• Non ci sono risultati.

Governo dello Stato

Nel documento Il tempo di Leone XII (pagine 172-182)

– 179 –

Tra norma e prassi. Leone XII e la ri-forma dei tribunali civili camerali (1824-1828)

Maria Carmela De Marino

L’avversione alle riforme “moderniste” promosse da Pio VII (1800-1823) in ambito amministrativo e giudiziario, più volte manifestata durante il suo pontificato dal partito degli zelanti1, indusse il nuovo pontefice Leone XII a riprendere la materia richiamando in osservan-za parte delle antiche disposizioni apostoliche.

Entrata in vigore il primo gennaio 1825, la riforma leonina coin-volse direttamente anche il settore della giustizia civile della Reve-renda Camera Apostolica2 e, nello specifico, del suo principale tri-bunale, che a distanza di pochi anni dall’ultima riorganizzazione fu oggetto di una serie di modifiche strutturali.

Tali modifiche vanno inserite e comprese nel contesto generale in cui vennero a trovarsi le istituzioni pontificie, e in particolare quelle giudiziarie, nel passaggio dalla soppressione napoleonica del 1809 al ripristino del 1814: all’iniziale volontà di ritornare allo status quo ante l’arrivo dei francesi si sostituì progressivamente la

consapevo-Questo contributo è parte del progetto svolto nell’ambito del dottorato di ricerca in Scienze librarie e documentarie presso la “Sapienza” Università di Roma, nel corso del quale si è preso in esame l’assetto istituzionale e archivistico conferito al tribunale della Camera Apostolica dal 1816 al 1831.

1 G. Monsagrati, Leone XII, in I papi da Pietro a Francesco, Istituto dell’Enciclope-dia Treccani, Roma 2014, pp. 532-533.

2 «La Reverenda Camera Apostolica rappresenta l’amministrazione pubblica dello Stato Pontificio e del suo tesoro, o erario». Cf. G. Moroni, Dizionario di erudizione storico-ecclesiastica, vol. 7, Tipografia Emiliana, Venezia 1841, pp. 5-17, ad vocem; N.

Del Re, La curia romana. Lineamenti storico-giuridici, Ed. Storia e Letteratura, Roma 1970, pp. 295-307; M.G. Pastura-Ruggiero, La Reverenda Camera Apostolica e i suoi archivi (secoli XV-XVIII), con contributi di Paolo Cherubini, Luigi Londei, Marina Morena e Daniela Sinisi, Archivio di Stato di Roma (d’ora in poi ASR), Roma 1984.

lezza di quanto quelle istituzioni ormai fossero antiquate e comples-se3. L’annessione dei territori pontifici all’Impero napoleonico aveva portato all’introduzione di aspetti innovativi e implicazioni di rilievo in termini di efficienza e trasparenza nelle procedure che non poteva-no più essere igpoteva-norati. Esigenza ben rappresentata dall’allora segreta-rio di Stato, il cardinale Ercole Consalvi4, il vero artefice delle riforme promosse tra il 1816 e il 1817.

Le riforme consalviane (1816-1817)

Con il moto proprio del 6 luglio 18165 e il codice di procedura ci-vile del 22 novembre 18176, il tribunale della Camera – tra i più an-tichi organi di governo dello Stato Pontificio, competente su tutte le cause riguardanti l’amministrazione e gli interessi dell’erario pubbli-co – cessò definitivamente di esistere nel modo e nella maniera in cui aveva funzionato per secoli7.

3 P. Alvazzi Del Frate, Le istituzioni giudiziarie degli «Stati Romani» nel periodo napoleonico (1808-1814), Euroma La Goliardica, Roma 1990.

4 Ci si limita a segnalare F. Grosse-Wietfeld, La legislazione nello Stato Pontificio sotto il card. Consalvi esaminata specialmente dal punto di vista giuridico, in Nel I centenario della morte del card. Ercole Consalvi, Tipi Vaticani, Roma 1925, pp. 43-52; M. Petrocchi, La Restaurazione, il cardinale Consalvi e la riforma del 1816, Fe-lice Le Monnier, Firenze 1941; R. Regoli, Ercole Consalvi. Le scelte per la Chiesa, Pontificia Università Gregoriana, Roma 2006.

5 Archivio di Stato di Roma (di seguito ASR), Moto proprio della Santità di Nostro Signore Papa Pio settimo in data de’ 6 luglio 1816. Sulla organizzazione dell’ammini-strazione pubblica esibito negli atti del Nardi segretario di Camera nel dì 14 del mese ed anno suddetto, Vincenzo Poggioli Stampatore, Roma 1816.

6 ASR, Motu proprio della Santità di Nostro Signore Papa Pio Settimo in data de’ 22 novembre 1817. Sul nuovo codice di procedura civile esibito negli atti del Nardi segre-tario di Camera il dì, anno, e mese suddetto, Vincenzo Poggioli Stampatore, Roma 1817. Fu il primo e unico codice a essere pubblicato tra quelli previsti, frutto del lavoro di una commissione presieduta da Vincenzo Bartolucci; cf. S. Notari, Il “Codice Bartolucci” del 1817. Tribunali, procedura civile e codificazione del diritto nella seconda Restaurazione pontificia, in La giustizia dello Stato Pontificio in età moderna, Atti del Convegno di studi, Roma, 9-10 aprile 2010, a cura di M.R. Di Simone, Viella, Roma 2011, pp. 203-221.

7 La sua istituzione si fa risalire ufficialmente alla bolla In Eminenti di Eugenio IV del 1444. Dei pontificati successivi si segnalano la riforma di Sisto V del 1587,

– 181 –

Questi provvedimenti, riattribuendovi la giurisdizione «su tutte le cause, in cui la Camera ha, o può avere interesse»8, ne delinearono una fisionomia completamente diversa per la nascita di nuovi tribu-nali civili con strutture e funzioni distinte, inseriti in un articolato sistema di rapporti d’interazione e dipendenza gerarchica tra loro.

Furono istituiti ex novo i tribunali dell’uditore del tesoriere, dell’u-ditore del camerlengo e il tribunale collegiale, i quali, preposti a sin-goli e definiti ambiti della giustizia camerale, andarono ad affiancar-si al riformato tribunale della piena Camera e a quelle preaffiancar-sidenze e prefetture che furono riconfermate. Le corrispettive competenze furono ridistribuite per grado di giudizio e territorio tenendo conto della nuova suddivisione dello Stato Pontificio in delegazioni9, con una prevalenza di personale laico nelle province, mentre la giustizia in Roma e Comarca rimase in mano agli ecclesiastici10. Le procedure mantennero la complessità e il formalismo di sempre, ma si adottò per la prima volta l’uso della lingua italiana nella stesura degli atti giudiziari «a riserva de’ Tribunali della Rota, della piena Camera, e

che ne definì la struttura (camerlengo, tesoriere, dodici chierici, presidente della Camera, commissario generale, avvocato fiscale, tre sostituti commissari, notai segretari e cancellieri di Camera) e quella di Benedetto XIV del 1746 per l’inci-denza sul sistema delle finanze camerali. Soppresso nel 1809, fu ripristinato nel 1814; cf. A. Villetti, Pratica della Curia romana, che comprende la Giurisdizione de’

Tribunali di Roma, e dello Stato; e l’Ordine Giudiziario, che in essi si osserva, Stam-peria Antonio Fulgoni, Roma 1797, pp. 119-120; G. Felici, La Reverenda Camera Apostolica: studio storico-giuridico, Tipografia Poliglotta Vaticana, Città del Vatica-no 1940, pp. 151-164.

8 Motu proprio, 22 novembre 1817, lib. IV, tit. IV, art. 834.

9 Si crearono 17 delegazioni di prima, seconda e terza classe, suddivise in governi di primo e secondo ordine con a capo un governatore; il Distretto di Roma era composto dal Suburbio, Tivoli e Subiaco. Cf. A. Aquarone, La Restaurazione nel-lo Stato Pontificio ed i suoi indirizzi legislativi, “Archivio della Società romana di storia patria”, 78, 1955, pp. 119-188.

10 Si ricordano, tra i maggiori ecclesiastici del tempo, Bartolomeo Pacca, Belisario Cristaldi, Nicola Maria Nicolai, Viviano Orfini, Luigi Bottiglia, Cesare Nembrini, e alcuni esponenti di famiglie nobili romane, come i principi Girolamo Odescal-chi e Urbano Del Drago.

della Segnatura, nei quali si conserverà l’uso della lingua latina»11. Le competenze tra vecchi e nuovi collegi giudicanti furono così articolate: l’assessore camerale era giudice di primo grado nelle de-legazioni per le cause inferiori alla somma di 200 scudi; l’uditore del camerlengo e l’uditore del tesoriere si esprimevano sulle cause di va-lore non superiore agli 825 scudi sorte in Roma e Comarca; il tribu-nale collegiale camerale, composto dai citati uditori e dal presidente della Camera, era giudice di primo grado per le cause superiori agli 825 scudi in Roma e Comarca e per quelle di valore superiore ai 200 scudi nelle delegazioni, dove rappresentava anche il grado di appello contro le sentenze degli assessori camerali; infine, il tribunale della piena Camera, composto a sua volta dal presidente della Camera e da dodici chierici, era giudice d’appello contro le sentenze superiori ai 300 scudi, pronunciate da un uditore o dall’altro, e quelle superiori agli 825 scudi emesse dal tribunale collegiale. Quest’ultimo si vede-va confermata la cosiddetta “segnatura in ventre”12 nei confronti dei tribunali camerali sottoposti alla sua giurisdizione13 e nuovamente attribuita la funzione di revisione e sindacato sui conti delle ammi-nistrazioni statali, non più esercitata dal 156414. Per l’esercizio delle competenze giurisdizionali in segnatura, appello e terzo grado, il suo collegio avrebbe dovuto agire suddiviso in primo e secondo turno (sei chierici per ciascuno), mentre per quella contabile si sarebbe riparti-to in quattro sezioni (tre chierici per ciascuna di esse). Riunendosi

11 Motu proprio, 22 novembre 1817, lib. I, tit. VII, art. 102.

12 In tali casi esercitava le stesse funzioni del tribunale della Segnatura di giusti-zia: rivedeva le sentenze e i decreti emessi dai tribunali ad essa soggetti (per concedere o respingere gli appelli), giudicava sui conflitti di competenza tra gli organi camerali (stabilendo chi debba pronunciarsi sul merito) e sulle richieste di restitutio in integrum (in presenza di due sentenze di uguale giudizio tra primo e secondo grado), circoscriveva gli atti giudiziari, i decreti o le sentenze (per difet-to di citazione, giurisdizione o mandadifet-to).

13 Si tratta dei citati assessori camerali, uditori del tesoriere e del camerlengo, tri-bunale collegiale, prefetture e presidenze.

14 Cum inter coeteras, primo novembre 1564, in Bullarium privilegiorum diplomatum romanorum pontificum amplissima collectio, opera et studio Caroli Cocquelinos, vol.

4, parte II, Girolamo Mainardi Stampatore, Roma 1745, pp. 193-201.

– 183 –

invece l’intero tribunale della Camera, come accadeva in occasione della riscossione dei tributi alla vigilia dei santi Pietro e Paolo, ne facevano parte il camerlengo, che conservava l’antica presidenza, il governatore di Roma nonché vice-camerlengo, il tesoriere generale, l’uditore generale, il presidente della Camera, il procuratore generale del fisco, il commissario generale, i dodici chierici e i notai, segretari e cancellieri di Camera.

Se da un lato la commistione tra vecchie e nuove magistrature contribuì ad aggravare il lavoro ordinario, di per sé compromesso dalla gestione delle cause rimaste irrisolte dopo il 1814, dall’altro il fatto che gli organi giudicanti fossero costituiti dalle stesse persone che singolarmente o in collegio si muovevano da un grado di giudizio all’altro, fece venir meno quegli aspetti d’imparzialità e trasparenza perseguiti dalle riforme consalviane. Dall’esame dei documenti pro-dotti da questi tribunali tra il 1816 e il 182315, emerge l’immagine complessiva di un’intricata macchina giudiziaria che, nella sua arti-colata struttura interna, procedeva con grande lentezza e un diffuso malcontento.

La riforma leonina (1824-1828)

Partendo dall’accusa, capeggiata dalla corrente conservatrice della Curia romana, che il moto proprio del ’16 fosse sostanzialmente «una copia dei sistemi francesi» tale che «volendoli amalgamare coi nostri, è venuto un mostro»16, Leone XII aprì il suo pontificato ponendosi tra gli obiettivi prioritari una nuova riforma dell’amministrazione della giustizia.

Sull’esempio del predecessore17, procedette alla nomina di una commissione di esperti giureconsulti composta dal cardinale Fa-brizio Turiozzi presidente, Francesco Tiberi e Giovanni Francesco Marco y Catalan uditori di Rota, Antonio Domenico Gamberini

se-15 I fondi dei tribunali civili camerali si conservano presso l’ASR, dove riordinati e inventariati dalla scrivente, sono ora accessibili agli studiosi.

16 ASR, Commissioni per la compilazione dei codici legislativi (1816-1867), b. 2, fasc. 9, doc. 11, c. 8v.

17 Cf. nota 6.

gretario della Congregazione del Concilio, Teodoro Fusconi avvocato concistoriale, Francesco Isola avvocato e primo collaterale di Campi-doglio, Filippo Baffi, Carlo Serafini e Francesco Franci procuratori di collegio, Fabrizio Gasparri uditore civile del tesoriere. La commissio-ne avrebbe dovuto esaminare i primi quattro titoli del moto proprio del 1816, riferendo per iscritto «se nelle indicate tre parti dell’attuale legislazione si contengano disposizioni che meritino di essere emen-date o riformate, quali siano tali disposizioni, e provvedimenti, e le maniere migliori, e più acconcie a porli in esecuzione»18, e inoltre il disposto del codice di procedura civile del ’17, tenendo presente le correzioni avanzate. Gli obiettivi sarebbero stati l’amministrazione celere della giustizia, l’imparzialità e uniformità di metodo in tutte le province dello Stato, il minor dispendio dei sudditi e la riduzione dei costi per l’erario pontificio.

Il 5 ottobre 1824 si giunse alla proclamazione del moto proprio Refor-matio tribunalium Status Ecclesiastici, codicis judiciarii et praxeos cum pra-efinitiones novarum taxarum judicialium19, che ebbe inevitabili ripercus-sioni anche sull’organizzazione degli uffici del tribunale della Camera.

Tra i provvedimenti più incisivi vi furono il ripristino della lingua latina (esteso indistintamente a tutte le magistrature pontificie), la contrazione della collegialità, ritenuta causa di lungaggine e lentez-za dei processi, e l’accorpamento delle funzioni per favorire lo snel-limento delle procedure. Ciò determinò ancora una volta il rimaneg-giamento della giurisdizione ordinaria della Camera e la conseguente redistribuzione delle competenze tra i riconfermati tribunali.

Si pensò di abolire la figura degli assessori camerali nelle delega-zioni, designando i rispettivi luogotenenti, governatori e assessori a svolgere la funzione di giudice di primo grado. Si soppresse anche il tribunale collegiale distribuendone le competenze tra gli uditori del camerlengo e del tesoriere, e il tribunale della piena Camera.

18 ASR, Commissioni per la compilazione dei codici legislativi (1816-1867), b. 2, fasc. 9, doc. 1, c. 2v.

19 ASR, Moto proprio della santità di n.s. papa Leone 12 in data dei 5 ottobre 1824.

Sulla riforma dell’amministrazione pubblica della procedura civile e delle tasse dei giu-dizi esibito negli atti del Farinetti segretario di camera il giorno 30 del mese ed anno sudetto, Vincenzo Poggioli Stampatore, Roma 1824.

– 185 –

Quanto ai due uditori, la competenza di primo grado ora si esten-deva a tutte le cause sorte su Roma a prescindere dal valore economi-co20 e fungevano da tribunale d’appello contro le sentenze di somma non superiore ai 300 scudi emesse dai citati luogotenenti, governa-tori e assessori21.

Si volle poi rendere meno dispendiosa e più efficace l’attività del tribunale della piena Camera. Il numero dei suoi chierici venne ridotto a sette. La divisione in due turni prevista per il giudizio in segnatura, in appello e in terzo grado fu eliminata per consentire a tutti i mem-bri di conoscere e decidere sulle cause portate in tribunale; di queste ultime s’innalzò il valore a 300 scudi per la segnatura e a 825 scudi per l’appello e terzo grado. Per accelerare l’andamento dei processi s’intervenne sulla procedura, fissando le riunioni del tribunale «in-declinabilmente» a due giorni settimanali «ed in tutti i giorni notati nella tabella, ancorché non vi fossero materie a discutersi»22, e intro-ducendo un controllo più rigido sulle ripetute assenze dei chierici23. Si procedette ad abolire le quattro sezioni in cui la piena Camera si suddivideva per la revisione dei conti e, a coronamento di tale dise-gno, sia per timore che l’unificazione del collegio ne avrebbe compro-messo la stessa attività, ma anche per alleggerire i chierici dai troppi incarichi, Leone XII giunse a sottrarle totalmente la competenza fi-nanziaria. Con moto proprio del 21 dicembre 1828 fu creato un or-gano apposito, la Congregazione di revisione dei conti e degli affari di pubblica amministrazione, i cui membri furono esentati da altri incarichi.

Quanto previsto dalla riforma leonina non trovò tuttavia fedele applicazione in questi tribunali, da Roma alle diverse delegazioni. Era

20 L’appello contro le sentenze emesse in primo grado da uno di essi si presentava all’altro fino agli 825 scudi, e alla piena Camera per le cause superiori a tale somma.

21 In caso di giudizio difforme, il terzo grado competeva all’uditore che non si era espresso.

22 Moto proprio, 5 ottobre 1824, tit. II, art. 59.

23 «E se per legittimo impedimento, o mancanza di alcuno, per parità di voti non nascesse risoluzione, nella camera immediatamente seguente dovrà votare con le stesse scritture il prelato presidente della medesima, in qual caso viene accor-data la facoltà di dare il voto decisivo». Ibid., art. 58.

il momento in cui, ancora sotto il peso dei profondi cambiamenti del decennio precedente, il sistema giudiziario camerale aveva raggiunto una certa regolarità di esercizio, e quindi si mostrò poco permeabi-le ad accogliere altre direttive. La capacità discrezionapermeabi-le dei giudici divenne lo strumento attraverso il quale si rese vigente una prassi procedurale che sostanzialmente andava a ripristinare gli effetti giu-ridici della precedente normativa, creando una situazione ibrida che si protrarrà fino al 1831.

Tra gli esempi si può citare il ricorso al sistema in sezioni del tri-bunale della piena Camera sino al 1828. Negli ultimi mesi dell’anno, il presidente della Camera, secondo una turnazione definita con il camerlengo, ripartiva tra di esse l’esame dei conti di specifici settori dell’amministrazione camerale, al termine del quale si approvava il bilancio generale di cassa. Il tutto era scandito da una precisa tempi-stica che coinvolgeva diversi organi, fra i quali la computisteria gene-rale della Camera. La scelta ponderata di preferirne il mantenimento all’eliminazione evitò conseguenze significative sul piano delle finan-ze, la cui gestione aveva già subito un ritardo di due anni: era ferma al 1822. Lo testimoniano una lettera del 10 gennaio 1825, scritta dal presidente Ludovico Conventati al camerlengo Pietro Francesco Gal-leffi, con la quale trasmetteva il prospetto di riparto per l’esame del bilancio del 1823, e la risposta positiva del secondo, del 5 febbraio, acconsentendo «provvisoriamente» a che il tribunale continuasse a giudicare in sezioni e sollecitandone in tempi brevi l’approvazione24.

Un altro caso parimenti significativo si registra nelle delegazioni.

Qui si disattese la norma che aboliva gli assessori camerali. Nei primi mesi del 1825, la Segreteria di Stato si vide costretta a inviare una cir-colare ai legati e delegati delle varie province, prevedendo l’istituzio-ne di otto giudici fiscali «provvisoriamente da prendersi dal numero dei soppressi assessori camerali in tutta l’estenzione del territorio, che sarà loro assegnato»25. Luogotenenti, governatori e assessori era-no «altronde occupati nelle funzioni giudiziarie, ed amministrative di

24 ASR, Tribunale della piena camera per la revisione dei conti (1816-1828), b. 1, fasc.

1, docc. 5-6.

25 ASR, Camerale II, Camerlengato e Tesorierato, b. 5, fasc. 4, minuta della circolare.

– 187 –

loro ordinario istituto»26, tanto da non poter sostenere anche l’incari-co di giudici civili e criminali per l’erario pubblil’incari-co. La reazione l’incari- contra-ria del camerlengo, il quale nella decisione della Segretecontra-ria avvertiva un’intromissione a vantaggio del tesoriere, suo storico nemico, non riuscì a impedire che gli assessori camerali continuassero a esistere sotto altra denominazione.

Le disposizioni di Leone XII non furono senza effetto, ma come si è detto ebbero soltanto un parziale recepimento che ne ridimensio-nò la reale portata. Sarà soltanto con Gregorio XVI che, superando l’impasse, si riuscirà ad attuare una vera riforma dell’apparato giudi-ziario camerale. A papa Cappellari si deve l’abolizione dei tribunali dell’uditore del tesoriere e dell’uditore del camerlengo; sopravvive il tribunale della piena Camera, ma privato delle sue attribuzioni, tra-sferite in parte alla Rota Romana e in parte alla Segnatura. Saranno proprio queste due magistrature ad acquisire un ruolo di primo pia-no nell’ambito della giustizia pontificia, a discapito dell’autorità e del prestigio di cui il tribunale della Camera aveva goduto per secoli.

ABSTRACT

In 1824 Pope Leo XII promoted a new reform of the administrative and judicial system of the Papal State. This reform, which came into force on the January 1st 1825, brought inevitable repercussions on the organization of the Tribunal of the Apostolic Chamber and its judicial bodies.

These provisions however were partially implemented, imposing the need in procedural practice to preserve the legal effects of the legislation issued by his predecessor Pope Pius VII. This led to a hybrid situation, which lasted until 1831.

Keywords: Leo XII; Tribunal of the Apostolic Chamber; Chamber civil tribu-nals; reform; practise; Pius VII ; Gregory XVI.

26 Ibid.

La Commissione Turiozzi e la riforma

Nel documento Il tempo di Leone XII (pagine 172-182)