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Alla luce di siffatte considerazioni, non è superfluo sottolineare nuovamente quanto sia difficoltoso fare convergere la concezione tradizionale di capacità con la nozione

Nel documento Consenso informato e responsabilità medica (pagine 185-189)

“me-dica” di “capacità di consentire alle cure” (nota, nel mondo anglosassone, come

competence-capacity)

47

. In particolare, nei Paesi di civil law l’impostazione tradizionale è quella che

45 Come osserva PICCINNI, op. ult. cit., 366, gli interpreti, nell’annoverare la capacità tre i requisiti neces-sari per poter validamente consentire o dissentire a un trattamento medico, hanno posto in dubbio il riferi-mento alla capacità legale di agire. Infatti, da un lato il soggetto capace legale di agire, ma incapace di intende-re e di voleintende-re non può validamente pintende-restaintende-re il proprio consenso, dall’altro, anche il soggetto incapace legale di agire, ma provvisto di una sufficiente capacità di discernimento, dev’essere coinvolto nella decisione che lo riguarda. A questo proposito, la dottrina si è spinta oltre, sostenendo che la capacità richiesta per il consenso al trattamento sanitario sia la “capacità di fatto” (NANNINI U.G., Il consenso al trattamento medico, cit. 405 ss. e 427 ss.).

46 Al riguardo, si riportano le osservazioni di FALZEA, voce «Capacità (teoria generale)», in Enc. del dir., VI, Milano, 1960, 8ss., il quale rileva che «intorno ad alcuni nuclei concettuali, che la tradizione scientifica ha cercato di isolare e di definire, esiste oggi, sul significato giuridico del termine capacità, una larga frangia di idee imprecise ed eterogenee, fonte di oscillazioni e di incertezze. Delle quali è responsabile in primo luogo il legislatore che, dopo avere delineato nei primi tre articoli del codice civile i concetti di capacità giuridica e di capacità di agire […] parla pure di capacità con riguardo a fenomeni di tutt’altro genere […]».

47 Nell’affrontare il tema della capacità e, nello specifico, della “capacità di consentire alle cure” (in sintesi, “capacità del paziente”), può risultare utile fornire alcune precisazioni linguistiche. A questo proposito, si ri-portano le considerazioni di SALVATERRA, Autodeterminazione e consenso nell’incapacità e capacità non completa.

Capacità e competence, in Trattato di biodiritto, diretto da S. Rodotà e P. Zatti, I diritti in medicina, a cura di L.

capa-ca la capa-capacità del malato nei termini di un’abilità decisionale di capa-carattere generale. In questa

prospettiva, essere un paziente capace significa essere in grado di prendere decisioni con

riguardo a un’ipotetica serie di trattamenti sanitari e a un’ipotetica gamma di circostanze

ambientali, temporali e relazionali (anch’esse generali). Siffatta capacità è presunta al

cità denota genericamente l’attitudine o abilità a fare qualcosa, abilità che nel linguaggio giuridico si traduce e si specifica nell’attitudine ad essere titolare di diritti e di doveri (c.d. capacità giuridica, ex art. 1, cod. civ.), e nella capacità di compiere tutti gli atti per i quali non sia stabilita un’età diversa dai diciotto anni (c.d. capacità di agire, ex art. 2 cod. civ.). L’Autrice si sofferma inoltre sull’analisi del concetto di capacità di prendere deci-sioni riferita all’ambito delle cure mediche. In particolare, la stessa fa riferimento al concetto (di matrice an-glosassone) di informability, traducibile come capacità di essere destinatari o recettori di informazioni, il quale denota un sistema complesso di abilità mentali, articolato principalmente in tre sottosistemi. Il primo di essi include un complesso di facoltà sensoriali che consentono al decisore di recepire i dati concernenti l’oggetto della scelta. Da un punto di vista strettamente clinico, la capacità di recepire le informazioni richiede un suffi-ciente funzionamento del sistema fisiologico, nonché di quello psichico: l’informability è infatti assente nei sog-getti che versano in una condizione di incoscienza per motivi fisiologici (coma) o psichici (autismo). Nel caso in cui il decisore sia il paziente, le informazioni riguardano la diagnosi, le strategie di cura praticabili e la pro-gnosi. Il secondo sottosistema si articola in un insieme di abilità mentali che consentono di comprendere le informazioni ricevute e selezionare, fra i dati recepiti e decodificati, quelli che assumono rilevanza immediata al fine dell’assunzione della scelta. Infine, il terzo sottosistema comprende un insieme di abilità mentali che consente al decisore di ricordare al momento dell’effettuazione della decisione i dati recepiti decodificati e se-lezionati. Un ulteriore componente costitutiva della capacità di prendere decisioni è quella della c.d. cognitive

and or affective capability (capacità cognitiva e affettiva), ove con cognitive capability viene indicata la capacità del

decisore di riconoscersi parte della situazione in cui si trova (con riguardo al paziente, si qualifica come capa-cità di riconoscere come proprie la malattia e le implicazioni che essa comporta, riconoscere se stessi come pazienti). Invece, rispetto alla dimensione affettiva (affective capability), la capacità di valutazione denota la facol-tà di attribuire un significato emotivo alle informazioni recepite in senso strettamente cognitivo, cioè di asse-gnare “un peso a un fatto, a un’informazione”. In sostanza, con riguardo alla capacità di prendere decisioni sulle cure, l’abilità di decodificare in termini morali la propria condizione di malattia rappresenta un elemento essenziale per arrivare a una scelta. In particolare, viene proposto il seguente modello relativo all’elaborazione delle informazioni che il paziente ricevere per giungere a una decisione: a) elaborazione del nucleo problematico (il malato dev’essere in grado di rimanere concentrato sul problema della scelta di un percorso terapeutico), b)

considerazione delle alternative (il paziente dev’essere in grado di tenere conto dell’intera gamma delle alternative

possibili; la focalizzazione ristretta a una sola alternativa, che escluda la considerazione delle altre, non favori-sce un processo deliberativo del tutto consapevole), c) considerazione e rappresentazione delle conseguenze (il paziente dev’essere in grado di considerare le conseguenze di ciascuna opzione, sia nell’immediato, sia per l’avvenire), d) valutazione delle probabilità delle conseguenze (il paziente dev’essere in grado di pensare alle implicazioni della scelta in termini di probabilità), e) valutazione delle conseguenze (il paziente dev’essere in grado di ponderare la desiderabilità delle possibili conseguenze e ordinarle gerarchicamente). Infine, l’ultima facoltà costitutiva del concetto di capacità decisionale alla quale viene fatto riferimento è il deciding, il quale consiste nell’abilità di ar-rivare a una scelta e nell’abilità di argomentare siffatta decisione con convinzione, cioè nell’avere consapevo-lezza delle motivazioni che hanno condotto a preferire un’opzione ad un’altra.

rere di determinate condizioni, consistenti, da un lato, nella maturità fisica, psichica ed

esi-stenziale dell’individuo (solitamente ricondotta al compimento dei diciotto anni), dall’altro,

nell’assenza di disturbi mentali, di natura psichica o fisiologica

48

. Tuttavia, si può notare

come quest’impostazione non sia adatta a regolare decisioni che devono essere assunte in

un contesto caratterizzato da malattia, da condizione di maggiore fragilità, da declino della

vitalità e delle forze fisiche, come quelle connesse al consenso informato in ambito medico.

In questo specifico settore, si rende infatti necessario superare la rigorosa contrapposizione

tra soggetti pienamente capaci e soggetti privi di siffatta qualità, effettuando il passaggio da

una concezione della capacità quale concetto generale e astratto ad una concezione

funzio-nale e/o elastica. In altri termini, la considerazione delle effettive capacità, nonché dei

biso-gni del paziente, è indispensabile, in primo luogo, per individuare le misure che assicurino

in concreto una protezione adeguata al soggetto “debole” e, nello stesso tempo, per

valo-rizzare al massimo le sue (eventuali) residue capacità, con il minore sacrificio possibile della

sua autonomia

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.

48 V. SALVATERRA, op. cit., 352 ss. L’Autrice rileva che nel dibattito anglosassone, l’opinione prevalente fra gli interpreti è quella di ritenere la capacità del malato una nozione specifica, mentre nella riflessione con-tinentale prevale la posizione volta a qualificare la capacità del paziente in termini generali. I sostenitori della

teoria specifica ritengono che la definizione della capacità del paziente faccia riferimento, da un lato, a una

deci-sione specifica, ossia inerente a un determinato atto medico, dall’altro, a un contesto specificamente caratte-rizzato (specifico è, secondo siffatta impostazione, il tempo di assunzione della scelta, specifico è il luogo in cui si svolge il processo di elaborazione dell’informazione sino al raggiungimento della scelta fra diverse pos-sibili opzioni, specifica è la rete di rapporti interpersonali che fanno da cornice all’effettuazione della scelta). In questa prospettiva, essere pazienti “capaci” significa quindi essere in grado di prendere decisioni rispetto a una determinata proposta diagnostico-terapeutica, in un determinato ambiente (sia di tipo strutturale, sia di tipo relazionale) e in un determinato lasso temporale. Ne consegue che la capacità del paziente non può esse-re pesse-resunta in esse-relazione all’età, ma dev’esseesse-re accertata di volta in volta dal sanitario che ha in cura il malato. La distinzione fra qualificazione specifica e qualificazione generale della capacità del paziente si estrinseca nel seguente modo: secondo la concezione generale, essere capaci di prendere decisioni circa le cure mediche si-gnifica possedere abilità mentali tanto sviluppate e funzionanti da consentire l’assunzione di una scelta in or-dine alla maggior parte dei trattamenti sanitari prospettabili rispetto al maggior numero di contesti ipotizzabili. Invece, secondo la teoria specifica, essere capaci di prendere decisioni significa possedere abilità mentali tanto sviluppate e funzionanti da consentire l’effettuazione di una scelta in merito a un trattamento sanitario speci-fico, peculiarmente circostanziato. Inoltre, siffatta distinzione, in termini fattuali, comporta le seguenti impli-cazioni nel momento della verifica empirica dell’una e dell’altra nozione: se si adotta un concetto generale, si deve necessariamente presumere il possesso di queste abilità; se invece si adotta un concetto specifico, si deve verificare di volta in volta il possesso di siffatte abilità.

6.2. Consenso informato e minori d’età

rente psichico” presuppone, da un lato, che anche in lui residuino spazi di autonomia e, dall’altro, valorizza il ruolo terapeutico della partecipazione del paziente alla cura. La possibilità o impossibilità di questa partecipa-zione non dev’essere più una conseguenza automatica della malattia mentale, ma deve dipendere invece dalle condizioni reali in cui il paziente versa e del tipo di malattia. Pertanto, si spezza la «correlazione necessaria tra malattia mentale/incapacità/totale inettitudine a dare il proprio consenso: anche nel malato di mente vanno ricercati e valorizzati quegli spazi di autonomia compatibili con la sua condizione». Vi sono inoltre alcune leg-gi che tengono conto di queste residue possibilità di autonomia del “sofferente psichico” con riguardo a de-terminati trattamenti medici. In particolare, si fa riferimento alla c.d. legge sull’aborto (l. 22.5.1978, n. 194), che all’art. 13 disciplina l’aborto dell’interdetta, prevedendo che la richiesta possa provenire anche dalla stessa (personalmente), che qualora provenga dal marito o dal tutore, debba essere confermata personalmente dalla donna e che, in ogni caso la richiesta del marito o del tutore contro la sua volontà non possa avere seguito. La legge sugli stupefacenti (l. 22.12.1975, n. 685), prevede che la richiesta di essere sottoposto ad accertamenti diagnostici e a interventi terapeutici o riabilitativi da parte della persona dedita all’uso di sostanze stupefacenti possa essere fatta personalmente dal minore o dall’incapace di intendere e di volere, oltre che dagli esercenti la potestà o la tutela (art. 95). Più dettagliata è la disciplina contenuta nella c.d. Convenzione di Oviedo, la quale pone il principio secondo cui un intervento su persona che non ha la capacità di prestare il proprio consenso può essere compiuto solo se le arreca un “diretto beneficio”; il consenso è espresso dal rappresentante o da altri soggetti od organismi previsti dalla legge dei singoli Stati. In ogni caso la persona interessata deve, nei limiti del possibile, prendere parte alla procedura e quindi ricevere l’informazione e dare il proprio assenso (art. 6). La regola è quella del consenso del legale rappresentante e, in aggiunta questo, e nei limiti in cui sia possibile, la ricerca del consenso e della partecipazione del paziente incapace alla terapia. Inoltre, è importante che sia posto un limite ai poteri del rappresentante, consistente nella liceità solo di quei trattamenti sanitari che comportino per il soggetto incapace un diretto beneficio: anche con l’assenso del rappresentante non so-no quindi ammissibili trattamenti futili, se so-non danso-nosi. Anche l’art. 7, dedicato alla protezione delle persone con “ disturbo mentale” prevede che queste possano essere soggette a interventi curativi senza il loro consen-so consen-solo se siano rispettate le procedure specifiche prescritte dalla legge e consen-solo se il mancato intervento porreb-be in serio pericolo la loro salute. Ulteriori indicazioni vengono altresì fornite dalla Raccomandazione del Comitato dei Ministri degli Stati Membri del Consiglio d’Europa, Rec. R(99)4 (Recommendation of the Committe of

Ministers to Member States on principles concerning the legal protection of incapable adults), adottata dal Comitato dei

mi-nistri il 23.2.1999, nella quale, con riferimento agli interventi in campo medico, si suggerisce ai governi degli Stati membri di procedere a riforme legislative che tengano conto del principio del consenso informato, ba-sandolo sulla necessità di ottenere l’assenso dell’adulto nel caso in cui questi abbia la “capacità di fatto” di prestarlo (principles 22 e 23). Infine, è doveroso menzionare le precisazioni contenute nel punto C IV. C. 8:108 (obligation not to treat without consent), del Draft Common Frame of Reference (DCFR), 2009, nel quale si stabilisce che « The treatment provider must not carry out treatment unless the patient has given prior informed consent to it. The patient may

revoke consent at any time. In so far as the patient is incapable of giving consent, the treatment provider must not carry out treat-ment unless: a) informed consent has been obtained from a person or institution legally entitled to take decisions regarding the treatment on behalf of the patient; or b) any rules or procedures enabling treatment to be lawfully given without such consent have been complied with; or c) the treatment must be provided in an emergency»; in questi casi «the treatment provider must not carry out treatment without considering, so far as possible, the opinion of the incapable patient with regard to the treatment and any such opinion expressed by the patient before becoming incapable».

6.2.1. Coinvolgimento del minore nelle decisioni concernenti lo stato di salute:

capacità di discernimento, livello di maturità e valorizzazione della capacità decisionale

Alla luce delle considerazioni di carattere introduttivo svolte nel paragrafo

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