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Queste due connotazioni fanno sì che lo sfruttamento capitalistico non sia visibile senza uno sforzo di analisi: sembra che tutto il lavoro

venga retribuito, essendo acquistato regolarmente sul mercato dove il

lavoro si presenta come libero e col pieno potere di disposizione sulla

propria forza-lavoro. Viceversa tutto il lavoro dello schiavo sembra che

venga appropriato dal suo padrone senza un equivalente mentre in realtà

anche lo schiavo riceve un equivalente per una parte del suo lavoro

(sus-sistenza). Forma fenomenica ed essenza corrispondono invece nello

sfrut-tamento feudale e in particolare nella « corvée » poiché pluslavoro e

la-voro necessario sono spazialmente e temporalmente distinti. Per questo

Marx fa di continuo riferimento alla corvée per rendere « trasparente »

lo sfruttamento capitalistico: « il confronto fra la voracità di pluslavoro

nei principati danubiani e la stessa voracità nelle fabbriche inglesi offre

un interesse particolare, perché il pluslavoro ha nella corvée una forma

indipendente, percepibile immediatamente. Poniamo che la giornata

la-vorativa consti di sei ore di lavoro necessario e sei ore di pluslavoro. In

questo caso il lavoratore libero fornisce al capitalista sei per sei, cioè

trentasei ore di pluslavoro alla settimana. È la stessa cosa che se

lavoras-se tre giorni alla lavoras-settimana per sé, e tre giorni gratis per il capitalista. Ma

ciò non è visibile. Pluslavoro e lavoro necessario sfumano uno nell'altro.

Per es., posso esprimere lo stesso rapporto dicendo che il lavoratore

la-vora trenta secondi per sé e trenta secondi per il capitalista ecc. Per la

corvée è differente. Il lavoro necessario, che per es. il contadino valacco

compie per il proprio sostentamento, è separato nello spazio dal suo

plus-lavoro per il boiardo. Il contadino compie il primo nel proprio campo, il

secondo nel fondo padronale. Quindi tutt'e due le parti del tempo di

la-voro esistono l'una accanto all'altra, in modo indipendente »

41

. Abbiamo

riportato per esteso questo brano sulla « opacità » dello sfruttamento

ca-pitalista e la « trasparenza » dello sfruttamento feudale perché è

rappre-sentativo della preoccupazione principale di Marx quando parla di

sfrut-tamento nel Capitale. È la dimostrazione che, nonostante l'apparenza in

contrario (generata dalle forme del valore di scambio), il capitalismo non

ha superato lo sfruttamento feudale per quanto concerne il suo contenuto

materiale ma ne ha modificato puramente la forma in modo tale da

oc-cultarne l'esistenza: « il punto di partenza dello sviluppo che genera

tanto l'operaio salariato quanto il capitalista è stata la servitù del lavo-ratore. La sua continuazione è consistita in un cambiamento di forma di tale asservimento, nella trasformazione dello sfruttamento feudale in sfruttamento capitalistico » 42. Dunque il superamento dello sfruttamento che costituiva il contenuto ideologico principale delle rivoluzioni borghe-si ed in particolare di quella francese è un obiettivo storico fallito dalla borghesia nascente, nonostante l'apparenza in contrario. Essa si è limi-tata a superarne la forma feudale.

6.7. La dimostrazione marxiana dell' esistenza dello sfruttamento

capita-listico e le recenti formulazioni matematiche.

Come abbiamo visto, Marx definisce il contenuto materiale dello sfruttamento con la preoccupazione di dimostrarne l'esistenza anche nel modo di produzione capitalistico. Ma in tale modo di produzione, la pre-senza del pluslavoro non è più immediatamente visibile e richiede un cal-colo quantitativo. Il procedimento di questo calcal-colo è ben noto e molto semplice43. Ma ha un punto debole. Marx misura il pluslavoro ed il la-voro necessario in valore, nell'ipotesi, tipica del I libro, che i valori coin-cidano con i prezzi. Qualora si tenga conto della divergenza tra prezzi e valori, questa dimostrazione di esistenza regge ancora? La misura del pluslavoro e del lavoro necessario variano in modo, a priori, impreve-dibile. Sembra che non vi sia più alcuna garanzia che tali modificazioni non mettano in forse l'esistenza stessa dello sfruttamento capitalistico.

42. K. 1. 721.

43. Marx lo espone così: « [...] il metodo per calcolare il saggio del plusvalore è in breve il seguente: prendiamo l'intero valore del prodotto e poniamo uguale a zero il valore del capitale costante, il quale non fa altro che ripresentarsi nel valore del prodotto. La residua somma di valore è l'unico prodotto in valore realmente generato dal processo di formazione della merce. Se il plusvalore è dato lo sottraia-mo da questo prodotto di valore per trovare il capitale variabile. Viceversa, quando è dato il capitale variabile e noi cerchiamo il plusvalore. Quando sian dati l'uno e l'altro, c'è da compiere soltanto l'operazione conclusiva, cioè da calcolare il

rap-p

porto tra plusvalore e il capitale variabile, — ». (K. 1. 252). Notare che per cono-scere il valore aggiunto basta conocono-scere le ore-lavoro complessive prestate nel pe-riodo (naturalmente a patto di conoscere un procedimento di riduzione del lavoro complesso al lavoro semplice). È bene osservare inoltre che si assume normalmente come dato il « capitale variabile » che è calcolabile sotto ipotesi ragionevoli. Basta infatti assumere di conoscere la composizione merceologica e la grandezza del « ce-sto di beni » che costituisce la merce-salario oraria (il che in ipotesi di salari di sussistenza non fa troppa violenza alla realtà) nonché la matrice tecnologica da cui è possibile ricavare quante ore-lavoro sono necessarie direttamente ed indiretta-mente per produrre i beni-salario.

Alcuni ne deducono che la dimostrazione di Marx è sbagliata per cui nel capitalismo non c'è sfruttamento. A parte ovvie considerazioni metodolo-giche su questo tipo di sillogismo (evidente « non sequi tur »), riteniamo che questo tipo di critica sia stato definitivamente confutato da tutta una serie di recenti dimostrazioni matematiche.

La struttura dell'argomentazione è essenzialmente di due tipi: a) Si scrivono il sistema dei valori ed il sistema dei prezzi associati alla stessa matrice tecnologica. Si dimostra che: 1) se esistono profitti nel sistema dei prezzi, esiste sfruttamento nel sistema dei valori (prova di necessità)44; 2) se esiste sfruttamento nel sistema dei valori, esistono profitti nel sistema dei prezzi (prova di sufficienza)4S. La ragione logica è semplicissima. Dato che, per ipotesi, la matrice tecnologica è la stessa nei due sistemi, se valgono le condizioni Hawkins-Simon46 in un siste-ma, valgono anche per l'altro. La ragione economica è ancora più sem-plice. Se e soltanto se la matrice tecnologica consente un prodotto netto, il sistema dei prezzi presenta profitti (prodotto netto valutato ai prezzi correnti) ed il sistema dei valori presenta un plusvalore (pluslavoro con-tenuto nel prodotto netto), a meno che il prodotto netto sia stato pro-dotto senza l'ausilio di lavoro (il che è assurdo ed è escluso per ipotesi). Se invece tutto il prodotto è consumato come sussistenza dei lavoratori e per il funzionamento delle macchine (stato reintegrativo semplice) ov-viamente il profitto è nullo ed è nullo anche il plusvalore.

b) Si scrive una relazione tra saggio di profitto e saggio di plusvalore

s'

ricalcata sulla tautologia marxiana p' = , resa logicamente coerente e più o meno generalizzata 47. Si dimostra allora facilmente che pf > O

44. La prima ed a nostro parere più limpida dimostrazione matematica di que-sto teorema è quella di N. OKISIO, A mathematical note on marxian theorems, « Weltwirtshaft Archiv », 1963, p. 293. Una dimostrazione analoga è contenuta in M . MORISHIMA ( 1 9 7 0 ) .

45. Il primo ad esplicitare la prova di sufficienza del « teorema di Okisio » è stato M. MORISHIMA, op. cit. La dimostrazione di L. MELDOLESI nell'Introduzione cit. all'antologia di articoli di Bortkiewicz coincide sostanzialmente con questa prova di sufficienza.

46. Vedi D. HAWKINS e H. A. SIMON, Note: Some conditions of macroeconomic stability, «Econometrica», luglio-ottobre 1949 (17), pp. 245-248. Una esposizione più semplice e particolarmente chiarificatrice del significato economico di tali con-dizioni, è contenuta in S. LOMBARDINI, Corso di economia politica, Torino, Utet, 1971, pp. 75 segg.

47. In cui p' sta per saggio del profitto, s' sta per saggio di plusvalore, c per capitale costante, e v per capitale variabile. Questa strada è seguita, tra gli altri

da M . MORISHIMA, op. cit., A . MEDIO ( 1 9 7 2 ) e F . VIANELLO ( 1 9 7 0 ) .

se e solo se O. Tale risultato dipende dal fatto che la composizione organica media — per essere logicamente coerente, deve essere formulata in modo tale da rappresentare la comune tecnologia che caratterizza sia sistema dei valori che sistema dei prezzi. Marx stesso tenta di tener conto di ciò, ma soltanto in modo rozzo, calcolando una semplice media delle composizioni organiche dei diversi settori. Oggi sappiamo che tale gran-dezza va calcolata in modo più complesso 48. Resta il fatto che, anche per questo secondo procedimento, il ponte effettivo tra saggio di profìtto e saggio di plusvalore è costituito dalla comune tecnologia.

Dunque questi teoremi, al di là del loro paludamento matematico, esprimono soltanto un sillogismo piuttosto ovvio:

1) se esiste profìtto esiste prodotto netto (al netto dei reimpieghi nella propria e nelle altrui industrie) ovverosia plusprodotto;

2) se esiste un plusprodotto, in esso sono oggettivate ore-lavoro; 3 ) le ore oggettivate nel plusprodotto sono un di più rispetto a quel-le necessarie per la mera reintegrazione del sistema ed, in particolare, per la mera sussistenza della forza-lavoro, perciò corrispondono ad un « pluslavoro »;

4) dunque, se esistono profìtti positivi, esiste pluslavoro e viceversa. Come si vede, in ultima analisi, questo ragionamento non mi dice che una cosa del tutto ovvia: che nelle merci acquistate dal profìtto (plus-prodotto) c'è del lavoro incorporato in eccedenza al lavoro incorporato nelle merci acquistate dai salari. Si dimostra comunque così in modo ri-goroso che saggio di profitto uniforme positivo e saggio di sfruttamento uniforme positivo si coimplicano in riferimento ad una stessa tecnologia. Tale risultato non è altro che un'ulteriore manifestazione della

du-plice corrispondenza esistente tra sistema dei valori e sistema dei prezzi che rappresentano la stessa tecnologia (vedi retro par. 6.5.). Ciò che è in gioco qui è soltanto l'esistenza dei due saggi, mentre il nesso dimen-sionale che esiste tra di loro resta del tutto impregiudicato. Ma la dimo-strazione è utile lo stesso, appunto perché lo sfruttamento capitalistico non è trasparente, mentre non vi sono dubbi che un'economia capitalistica non può sussistere senza che si producano profitti positivi. Si tratta quin-di quin-di un'altra applicazione significativa quin-di quel metodo precisato nel par. 6.5., che consiste nel chiedersi quali implicazioni ha per il lavoro il fun-zionamento sincronico del capitalismo. Ciò costituisce anche una premes-48. La formulazione rigorosa più vicina a quella marxiana è quella di A. ME-DIO (1972) che riformula il concetto di merce media di Marx utilizzando la merce-tipo di P. SRAFFA.

sa per considerazioni di tipo genetico, che permettono di ribadire che — da questo punto di vista — lo sfruttamento è origine del profitto. In-fatti, se il lavoro non avesse assunto quella forma tale da rendere possi-bile lo sfruttamento capitalistico (separazione dai mezzi di produzione e riduzione a merce) il profitto capitalistico non potrebbe esistere.

All'affermazione secondo cui lo sfruttamento è origine del profitto non si può dare invece nessun particolare significato S-funzionale né tanto meno causale49. In particolare tale significato non si può dedurre da al-cuno dei teoremi prima considerati, come invece vorrebbe qualche auto-re 50. Infatti, se si parla di un ente che è origine di un altro, si individua una relazione asimmetrica che va dal generante al generato, cioè un ben preciso ed univoco rapporto di successione storico e causale che procede

necessariamente dal generante al generato e non reversibile. Viceversa i teoremi prima considerati stabiliscono un rapporto sincronico di corri-spondenza biunivoca tra esistenza del profitto ed esistenza dello sfrutta-mento, stabiliscono cioè una relazione simmetrica. Si può sostenere cioè altrettanto bene, su questa base, che il profitto è l'origine (sincronica), la « fonte », del plusvalore quanto viceversa. Inoltre viene data una mi-sura dello sfruttamento reale che è significativa soltanto dal punto di vi-sta ordinale e non cardinale. Infine, non esiste nessuna chiara correla-zione tra saggio di profitto settoriale da un lato e saggio di sfruttamento settoriale dall'altro mentre l'andamento di breve periodo dello sfrut-tamento sembra dipendere piuttosto dal saggio di profitto che viceversa. Anche in questo caso le caratteristiche S-funzionali sembrano dipendere puramente dalla logica interna del capitale, piuttosto che da quella del lavoro, il che è un'ovvia conseguenza del feticismo capitalistico. Certa-mente, dal punto di vista diacronico, le cose stanno diversamente perché la strategia sindacale e politica del lavoro, influenzata dall'entità e dalle caratteristiche dello sfruttamento, ha indubbiamente una grossa influenza sull'andamento e sulla struttura dei profitti. Ma quest'ultimo tipo di

in-49. Ciò è ribadito con molta chiarezza nel seguente passo di Marx: « il valore delle merci appare ormai direttamente solo nell'influsso che il variare della forza produttiva del lavoro esercita sulla diminuzione e l'aumento dei prezzi di produ-zione, sul loro movimento, non sui loro limiti ultimi. Il profitto appare ormai solo determinato in modo accessorio dallo sfruttamento diretto del lavoro [...] ». (K. 3. 942; il corsivo è nostro).

5 0 . V e d i già BORTKIEWICZ ( 1 9 0 6 ) e più recentemente MELDOLESI ( 1 9 7 1 ) , ME-DIO ( 1 9 7 2 ) , MICONI ( 1 9 7 2 ) .

51. Non si può neanche dire con certezza, in un'analisi di statica comparata, che la correlazione sia necessariamente positiva. Su questo punto vedi la dimostra-zione di J. EATWELL (1972).

dagine sta purtroppo al di fuori del campo d'analisi del Capitale e dei contributi successivi e rimanda a studi futuri.

6.8. Significato e limiti del concetto di sfruttamento marxiano. La dimostrazione dell'esistenza dello sfruttamento capitalistico è si-gnificativa a patto che si comprenda esattamente il ruolo giocato dalla categoria « sfruttamento » nell'analisi della struttura economica capitali-stica. Abbiamo già visto che lo sfruttamento capitalistico è « lavoro non pagato » cioè potere di disposizione sul lavoro oggettivato altrui, appro-priato senza un equivalente. Con maggiore precisione, è un trasferimento del potere di disposizione sul lavoro oggettivato dal lavoro vivo ad un altro soggetto ad esso contrapposto: il capitale. Tale potere di disposi-zione che originariamente 52 spetta 53 integralmente al lavoro, viene in parte alienato da esso ed appropriato dal capitale e, in quanto sua perso-nificazione, dai capitalisti. Dunque il rapporto di sfruttamento è in pri-ma istanza un rapporto tra il lavoro e se stesso cioè tra lavoro vivo e la-voro oggettivato e soltanto mediatamente, un rapporto sociale tra lavo-ratore e capitalista. Vi è qui ancora una volta, un rovesciamento del rap-porto tra soggetto ed oggetto54. In altre parole, il rapporto di sfrutta-mento è un rapporto feticistico che si inquadra nel più ampio fenomeno dell'estraniazione economica capitalistica esprimendone soltanto un aspet-to anche se particolarmente rilevante. In quesaspet-to senso, Marx afferma che lo sfruttamento capitalistico è effetto o manifestazione fenomenica del-l'alienazione del lavoro 55. Marx realizza così il suo programma di ricon-52. Cioè come prius storico nello scambio di merci precapitalistico e come prius teorico, nel mondo fenomenico della circolazione semplice.

53. Potremmo definirlo un « attributo di diritto » del lavoro, nel senso preci-sato nel corso del I I I capitolo. Va però precipreci-sato che tale interpretazione non ha nulla a che vedere con quella che attribuisce al concetto di sfruttamento un mero significato normativo mutuato dal giusnaturalismo (questa è la posizione, per es., di LINDSAY A. D., Karl Marx's « Capital », London, 1925; e di CALOGERO G., Il metodo dell'economia e il marxismo, Bari, Laterza, 1967). Ciò, per tutti i motivi che caratterizzano specificamente l'introduzione di un elemento normativo da parte di Marx tramite la teoria del feticismo e già precisati precedentemente (cfr. par. 3.6.).

54. « Il modo in cui, mediante il passaggio attraverso il saggio di profitto, il plusvalore è trasformato nella forma del profitto è però soltanto uno sviluppo ul-teriore dell'inversione di soggetto e oggetto [...] ». (K. 3. 71).

55. Confronta con i passi notissimi dei Manoscritti Economico-filosofici: « La proprietà privata, come espressione materiale riassuntiva del lavoro espropriato, comprende ambo i rapporti: il rapporto dell'operaio col lavoro e col prodotto del suo lavoro e col non-lavoratore ed il rapporto del non-lavoratore con l'operaio e col prodotto del suo lavoro ». (M. E. 126). In altre parole, la proprietà privata è

espres-durre al lavoro le categorie dell'economia politica, riuscendoci anche per

la categoria più ostica, il profitto

56

. Certamente tale riconduzione, come

abbiamo visto, ha nel capitalismo concorrenziale un significato soltanto

genetico e non anche funzionale. Non ci dice niente cioè di qual è il

li-vello effettivo dello sfruttamento in un certo momento ed in un certo

luogo né di come interagisca con le altre grandezze economiche. Ma come

categoria che fondi la negazione del sistema capitalistico nel suo

com-plesso, la versione genetica è tutto quello che ci vuole. Essa afferma

in-fatti che finché esisteranno profitti positivi e tali profitti verranno

ap-propriati da una classe diversa da quella lavoratrice in base ad un titolo

diverso dal personale contributo di lavoro

57

, esisterà sfruttamento ed il

lavoro resterà estraniato

58

. All'interno del più ampio e complesso

con-cetto di « estraniazione capitalistica » il concon-cetto di sfruttamento svolge

il ruolo specifico di fondare l'antagonismo tra le classi (vedi retro par.

4.6.).

Se si comprende il nesso profondo e strettissimo che esiste tra