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La Congregazione del Sant’Uffizio e i suoi tribunali nell’età di Leone XII

Nel documento Il tempo di Leone XII (pagine 52-68)

(1823-1829)

Andrea Cicerchia

Durante il breve pontificato di Francesco Saverio Castiglioni (Pio VIII), il 26 ottobre 1830, la Congregazione romana del Sant’Uffi-zio dell’InquisiSant’Uffi-zione ricevette una lettera allarmante. Proveniva da Rimini, una delle città pontificie più inquiete in quegli anni, ed era firmata dal padre predicatore Gaetano Feletti, che al tempo ri-copriva l’incarico di inquisitore di uno dei nove distretti ancora at-tivi nello Stato Pontificio1. Si trattava, per l'appunto, del tribunale di Rimini, che con la Restaurazione aveva spostato la sua residen-za presso il convento domenicano della città di Pesaro2, ma secon-do lo stesso inquisitore sarebbe stato opportuno ristabilirlo nella sua sede originaria, al fine di esercitarvi con maggior vigore l’au-torità inquisitoriale e poterne sradicare «quella peste di

gianseni-1 Gaetano Feletti di Comacchio (gianseni-1797-gianseni-188gianseni-1), padre domenicano e inquisitore, diventerà successivamente celebre per il coinvolgimento nel caso del bambino ebreo Edgardo Mortara, sottratto ai propri genitori a Bologna nel 1858 dopo essere stato battezzato di nascosto. Contro Feletti verrà istruito un processo a seguito della caduta, a Bologna, dello Stato Pontificio, ma infine ne risulterà as-solto. Sulla carriera inquisitoriale di Feletti cf. H. Schwedt, H. Wolf, Prosopo-graphie von Römischer Inquisition und Indexkongregation 1701-1813, vol. I, A-L., F. Schoningh, Paderborn-München-Wien-Zürich 2010, pp. 564-565. Riguardo il caso Mortara, fra le diverse pubblicazioni, mi limito a segnalare D. Kertzer, Pri-gioniero del papa re, Rizzoli, Milano 1996, pp. 275-346. Per un rapido quadro sui tribunali inquisitoriali ottocenteschi cf. quanto già scritto da A. Del Col, L’In-quisizione in Italia. Dal XII al XXI secolo, Mondadori, Milano 2006, pp. 785-822.

2 Cf. D. Armando, Nel cantiere dell’Inquisizione: la riapertura dei tribunali del Sant’Uffizio negli anni della Restaurazione, in A. Cicerchia, G. Dall’Olio, M.

Duni (a cura), Prescritto e proscritto. Religione e società nell’Italia moderna (secc.

XVI-XIX), Carocci, Roma 2015, pp. 239-243.

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smo che purtroppo vi regna unitamente agli altri mali communi»3. Con l’utilizzo del termine «giansenismo» l’inquisitore sperava d’altronde di esercitare maggiore presa sulle gerarchie centrali. Egli probabilmente tendeva ad associare la pericolosità delle istanze ri-sorgimentali e liberali presenti nella città romagnola con la preoccu-pazione suscitata dalle tendenze riformatrici presenti nel clero loca-le. Queste, associate alle prime, creavano quella pericolosità “pestife-ra” da cui avrebbe dovuto difendersi l’autoritarismo romano4. In tale prospettiva Feletti non dimenticava neppure la necessaria attenzio-ne che si sarebbe dovuta prestare alla persistenza di «mali communi», di fronte alla punizione dei quali i tribunali del Sant’Uffizio si trova-vano spesso a subire la concorrenza di altre autorità, in particolare di quella vescovile5.

La situazione particolare che il padre inquisitore Feletti descrive-va alla Congregazione romana, del resto simile a quella di altri tri-bunali locali dello Stato, faceva seguito a un pontificato – quello di Leone XII (1823-1829) – che per certi versi era risultato decisivo nel ridisegnare il rapporto centro-periferia all’interno della sopravvissu-ta istituzione inquisitoriale6.

3 La lettera, datata 26 ottobre e indirizzata all’allora commissario generale Bene-detto Olivieri, è conservata in Archivio della Congregazione per la Dottrina della Fede (d’ora in poi ACDF), Santo Oficio, Stanza Storica, FF 3-i, ff. sciolti [s.n.] e già citata in A. Cicerchia, L’autunno dell’Inquisizione. Il tribunale pesarese tra Re-staurazione e Risorgimento (1816-50), in Cicerchia, Dall’Olio, Duni (a cura), Prescritto e proscritto cit., p. 267.

4 Seppur manchino approfondimenti specifici su permanenze giansenistiche nel pensiero e nella storia italiana nel primo Ottocento, vedasi quanto scritto in M.

Rosa, Il giansenismo nell’Italia del Settecento. Dalla riforma della Chiesa alla demo-crazia rivoluzionaria, Carocci, Roma 2014, pp. 20-21, 235-258.

5 Per la storia riminese di quegli anni cf. A. Cicerchia, La Chiesa riminese dalla Restaurazione alla fine dello Stato Pontificio (1818-1870), in P. Grassi (a cura), Sto-ria della Chiesa riminese. Dalla Restaurazione ai nostri giorni, Guaraldi, Verucchio 2015, pp. 41-80.

6 Un aspetto, questo, che – come richiamato di recente da David Armando – conti-nua ancora a essere poco studiato dagli storici, soprattutto nelle sue impostazio-ni e strategie centralistiche. Cf. D. Armando, Il Sant’Uffizio nella Restaurazione tra aspirazioni universali e radicamento romano, “Giornale di Storia”, 20 (2016),

Dal centro alla periferia: la Congregazione e i suoi tribunali Quando il 5 ottobre 1823 Annibale della Genga veniva incoronato pontefice col nome di Leone XII, le dinamiche del ripristino inquisi-toriale non erano ancora terminate. Se i tribunali locali del Sant’Uf-fizio romano avevano ripreso a funzionare a seguito del decreto di Pio VII del 6 settembre 18157, non poteva dirsi ancora completato il recupero del palazzo della Congregazione, il cui archivio era stato solo parzialmente riscattato dopo il trasferimento forzoso a Parigi8.

Ciò nonostante, pur privo della sua sede e senza più distretti in-quisitoriali nei restanti Stati della penisola9, il Sant’Uffizio aveva ri-preso a operare sin dal 1814, con la nomina di un nuovo commissa-rio, figura necessaria per il funzionamento dell’intero sistema10.

https://www.giornaledistoria.net/monografica/saggi/santuffizio-nella-restau-razione-aspirazioni-universali-radicamento-romano/ (consultato il 17 gennaio 2019).

7 Sul complesso passaggio storico del ripristino dei tribunali cf. ancora Armando, Nel cantiere dell’Inquisizione cit., pp. 239-242.

8 Il palazzo del Sant’Uffizio era al tempo occupato dalla fabbrica di San Pietro, che ne aveva fatto un laboratorio per il restauro di mosaici. Per il decreto di ripristino cf. ACDF, Santo Oficio, Privilegia 1814-25, n. 20ter. Sulla situazione documen-taria e il recupero dell’archivio cf. F. Beretta, L’Archivio della Congregazione del Sant’Ufficio: bilancio provvisorio della natura e fonti di antico regime, in A. Del Col, G. Paolin, L’Inquisizione romana: metodologia delle fonti e storia istituzionale. Atti del seminario internazionale (Montereale Valcellina, 23-24 settembre 1999), Edizioni Università di Trieste-Circolo culturale Menocchio, Trieste-Montereale Valcellina, 2000, pp. 119-144.

9 La presenza inquisitoriale negli Stati italiani di antico regime era stata abolita progressivamente lungo il corso del XVIII secolo. In un primo momento, come conseguenza di scontri giurisdizionali con i poteri civili e le rivendicazioni di un regalismo “illuminato”; successivamente dalle rivoluzioni giacobine e le conqui-ste napoleoniche. Per un profilo sintetico di tale processo abolitivo mi limito a segnalare quanto scritto in A. Borromeo, Abolizione dei tribunali, Italia, in A.

Prosperi (dir.), V. Lavenia, J. Tedeschi (coll.), Dizionario Storico dell’Inquisi-zione, Edizioni della Scuola Normale di Pisa, Pisa 2010 (d’ora in avanti DSI), I (2010), pp. 6-8.

10 In generale, sulla figura istituzionale dei commissari dell’Inquisizione romana cf.

A. Del Col, Commissario del Sant’Uffizio, Italia, in Ibid., pp. 351-352. Un esempio dell’attività di un commissario generale per il periodo leonino è presente in A.

Cifres, Il p. maestro Maurizio Benedetto Olivieri op, commissario del Sant’Uffizio

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I tribunali che sin dall’antico regime avevano esercitato l’attività inquisitoriale sul territorio pontificio erano nove: Ferrara, Bologna, Faenza, Rimini-Pesaro, Ancona, Fermo, Gubbio, Perugia, Spoleto.

Questi – con le proprie articolazioni vicariali (generali e foranee) – erano stati ripristinati assieme alla vicaria di Civitavecchia, dipen-dente diretta della Congregazione romana. Sin dalla loro prima ap-parizione questi distretti territoriali erano stati strutturati – più o meno a seconda dei tempi – attraverso un doppio canale di comuni-cazione, cioè in stretta relazione con le disposizioni centrali, ma al tempo stesso comunicanti fra di loro11.

All’interno di un tale quadro emergeva il potere dispositivo della Congregazione. Istituita da Paolo III nell’estate del 1542, la commis-sione di sei cardinali-inquisitori avrebbe dovuto assumere un caratte-re temporaneo, con il fine di fronteggiacaratte-re la diffusione nella penisola italiana delle eresie di stampo luterano e calvinista. Dopo il periodo di maggiore intransigenza, con il papato di Paolo IV (1555-1559), la Congregatio Sanctae Inquisitionis haereticae pravitatis si era vista pro-gressivamente ampliare nel numero di cardinali, e definire nei suoi caratteri e competenze. Infine, con l’intervento normativo di Sisto V (Immensa Aeterni Dei, 1588) sarebbe stata posta al vertice del nuovo sistema di congregazioni romane permanenti, quali dicasteri della Curia romana12.

(1820-1845). Un “uomo dotto e molto liberale” in un periodo di crisi, in C. Longo (a cura), Praedicatores, inquisitores. III. I domenicani e l’Inquisizione romana. Atti del III Seminario internazionale di studi su “I domenicani e l’Inquisizione” (Roma, 15-18 febbraio 2006), Istituto storico domenicano, Roma, pp. 541-558.

11 Riguardo i canali di corrispondenza con il vertice cf. G. Dall’Olio, I rapporti tra la Congregazione del Sant’Ufficio e gli inquisitori locali nei carteggi bolognesi (1573-1594), “Rivista Storica Italiana”, CV (1993), pp. 246-286. In generale, ancora per l’esempio bolognese cf. G. Dall’Olio, Eretici e inquisitori nella Bologna del Cinque-cento, Istituto per la Storia di Bologna, Bologna 1999, e G. D’Errico, L’Inquisi-zione a Bologna e la CongregaL’Inquisi-zione del Sant’Uffizio alla fine del XVII secolo. Analisi e ricerche, Aracne, Roma 2012.

12 Cf. A. Borromeo, Congregazione del Sant’Uffizio, in DSI, I (2010), pp. 389-391.

All’interno della vasta storiografia sull’Inquisizione romana e il Sant’Uffizio mi limito a segnalare quanto scritto in G. Romeo, L’Inquisizione nell’Italia moderna, Laterza, Roma-Bari 20021, in particolare per la storia della Congregazione si ve-dano le pp. 12-19, 63-65, 95-100.

Nel corso del XVII e XVIII secolo, la composizione della Congre-gazione poteva oscillare tra i dodici e i quindici membri cardinalizi, presieduti direttamente dal pontefice e rappresentati da un cardinale segretario. Il vero e proprio motore inquisitoriale di tale assise era però – come già richiamato – il commissario generale, appartenente all’ordine dei predicatori, che al suo servizio avrebbe potuto valersi di due soci dello stesso ordine. Con il tempo emerse anche la figura dell’assessore del Sant’Uffizio, destinato a competere con lo stesso commissario, finendo non di rado per assumere funzioni primarie nella gestione degli affari inquisitoriali a cui era preposta la Congre-gazione13.

Le competenze di questa erano determinate non solo dall’attività inquisitoriale, direttamente esercitata per il contesto romano, bensì anche dal controllo operato sui singoli inquisitori di distretto, che ad essa dovevano rivolgersi per il chiarimento di dubbi e problematiche processuali. Inoltre, occorre sottolineare come i giudici locali avreb-bero dovuto attendere il definitivo decreto della Congregazione per qualsiasi decisione da prendere, come nel caso di patentati proposti dall’inquisitore ai diversi incarichi del distretto, per i quali si sarebbe dovuta attendere la nomina ufficiale disposta dal centro con l’invio della relativa patente14.

Una tale dinamica si sarebbe ripristinata dunque con la Restau-razione, pur modificandosi in alcuni schemi e strategie di fondo, e connotata da un progressivo centralismo che avrebbe di fatto carat-terizzato l’attività inquisitoriale per la prima metà dell’Ottocento15.

13 Cf. la già citata voce di Del Col, Commissario del Sant’Uffizio cit., pp. 351-352 e Idem, Assessore, in DSI, I (2010), p. 107.

14 Sulle dinamiche di tali nomine per il primo Ottocento si veda Cicerchia, L’ulti-ma Inquisizione roL’ulti-mana tra centro e periferia. Nuove strategie di equilibrio istituzio-nale nello specchio di una carriera inquisitoriale (1841-1850), “Le Carte e la Storia”

[di prossima pubblicazione].

15 Riguardo le realtà ottocentesche dei singoli tribunali gli studi sono ancora pochi.

Vedasi ad esempio per il tribunale di Pesaro Cicerchia, L’autunno dell’Inquisizio-ne cit., pp. 255-277 e M. Brizzi, Polvere gettata sulle spalle: storia di un esorcismo nell’età della Restaurazione, in Cicerchia, Dall’Olio, Duni (a cura), Prescritto e proscritto cit., pp. 279-296.

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L’analisi di alcuni casi rinvenuti presso l’archivio storico della Con-gregazione per la Dottrina della Fede (ACDF) permetteranno di porre in evidenza una serie di conflitti e dinamiche intercorrenti tra cen-tro e periferia, tra la Congregazione del Sant’Uffizio, i suoi tribunali e altre autorità ecclesiastiche e realtà territoriali. Una tale relazione – con la problematica presenza di patentati della Congregazione del Sant’Uffizio, e con il conflittuale rapporto tra inquisitori e vescovi (in particolare nell’applicazione quotidiana del controllo su ebrei e censura) – ridisegnava un sottobosco sociale in cui la permanenza di aspetti di antico regime si intrecciava con nuove esigenze di preser-vazione della fede e dell’autorità romana.

Inquisizione, ebrei e censura tra conflitti locali e direttive centrali

Fra le principali soluzione politiche intraprese da Leone XII duran-te il suo pontificato vi fu senza dubbio il duran-tentativo di risisduran-temazione degli ebrei all’interno del recinto dei ghetti. In tale progetto si pensò bene di utilizzare la sinergia esistente tra la Congregazione del Sant’Uf-fizio e i tribunali locali, affiancati tuttavia dagli ordinari diocesani16. In generale, nonostante l’impulso dato in materia dal pontefice e l’accentramento di facoltà decisionali presso la Congregazione del Sant’Uffizio, la documentazione conservata presso l’archivio inqui-sitoriale – e già in parte studiata da Kertzer – ci mostra un pano-rama complesso, dove se da un lato sarebbe innegabile lo stretto giro di vite esercitato dalla legislazione pontificia sulla riconduzione degli ebrei nei ghetti, dall’altro appare chiara l’incapacità delle au-torità locali nel controllare le diverse comunità ebraiche dello Sta-to, che di fatto si opposero costantemente a tali misure restrittive17.

16 I ghetti esistenti nello Stato Pontificio erano sette: i principali di Roma, Ancona e Ferrara; i più piccoli e modesti di Lugo, Cento, Pesaro, Urbino e Senigallia. In generale, cf. il classico ma indispensabile studio di A. Milano, Storia degli ebrei in Italia, Einaudi, Torino 1963, pp. 243-251, ed il più recente M. Caffiero, Storia degli ebrei nell’Italia moderna. Dal Rinascimento alla Restaurazione, Carocci, Roma 2014, pp. 95-121.

17 ACDF, Santo Oficio, Stanza Storica, CC 2-f, Ebrei sparsi in luoghi senza ghetto – loro riconcentrazione in ghetto (anno 1826). Cf. Kertzer, I papi contro gli ebrei. Il ruolo del Vaticano nell’ascesa dell’antisemitismo moderno, Rizzoli, Milano 2004, pp. 60-85.

Al di là di questo aspetto contingente, non è un caso che – durante il pontificato leonino – proprio in materia relazionata con gli ebrei, le conflittualità fra inquisitori e vescovi vennero a manifestarsi sem-pre più apertamente. In particolare, sul controllo da esercitarsi sulle comunità ebraiche e i rapporti – molto spesso di carattere lavorativo – che queste allacciavano con la società cristiana, l’inquisitore loca-le dovette ben presto trovarsi in una posizione subordinata rispetto all’ordinario diocesano. Questo fatto aveva portato più volte i primi a lamentarsi e a cercare soluzioni presso la Congregazione romana che, di contro, sembrava invece affidarsi alla rete diocesana. Tuttavia, nello specifico dei casi di famulato, all’inquisitore locale potevano es-sere riconosciute alcune prerogative, assieme al controllo di coloro che lavoravano all’interno del ghetto, soprattutto in questi anni in cui la segregazione veniva rigidamente riattivata18.

Dentro di un panorama così incerto, il vescovo appariva il com-petente principale sulle cause riguardanti le inservienti cristiane che lavoravano all’interno del ghetto. Una tale attività non escludeva, da parte dell’ordinario, la richiesta di una qualche collaborazione con l’inquisitore e con il suo vicario, ma spesso le frizioni che emergevano in tale contesto finivano per ostacolare le inchieste e rovinare i pro-cessi, soprattutto nei casi di battesimi impartiti nascostamente dalle inservienti ai bambini ebrei, dietro pericolo di morte19.

18 Sulla politica antiebraica di Leone XII si vedano in particolare i documenti conservati in ACDF: Santo Oficio, Stanza Storica, BB 3-p, manoscritto tradotto dall’inglese e intitolato I cattolici e gli ebrei (norme contro gli ebrei di Leone XII);

Ibid., BB 3-s, Ebrei. Rubricella delle posizioni ebraiche dal 1827 al 1846 (per locali-tà); Ibid., TT 3-b, Relazione sopra gli Ebrei del Commissario del Sant’Ufficio al papa (1825) con trascrizione dell’editto sopra gli ebrei di papa Pio VI (1775 a stampa). Sul caso di famulato cf. Ibid., FF 3-h, fasc. 2. Qui è conservato il transunto della causa contro l’ebreo Moisé Cividali, che avrebbe stretto una società per la lavorazione e lo spaccio dell’acquavite con Giovanni Battista Signorelli, istruita dall’inquisitore nel 1828. Per altri riferimenti documentari cf. L. Andreoni (a cura), Ebrei nelle Marche. Fonti e ricerche. Secoli XV-XIX, Il Lavoro Editoriale, Ancona 2010, in par-ticolare i contributi contenuti alle pp. 11-78.

19 Esemplificativo appare essere il caso del battesimo forzato impartito alla bambi-na Serebambi-na Levi, datato al 1822, e avvenuto nella città di Pesaro. In tale contesto il pericolo della sottrazione della bambina alla propria famiglia riuscì a essere sventato dalla comunità con il trasferimento di questa presso alcuni parenti,

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Le vicende e le diverse situazioni assunsero di volta in volta con-notati differenti, che non è possibile richiamare sufficientemente in questa sede, ma certo quello dei battesimi forzati rimase un canale di scontro per nulla marginale fra le autorità locali e i tribunali in-quisitoriali, in particolare proprio sotto il pontificato di della Genga.

In realtà, se da un lato a livello locale l’ordinario diocesano appariva essere l’interlocutore ufficiale della comunità ebraica e dei cattolici che erano in rapporto con questa, dall’altro la loro attività rimaneva subordinata alle decisioni del Sant’Uffizio. Nel caso specifico dei bat-tesimi forzati era la Congregazione, infatti, a definire la linea che il vescovo avrebbe dovuto tenere, nel collocare l’infante battezzato in un luogo idoneo alla formazione cattolica20.

Sul versante della censura e del controllo librario – le cui compe-tenze il Sant’Uffizio aveva sempre condiviso con la Congregazione dell’Indice – è possibile registrare un’analoga problematica. All’ombra delle direttive centrali, occorreva prestare sempre più attenzione alla diffusione di libri e all’attività dei librai. Ciò non solo per le possibili proposizioni ereticali e affermazioni contrarie ai dogmi, bensì per i riferimenti più o meno espliciti alle nuove idee liberali, sovversive dell’ordine ricostituitosi con la Restaurazione, soprattutto quando tali idee sostenevano che fosse necessario per il pontefice rinunciare al proprio potere temporale21.

oltre i confini dello Stato Pontificio, approfittando chiaramente delle incertez-ze procedurali sorte tra vescovo, inquisitore e Congregazione. Cf. ACDF, Santo Oficio, “Dubia circa Battesimi”, 1815-1822, fasc. 39. Un caso, quello di Serena Levi, ampliamente citato in A. Cicerchia, Battesimi nascosti all’ombra del ghetto.

Sant’Uffizio ed ebrei nello Stato Pontificio della Restaurazione, “Cadernos de Estu-dos Sefarditas”, vol. 18, Maio 2018, pp. 99-122, dove si propone un’ipotesi iden-tificativa della bambina con Sara Nathan Levi (1819-1882), pp. 119-122.

20 Cf. per un quadro generale M. Caffiero, Battesimi forzati, Italia, s.v. DSI, I (2011), pp. 145-149. Per gli anni in questione oltre al già citato Cicerchia, Battesimi na-scosti all’ombra del ghetto cit., pp. 99-122, cf. il classico lavoro di Kertzer, I papi contro gli ebrei cit., pp. 46-67.

21 Cf. M.I. Palazzolo, Editoria e istituzioni a Roma tra Settecento e Ottocento. Saggi e documenti, Archivio Guido Izzi, Roma 1994, [Roma Moderna e Contempora-nea. Quaderni], e Eadem, I libri, il trono, l’altare. La censura nell’Italia della Re-staurazione, FrancoAngeli, Milano 2003. Per gli anni di Leone XII di grande

in-D’altra parte l’Inquisizione non abbassava la guardia nel rivolgere la propria attenzione al controllo delle prediche e dei sermoni che ve-nivano pubblicati dai predicatori, oppure dei catechismi che da que-sti venivano utilizzati e diffusi. Se ne ritrovano spesso proscrizioni e condanne fra le notificazioni stampate e affisse in quegli anni a Roma e nelle città del suo Stato22.

A livello locale, il controllo sui libri da introdursi sul territorio veniva esercitato da inquisitori e vescovi, ma le autorità di Dogana, quando dalla Congregazione si prescriveva il controllo ecclesiastico, spesso preferivano concedere il permesso all’ordinario o al vicario diocesano piuttosto che all’inquisitore, costringendo questi a ricorre-re a Roma e chiedericorre-re delucidazioni sul comportamento da tenersi in tali materie. Ancora una volta le strategie romane sembrano lasciare in un isolamento progressivo i propri tribunali inquisitoriali per affi-darsi maggiormente all’autorità vescovile23.

Un sottobosco inquieto tra crimini comuni e idee sovversive Nell’ambito del controllo e punizione delle idee sovversive il Sant’Uffizio appariva essere al tempo più attento al versante ideolo-gico che a quello propriamente rivoluzionario, le cui soluzioni erano piuttosto lasciate alla mano ferma dei legati – come ad esempio nel caso di Rivarola in Romagna24.

Sul versante della criminalità comune e soprattutto a livello di controllo morale e sacramentale, l’azione inquisitoriale centrale e

pe-teresse riguardo la censura è il lavoro di D. Ponziani, Inquisizione e censura nelle Legazioni di Romagna (1816-1859). Percorsi di ricerca negli archivi del Sant’Uffizio e dell’Indice, in A. Turchini (a cura), Dalla Romagna alle Romagne, 1815-1860.

Le quattro Legazioni di Romagna e i loro archivi fra Restaurazione e Risorgimento, Atti del convegno internazionale, Ravenna 2011, per il 150° dell’Unità d’Italia, Il Ponte Vecchio, Cesena 2015, pp. 193-206.

22 ACDF, Santo Oficio, Stanza Storica, Q 2-aa, Collezione di istruzioni, circolari e decre-ti pubblicadecre-ti dal Santo Oficio (1820-1901).

23 Ibid., O 2-o, Raccolta di manifesti relativi alla stampa e al commercio dei libri. Proget-ti di regolamentazione, 1810-1827.

24 Mi limito qui a segnalare P. Cortesi, Il Risorgimento in Romagna, Il Ponte Vec-chio, Cesena 2011, pp. 41-47.

Nel documento Il tempo di Leone XII (pagine 52-68)