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La missione dei cappuccini nell’Indostan detta del Tibet nel- nel-le ponenze degli Acta (1825-1826)

Nel documento Il tempo di Leone XII (pagine 94-112)

L’attività della Congregazione di Propaganda Fide durante il

2. La missione dei cappuccini nell’Indostan detta del Tibet nel- nel-le ponenze degli Acta (1825-1826)

Con la consapevolezza espressa dal cardinale ponente Carlo Ma-ria Pedicini, ossia che «la vasta popolazione di quel Regno, immersa nell’errore merita al certo di non essere perduta di vista dalla S.C.»,

della Ven. Archita della Ss.ma Annunziata». APF, SC, Cardinali, 1831-1848, vol.

2, ff, 43r-44v. Cf. Boutry, Souverain et pontife cit., pp. 52 e 485-487; LeBlanc, Dictionnaire biographique des Cardinaux du XIXe siècle cit., pp. 982-985.

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alla missione nelle terre dell’Indostan si dedicarono presso Propagan-da Fide la Congregazione Generale del 20 dicembre 1825 e quella suc-cessiva del 30 gennaio 1826 con le rispettive ponenze44.

a) La I ponenza

Nel frontespizio della prima ponenza si leggeva: «Sacra Congrega-zione de Propaganda Fide, Ponente l’Emo, e Rmo Sig. Cardinale Car-lo Maria Pedicini, Ristretto con relazione e sommario, SulCar-lo Stato della Missione dei Cappuccini nell’Indostan detta del Thibet, sull’elezione del Vicario Apostolico e sul sistema da darsi a quella Missione, Decembre, Anno MDCCCXXV»45.

44 La storia della missione fino agli inizi del secolo XIX in: W. Henkel, Versuche einer Missionsgründung in Tibet. Die Apostoliche Präefektur Tibet 1701-1821, in J.

Metzler (a cura), Sacrae Congregationis de Propaganda Fide memoria rerum cit., II (1700-1815), Herder, Rom-Freiburg-Wien 1973, pp. 962-975. Notizie stori-che coeve in Mai, Statistica delle missioni cattolistori-che cit., pp. 211-215. Il Mai col-loca la missione dell’Indostan tra quelle dell’India. Relativamente alla struttura delle ponenze: con Ristretto si intendeva il rapporto del cardinale ponente; con Sommario l’esposizione dei documenti su cui si fonda il rapporto. Il Rescriptum o Decretum conteneva le decisioni della Congregazione. Cf. Kowalsky, Metzler, Inventory of the historical archives cit., p. 139. Si ricorda che la ponenza era stam-pata; in ognuna vi si trova anche la copia manoscritta del Rescritto che veniva inserito nella rispettiva ponenza al momento della rilegatura del volume. Il ma-teriale documentale originale su cui si basava la ponenza confluiva nel rispettivo volume-anno del fondo APF, SOCG.

45 La foliazione è ff. 622r-660v. Nella Copia del rescritto della Congregazione Ge-nerale non vi sono riportati nomi particolari di cardinali membri presenti. La documentazione alla base della ponenza in APF, SOCG, an. 1825, vol. 936, ff.

238r-328v.

Di seguito si trascrive la struttura della ponenza. Acta, an. 1825, vol. 188:

ff. 623r-627v: Presentazione introduttiva del cardinale ponente con Dubbj in f.

627v.

ff. 628r-628v: Copia del rescritto della Congregazione Generale 20 dicembre 1825.

ff. s.n.: 2 fogli della relazione manoscritta che ricorre negli Acta e riporta «Conse-gnata in Archivio nel 1843» [con annotato «Ex Audientia SS.mi 8 Januarii 1826»].

ff. 629r-636v: Note di Archivio. Sulla Missione dei Cappuccini al Gange chiamata Missione del Tibet.

ff. 637r-648v: Relazione. Della Missione dei Cappuccini nel Tibet, presentata alla Sacra Congregazione de Propaganda Fide, a richiesta di Sua Eccellenza Reveren-dissima Monsig. Caprano Segretario della suddetta da Fr. Antonino da Lodi

Mis-Il cardinale Pedicini aveva introdotto la tematica sottolineando la drammatica situazione della missione, la carenza di personale mis-sionario, l’intenzione di penetrare nuovamente nel Tibet per evan-gelizzarne le popolazioni e sottrarle alla superstizione, le molteplici e differenti difficoltà occasionate non solo dall’immensità del territo-rio e dal gentilismo, ma anche dai ministri anglicani:

Emi, e Rmi Signori.

1. La sconcertata e quasi derelitta Missione dei Cappuccini nella va-sta regione dell’Indova-stan viene sottopova-sta alla premurosa conside-razione delle EE.VV. RRme. Quattro soli Missionarj e tra questi non tutti idonei al laborioso Ministero, che debbono prestare assistenza a più di 5000 fedeli sparse ad immense distanze gli uni dagli altri, le quasi insuperabili difficoltà per abbattere il Gentilesimo in quel-le contrade, l’arte e l’astuzia degli Anglicani Ministri per ispargere il

sionario Cappuccino reduce della Missione sopraddetta. [Roma 20 ottobre 1825].

ff. 649r-660v: Sommario.

ff. 649r-650v: Numero I. Lettera del defunto Monsignor Zenobio Benucci de’ 21 Novembre 1823.

ff. 651r-652r: Numero II. Lettera del Padre Deodato da Fano alla Sacra Congrega-zione de’ 28 Novembre 1824.

ff. 652r-652v: Numero III. Biglietto del Reverendissimo Padre Lodovico da Frascati Ministro Generale dei Cappuccini de’ 3 Decembre 1825.

ff. 652v-653v: Numero IV. Copia della lettera mandata alla S. Congregazione di Propaganda li 15 Luglio dai PP. Angelo da Caraglio Adeodato da Perugia, e Casimi-ro da Pontremoli.

f. 653v: Copia di due Punti in cui il fu Vescovo dissuade al P. Angelo d’andare in Europa [Agra 24 maggio 1824].

ff. 653v-654r: Copia dell’ubbidienza di Monsignor Zenobio [Agra 20 giugno 1824].

ff. 654r-655r: Copia dell’attestato di Monsig. Zenobio M. di Firenze Cappuccino Vescovo d’Hermia Vicario Apostolico delle Missioni del Tibet fatto e segnato di sua propria mano nel giorno 21 Giugno 1824 in Agra, due giorni avanti sua morte, in favore del Padre Angelo.

ff. 655r-656v: Numero V. Copia della lettera del Sig. Antonio Reghellini [Sardanah 25 agosto 1824].

f. 656v: Copia dell’attestato del Dottore della malattia di Monsig. Zenobio legaliza-ta dal Giudice [Agra 30 luglio 1824].

ff. 656v-657r: Numero VI. Lettera del P. Deodato da Fano a Monsig. Nunzio Apo-stolico in Lisbona [Calcutta per Sardanah 28 dicembre1824].

ff. 657v-660v: Numero VII. Lettera del P. Giulio Cesare da Caravaggio all’Eminen-tissimo Signor Cardinale Zurla in data di 6 Ottobre 1824.

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veleno dei loro errori non solo per farsi dei Proseliti dal Gentilesimo, ma ancora per infettare i Cattolici, la poca o niuna speranza di poter speranza di poter penetrare al di là de’ più alti gioghi dell’Asia nel Regno del Thibet per cui venne fondata quella Missione, la morte fi-nalmente immatura del zelante Vicario Apostolico Monsig. Zenobio Benucci, son questi i titoli che meritano il più sollecito impegno delle EE. Vostre Rme., onde accorrere con efficaci disposizioni all’ajuto di quella ormai quasi abbandonata porzione della greggia di G.C. ed alla salute di una immensa popolazione che vive immersa nelle tenebre della più vile superstizione» (f. 623r).

La missione dell’Indostan rappresentava una tra le più periferiche e complesse iniziative missionarie di Propaganda. Fondata nel 1703 con l’intenzione di evangelizzare le popolazioni dei regni del Tibet46, era stabilita sulle sponde a nord del fiume Gange in direzione di quelle terre e aveva preso il nome di Missione del Tibet perché nel 1707 vi erano entrati i missionari cappuccini47, rimanendovi fino al 1742. Successi-vamente i missionari avevano lasciato le postazioni esistenti nel regno di Nepaul e si erano occupati delle popolazioni stanziate sulle rive del Gange, in maggioranza soggette alla Compagnia Inglese delle Indie.

46 Nel testo Note di Archivio. Sulla Missione dei Cappuccini al Gange chiamata Missione del Tibet incluso nella ponenza si legge: «Trentatré Millioni di uomini abitatori di una vasta regione nel centro dell’Asia, e perciò quasi sconosciuti in Europa, i quali si mostravano sopra modo anziosi di udire i Predicatori Evangelici, e che nel mezzo della più ridicola, ed empia superstizione conservavano chiari vestigj delle rivelate Cristiane Verità predicate già da antichi tempi, ed abbracciate dai loro Maggiori: tale fu la descrizione della Popolazione, e dei costumi dei Regni del Tibet proposta alla S. Congregazione circa il 1703 dal P. Francesco Maria di Tours Cappuccino già Missionario in Surate. Eccitò questa relazione lo zelo del Supremo Pastore della Chiesa, e di questa Sagra Congregazione e gl’indusse ad eriggere nel 1703 una nuova Missione di Cappuccini Italiani alla sponda sinistra del Gange verso i Regni del Tibet» (f. 629r).

47 In Note di Archivio. Sulla Missione dei Cappuccini al Gange chiamata Missione del Ti-bet si legge inoltre: «Per realizzare l’opera i Missionari poterono disporre di stazio-ni sia lungo il viaggio, come Chandenagor Colostazio-nia Francese, che nei territori loro assegnati come la residenza di Patnà capitale del Regno di Bear alla destra del Gan-ge e altre alla sinistra del GanGan-ge più verso il Tibet. Tutte queste Residenze e Regni sono situate nel Indostan ossia nell’antico Impero del Mogol ora quasi distrutto, e interamente conquistato dalla Compagnia Britannica delle Indie» (f. 630r).

Verso la fine del secolo per riorganizzare la missione Propaganda aveva istituito il vicariato apostolico del Tibet (16 aprile 178748) e stabilito l’erezione di un seminario di missione in uno dei conventi presenti nelle Marche (Stato Pontificio). Mentre nel caso del semi-nario, da istituirsi nel convento di Ancona, la disposizione non si era realizzata, quella relativa al vicariato aveva trovato adempimento dopo la Rivoluzione francese e il periodo napoleonico, quando nel 1820 veniva eletto come vicario apostolico il padre Zenobio Benucci da Firenze, ex prefetto della missione nel Congo, col titolo di vescovo di Hermia. Padre Zenobio, giunto a Calcutta l’8 agosto 1823, moriva ad Agra il 24 giugno 1824. La causa della sua prematura morte era stata attribuita da alcuni «alla violenza di qualche veleno sommini-stratogli furtivamente nei cibi per parte dell’Ex-Prefetto P. Angelo da Caraglio […] giova sperare – affermava Pedicini – non [sia] che una voce calunniosa» (f. 623v). Da Chandernagor padre Zenobio aveva inviato a Propaganda una relazione sulla situazione del suo vicariato il 21 novembre 1823. A distanza di un anno, il 28 novembre 1824 da Calcutta, il padre Deodato da Fano ne comunicava l’avvenuta morte a Propaganda. A tale notizia faceva seguito una lettera di padre An-tonino da Lodi che da Luknow, capitale del regno di Auhd, tributario della citata Compagnia indo-britannica, informava Propaganda del suo imminente viaggio in Italia per perorare la causa «dell’afflitta e desolata missione» tibetana (f. 623v); giunto a Roma consegnava a Propaganda una Memoria sullo stato della missione, sottoponendo alla Congregazione parecchi «dubbj» riguardanti anche le feste, i di-giuni, l’amministrazione dei sacramenti, le usure. Mentre la Memoria datata 13 Settembre 1825 veniva sottoposta all’esame di padre Vin-cenzo Garofali, abate generale dei Canonici regolari del santissimo

48 Ancora in Note di Archivio. Sulla Missione dei Cappuccini al Gange chiamata Missio-ne del Tibet si trovano anche alcuMissio-ne osservazioni relative ai problemi esistenti Missio-nel 1787 circa i limiti di giurisdizione tra i Cappuccini dell’Indostan o Tibet e i Car-melitani scalzi del Mogol, col loro vicario apostolico, che portarono Propaganda a decidere di nominare un vicario apostolico cappuccino per l’Indostan: «Al di là del Gange verso il Tibet niuna disputa può insorgere essendo tutto quel vasto Paese stato sempre, e fino da principio di Giurisdizione delle Missione del Tibet» (f. 631r).

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Salvatore lateranensi e consultore di Propaganda49, la Congregazione aveva deciso di occuparsi della riorganizzazione della missione, e a questo scopo il 20 settembre 1825 sottoponeva al missionario vari quesiti. Le più dettagliate informazioni ricavate dalla Relazione di pa-dre Antonino del 20 ottobre 1825 venivano poi presentate ai cardina-li nella ponenza della Congregazione Generale del 20 dicembre 1825.

Nella prima parte della sua Relazione padre Antonino rispondeva ai vari interrogativi sullo stato della missione, mentre nella seconda parte presentava la personalità di padre Angelo da Caraglio e succes-sivamente ciò che era possibile ipotizzare riguardo ai motivi della morte di padre Zenobio da Firenze, apportando quanto stabilito da due medici inglesi che avevano eseguito la sezione del cadavere del Vicario apostolico.

La Relazione iniziava dunque ragguagliando Propaganda riguardo alla descrizione geografica della missione; essa nel 1825 possedeva nove ospizj colle relative dipendenze e, sebbene denominata del Ti-bet, non aveva postazioni in quella regione. Nella enumerazione dei luoghi di missione padre Antonino accennava anche ai posti del regno di Nepaul che erano stati abbandonati, ovverosia Katmandù, Patan e Batgaon, a causa della crudeltà di quel Governo; sebbene i missionari cappuccini con i fedeli cristiani avessero dovuto ritirarsi nel villag-gio di Ciuhurì, sotto il governo inglese, continuava però a sussistere la speranza di riaprire quella missione mediante l’appoggio del fun-zionario della Compagnia britannica che risiedeva a Katmandù, ma ciò avrebbe dovuto passare dagli ufficj di Propaganda presso la Regia Corte Britannica. In tal modo si sarebbe potuto inviare un missiona-rio accompagnato da qualche cristiano nepalese «ed aprirsi la strada ad introdurre la luce Evangelica presso quella vasta popolazione» (f.

624v). L’idea di rientrare nel Tibet era proposta dallo stesso padre Antonino da Lodi, il quale vedeva nella presenza in Nepal di alcuni Lamà Tibetani l’occasione per i missionari cappuccini di imparare la loro lingua e quindi introdursi di nuovo nel regno tibetano50. Stando

49 Cf. Boutry, Souverain et pontife cit., p. 54.

50 In Note di Archivio. Sulla Missione dei Cappuccini al Gange chiamata Missione del Tibet si osservava: «I nostri Missionarj poco tempo ebbero per convertirli, due

alla ponenza le riflessioni di Pedicini consideravano più livelli, essen-do egli convinto che «la vasta popolazione di quel Regno, immersa nell’errore merita al certo di non essere perduta di vista dalla S.C., un principio di Cristianesimo colà forse introdotto dai Nestoriani, e deformato dalle ridicole superstizioni del Lamismo fanno sperare anche più facile l’accesso alle Cattoliche verità51» (f. 624v).

Relativamente al centro della missione, al numero dei missionari e ai mezzi di sussistenza presentati nella relazione, il cardinal ponen-te suggeriva che fosse il futuro vicario apostolico a fissarli secondo quanto avrebbe ritenuto più opportuno per la missione. Il numero del personale missionario nella storia del vicariato non aveva supera-to le venti unità e nel 1825 si contavano solamente quattro missiona-ri; nel caso di invio di altri soggetti non sarebbero poi stati sufficienti i mezzi per quell’indispensabile sussistenza che garantiva la dignità dei missionari e con essa la stima del messaggio evangelico presso il Gentilismo. Infatti secondo il ponente i gentili «non venerano e non stimano che l’apparenza; un missionario che vivesse di pura elemo-sina sarebbe per essi un abjetta persona cacciata nell’Indie dalla mi-seria, e perciò indegna di essere per verun modo ascoltata» (f. 624v).

A ciò si doveva poi aggiungere «l’estrema povertà di quasi tutti i Cattolici, dei quali specialmente gl’Indigeni come membri espulsi dalle loro case o tribù vengono alla Religione bisognosi di tutto» (f. 625r). Dal-la reDal-lazione di padre Antonino, nonché da quelDal-la precedente del defunto padre Zenobio e da altre informazioni contenute nella ponenza, si evi-denziava che la missione dell’Indostan era molto povera e che la situazio-ne sarebbe peggiorata se si fosse confermata la notizia che la Compagnia

anni dovettero stentare per apprendere i Rudimenti di quella Lingua [il tibeta-no], che non è, che un dialetto cinese: perciò non è meraviglia, se non giunsero ad effettuare la conversione di quei Popoli» (ff. 633r-633v).

51 Nelle Note di Archivio. Sulla Missione dei Cappuccini al Gange chiamata Missione del Tibet preparate presso Propaganda vi erano indicate le verità cristiane fonda-mentali che si credevano conservate presso le genti tibetane e che facevano ben sperare: «Ad onta però di tutto questo è innegabile la disposizione dei Tibetani a ricevere il Vangelo. Questa S. Congregazione ha esaminato con attenzione sulla relazione dei Missionarj la credenza di quei Popoli infelici; ed ha trovato, che impropriamente si chiamano Idolatri. Credono essi un Dio in tre Persone Divine, e che la seconda Persona si è fatta Uomo» (f. 633r).

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inglese intendeva escludere dai suoi possedimenti nell’Indostan ogni in-dividuo che non fosse suddito della Gran Bretagna. Una possibile forma di stabile sussistenza poteva essere quella occasionata dalla cessione agli inglesi dei poderi della Missione in cambio di una pensione, ma ciò do-veva essere valutato caso per caso. Riguardo al numero dei fedeli, quasi tutti indigenti, e alla qualità della vita cristiana da essi condotta in quella missione, il cardinal ponente da un lato deplorava il fatto che in «una regione delle più popolate del Globo» (f. 625v) il numero dei cristiani fosse esiguo e si componesse di cinquemila fedeli, di cui tremila indigeni convertiti, e dall’altro segnalava che essi si dedicavano a ogni tipo di vizi, erano poco zelanti e, sempre secondo le informazioni ricevute, la fede in loro forse non era ancora divenuta convinzione personale.

Il cardinal Pedicini passava poi a illustrare i mezzi che avrebbero potu-to adottarsi per la diffusione della fede e, se il primo mezzo era la preghie-ra, subito dopo si trattava di inviare un numero sufficiente di missionari il che rappresentava un problema di non facile soluzione, visto che i Cap-puccini come anche altri ordini religiosi soffrivano di mancanza di mis-sionari. Per dare concreta risposta alla mancanza di missionari padre An-tonino progettava di erigere un seminario per poter accogliere i figli degli europei che vivevano nella vicina missione in Bengala e che desideravano dedicarsi alla vita ecclesiastica, evitando in tal modo il loro ritorno in Europa per la relativa formazione. Il cardinal ponente condivideva l’idea ma non ometteva di presentare le differenti difficoltà di un tale progetto:

difficoltà di reperire i fondi necessari sia per la fondazione che per il suc-cessivo mantenimento del seminario; difficoltà di trovare un corpo do-cente preparato nelle materie fondamentali per formare i sacerdoti che si sarebbero poi dovuti misurare con infedeli, maomettani e protestanti52. Padre Antonino aspirava inoltre ad aprire delle scuole elementari dove poter insegnare a leggere e scrivere nelle lingue locali nagrì e farsì per poi introdurre le prime nozioni del cristianesimo (progetto

52 Nella ponenza in Note di Archivio. Sulla Missione dei Cappuccini al Gange chiamata Missione del Tibet si affermava: «Consci gli Eretici della propensione dei Tibetani ad abbracciare le Cristiane verità hanno tentato in ogni tempo di penetrare, e d’introdurre i loro Ministri in quelle contrade, ed anche recentemente hanno ciò fatto» (f. 633v); «non mancano specialmente dei Ministri Anglicani o Anabattisti ed i Maomettani che si mostrano pronti a dar loro ricovero»: (f. 625v).

paragonato nella ponenza a quanto usavano fare i protestanti) e fa-vorire la creazione da parte di qualche missionario di un circolo dove

«intervenire potesse chiunque desiderasse discutere in materia di re-ligione» (f. 626r)53.

Da tutto ciò il cardinale Pedicini concludeva che la missione ave-va necessità di una «sollecita elezione di un Vicario Apostolico che rivestito di ampiezza di autorità possa in qualche maniera risarcire i mali di quella Cristianità, togliere le dissensioni di quei Missionarj, e provvedere senza contrasto al regolamento più ordinato di quella Missione» (f. 626r)54. A tal proposito il ministro generale dell’ordine

53 Nelle Note di Archivio. Sulla Missione dei Cappuccini al Gange chiamata Missione del Tibet riguardo alla dimensione culturale e all’importanza dei libri si affermava:

«Aggiungeremo finalmente, che di libri sono stati spesso provisti da questa Sa-gra Cong. i Missionarj del Tibet; ma per provedere di una piccola Libreria pochi Ospizj sul Gange vedono bene l’EE. VV., che non è necessario mettere a contribu-zione le Biblioteche di Roma, come suggerisce il P. Antonino. Rapporto poi ai Cir-coli, ed alle dispute, che crede egli [P. Antonino] necessarie alla conversione degli Indiani altre volte ha creduto anche più utile questa S. Cong. e per gl’Indiani, e per i Tibetani, quando a loro principalmente diriggevansi i Missionarj, di far im-primere in lingua vernacola libri approvati prima dalla S. Cong. e colà divolgarli.

Eransi perciò date più volte machine ai Missionarj per imprimere agevolmente dei libri in quei luoghi. Inoltre mille Istruzioni ha ordinato questa S. Cong. per i Prefetti, e per i Missionarj del Tibet, le quali potranno, se piacerà all’EE.VV. di nuovo compilarsi per il nuovo Superiore, che si degneranno di assegnare alla Missione del Gange» (ff. 636r-636v).

54 Nella ponenza in Note di Archivio. Sulla Missione dei Cappuccini al Gange chiamata Missione del Tibet si sottolineava questa urgenza: «Deve aggiungersi che in molte occasioni, e per grande spazio di tempo si è dubitato da questa S.C. se dovesse continuarsi o no la Missione del Tibet. […] Sul Gange i Cappuccini come la fu-nesta esperienza lo insegna si pervertano facilmente, danno grave scandalo e contrastano quasi sempre falloro, cosicché non ha questa Sagra Cong. una più disordinata Missione; di più convertono pochissimi Indigeni, e questi non sono che il rifiuto delle loro Caste o Tribù; i quali sogliono essere soggetti poco di buo-no, e non si convertono che per umani fini, così riguardo a questi si sono sempre espressi gli antichi Prefetti, e Missionarj, checchè nella sua relazione ne dica il P.

Antonino. L’unico, o almeno principale frutto, che ricavano i Cappuccini sul Gan-ge si riduce al Battesimo, che apprestano a moltissimi fanciulli moribondi […].

Inoltre Mercanti, e Soldati Europei della Compagnia Inglese delle Indie, molti

Inoltre Mercanti, e Soldati Europei della Compagnia Inglese delle Indie, molti

Nel documento Il tempo di Leone XII (pagine 94-112)