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Nell'economia volgare il riduzionismo è massimo. Nel processo di produzione immediato sparisce qualsiasi traccia di quella che è

conside-rata da Marx l'essenza della struttura economica, e cioè il processo di

valorizzazione, che è ridotto completamente — senza residui — al

pro-cesso lavorativo. Nella sfera della circolazione sparisce tutta la

speci-ficità delle forme sviluppate della circolazione del denaro. Anzi tutte le

forme della circolazione vengono tendenzialmente appiattite alla forma

dello « scambio semplice » (vedi Appendice) che è propria — in

sostan-za — già dell'economia di baratto. Lo stesso processo lavorativo è

svilup-pato soltanto nei suoi elementi semplici che sono propri anche dei

pro-cessi lavorativi precapitalistici. Una delle conseguenze principali di tale

estremo riduzionismo, è la sparizione assoluta di qualsiasi causa di

con-traddizione e di crisi.

1. È interessante osservare che lo stesso isomorfismo che abbiamo rilevato in Marx tra struttura economica e sue sottostrutture (livelli e concetti), è riscontrata da Marx nella concezione degli economisti borghesi. Così, ad esempio, vedremo che se un autore trascura nella forma di merce il valore, prendendo in considera-zione solo il valore d'uso, anche negli altri concetti spariranno le determinazioni che corrispondono al punto di vista del valore, mentre dalla struttura nel suo com-plesso sparità il livello corrispondente al processo di valorizzazione (vedremo che questo è precisamente quello che succede negli economisti « volgari »).

Nell'economia classica viceversa, il riduzionismo è meno accentuato. Il processo di valorizzazione è in qualche modo distinto dagli altri livelli della struttura anche se in modo solo parziale e insoddisfacente. Le for-me specifiche capitalistiche, sia del processo di circolazione che del pro-cesso lavorativo, sono anch'esse parzialmente sviluppate. Ne consegue che sono intraviste alcune delle contraddizioni che caratterizzano il modo di produzione capitalista nonché la stessa possibilità della sua transito-rietà storica 2.

Corollario rilevante della concezione « riduttiva » della struttura eco-nomica che caratterizza sia gli economisti classici che quelli « volgari » è una concezione altrettanto riduttiva degli scopi, modalità e requisiti di una spiegazione scientifica nel campo delle scienze sociali. Vedremo in particolare che ciò che caratterizza specificamente gli « economisti bor-ghesi » rispetto a Marx, sotto questo profilo, è l'insoddisfacente coordi-namento tra spiegazione genetica ed S-funzionale.

In Smith i due punti di vista vengono semplicemente giustapposti per cui finiscono di contraddirsi tra di loro. In Ricardo invece la dimensione genetica viene radicalmente abolita. Gli « economisti volgari » infine, oltre a limitarsi alla sola dimensione S-funzionale, cadono anche in un piatto empirismo che li impegola in circoli viziosi ed in vuote tautologie, 7.2. La « visione » smithiana della struttura economica.

La teoria economica di A. Smith segna — secondo Marx — una svolta decisiva nella storia del pensiero economico perché, per la prima volta, supera l'unilateralità delle teorie precedenti, fra cui spiccano quel-la Mercantilista e quelquel-la Fisiocratica. Ciò risulta chiaro dall'esame com-parato delle rispettive teorie del valore che stanno a fondamento delle loro dottrine. Di qui risulta in particolare che l'unilateralità delle teorie 2. Le connotazioni distintive tra economia classica ed economia volgare, che abbiamo appena esposto, emergono già dalla definizione che Marx ci dà all'inizio del Capitale, ricordando che per « nesso interno » Marx intende le determinazioni proprie del processo di valorizzazione e per « nesso apparente » quelle proprie del processo lavorativo e soprattutto del processo di circolazione (vedi retro, II cap.): « Osservo una volta per tutte che per economia politica classica io intendo tutti gli studi economici, da W. Petty in poi, i quali hanno indagato il nesso interno dei rapporti borghesi di produzione, in contrasto con l'economia volgare; quest'ultima si aggira soltanto entro il nesso apparente, e torna sempre a rimu-ginare di nuovo, allo scopo di rendere comprensibili in maniera plausibile i cosid-detti fenomeni più grossi e di sopperire ai bisogni quotidiani borghesi, il materiale già da tempo fornito dall'economia scientifica: ma per il resto si limita a sistemare, render pedanti e proclamare come verità eterne le banali e compiaciute idee degli agenti di produzione borghesi sul loro proprio mondo, come il migliore dei mondi possibili ». (K. 1. 113. n.).

13-del valore dei Mercantilisti e dei Fisiocratici sono complementari, in quanto i secondi concepiscono il valore come mero valore d'uso (trascu-rando il valore di scambio), mentre i primi lo concepiscono come mero valore di scambio, anzi denaro (trascurando il valore d'uso). Ne conse-gue che la struttura economica dei Fisiocratici si riduce al solo processo lavorativo connesso con la sola circolazione delle merci (punto di vista del valore d'uso), mentre quella dei Mercantilisti si riduce alla sola circola-zione del denaro (punto di vista del valore di scambio). Smith effettua per la prima volta una sintesi tra queste due concezioni3, scoprendo la forma di merce come unità di valore d'uso e valore di scambio 4.

In Smith dunque, esiste già — in embrione — un modo di concepire la struttura economica che si fonda, come poi in Marx, sulla distin-zione tra valore d'uso e valore di scambio. Però il rapporto tra valore d'uso e valore di scambio non è — come in Marx — un rapporto orga-nico di opposizione polare ma una pura e semplice giustapposizione per cui « non coglie ancora la struttura internamente contraddittoria della merce nel suo complesso » 5. Ciò che vale per la struttura minima (forma di merce) si ritrova nella struttura complessiva nonché in tutte le sotto-strutture sia verticali che orizzontali. Ogni struttura cioè, è articolata sulla base di due determinazioni (o due categorie di determinazioni)

sem-3. Questo « modello dialettico » marxiano dello sviluppo della scienza econo-mica è indubbiamente troppo schematico ma estremamente stimolante (vedi I. '57. 191-192).

4. « La determinazione del plusvalore dipende naturalmente dalla forma nella quale è concepito il valore stesso. Nei sistemi monetario e mercantilista esso si presenta come denaro-, nel sistema fisiocratico come prodotto della terra, come pro-dotto agricolo; infine in Adam Smith come merce pura e semplice. Nella misura in cui i fisiocratici giungono alla sostanza del valore, questo si risolve per essi interamente in semplice valore d'uso (materia), come per i mercantilisti nella sem-plice forma di valore, forma in cui il prodotto appare come lavoro sociale generale, cioè come denaro; nello Smith le due condizioni della merce, valore d'uso e valore di scambio, sono riassunte. [...] Rispetto ai fisiocratici, A. Smith ristabilisce il valore del prodotto come l'elemento essenziale della ricchezza borghese, ma d'altra parte respinge la forma puramente fantastica — oro e argento — in cui il valore appare ai mercantilisti. Ogni merce è in sé denaro ». (STE. 1. 272).

5. La frase continua con queste interessanti osservazioni di carattere storico: « Ciò corrisponde al livello della produzione che egli aveva presente, dove il lavo-ratore possedeva ancora direttamente nel suo prodotto una parte della sua sussi-stenza: dove né la sua intera attività, né il suo intero prodotto erano diventati un'attività e un prodotto dipendenti dallo scambio; dove dominavano ancora in misura notevole sia l'agricoltura di sussistenza (o qualcosa di simile, come Steuart la chiama) sia l'industria patriarcale (tessitura manuale, filatura a domicilio e colle-gata all'agricoltura); dove ancora lo scambio su scala nazionale riguardava soltanto le eccedenze e il valore di scambio e la determinazione attraverso il tempo di lavoro non si erano ancora pienamente sviluppati su scala nazionale ». (G. 1. 113-114).

plicemente giustapposte, una delle quali corrisponde al punto di vista del valore d'uso e quindi della realtà fenomenica e dei suoi nessi apparenti, mentre l'altra corrisponde al valore di scambio o meglio allo stesso « va-lore » 6, cioè all'essenza del sistema borghese ed alle « sue intime connes-sioni organiche » 7.

L'incapacità del pensiero smithiano di cogliere l'essenza delle traddizioni reali del modo di produzione capitalista (cioè la interna tradditorietà della struttura della merce), genera tutta una serie di con-traddizioni formali nella sua teoria. In particolare, come abbiamo già accennato, le determinazioni del processo di valorizzazione, del processo lavorativo e del processo di circolazione vengono fatte pacificamente coe-sistere come se non esistesse tra di loro quella sistematica distinzione e contrapposizione metodologica messa chiaramente in risalto da Marx.

Ci limiteremo a fare due esempi che illustrino quanto abbiamo detto finora, e cioè a) il concetto smithiano di « lavoro produttivo » e b) il dogma secondo cui « il valore delle merci si risolve, in ultima istanza, interamente in salario, profitto e rendita ».

6. Solo con A. Smith si può cominciare a parlare rigorosamente di valore come categoria distinta dal valore di scambio, poiché solo con A. Smith la fonte produt-tiva di ogni ricchezza viene identificata nel lavoro astratto e non più in una speci-fica attività lavorativa: « Un enorme progresso lo compì Adam Smith, rigettando ogni specificazione dell'attività produttrice di ricchezza e considerandola lavoro senz'altro: non manifattura, né lavoro commerciale, né lavoro agricolo, ma tanto l'uno quanto l'altro. Con l'astratta generalizzazione dell'attività produttrice di ric-chezza, noi abbiamo ora anche la generalizzazione dell'oggetto definito come ricchez-za, e cioè il prodotto in generale o, ancora una volta, il lavoro in generale, ma come lavoro passato, oggettivato. Quanto questo passaggio sia stato difficile e di grande portata risulta dal fatto che Adam Smith stesso ricade di nuovo, a volte, nel sistema fisiocratico ». (I. '57. 192).

7. Tutto ciò è molto ben chiarito dal seguente passo di Marx: « Smith stesso, con grande ingenuità, si muove in una contraddizione permanente. Da un lato, egli persegue la connessione intima delle categorie economiche, o la struttura oc-culta del sistema economico borghese. Dall'altro, accanto a questa connessione intima egli pone la connessione come è data apparentemente nei fenomeni della concorrenza, cioè come si presenta agli occhi dell'osservatore non scientifico, o di chiunque sia in pratica prigioniero o interessato nel processo della produzione bor-ghese. Questi due modi di concepire, di cui l'uno penetra nell'intima connessione, nella fisiologia, per così dire, del sistema borghese, mentre l'altro si limita a descri-vere, catalogare, raccontare, ridurre sotto determinazioni concettuali schematizzanti ciò che esteriormente si manifesta nel processo della vita, così come appare e si mostra, nello Smith non solo coesistono pacificamente l'uno accanto all'altro, ma si incrociano e contraddicono di continuo. [...] Ora, i successori (di Smith), a meno che non rappresentino, di fronte a lui, la reazione di concezioni antiche, superate, possono procedere indisturbati nelle proprie ricerche di dettaglio e nelle proprie considerazioni, e continuare a considerare Adam Smith come il loro fondamento, sia che si ricolleghino alla parte esoterica o a quella essoterica della sua opera o che le frammischino, come avviene nella maggior parte dei casi ». (STE. 2. 12).

a) Lasciamo parlare innanzitutto Marx: « Come al solito, anche nella determinazione di ciò che egli chiama lavoro produttivo in contrapposi-zione al lavoro improduttivo, lo Smith è a due facce. Noi troviamo in lui giustapposte due determinazioni di ciò che egli chiama lavoro produt-tivo » \

Le due determinazioni sono le seguenti:

a') è produttivo il lavoro che si scambia direttamente con il capitale ed improduttivo il lavoro che si scambia direttamente con un reddito. In altre parole è produttivo quel lavoro che crea un plusvalore per il capita-lista che l'impiega, mentre è improduttivo quel lavoro che genera sem-plicemente la soddisfazione di un bisogno del consumatore: « il primo crea un plusvalore; nel secondo si consuma un reddito » 9;

a") « la seconda definizione smithiana di lavoro produttivo e impro-duttivo o meglio la definizione che si trova sempre confusa con l'altra, si riduce a questo, che è lavoro produttivo quello che produce merce, im-produttivo quello che non ne produce » 10.

La prima definizione smithiana di lavoro produttivo ed improduttivo, esplora il nesso interno della struttura della società borghese, cioè il li-vello in cui emergono le determinazioni sociali e storiche. Vi è già in

nuce l'esatta comprensione delle caratteristiche qualificanti del processo di valorizzazione borghese 11.

Nella seconda definizione si perdono invece le determinazioni che in-dividuano la specificità storica del lavoro produttivo in una società ca-pitalista: « La merce è una forma più elementare della ricchezza borghe-se. La definizione di " lavoro produttivo " come lavoro produttivo di " merci ", esprime quindi un punto di vista molto più elementare che non la definizione di lavoro produttivo come lavoro produttivo di ca-pitale »12.

A questa seconda definizione si rifarà l'economia volgare per effettua-re un'ulterioeffettua-re riduzione e consideraeffettua-re produttivo qualsiasi lavoro che produce un qualsiasi effetto utile cioè il lavoro come condizione eterna

8. STE. 1. 249. 9. STE. 1. 254. 10. STE. 1. 268.

11. « Dove ogni lavoro in parte si paga ancora da sé, come per esempio il lavoro agricolo del servo della gleba, in parte si scambia direttamente col reddito, come il lavoro manifatturiero delle città asiatiche, non esiste né capitale né lavoro sala-riato nel senso dell'economia borghese. Queste definizioni non sono dunque ricavate dai risultati materiali del lavoro, né dalla natura del suo prodotto, né dal rendimento del lavoro come lavoro concreto, ma dalle forme sociali determinate, dai rapporti sociali di produzione in cui quelle definizioni stesse si realizzano ». (STE. 1. 254).

del ricambio materiale tra uomo e natura (punto di vista del mero