4.10 (Segue) Le tesi della dottrina e della giurisprudenza.
4.12. Le considerazioni conclusive di Bove e la soluzione contraria di Orsenigo.
Giunti alla fine di questo capitolo, importanti sono le considerazioni che Bove fa sulla citata monografia di Colesanti.
Ciò che, a giudizio di Bove, maggiormente si apprezza di essa è “l’aver colto tutte le difficoltà del problema. Lo dimostra il fatto che, anche se in essa è suggerita una soluzione che vuole essere coerente con le premesse di principio sulla sopravvivenza al pignoramento del
97 Colesanti, op. ult. cit, p. 622; 98 Colesanti, op. ult. cit, p. 623; 99
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sinallagma funzionale, non si dimentica neanche, però, che una norma come l’art. 2917 c.c. potrebbe anche portare su altra via100.
Questa consapevolezza, a parere di Bove, risulta evidente nelle stesse parole di Colesanti: “La soluzione poc’anzi esposta per il grave problema qui considerato, è di quelle che si lasciano preferire da chiunque intenda restare coerente e conseguente alla premessa accolta, che il pignoramento di crediti nascenti da contratto a prestazioni corrispettive non altera il sinallagma funzionale; ma è in pari tempo una conclusione di quelle che esigono la consapevolezza, nell’interprete, che una rigida applicazione letterale dell’art. 2917 cod. civ. potrebbe condurre anche ad una soluzione opposta, ancorché in dispregio della premessa enunciata”101.
In sostanza, allo stato attuale delle riflessioni della dottrina sull’argomento, l’unico modo per salvare, sia la coerenza del ragionamento, sia la lettera dell’art. 2917, sembrerebbe quello di cambiare le premesse.
Infatti le difficoltà di interpretazione si pongono solo se si vuol sostenere che il credito pignorato non si astrae dal rapporto da cui trae origine, difficoltà che sparirebbero se si partisse dalla premessa
100 Bove, Dell’espropriazione presso terzi, in BOVE-CAPPONI, MARTINETTO-SASSANI; Effetti sostanziali del pignoramento; in Giur. Sist. di dir. proc. civ. diretta da A. Proto Pisani, Torino, 1988, p. 397;
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opposta. Soluzione , questa, prospettata da Orsenigo in uno studio sull’art. 148 c.c.
L’art. 148 c.c. rappresenta un tipico esempio della c.d. azione diretta, di quella azione che “proposta da un soggetto per conseguire da un terzo, cui non è legato da alcun rapporto obbligatorio, ciò che avrebbe potuto ottenere dal proprio debitore, a sua volta creditore del terzo”102.
Secondo l’autore, questa azione, in quanto strumento satisfattivo invito debitore, richiamerebbe l’assegnazione dei crediti ex art. 553 c.p.c. ma non è da confondere con uno strumento esecutivo quale il pignoramento di crediti, anche se i due istituti possono sembrare simili.
Tuttavia, questa similitudine, ha portato Orsenigo ad operare un paragone tra detti istituti, proprio quando ha analizzato, nell’ambito dell’art. 148 c.c., la possibilità per il debitor debitoris di utilizzare contro il creditor creditoris, che fa valere il suo diritto al concorso nel mantenimento della prole, gli strumenti del sinallagma funzionale, immaginando che il debito del primo soggetto nasca da un contratto a prestazioni corrispettive con l’obbligato principale al mantenimento.
A tale proposito, Orsenigo, ha sostenuto che l’inapplicabilità dell’art. 2917 c.c. all’azione diretta permette di affermare che “qualora il creditor creditoris acquisti il diritto ad ottenere l’adempimento dell’obbligazione contrattuale da parte del terzo debitore, gode di un
102 Orsenigo, Il terzo debitore nell’azione diretta del coniuge a tutela del diritto al mantenimento della prole (art. 148 cod. civ.), in Dir. Giur. 1982, p. 283, nota 39;
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diritto che trova e mantiene la ragione della sua esistenza nel rapporto contrattuale di provvista e ne segue le sorti103”.
In conclusione, secondo l’autore in discorso, il credito acquistato dal coniuge con la procedura di cui all’art. 148 c.c., non è astratto dal rapporto sottostante, “per aversi astrazione, ad avviso di Orsenigo, sarebbe necessario applicare l’art. 2917 c.c.”104, mentre astratto è il credito oggetto di pignoramento ex at. 543 c.p.c. e di successiva assegnazione ex art. 553 c.p.c105.
103 Orsenigo, Il terzo debitore nell’azione diretta del coniuge a tutela del diritto al mantenimento della prole (art. 148 cod. civ.), in Dir. Giur. 1982, p. 292;
104 Orsenigo, op. ult. cit, p. 292; 105
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CONCLUSIONI
E’ lecito osservare come nelle continue ed incessanti riforme processuali che si sono susseguite per vari decenni, l’espropriazione di crediti fosse stata sostanzialmente lasciata in disparte, con solo qualche sporadico intervento modificativo di una normativa rimasta per lo più inalterata.
La difficoltà nel tentare di dare una risposta a questo, può solo portarci a credere, che l’intento del legislatore era quello di non turbare un equilibrio faticosamente raggiunto nei secoli, ritenendo che alla fine la disciplina esistente potesse andare bene così, ritenendo la tutela esecutiva offerta da essa meno inefficiente di altre ; ovvero non vi si è prestata particolare attenzione dinnanzi ad altre e più manifeste esigenze.
Oggi, tuttavia, l’espropriazione di crediti è divenuta oggetto della spinte riformatrici dei tempi attuali.
Già nel 2006 , e poi successivamente con la cosiddetta “strenna natalizia” del 2012 la disciplina ebbe a subire notevoli mutamenti; talora chiarificatori di antiche ma perduranti incertezze; per atri aspetti, invece, determinativi di un aggravio della condizione del debitor debitoris.
Evidentemente, le già introdotte modifiche non sono sembrate sufficienti a conseguire quella che era la loro finalità giustificativa,
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ossia una maggiore snellezza, e quindi auspicabile celerità dell’iter espropriativo, pur con il già attuato sacrificio di un vero accertamento della sussistenza del credito aggredito. Ed ecco così dar vita ad una nuova serie di innovazioni sempre nell’intento di semplificare, che però si è tradotto nel dar vita a complicazioni di non agevole soluzione, specialmente in ordine alla situazione di chi si vorrebbe “estraniare” dall’iter espropriativo, ma ne è coinvolto al punto di apparirne come “vero” protagonista.
E’quindi una realtà indiscutibile il fatto che il fiorire dell’espropriazione di crediti, in correlazione con la progressiva e crescente importanza del credito come “bene”, è inconcepibile senza comportare una certa invasione della sfera giuridica del terzo debitor debitoris.
Il vero problema sono i limiti di questa invasione; l’esigenza che essi tengano conto del fatto che, se il debitor debitoris, per la posizione di diritto sostanziale che riveste, non può non essere coinvolto nell’iter di attuazione della sanzione esecutiva a carico del suo creditore diretto, soggetto dell’esecuzione, egli è però terzo estraneo alla sanzione medesima, cui non è affatto soggetto, e quindi egli non vorrebbe vedersi addossare responsabilità, oneri, doveri , giustificabili solo in quanto necessari alla stessa configurabilità della tutela esecutiva avente ad oggetto il credito.
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Risulta evidente il programma che sta alla base degli interventi riformatori, sia del 2012 e sia di quelli più recenti: accelerare l’espropriazione mirandone a semplificarne l’iter attuativo, eliminandone tutti quegli aspetti valutati come non essenziali al risultato perseguito ossia alla soddisfazione dell’avente diritto.
Se le cose andassero come quanto prospettato sopra, non può negarsi la rispondenza dell’assetto configurato alla finalità avuta di mira. Al terzo viene chiesta una collaborazione che si concreta nell’evidenziare quello che egli sa, e fino a questo punto potrebbe anche non esserci una ragione plausibile perché egli si rifiuti di prestarla.
Per terzo debitor debitoris può reputarsi indifferente adempiere nei confronti di chi era suo creditore diretto ovvero a chi lo divenga in grazia di un trasferimento che lasci comunque il credito così com’era; quello che interessa è che la solutio, quando avvenga, sia dotata di efficacia liberatoria.
Tutto si complica quando, al contrario, l’andamento ipotizzato dell’espropriazione di crediti, non trova riscontro nella realtà delle singole vicende. Riaffiora qui quello che potrebbe chiamarsi l’eterno contrasto tra esecuzione e accertamento, ossia, l’invasione della sfera giuridica altrui, che l’attività esecutiva trae con se in funzione dell’auspicabile celerità del suo iter attuativo, sembra far premio rispetto a un effettivo pieno accertamento della corrispondenza alla realtà di quanto si va compiendo.
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L’invasione dell’altrui sfera giuridica che l’attività esecutiva comporta, postula il previo accertamento della sua legittimità, ma se si aspira ad assicurarne un celere svolgimento non si può non disancorarla da una acquisita piena certezza, accontentandosi di quel che possa agevolmente intendersi.
In fondo, è più o meno sempre stato così, e la stessa esperienza nella sua genesi e successiva evoluzione del titolo esecutivo, ne è la conferma; non a caso già due secoli addietro era posto in luce come, in sede esecutiva si agisca “senza riguardo al se la prestazione portata dal titolo effettivamente sussiste”.
Da notare però che nell’espropriazione di crediti vi è un terzo, estraneo alla sanzione portata dal titolo, e del quale si pretende che sia debitor debitoris; senza averne preventiva certezza e pur già ab initio destinatario di atti incidenti nella di lui sfera giuridica con l’imposizione di oneri suscettibili di gravose conseguenze.
Anche l’affidarsi al meccanismo della non contestazione può condurre a vedere nel credito che sia da ritener così “accertato” quel che un’illustre giurista dei tempi d’oro avrebbe chiamato una mera “creazione processuale”.
Per porre rimedio all’incertezza venutasi a determinare, il legislatore d’altri tempi aveva con vari espedienti dato vita a quel che poi si è chiamato accertamento giudiziale dell’obbligo del terzo; che è
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precisamente quello che le recenti riforme normative avevano inteso sopprimere.
Tuttavia, attraverso le novità portate dall’ ultimo intervento riformatore (d.l. 27 giugno 2015, n.83, convertito, con modificazioni, nella l. 6 agosto 2015, n. 132) si ha l’idea di veder risorgere qualcosa di somigliante, pur nei limiti di una cognizione in sede esecutiva, all’accertamento dell’obbligo del terzo che la riforma del 2012 aveva inteso eliminare.
E’ infatti precisato che, se a seguito della mancata dichiarazione del terzo o dell’insorgere di contestazioni su quella resa “ non è possibile l’esatta identificazione del credito” occorre procedervi mediante i necessari accertamenti cui è chiamato il giudice dell’esecuzione “nel contradditorio tra le parti e con il terzo”. Se sorgono contestazioni, è lo stesso giudice dell’esecuzione “che le risolve compiuti i necessari accertamenti”, parrebbe in via sommaria e con ordinanza anche qui avente effetti circoscritti ai fini del procedimento in corso (e dell’esecuzione fondata sull’assegnazione che dovrebbe farvi seguito, a secondo dell’esito dei predetti accertamenti).
Tuttavia al di là di ogni commento, la realtà che ne emerge pare una sola: ancora una volta lo svincolo dell’attività esecutiva dalla previa esigenza di certezza.
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In tutto questo scenario chi ne esce sempre sconfitto, subendo le conseguenze di una carenza della cognizione è sempre il terzo, estraneo alla sanzione esecutiva che si vuole attuare, e che avrebbe ben diritto ad un accertamento pieno della propria situazione giuridica e di quanto correlato al suo preteso obbligo.
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