4. CBI, INFLAZIONE, SALARI E SINDACAT
4.4 Il ruolo dei sindacat
4.4.3 E se fosse il sindacato a odiare l'inflazione?
Ciò che distingue la letteratura recente sull'argomento dai modelli del passato è l'introduzione dell'avversione all'inflazione all'interno della funzione di utilità del sindacato. La motivazione generalmente fornita per giustificare l'aggiunta di questa variabile è molto solida: un sindacato monopolista (come quello introdotto nel modello di cui sopra) finisce per rappresentare la maggior parte della società, che è per lo più avversa all'inflazione. Se l'assunzione di un sindacato avverso all'inflazione appare ragionevole nei modelli con un sindacato monopolista, essa può apparire meno giustificata nei modelli con molti sindacati più piccoli, dove viene comunque adottata.
Questa variabile addizionale dell'avversione all'inflazione del sindacato cambia radicalmente il quadro. Poiché i soggetti che concorrono alla determinazione dei salari non gradiscono l'inflazione, essi modereranno le loro richieste di salari reali; agendo in questo modo infatti riducono l'incentivo della banca centrale a ricorrere alla sorpresa inflazionistica. In sintesi, i sindacati avversi all'inflazione trasformeranno le variabili reali all'equilibrio in una funzione che dipende dall'assetto istituzionale, come il grado di conservatorismo della banca centrale dato un certo grado di indipendenza. Allora quanto più la banca centrale è conservatrice, tanto più basso sarà l'output e tanto più alto sarà il tasso di disoccupazione nella situazione di equilibrio.
Per illustrare quanto detto, si consideri un semplice modello in cui, ad un primo stadio, un sindacato monopolista stabilisce i salari nominali prima che, al secondo stadio, la banca centrale individui il tasso d'inflazione in grado di minimizzare la sua funzione di perdita. Tale funzione riprende la (1) ma, trascurando gli indici temporali, si ha:
Lcb=1 2⋅π 2 +χ 2⋅(y−^y ) 2 (7) dove χ è una costante positiva, y è l'output (ossia il livello di produzione), ^y è l'output obiettivo della banca centrale e π è il tasso d'inflazione definito come differenza tra il livello dei prezzi presente e il livello dei prezzi dell'ultimo periodo ( p−p−1 ).
L'output è funzione del salario nominale w, fissato dal sindacato, e del livello dei prezzi p. Quest'ultimo è fissato implicitamente dalla banca centrale nel momento in cui sceglie il tasso d'inflazione; invece i prezzi dell'ultimo periodo considerato ( p−1 ) sono esogeni.
La domanda di lavoro dovrà soddisfare la condizione che il livello di salario reale w− p sia uguale al prodotto marginale del lavoro l:
w− p=∂y
∂l (8)
Dall'equazione (8) è possibile derivare l'output in forma generale così come segue:
y=~y+ϑ⋅( p−w) (9)
dove, ad esempio in caso di una funzione di produzione Cobb-Douglas, ~y e ϑ>0 sono costanti.
Assumiamo per semplicità che sia ϑ=1 , ma il modello vale per qualsiasi valore di ϑ. Definiamo poi il salario reale come wr=w−p . Sia inoltre w^r il salario reale che si ottiene in un mercato del lavoro perfettamente competitivo e sia ^y il livello di produzione di piena occupazione; ^y è anche il livello di produzione obiettivo della banca centrale. Date queste premesse è possibile riscrivere l'equazione (7) come segue:
Lcb =1 2⋅π 2 +χ 2⋅( ^wr+wr+π+p−1) 2 (10) Dall'ultima equazione è possibile derivare la funzione di reazione della banca centrale, che fornisce il tasso d'inflazione che si registrerà in un certo paese. La funzione è espressa nel seguente modo:
π= χ
1+χ⋅(wr+ π e
− ^wr) (11) dove abbiamo supposto che w=wr+pe . Se vale la teoria delle aspettative razionali si avrà
π=πe . Si consideri adesso il concetto di premio del salario reale, ossia wr− ^wr : si tratta della differenza tra il salario reale effettivo che si forma sul mercato del lavoro controllato da un sindacato monopolista ed il salario reale in grado di garantire la piena occupazione. L'inflazione di equilibrio sarà una funzione positiva del premio del salario reale wr− ^wr e del grado di
conservatorismo della banca centrale. Dunque:
π=χ⋅(wr− ^wr) (12) Il sindacato tiene in considerazione la funzione di reazione della banca centrale nel momento in cui fissa il livello dei salari nominali nel primo stadio del gioco. Il sindacato determina i salari in modo da minimizzare la sua funzione di perdita di periodo che presenta la seguente forma:
Lu=E[−2⋅(w−p)+ρ⋅( y− ^y )2+ ψ⋅π2] (13) dove ρ, ψ⩾0 sono parametri e E sono le aspettative degli operatori. L'utilità del sindacato è crescente rispetto ai salari reali e decrescente rispetto alle deviazioni dell'output (o, equivalentemente, dell'occupazione) dal suo livello di first best (ossia dalla situazione di pieno impiego). Occorre aggiungere, poi, che se ψ>0 allora il sindacato è avverso all'inflazione. Dal momento che il sindacato sceglie sia il livello di salario nominale che, attraverso l'equazione (11), i prezzi, conviene esprimere il suo comportamento in termini di premio del salario reale. Derivando l'equazione (13), utilizzando l'equazione (12), e operando le dovute sistemazioni, otteniamo il premio del salario reale nella situazione di equilibrio:
wr− ^wr= 1
ρ+ ψ⋅χ2 (14) Il premio ci permette di determinare anche l'inflazione e l'output. Sostituendo l'equazione (14) nell'equazione (12) si può osservare che il tasso d'inflazione è:
π= χ
ρ+ ψ⋅χ2 (15) e, poiché l'equazione (9) implica che y−^y = ^wr−wr , l'output di equilibrio può essere scritto così:
y= ^y− 1
ρ+ ψ⋅χ2 (16) Il premio del salario reale e l'inflazione sono decrescenti, mentre l'output è crescente, rispetto alla preferenza del sindacato per l'output (o, analogamente, per l'occupazione) ρ. Ma il risultato più interessante è che il conservatorismo della banca centrale ha effetti reali negativi se e solo se il
sindacato è avverso all'inflazione. Infatti se ψ>0 (e ciò significa che il sindacato è avverso all'inflazione), una riduzione di χ (ossia una diminuzione del grado di conservatorismo della banca centrale) riduce il premio del salario reale domandato dal sindacato e, di conseguenza, fa sì che aumenti l'output. Il conservatorismo della banca centrale, dunque, cessa di essere un 'pasto gratis'. Alla base di tutto questo vi è il fatto che, come è stato indicato da Cubitt (1992), l'incentivo del sindacato ad internalizzare le conseguenze inflazionistiche di un salario reale eccessivamente alto saranno tanto più basse quanto più la banca centrale è avversa all'inflazione. In altre parole, se la banca centrale smette di combattere l'inflazione, è più probabile che il sindacato internalizzi le conseguenze inflazionistiche degli alti salari. Se il sindacato fosse indifferente all'inflazione ( ψ=0 ) si ritornerebbe alle teorie tradizionali sull'argomento. Ma con l'ipotesi di un sindacato avverso all'inflazione, i risultati dei modelli risalenti a Barro e Gordon (1983) e Rogoff (1985) risultano ribaltati: un banchiere centrale liberale potrebbe favorire la crescita economica molto più di uno conservatore!