenente all‟ambito teoretico o pratico. La validità della prospettiva in esame, abbiamo detto, si fa sentire nella formulazione della stessa domanda, per cui la risposta all‟esigenza di identificare qualcosa – che cos‟è la libertà? – se non vuole essere una semplice definizione nominale, può essere data solo nel contesto di una indagine sulle condizioni di possibilità dell‟oggetto indagato. Quando diciamo che la conoscenza che la ragione ha della libertà ha la forma del rapporto fra soggetto e oggetto, non intendiamo assumere due poli di riferimento presupposti dal rapporto né un modello privilegiato di conoscenza, come quello che riguarda la legiformità dei fenomeni della natura, dal quale far dipendere una concezione oggettivata della libertà, paragonata a un oggetto dell‟esperienza. La priorità della relazione sui relata non appartiene solo alla logica sistematica di Hegel, ma caratterizza anche l‟idealismo di Kant. Soggetto e oggetto sono

momenti che si costituiscono nel processo di conoscenza, che non è limitato a quel livello di mediazione, consistente nell‟applicazione delle operazioni pure delle nostre facoltà ai fenomeni e giustificato dalla deduzione trascendentale delle categorie nella prima Critica. Soggetto e oggetto si formano secondo una disposizione sistematica di livelli: se, per esempio, l‟intelletto si comporta come soggetto nei confronti degli oggetti della sensibilità nel processo di costituzione dell‟esperienza, esso diviene a sua volta oggetto, rispetto alla ragione, nel processo di autoconoscenza di quest‟ultima. Il fatto che l‟articolarsi di tale processo segua la finalità immanente della ragione significa che non abbiamo dinanzi una concezione schizofrenica delle facoltà, per cui ciascuna è occupata a delimitare la sua isola di operatività e subisce l‟intervento di ogni altra come una necessità esterna. La diversità delle facoltà mette capo a un isolamento dei loro principi a priori, giustificato tuttavia solo all‟interno di un andamento espositivo che prende senso compiuto dall‟interconnessione delle facoltà. La ragione non conosce se stessa solo mediante le idee della libertà, del mondo e di Dio, ma per il fatto che tali idee trovano „uso‟ nel dare forma sistematica alle conoscenze dell‟intelletto.

Abbiamo detto che il metodo trascendentale è chiamato a una autogiustificazione del presupposto, paragonato a un campo di determinabilità. La prospettiva dell‟autoriferimento significa che la ragione ha a che fare solo con se stessa, che il suo campo è la relazione che da sé istituisce con le altre facoltà dell‟animo e, mediante esse, con gli oggetti di conoscenze possibili; la dinamica del presupposto indica una concezione „epigenetica‟o evolutiva della ragione (KrV, §27, B 167), secondo cui i suoi principi a priori sono forme o „condizioni di possibilità‟, paragonabili a germi di un organismo, che fondano la loro validità nell‟attività di fondare altro, ciò che da essi dipende, ma, più precisamente, nel costituire un sistema di conoscenze conforme a quei principi, mediante un processo di applicazione immanente all‟esperienza344

, paragonabile allo sviluppo graduale dei germi o forme potenziali dell‟organismo nell‟interazione con l‟ambiente esterno345

. Pertanto, se la ragione non può avere altro presupposto che se stessa, la fondazione dei presupposti che questa „idea‟ della ragione pone avviene in una duplice forma: a) nell‟applicazione – progressiva determinazione del campo in domini di conoscenza (KU, Introduzione, §II)

344

Sul concetto di una scienza dell‟ontologia come pensiero immanente, cfr. la lettera di Kant a Beck del 10 gennaio, 1792.

345

Sul confronto fra la teoria biologica dell‟epigenesi e la concezione organica della ragione, cfr. B.Longuenesse, Kant and the Capacity to Judge, 1998, p.221.

– al presupposto „esterno‟, rappresentato dall‟esperienza346

e dalle condizioni della sensibilità, in vista della sua integrazione sintetica – l‟analogo del ruolo dell‟idealità nella sistematica hegeliana - nel progetto di sviluppo della ragione347; b) nell‟esame con cui la ragione, erigendosi a tribunale di se stessa, giudica la legittimità delle sue pretese di realizzare le sue possibilità in determinate forme di conoscenza. La giustificazione del presupposto del rapporto, progressivamente mediato, del soggetto umano col mondo, cioè la ragione, consiste dunque, complessivamente, nell‟esperienza e nella filosofia. Non è esatto pensare il loro rapporto, come fa Hegel quando critica Kant nell‟Introduzione alla Fenomenologia, esclusivamente in termini di precedenza temporale e rovesciandone l‟ordine, in modo tale da far sembrare che l‟indagine sulla facoltà di conoscere preceda la conoscenza, anticipando a priori i criteri di applicazione della ragione. In realtà l‟esperienza, così come la storia della ragione pura348, dimostra l‟uso in atto delle forme di sintesi a priori e dei costanti tentativi della ragione di spiegarle; la filosofia trascendentale, dall‟altra parte, aspira ad essere la comprensione sistematica del farsi della ragione, che nell‟esperienza appare in forma contingente. L‟esperienza, tuttavia, alla luce della comprensione di ciò che la costituisce, non è semplicemente una materia grezza e inconsapevole che aspetta l‟intervento delle forme dell‟intelletto o un molteplice rapsodico di percezioni e riproduzioni associative dell‟immaginazione349

, ma il territorio unitario di molteplici forme di conoscenza, rese possibili dalla connessione finalistica di tutte le facoltà del soggetto e capaci di appartenere a un‟opera di progressiva – mai conclusa – sistematizzazione.

Entro la dinamica che trasforma il presupposto in fondamento, o meglio in un processo di autofondazione, da parte della ragione, delle proprie pretese, l‟esperienza

346 Si ricordi il passo che apre l‟Introduzione della prima Critica: „ogni nostra conoscenza comincia con

l‟esperienza, ma non dall‟esperienza‟ (KrV B 1).

347

In considerazione della sintesi a priori, il carattere esteriore del presupposto non può ipostatizzare la realtà di un mondo come un‟alterità che sorpassa necessariamente i limiti della ragione, ma è un qualcosa di relativo a un processo di appropriazione, è l‟inizio della legittimazione di un „presupposto interno‟, che Kant designa come la dimensione di „purezza‟ della ragione.

348 Ci riferiamo, ovviamente, al titolo dell‟ultima sezione della Dottrina del metodo della prima Critica. 349 Nel corso della sua esposizione, per sottolineare la distinzione fra a priori e a posteriori ed essere

coerente con il suo metodo di isolamento progressivo delle facoltà, Kant dà un resoconto „empiristico‟ dell‟esperienza come una fonte sensibile data delle conoscenze, di cui le forme vuote della mente devono riempirsi di contenuto o significato. Cfr. KrV B 1. Questa immagine, però, è in realtà una concessione che Kant fa all‟empirismo per criticarlo, non la sua concezione dell‟esperienza, così come emerge dalla deduzione trascendentale e dallo schematismo.

diviene l‟incarnazione o il concretizzarsi in un mondo della prospettiva trascendentale, vale a dire la conoscenza, da parte della ragione che intraprende il progetto autocritico, della sua dimensione di purezza, che comporta la liberazione dalle forme empiriche di datità e il loro riesame nel contesto del sistema della ragione pura. La filosofia non è la condizione di possibilità dell‟esperienza, ma il rendersi esplicito o il divenire coscienti delle condizioni di possibilità dell‟esperienza.

Il significato della dinamica di sviluppo del presupposto razionale, che assume per Kant la forma di una deduzione trascendentale, è la rifondazione dell‟ontologia nella logica trascendentale, che acquisisce il titolo di un pensare immanente ai suoi contenuti nella misura in cui si occupa di dimostrare il riferimento delle forme „semplicemente‟ logiche del giudicare, determinate come categorie, all‟ unità sintetica oggettiva dell‟appercezione. La domanda sulla possibilità della libertà si determina nel modo seguente: se e come la ragione pura può essere per se stessa pratica? Se identifichiamo la libertà con l‟autonomia, abbiamo al più un presupposto, quale è la coscienza immediata del „fatto della ragione‟, la cui verità può essere fondata solo mediante una dimostrazione, affidata allo sviluppo delle domande sulle condizioni di possibilità dell‟autonomia.

Il percorso paradossale della critica, che fa della libertà, come fondamento o

ratio essendi della moralità, un‟idea fondata nell‟esame di sé compiuto dalla ragione,

disegna il profilo di un confronto con Hegel che può essere assunto, rispetto all‟interesse della nostra ricerca, nel seguente compito: 1) mostrare, in Kant, la distinzione fra possibilità formale e possibilità reale in relazione alla questione della modalità; 2) riflettere sui contenuti e quindi sulla modificazione tematica che questa distinzione assume in relazione alla possibilità dell‟esperienza etica: la possibilità formale della libertà, esaminata nella terza antinomia della prima Critica come possibilità o struttura di una causalità incondizionata, e la possibilità reale, espressa in tre temi indisgiungibili: a) la possibilità dell‟ideale (riassunta nel motto „puoi, perché devi‟), b) l‟incarnazione dell‟idea della libertà trascendentale – condizione - nella libertà pratica – condizionato - , c) il formalismo, che, al di fuori della connotazione spregiativa, allude alla possibilità dell‟esperienza pratica, come tentativo contingente di realizzare l‟ideale della ragione; 3) esaminare la metamorfosi hegeliana delle categorie modali da forme di un intelletto discorsivo a momenti della realtà effettiva; 4) osservare il passaggio dalla logica del pensiero immanente a quella dello sviluppo dello spirito – analogo al passaggio kantiano dalla logica formale alla logica trascendentale – in

relazione ai temi della possibilità etica reale visti per Kant e rivedibili rispettivamente come: a) la distinzione fra „esistenza‟ e „realtà‟ nella filosofia dello spirito e la domanda sulla possibilità di intepretare la storia a partire dalla categoria di possibilità reale, b) la trasformazione della libertà pratica nel diritto della libertà soggettiva e della prassi nell‟autoproduzione dello spirito oggettivo, c) la collocazione della moralità nella logica della società civile.

2. La modalità del giudizio pratico

Cosa comporta che la ragione che esamina se stessa è insieme la nostra ragione, la ragione umana? Il filo conduttore per rispondere ci è offerto da un passo dei più illuminanti della terza Critica (§76), a cui abbiamo già fatto riferimento parlando della differenza fra universale analitico e universale sintetico. La ragione è nostra non solo nel senso che avanza una validità intersoggettiva universale, ma più essenzialmente nel senso che, sebbene il principio dell‟autonomia valga per ogni ente razionale, la ragione è umana perché opera con la necessità di liberarsi dai limiti di un intelletto discorsivo, che è tale in quanto è il presupposto della differenza fra possibilità e realtà e, ancora pià specificamente, fra un loro significato formale, riguardante, cioè, la forma del pensare in generale, astratta da ogni contenuto della conoscenza (KrV A 131 / B 170), e un significato trascendentale, che ha che fare con il contenuto, ossia il riferimento costitutivo agli oggetti di un‟esperienza possibile. La ragione della dipendenza, nell‟ordine metodico dell‟indagine, della logica trascendentale dalla logica formale350

e del parallelismo fra la tavola dei giudizi e la tavola delle categorie risiede nel filo conduttore costituito dalla „scoperta‟ che pensare significa giudicare: collegare le nostre rappresentazioni in conformità all‟unità sintetica originaria dell‟appercezione mediante l‟unità analitica dei concetti e connettere i giudizi in sillogismi, che devono dare forma sistematica all‟insieme delle conoscenze.

Come è noto, secondo Kant l‟insieme delle categorie di modalità, cioè la triplicità dei suoi momenti, non è impegnato, a differenza delle altre tre classi di categorie, a determinare il contenuto delle conoscenze, ma la relazione di esse con la facoltà di conoscere, espressa dalla copula o connettivo dei giudizi. Nondimeno, anche per la modalità vale la distinzione fra la semplice forma dei giudizi – problematici, assertori, apodittici – e il loro contenuto trascendentale, cioè l‟applicazione delle

350

Sulla peculiarità del rapporto (parallelismo? dipendenza? influenza reciproca?) fra tavola dei giudizi e tavola delle categorie, cfr. B. Longuenesse, Kant and the Capacity to Judge, 1998, pp.77-81.

determinazioni modali agli oggetti dell‟esperienza – possibili, reali o necessari. Il significato peculiare che la modalità ha in Kant acquista rilievo dal contrasto con il significato che essa ha nella metafisica precritica. Tale contrasto emerge nella sezione della prima Critica, dedicata a criticare l‟anfibolia dei concetti della riflessione. Mentre la metafisica dogmatica, che identifica immediatamente le determinazioni logiche con le determinazioni ontologiche, fa dipendere la forma del giudizio (il modo in cui i concetti sono collegati) dalla materia (i data concettuali) e definisce i momenti modali in base alla contraddizione dei concetti correlati351, la filosofia critica di Kant afferma decisamente il primato della forma sulla materia, cioè delle condizioni di possibilità (l‟atto di determinazione) sul condizionato (il determinabile).

La modalità è la forma logica del giudicare che consiste nel porre il giudizio in relazione con l‟attività di pensare, in quanto si organizza in un sistema di giudizi. La spiegazione della modalità logica (KrV A 74-76 / B 99-101) fa vedere che il valore della copula del giudizio è determinato dal luogo che il giudizio di volta in volta in questione occupa in relazione a un sillogismo, cioè a un giudizio mediato. Prendiamo il caso di un sillogismo ipotetico, che esprime la relazione mediata di fondamento e conseguenza, che sono i relata del giudizio ipotetico. L‟antecedente del giudizio ipotetico è il giudizio problematico nella premessa maggiore: secondo l‟esempio proposto da Kant, „Se c‟è al mondo una giustizia perfetta, allora i malvagi devono essere puniti‟ (KrV B 100) è un giudizio ipotetico, tralasciando il contenuto „giuridico‟ delle categorie che vi possono essere coinvolte, in cui „C‟è al mondo una giustizia perfetta‟ vale come giudizio problematico, cioè un‟asserzione la cui verità è una possibilità da dimostrare. La premessa minore è la posizione occupata dal giudizio assertorio nel sillogismo e corrisponde all‟affermazione, sussunta come istanza di realtà, sotto la condizione (l‟antecedente) del giudizio ipotetico. La conclusione è la posizione del conseguente del giudizio ipotetico come giudizio apodittico, accompagnato, cioè, dalla coscienza della sua necessità, in quanto si tratta di un‟asserzione determinata a priori secondo un principio universale, il quale, secondo la forma strettamente logica, è il sillogismo ipotetico, e secondo il contenuto, è, nel caso considerato, l‟idea della giustizia.

351 „A è B‟ è un giudizio possibile se il concetto di B non contraddice il concetto di A; „A è B‟ è

necessario se la negazione è contraddittoria, in quanto B è contenuto in A secondo la regola dell‟identità; „A è B‟ è contingente se la negazione non è contraddittoria. Per questa elucidazione sulla metafisica precritica e, in generale, sul tema della critica all‟anfibolia, si rinvia a B. Longuenesse, 1998, Kant and

Definire la modalità del giudizio mediante la sua posizione rispetto all‟atto di pensare in generale rende possibile l‟applicazione di essa a tutti i giudizi, analitici o sintetici, empirici o a priori. Solo se consideriamo il contenuto dei concetti collegati, diviene necessario distinguere fra giudizi analitici e sintetici. Ricordiamo brevemente come si determina il contenuto nella prima Critica. Nei giudizi analitici si attua una riflessione logica (KrV B 317-18), cioè una comparazione dei concetti nell‟intelletto, facendo astrazione dal loro processo di formazione; nei secondi bisogna distinguere se la sintesi è a posteriori o a priori: nel primo caso, noi generiamo i concetti di oggetti empirici mediante il processo costantemente incompiuto dell‟esperienza, orientandoci col giudizio riflettente nella ricerca dell‟unità sistematica della molteplicità delle leggi empiriche, che devono articolare il contesto generale dell‟esperienza possibile, o meglio delle leggi universali della natura espresse dai principi (Grundsaetze) dell‟intelletto puro; nel secondo caso, si tratta della determinazione dei fenomeni mediante le categorie, che richiede, per essere compresa, la riflessione trascendentale, cioè il confronto fra le rappresentazioni e le facoltà a cui vanno ricondotte. Mentre nella riflessione logica abbiamo a che fare con una relazione possibile fra concetti, i relata, il cui contenuto determinato è presupposto come indifferente, sostituibile con una variabile (A, B etc…), nella riflessione trascendentale le relazioni, come forme o atti di determinazione dei dati reali, sono considerate nell‟attività originaria che le istituisce, nelle condizioni della loro applicazione e negli oggetti costituiti da tale applicazione. Dunque la relazione è immanente ai relata, in quanto i concetti puri – le categorie – sono pensati nella loro funzione di generare il contenuto dell‟esperienza possibile. La riflessione trascendentale fornisce alla riflessione logica la prospettiva dell‟oggettività, anticipando a priori, mediante il Giudizio determinante, la relazione fra i modi di collegamento (le quattro coppie dei concetti di riflessione: identità e diversità, accordo e contrasto, interno ed esterno, forma e materia) e gli oggetti che essi ordinano secondo progressivi gradi di concretezza del giudizio: le categorie, i giudizi sintetici a priori e la formazione interconnessa dei giudizi empirici352.

352 Sulla questione della riflessione e, in particolare, sulla corrispondenza fra concetti della riflessione e

tavola dei giudizi, cfr. C.La Rocca, Esistenza e Giudizio, 1999, cap.4, pp.160-68. L‟autore sostiene che la critica all‟ontologia leibniziana , portata avanti da Kant nell‟Anfibolia, è basata su una logica trascendentale che attribuisce un significato ontologico ai concetti puri solo in relazione al‟uso empirico che manifestano. Per parte mia, posso concludere, quindi, che lo schematismo, come compimento della deduzione trascendentale delle categorie, dimostra che la dottrina delle categorie è la chiave della rigenerazione dell‟ontologia in Kant. La Rocca discute, inoltre, due tesi interessanti: 1) il significato della

Cerchiamo, ora, di determinare il contenuto etico-pratico della modalità. Abbiamo considerato il contenuto nell‟esame dell‟universale concreto. Pensare tale contenuto in relazione alla modalità significa, in una logica della volontà, porre il giudizio pratico in relazione con l‟attività di autodeterminazione – l‟autonomia – che deve organizzarsi in un sistema di giudizi, che si mediano in sillogismi. L‟imperativo categorico è posto in un sillogismo ipotetico come antecedente della premessa maggiore ed insieme, imperativo e sillogismo, sono coordinati nella prospettiva sistematica istituita dal giudizio disgiuntivo, quella relazione fra le parti e l‟intero della sfera di un concetto, che è la forma puramente logica della categoria di comunità. La forma del sillogismo ipotetico segna un‟integrazione dell‟imperativo categorico nell‟imperativo ipotetico e della morale, che si occupa della fondazione del principio della moralità, nell‟etica, che indica, nella Metafisica dei costumi, il sistema dei fini della ragione pura e la loro configurazione nel complesso dei „doveri di virtù‟. Il sillogismo ipotetico esprime, quindi, la collocazione dell‟imperativo categorico nell‟esperienza pratica del soggetto umano, che deve incarnare l‟universale concreto. Il momento della possibilità reale è espresso dalla premessa maggiore: „Se voglio agire in modo autonomo, devo volere questo fine (dovere di virtù)‟. Al momento della deliberazione segue il momento reale della decisione, espresso dalla premessa minore: „Voglio agire in modo

riflessione trascendentale è il primato della quarta coppia della riflessione ( il rapporto fra il determinato e la sua determinazione o forma del giudizio), che esprime la „relazione delle relazioni‟, cioè la relazione fra i concetti di relazione delle prime tre coppie e la materia alla quale si riferiscono (gli oggetti in generale); 2) la riflessione trascendentale, come collocazione delle rappresentazioni nell‟orizzonte loro proprio (topica trascendentale), ha il luogo originario del confronto fra rappresntazioni e facoltà non