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L’Indice durante il pontificato di Leone XII

Nel documento Il tempo di Leone XII (pagine 68-82)

Davide Marino

Nel panorama degli studi sulla censura romana nel XIX secolo, gli anni del pontificato di Leone XII appaiono un territorio ancora am-piamente inesplorato. Eppure, già a un primo sguardo, risalta come si tratti di un quinquennio tutt’altro che avaro di censure, nel quale vengono poste all’Indice circa 150 opere1, tra gli autori delle quali non mancano nomi illustri. A uno scavo più approfondito, la documenta-zione rivela poi come tale periodo sia decisivo per la messa a punto di alcuni assetti, destinati a reggere la censura romana nei decenni successivi.

La politica censoria di papa della Genga non contempla ad ogni modo particolari strappi o stravolgimenti rispetto al passato, tanto a livello istituzionale quanto a livello culturale. Sotto il primo profi-lo – mentre sono ancora gli ordinamenti fissati dalla costituzione di Benedetto XIV, Sollicita ac provida (1753), a regolare la censura pon-tificia –, Leone XII tende a confermare gli uomini di Pio VII, seppure introduca qualche significativa novità2. Prefetto della Congregazione

1 Si tratta di una quantità piuttosto elevata, se si considera che la media di proibi-zioni negli anni di papa della Genga (circa trenta opere l’anno) supera notevol-mente quella dell’intero periodo 1815-1870 (in cui sono condannate circa 1200 opere, con una media annuale di circa ventidue). Le proibizioni sotto il pontifica-to di Leone XII sono tutte decretate dalla Congregazione dell’Indice. Il Sant’Uffi-zio, pur prendendo in esame diverse opere, non arriva a sancirne la messa all’In-dice. Il dato non deve sorprendere. Nel periodo 1815-1870 infatti oltre il 90% dei testi proibiti proviene dalla Congregazione dell’Indice e solo la restante parte dal Sant’Uffizio – più unici che rari i casi di opere censurate da altri dicasteri –, per il quale la censura libraria rimane una delle tante incombenze.

2 Cf. H. Wolf (a cura), Prosopographie von römischer Inquisition und Indexkongrega-tion 1814-1817, II, Schöningh, Paderborn 2005, 1621-1634. Per tutti i membri dell’apparato censorio menzionati nel presente contributo, si rimanda ai due

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dell’Indice rimane quel Francesco Saverio Castiglioni che gli succede-rà sul soglio pontificio col nome di Pio VIII e nessuna nuova nomina si riscontra tra i consultori e i relatori del dicastero, così come nulla varia in una posizione-cardine quale quella del segretario, che rimane il domenicano Alessandro Angelico Bardani. Della Genga coopta tut-tavia sei nuovi porporati, quattro dei quali di sua creazione3. Sotto il secondo profilo, a livello generale, si può constatare come la censura romana degli anni di Leone XII faccia da ponte tra quella dei pontifi-cati precedenti e successivi, mettendo al bando le dottrine filosofiche, politiche e giuridiche figlie del secolo dei Lumi, mentre iniziano ad af-facciarsi sull’orizzonte dell’Indice i primi nomi di quei letterati fran-cesi che saranno massicciamente proibiti nei pontificati successivi.

La mens di Leone XII riguardo alle opere dannose per la salute spirituale dei fedeli e il bene della società veniva palesata già nell’en-ciclica programmatica Ubi primum (5 maggio 1824), nella quale, evo-cando la «colluvie dei libri perniciosi e contrari alla fede», il pontefice deprecava “l’iniquità” di quanti «non solo si staccano dalla vera reli-gione, ma con ogni genere di cavilli, con parole e scritti pieni di sofi-smi vogliono anche irretire i semplici». Per questo, pregava che Dio intervenisse per impedire, sconfiggere e annientare «questa sfrenata licenza di parlare, di scrivere e di diffondere tali scritti»4.

Che non si trattasse solo di una pia invocazione, ma di un vero e proprio programma di azione, della Genga lo avrebbe presto dimo-strato attraverso l’impulso dato alla repressione della cattiva

stam-tomi di questa prosopografia e a Ph. Boutry, Souverain et pontife. Recherches prosopographiques sur la Curie romaine à l’âge de la Restauration (1814-1846), Ecole française de Rome, Roma 2002.

3 Leone XII introduce nella Congregazione dell’Indice i cardinali Zurla, Falzacap-pa, Gazzola, Micara, Nasalli e Bernetti. Gli ultimi quattro sono creati da lui. Sul collegio cardinalizio di Leone XII, cf. R. Regoli, Il Sacro Collegio tra cardinali na-vigati e nuove creature (1823-1829), in I. Fiumi Sermattei, R. Regoli (a cura), La corte papale nell’età di Leone XII, Assemblea legislativa delle Marche, Ancona 2015, pp. 23-34.

4 Leone XII, Ubi primum, 5 maggio 1824, in U. Bellocchi (a cura), Tutte le encicli-che e i principali documenti emanati dal 1740, III, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1993, p. 13.

pa nella propria diocesi, tramite uno dei suoi uomini di fiducia: quel Placido Zurla, subito scelto quale cardinal vicario e insediato tra i membri della Congregazione dell’Indice. Il camaldolese avrebbe in-nanzitutto emanato, nel giugno del 1825, un Avviso che – muovendo dal rammarico di Sua Santità per «l’infernale impegno degli Empi, e promotori dell’empietà», volto a «infestare, e corrompere con sì fatti mezzi i suoi felici domini e specialmente Roma […], Metropoli della Vera Religione, ed universale Maestra della sana Morale» – ingiun-geva che venissero «nella piazza della stessa Dogana publicamente bruciati a publico esempio di perpetuo orrore ed abbominio»5 tutti i libri e gli oggetti osceni o ideologicamente pericolosi intercettati.

Due mesi più tardi, avrebbe invece promulgato un Editto, «ispirato dallo stesso Leone XII»6 e destinato a riformare e riorganizzare in chiave intransigente il sistema di controllo della stampa nell’Urbe.

Attraverso di esso venivano infatti moltiplicati i filtri della censura preventiva e potenziati quelli della vigilanza, mediante degli ispetto-ri chiamati a esaminare le dogane e i luoghi di produzione e vendita dei libri.

L’atteggiamento muscolare mostrato contro la cattiva stampa a Roma cela tuttavia un’angoscia di fondo della censura romana che traspare quanto più ci si accosta alla sua documentazione interna.

Tale stato d’animo nasce dalla consapevolezza che l’inarrestabile ipertrofia della produzione libraria impedisce ormai di esaminare e proibire tutte le opere che lo meriterebbero. Ciò innesca, in quello stesso 1825, un dibattito all’interno della Congregazione dell’Indice sull’opportunità di approvare una nuova regola generale, chiamata a integrare le dieci del Concilio di Trento e in base alla quale i fedeli si

5 Citato in M.I. Palazzolo, “Per impedire la circolazione di libri nocivi alla Società e alla Cattolica Santa Religione”. Politica pontificia e diffusione libraria nella Roma della Restaurazione, in A.L. Bonella, A. Pompeo, M.I. Venzo (a cura), Roma fra la Restaurazione e l’elezione di Pio IX: amministrazione, economia, società e cultura, Herder, Roma 1997, p. 701.

6 Eadem, I circuiti dello scambio librario nella Roma di Leone XII. Prime ipotesi e ricer-che, in M. Caffiero, G. Monsagrati (a cura), Dall’erudizione alla politica. Gior-nali, giornalisti ed editori a Roma tra XVII e XX secolo, FrancoAngeli, Milano 1997, p. 129.

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sarebbero dovuti astenere dalla lettura di tutte quelle opere conte-nenti affermazioni false o irriguardose rispetto a Dio e alla religione, ai pontefici e ai religiosi, alla Chiesa cattolica e alle sue prerogative, alla sua dottrina morale, alla disciplina del suo culto e alla venerazio-ne dei santi, seppure non formalmente colpite da un decreto di cen-sura. Il progetto – elaborato dal vescovo titolare di Ancira, Giovanni Marchetti, e revisionato dal futuro cardinale Paolo Polidori e dal ge-suita Michele Domenico Zecchinelli, tutti e tre consultori del dica-stero – viene tuttavia bocciato dalla Congregazione, la quale ritiene più opportuno rivolgersi ai vescovi per esortarli a esercitare l’auto-rità loro conferita in materia di censura e di controllo della stampa, essendo impossibile per la Santa Sede mettere all’Indice tutti i libri nocivi in circolazione. Leone XII approva la proposta, rivolgendo tale appello all’episcopato sotto forma di mandatum, pubblicato sul decre-to della Congregazione dell’Indice del 26 marzo7.

A un nuovo problema si risponde così con il ritorno a un vecchio sistema: anziché introdurre una regola generale che avrebbe portato – con indubbi rischi, come rilevato da Zecchinelli – a investire sulla responsabilità dei lettori cattolici, la Santa Sede preferisce affidarsi, come già avvenuto in passato, all’autorità dei vescovi. In questo, come nelle misure adottate nella repressione della cattiva stampa a Roma, la politica di Leone XII si presenta nei termini di un’innovazione con-servatrice, protesa, dinanzi a sfide inedite, più che a elaborare nuovi strumenti o strategie, a recuperare e rilanciare quelli del passato. In-fatti, anche laddove vengano create nuove strutture e figure istituzio-nali – come con l’Editto romano del 1825 – è sempre per potenziare gli istituti e le realtà esistenti, come quelli della censura preventiva o delle dogane, le quali sono spinte ad accrescere il proprio ruolo di filtro e deterrente alla circolazione delle opere malvagie, anche at-traverso l’antico, suggestivo e collaudato mezzo del rogo dei libri.

Analogamente, con il mandatum, papa della Genga emana un nuovo dispositivo, ma per riconnettersi a una tradizione consolidatasi nella

7 Cf. ACDF Index Prot. 107 (1825) 1r-15r. Il testo del mandatum è desunto da una delle aggiunte di Polidori alla bozza di Marchetti, che si trovano in alcuni fogli non numerati tra le cc. 13v-14r.

seconda metà del secolo precedente8, la quale viene in questo modo ripresa e proiettata verso il futuro. Al mandatum continueranno in-fatti a fare riferimento, nei decenni successivi, tanto i vescovi, nell’e-sercizio della propria potestà censoria9, quanto i vertici della censura romana nel rivolgersi all’episcopato locale10. Al tempo stesso, il prov-vedimento leonino ratifica una tendenza al decentramento dell’azio-ne censoria, destinata a rafforzarsi progressivamente, fino a diven-tare uno dei tratti caratterizzanti dell’ultima fase storica dell’Indice.

Un innovativo ritorno al passato può essere parimenti riscontrato nella questione inerente alle licenze di lettura delle opere proibite.

Inizialmente attribuita a diverse autorità – tra cui i vescovi diocesa-ni –, la facoltà di accordare la lettura e il possesso dei libri all’Indice era stata nel tempo limitata dai pontefici alle sole Congregazioni del Sant’Uffizio e dell’Indice11. Leone XII – che pure, stando al segreta-rio dell’Indice, non appariva particolarmente favorevole a una simile prassi12 –, nel 1827 accondiscende, atteso il parere favorevole della Congregazione dell’Indice, alla richiesta di alcuni vescovi che si era-no rivolti a Roma per ottenere la facoltà di concedere i permessi. Il provvedimento procede coerentemente nella direzione del

decentra-8 Sugli appelli settecenteschi della Santa Sede alla cooperazione dell’episcopato nella repressione della cattiva stampa, cf. P. Delpiano, Il governo della lettura.

Chiesa e libri nell’Italia del Settecento, Il Mulino, Bologna 2007, pp. 180-188.

9 Il vescovo di Crema, Francesco Sabbia, riporta ancora il mandatum nella sua let-tera quaresimale del 1873: cf. M.I. Palazzolo, La perniciosa lettura. La Chiesa e la libertà di stampa nell’Italia liberale, Viella, Roma 2010, p. 51 nota 14.

10 Il 29 agosto 1864, il prefetto dell’Indice, Altieri, indirizza – dietro esplicito mandato di Pio IX – una circolare a tutto l’episcopato cattolico per richiamarlo a quanto statuito dal mandatum leonino: cf. ACDF Index Prot. 122 (1862-1864), Documenti, n. 52.

11 Cf. V. Frajese, Permessi di lettura, in Dizionario storico dell’Inquisizione (DSI), III, Edizioni della Normale, Pisa 2010, pp. 1193-1195.

12 Nella sua prima udienza al segretario dell’Indice (7 ottobre 1823), il papa aveva espresso il desiderio che le licenze venissero negate ai minori di trentacinque anni: cf. ACDF Index Diari 19 (1807-1865) 38r. Nel 1827, invece, Bardani riferi-sce che sarebbe stato desiderio di Leone XII – come del resto già di Pio VII – «ri-vocare […] tutte le licenze fino allora concesse», se ciò non avesse prodotto una

«gran perturbazione» (ACDF Index Prot. 109 [1827] 206r).

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mento. Se, tuttavia, con il mandatum, si era inteso rafforzare il ruolo episcopale in chiave repressiva – capillarizzando la rete della censura –, con la concessione della facoltà ai vescovi si finiva per allargare le maglie del controllo ecclesiastico sulla stampa, acconsentendo impli-citamente a un ampliamento del bacino di lettori di opere proibite, seppure muniti di regolare permesso. La liberalità mostrata in questa circostanza da Leone XII prelude a future concessioni. Il suo succes-sore, Gregorio XVI, infatti, il 12 agosto 1834 approverà una versione mitigata del formulario per la richiesta delle licenze di lettura, pre-sentatagli dalla Congregazione dell’Indice e improntata alla benevo-lenza nei confronti dei lettori13.

Simili accenni di moderazione, nella politica di due pontefici di tendenza intransigente in materia di repressione della cattiva stam-pa, non devono comunque trarre in inganno. Lungi dal rappresentare un segnale di cedimento o di resa, essi fanno parte di una più ampia e complessa strategia, che – mentre persegue una lotta senza quar-tiere contro le cattive opere – guarda con grande realismo alla situa-zione presente, caratterizzata da una espansione senza precedenti del mercato librario, sempre più in grado di valicare gli steccati della vigilanza, tanto ecclesiastica quanto civile, per offrire ai lettori i pro-dotti desiderati. In una simile congiuntura, la censura pontificia non rinuncia al proprio compito né riduce il volume della propria attività, ma tenta di instaurare un legame di amicizia e lealtà basato sul privi-legio con i membri colti della società – e in particolare gli studiosi –, fondamentali beneficiari delle licenze14.

Che la tendenza al decentramento dell’azione censoria e gli al-lentamenti della tensione repressiva imposti dalle circostanze non corrispondano a una messa in quiescenza dell’Indice, risulta partico-larmente chiaro se si passa dall’esame delle strategie generali a quello dei casi di censura. Qui, la Congregazione dell’Indice appare infatti quanto mai viva e combattiva nell’opporsi agli errori disseminati nel-le opere stampate.

13 Cf. ACDF Index Prot. 111 (1830-1835) 394r-397v.

14 Cf. M.I. Palazzolo, I libri, il trono, l’altare. La censura nell’Italia della Restaurazio-ne, FrancoAngeli, Milano 2003, pp. 40-41.

L’istituzione che Leone XII eredita da Pio VII ha ripreso da poco più di un lustro il regolare esercizio delle proprie funzioni, dopo la lunga interruzione alla quale l’arresto e la deportazione del papa da parte delle truppe napoleoniche l’hanno costretta15. Si era trattato di una ripresa animata come da uno spirito di rivalsa, da un’ansia di re-cuperare il tempo e il terreno perduti, percepibile, da una parte, nella proibizione di un significativo numero di opere edite tra la seconda metà del ’700 e il primo decennio dell’80016 – contrariamente alla prassi usuale, tendente alla censura dei testi più recenti –, dall’altra, in una severità che traspare dal rapporto tra le opere esaminate e quelle alla fine proibite17. Se, per quest’ultimo tratto, la Congrega-zione dell’Indice di papa della Genga pare distanziarsi da quella de-gli ultimi anni del suo predecessore, essa vi condivide – ancorché in proporzioni minori – l’attenzione per gli autori e i testi dei decenni precedenti, nei quali vengono evidentemente individuate e condan-nate le radici ideologiche e culturali delle sciagure abbattutesi sugli assetti politici e sociali del mondo dell’ancien régime, a partire dalla Rivoluzione18. Figurano così tra gli autori proibiti emblemi del secolo

15 Dal 1808 al 1817 non era stato emesso alcun decreto di condanna. È vero che, dopo il rientro di Pio VII a Roma, il 13 febbraio 1815, era stato pubblicato un bando di censura, ma si trattava del decreto del 18 luglio 1808, lasciato allora in sospeso, a causa dell’occupazione francese: cf. ACDF Index Diari 19 (1807-1865) 14v.

16 Tra il 27 gennaio 1817 e il 20 gennaio 1823 – date, rispettivamente, della ripresa e dell’ultima Congregazione generale dell’Indice sotto il pontificato di Pio VII – il dicastero decreta la proibizione di circa 180 opere, oltre un terzo delle quali edito tra il 1756 e il 1808.

17 La percentuale delle opere messe all’Indice, rispetto al totale delle opere esami-nate dal dicastero, supera il 97%. Un dato che impressiona, soprattutto se messo a confronto con la percentuale del pontificato di Leone XII, che si aggira attorno all’83,5% – che è all’incirca la stessa del periodo 1815-1870 –, e con quella, pur elevata, del pontificato di Gregorio XVI, che supera di poco il 90%. Per le opere esaminate dalla Congregazione dell’Indice, cf. H. Wolf (a cura), Systematisches Repertorium zur Buchzensur 1814-1917. Indexkongregation, Schöningh, Pader-born 2005.

18 Per le opere all’Indice degli autori che verranno richiamati, si rimanda a J.M. De Bujanda, Index des livres interdits, XI. Index librorum prohibitorum 1600-1966, Editions de l’Université de Sherbrooke, Sherbrooke 2002.

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dei Lumi quali i filosofi Immanuel Kant19, David Hume20 – dei quali preoccupano due recenti edizioni italiane – e il Condorcet, il teolo-go Johann David Michaelis, il magistrato-letterato Charles Dupaty, il riformista Pietro Verri, il giurista Gaetano Filangieri21, ai quali si assommano intellettuali legati alla cultura tardo-illuministica come il Volney, Melchiorre Gioia e Pietro Giordani (ex benedettino, anti-clericale e panegirista di Napoleone). Su molti di costoro si allunga l’ombra di quel liberalismo, che (con i suoi vari corollari: costituzio-nalismo22, spirito repubblicano e rivoluzionario, avversione ai legit-timi poteri e all’alleanza tra il trono e l’altare, eccetera) costituisce la grande direttrice tematica lungo la quale si dispiegano le censure del pontificato leonino, in conformità con gli orientamenti dottrinali espressi nella Ubi primum.

La Congregazione si mostra vigile non solo nei confronti di quegli autori la cui produzione concorre a formare la base teorica dell’ide-ologia liberale – per cui troviamo all’Indice Benjamin Constant23 e Jeremy Bentham – ma di tutti quei testi in grado di veicolarne in qualunque modo le idee. Finiscono così nel mirino della censura

ro-19 Cf. P. Godman, I segreti dell’Inquisizione, Baldini Castoldi Dalai, Milano 2004, pp.

262-263; Idem, Weltliteratur auf dem Index. Die geheimen Gutachten des Vatikans, Ullstein, Berlin-München 2001, pp. 312-329; K. Unterburger, Kant, Imma-nuel, in DSI, II, 863.

20 Cf. E. Mazza, Hume on the Index: religion and early history of England, “The Mo-dern Schoolman” 84 (2007), pp. 353-373; P. Godman, Weltliteratur auf dem In-dex, pp. 292-303; D. Lucci, Hume, David, in DSI, II, 755-756. In occasione del-la censura deldel-la traduzione italiana deldel-la sua History of Engdel-land (10 settembre 1827), la quale è proibita con la clausola quocumque idiomate, viene confermata la messa all’Indice della sua opera omnia, già decretata nel 1761.

21 Cf. F. Motta, Le condanne inquisitoriali della “Scienza della legislazione”, in A.

Trampus (a cura), Diritti e costituzione. L’opera di Gaetano Filangieri e la sua fortu-na europea, Il Mulino, Bologfortu-na 2005, pp. 291-335.

22 Cf. A. Trampus, Costituzionalismo, in DSI, I, 426.

23 Cf. K. Kloocke, Trois écrits de Benjamin Constant mis à l’Index, un quatrième con-damné par l’Inquisition espagnole, “Annales Benjamin Constant” 34 (2009), pp.

9-44; F. Motta, Troisième annexe. Censure romaine, in B. Constant, Commen-taire sur l’ouvrage de Filangieri, a cura di K. Kloocke, A. Trampus, De Gruyter, Berlin-Boston 2012, pp. 423-434.

mana diverse opere degli storici Carlo Botta, Luigi Bossi, Louis-Phi-lippe de Ségur, Louis de Potter – tutti in qualche modo legati alla figura di Napoleone: i primi tre per le vicende personali, il quarto in quanto autore del poema Saint-Napoléon au paradis et en exile, che, pubblicato nel 1827, sarà messo all’Indice nel 1836 – così come viene proibita la Storia della rivoluzione francese di Mignet, poiché capace di «spargere ovunque il fuoco della ribellione, e gli errori del più de-ciso liberalismo»24, mentre si preferisce non dare la popolarità di un decreto censorio all’omonima opera di Pietro Manzi – pure egli «pro-mulgatore del moderno liberalismo»25 –, suddito dello Stato Pontifi-cio, dal quale si riesce a ottenere un atto di sottomissione e il ritiro delle copie dal commercio. A una simile taccia non si sottrae neppure un letterato del secolo precedente quale Vittorio Alfieri, che appare agli occhi del domenicano Buttaoni «invasato da potentissima mania di liberalismo»26.

Particolare rilevanza, all’interno di questo filone censorio, riveste la condanna dei protagonisti e della cultura del Triennio liberale spa-gnolo, che – iniziata sotto il pontificato di Pio VII – riprende all’in-domani della restaurazione della monarchia assoluta di Ferdinando VII (primo ottobre 1823) – concomitante con l’elezione di Leone XII (28 settembre) –, dietro l’importante incentivo del nunzio apostolico a Madrid, Giacomo Giustiniani, futuro prefetto della Congregazione dell’Indice, il quale, rientrato dall’esilio al quale i liberali lo avevano costretto, si premura di denunciare a Roma diverse opere27. Grande

24 ACDF Index Prot. 107 (1825) 201r. Queste parole del consultore Paolo Polidori si riveleranno “profetiche”. Tradotta in più di venti lingue, l’opera di Mignet di-venterà infatti «le bréviaire des révolutions libérales» del XIX secolo: cf. Y. Kni-biehler, Une révolution «nécessaire» : Thiers, Mignet et l’école fataliste, “Romanti-sme”, 28-29 (1980), pp. 279-288 (l’espressione citata è a p. 285, nota 8).

25 Così il Maestro del Sacro Palazzo Giuseppe Maria Velzi: ACDF Index Prot. 109

25 Così il Maestro del Sacro Palazzo Giuseppe Maria Velzi: ACDF Index Prot. 109

Nel documento Il tempo di Leone XII (pagine 68-82)