8. IL PRESTATORE DI ULTIMA ISTANZA
8.4 Considerazioni conclusive
Ovviamente le critiche rivolte a chi sostiene che vi debba sempre essere un prestatore di ultima istanza non sono infondate: se si è detto che la regola è che i mercati devono cavarsela da soli e che gli investitori sono responsabili delle proprie azioni, perché contemplare eccezioni alla regola? Il rischio che si corre è di relativizzare la regola e di creare un precedente che potrebbe di fatto dar vita ad una nuova regola, quella cioè che non occorre essere responsabili nei propri affari, tanto arriverà sempre qualcuno a salvare il mercato quando si trova nei pasticci.
Tuttavia non si possono dimenticare le parole, di grande saggezza e buon senso, di Bagehot su questo tema: “vi sono momenti in cui non si possono infrangere regole e precedenti; ve ne sono altri in cui non è possibile rispettarli senza inconvenienti” (Thomas Joplin, Case for Parliamentary
Inquire into the Circumstances of Panic, in a Letter to Thomas Gisbourne, Esq., M.P., F. Ridgeway
& Sons, Londra s.d. (posteriore al 1832), p.29).
Vi è un paradosso in quanto visto finora: la banche centrali dovrebbero agire in una certa maniera (cioè, concedere prestiti liberamente) per arrestare il panico, ma in modo diametralmente opposto (ovverosia abbandonare il mercato a se stesso) per migliorare le possibilità del sistema economico di prevenire il panico nel futuro.
prevenire una evitabile deflazione, ma lasciare sempre il dubbio che gli aiuti non arrivino affatto, o comunque non arrivino in tempo (anche la tempistica nell'evoluzione di una crisi è qualcosa di fondamentale: avere i soldi oggi piuttosto che domani spesso cambia tutto!): questo per instillare prudenza negli speculatori. Probabilmente la ricetta migliore per affrontare una crisi è qualcosa di questo genere: una sorta di compromesso, un equilibrio in grado di bilanciare esigenze diverse e in conflitto. I governatori delle banche centrali dovrebbero essere dei veri artisti per trovare questo equilibrio e creare armonia quando regna il panico e la confusione!
Conclusioni
Quello dell'indipendenza delle banche centrali è sicuramente un tema molto delicato, che pone non pochi problemi nella teoria e nella pratica, tanto agli elettori quanto alle autorità.
Una maniera forse un po' audace, ma certo interessante, per affrontare questo tema è riconsiderarlo a partire dal mito di Prometeo. Il messaggio che emerge da una versione di questo mito è che lo sviluppo tecnico ed economico non può prescindere dallo sviluppo civile. Infatti, secondo il mito, in origine l'uomo era la più debole tra tutte le creature: era una facile preda delle fiere e soccombeva alle insidie della natura. Allora Prometeo, per evitare l'estinzione della specie, fornì agli uomini l'arte del fuoco e del sapere tecnico, sottratte agli dèi. E tuttavia neppure questa sapienza era in grado di rendere sicura e, soprattutto, serena la vita per uomini che vivevano isolati, quindi incapaci di darsi un'organizzazione. Ecco allora che Zeus, impietositosi per la loro sorte, elargì agli uomini il dono della politica e del vivere sociale, che avrebbe permesso loro di godere del rispetto reciproco e della giustizia, e poter organizzare e controllare il potere della tecnica. È il caso di domandarsi, in una versione moderna del mito, a quale delle due categorie di doni appartengano l'arte della moneta, della banca e della finanza: tra i doni di Prometeo o tra quelli di Zeus? Devono essere considerate tecniche e strumenti in senso stretto o piuttosto istituzioni necessarie, rivolte a perseguire il bene comune e la convivenza civile?
Se ammettiamo che si tratta di istituzioni necessarie, evidentemente necessitano di organizzazione e regolamentazione per servire degnamente il bene comune. In quest'ottica, occorre superare la visione delle crisi come fenomeni di disordine e di caos: si tratterà allora di inquadrarle come conseguenze (inevitabili?, difficile dirlo...) dei processi di innovazione finanziaria, con il loro potenziale destabilizzante, e delle dinamiche di cambiamento istituzionale messe in atto al fine di ripristinare un qualche nuovo ordine. In questo senso, le crisi vanno viste come tappe inevitabili di un percorso evolutivo di trial and error, nel quale i tentativi di apprendimento sono rivolti ad evitare che le crisi si ripetano; o se pure dovessero ripetersi, si vorrebbe che almeno non presentassero la
stessa intensità e le medesime difficoltà delle crisi precedenti. Le crisi possono così essere considerate un faticoso processo di costruzione sociale, di mutamento delle abitudini produttive, e di adattamento istituzionale ai nuovi contesti. E gestire una crisi in corso diventa un'arte: con riferimento ai temi trattati in questa sede, si può giustamente parlare, insieme a Hawtrey, “dell'arte di condurre una banca centrale”.
Qui emerge un aspetto importante delle scienze economiche in generale: nel corso della storia del pensiero economico, alcuni hanno tentato di rendere l'economia una scienza (un errore, secondo l'opinione di chi scrive). C'è chi ha trasformato l'economia addirittura in una religione, con le sue costruzioni teoriche che si fondano su assiomi e dogmi accettati come una verità che non si discute (anche se taluni non sempre appaiono del tutto ragionevoli...). La verità è che governare l'economia, trovare la quadra del cerchio ossia soddisfare bisogni infiniti in un mondo finito, è semplicemente una forma d'arte.
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Entries: Bank of England, central bank independence, gold standard, inflation, inflation targeting The New Palgrave Dictionary of economics, Second Edition, Edited by Steven N. Durlauf and Lawrence E. Blume