Bruna Castellani
“Considerate che avevo 15 anni”: un libro scritto a quattro mani.
Mamma racconta se stessa e Anna Paola Moretti narra il contesto sto-rico, i luoghi, la memoria delle persone che hanno fatto da sfondo e contorno alla vicenda. Paola affronta i grandi temi: la deportazione per lavoro coatto, il lavoro schiavile, donne protagoniste ma lasciate ai mar-gini della storia sotto un velo di silenzio. Questo libro dà voce a tutte loro, a quelle che hanno in qualche modo patito la stessa sorte ma che non l’hanno voluta o potuta raccontare. Dà voce alle donne che grazie all’impegno profuso nella Resistenza, emersero dall’ombra del focola-re domestico dove troppo spesso la storia le ha focola-relegate.
Mamma è stata davvero incredibile! Un momento pascolava il suo agnello e inseguiva sogni e farfalle ed un attimo dopo, neppure 15enne, sfidava la sorte andando a spegnere le micce sul ponte a Chiaravalle, gesto giudicato poi, nella maturità, avventato e sconsiderato. Sfidò la sorte attraversando la campagna di notte, rischiando la cattura, le tor-ture e forse la morte, per portare soccorso al partigiano Nello Congiu ferito in uno scontro a fuoco. Con tutta la baldanza della sua giovane età sbeffeggiò i tedeschi che erano andati a casa cercando il fratel-lo Giacinto comandante partigiano: “Li sentite i cannoni?” disse fratel-loro; di questa frase si pentì finché ebbe vita perché a quelle sue parole attri-buì la reazione e quindi il suo arresto e quello del fratello Giorgio. Ma non avrebbe potuto essere altrimenti! era cresciuta respirando ideali mazziniani di libertà e di patria, in una casa dove il padre conosceva il latino, in una casa senza fronzoli, dove il mangiare buono e il sapere, lo studio, venivano prima di ogni altra cosa. In quella casa, dove si dava rifugio a chi ne aveva bisogno incuranti del pericolo di rappresaglia, cresceva una piccola grande donna e si fortificava sotto l’ala di una mamma risoluta, anticonformista, che, sposata e con una figlia, aveva sfidato la morale comune lasciando quel marito “birichino” e aveva poi conosciuto Giuseppe e insieme avevano creato una famiglia allargata.
15 anni appena compiuti, mamma affronta le tappe di un viaggio che condurrà lei e Giorgio in Germania, si trasforma in madre coraggio e prende per mano il fratello sfoderando forza d’animo per sostenere en-trambi, perlomeno fino a quando non furono separati.
Consideriamolo! che aveva 15 anni! E’ lei che ce lo chiede e vuole che siamo magnanimi. Mamma è stata campionessa di resilienza, di stra-tegia di sopravvivenza, di coraggio. 15 anni appena ed è fiera di man-tenersi con il proprio lavoro. Impegna mesi e mesi di misera paga per procurare di che coprire se stessa e Giorgio per affrontare il lungo in-verno in Germania. Sono partiti con abiti estivi, zoccoli ai piedi ed è il freddo che li accoglie a Norimberga. Il pensiero e l’approvazione della mamma che a casa si struggeva e li aspettava la sostenne ogni giorno;
la cura di sé, dell’aspetto, dei capelli, impedì a mamma di cedere; l’in-tuito, il saper discernere, le permisero di orientarsi nelle scelte da fare nella difficile situazione anche di convivenza con le altre prigioniere.
Il suo diario fu valvola di sfogo, appiglio per non lasciarsi consumare dall’angoscia, per restare in collegamento con la famiglia attraverso ri-cordi, sensazioni, pensieri e considerazioni sulla dura prova che stava affrontando. Se mai cedette allo sconforto fu solo per alcuni momenti...
riuscì in più occasioni a risollevare il morale a scegliere fra tante per-sone incontrate quelle che potevano esserle di aiuto e consolazione.
Custodì più che poté la fiamma della speranza che Giorgio in qualche modo se la potesse cavare. Il dolore più grande, quello per la morte del fratello, lo tenne per sé, con grande dignità non lo esternò, lo risparmiò a chi avrebbe poi letto il diario una volta tornata in Italia, lo tenne ben nascosto per tutto il resto della sua vita.
Guardo lo zio Giorgio in fotografia: vedo un ragazzo che sorride alla vita..., lo penso inerme, in abiti estivi, dormire all’aperto, quasi senza cibo, a scavare trincee a 20 gradi sotto zero, nel fango, nella neve. Fu così che, cagionevole di salute, separato dalla sorella, si abbandonò, vittima della cattiveria umana. Non aggiungo altro.
Mamma si sentì sempre in colpa per la morte di Giorgio. Lui era stato dichiarato non idoneo durante la visita medica a Forlì, ma ottenne di seguire la sorella da volontario per non lasciarla sola.
La tragedia non si esaurì con il ritorno a casa, la salute era compromes-sa, mamma tentò ma non riuscì a completare gli studi. I sogni si infran-sero e lei rimpianse quella che avrebbe potuto essere una vita dove ci fosse spazio, oltre la famiglia, anche per realizzare se stessa attraverso una professione. Non è stato facile essere figli di Magda, abbiamo re-spirato tutto quel dolore inespresso, i sensi di colpa, i rimpianti.
Ho letto e riletto il diario. In qualche modo quegli avvenimenti la attra-versarono senza cambiarne l’intima natura. Affinò ancora la sua
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cità di scrivere come dimostrano le lettere inviate a mio padre dove pensieri si accalcano come torrenti in piena, le parole scivolano, quasi danzano sulla carta... avrebbe potuto scrivere per ore ed ore. Non per-se la capacità di stupirsi, di sorridere alla vita, la fiamma della fanciul-lezza bruscamente interrotta l’8 luglio del ‘44 rimase accesa. Se ne sta-va in finestra a guardare l’acqua scrosciare durante i temporali, perché, diceva: “mi piace quando la natura si scatena”. Si appassionava nella lettura, gli occhi brillavano nel declamare poesie. “Leggi, leggimi cosa hai scritto” chiedeva a mia figlia. Non mancava mai un’occasione per riandare con la memoria a quei giorni vissuti nel lager, in fabbrica: “voi non sapete cosa sono il freddo e la fame”, diceva. Era sufficiente uno spunto e partiva il racconto, i
ri-cordi fluivano, la voce tremava, lo sguardo perso in un punto impre-cisato della stanza.... il racconto si interrompeva quando ricordare diventava troppo doloroso.
Quella narrazione mi manca, per-ché ora avrei il coraggio di chie-derle di più, di chiechie-derle di rac-contare anche il dolore, di non nasconderlo, di affrontarlo insie-me, di farsi consolare, di abbas-sarsi, lasciar passare il vento e poi rialzarsi.
Nei primi anni ‘80, spronata da noi tutti, mamma prese in mano le sue carte, gelosamente e sapiente-mente custodite, con il proposito di pubblicare il diario. Lo rilesse, lo valutò, poi cambiò idea e quando la interrogai disse che pubblicarlo
così com’era non aveva senso, che non sarebbe stato compreso, che mancava qualcosa, che lei non era in grado di completare il lavoro...
Così quelle carte preziosissime tornarono al sicuro nella scatola di latta dove riponeva le cose importanti.
Poco prima di morire mamma affidò i suoi scritti al figlio maggiore (Gior-gio), che dopo alcuni anni ne fece fotocopie e me le passò affinché
le leggessi. Non andai mai oltre le prime pagine. Che cosa conteneva che già non conoscessi? Cosa poteva ancora raccontarmi mamma di se stessa? Mi stavo proteggendo da quel dolore che lei non aveva mai voluto esprimere? Ma, soprattutto, lei avrebbe voluto che lo leggessi?
Quel blocchetto di ricevute dove lei appuntava i suoi pensieri non ho ancora avuto il coraggio di prenderlo in mano ed ho letto interamente il diario solo quando era praticamente prossimo alla pubblicazione, l’ho letto con lo sguardo di una figlia, mi sono accostata a quelle pagine con la commozione di chi si avvicina a qualcosa di unico e prezioso.
Ho cercato a lungo, mamma, nel suo diario, ho soppesato ogni parola, ho visualizzato i luoghi, ho immaginato.... ho cercato di percepire il fred-do, i tormenti, le speranze.... da quelle pagine continua a darmi lezioni di vita, mi dice di non cedere, di resistere, di non mostrare debolezza....
di non piangere.... ma tutte quelle lacrime mai sgorgate ora premono e tutto si rimescola ed è vivo più che mai, segno che certe tragedie non si esauriscono e vibrano nella memoria familiare e collettiva perché è doveroso non dimenticare.
Oggi, solo per questa sera, mamma cessa di essere mamma, per esse-re, semplicemente, Magda.
Una donna certo non perfetta! allegra, triste, pensierosa, intelligente, ironica, pragmatica, ingegnosa, sulle spalle il matrimonio, quattro figli, la fatica, dignità nella malattia. La rivedo mentre dà il bianco alle nostre scarpette della domenica o china sulla macchina da cucire o tornare carica dal mercato, la sento ancora quando mi dice: “mica vorrai pian-gere sul latte versato?”.
Mi manca la stretta della sua mano sul mio braccio, mi manca vederla leggere in quel modo buffo, muovendo le labbra... mi manca la telefo-nata che le facevo ogni mattina alle 9 in punto.... certi giorni sento anco-ra l’impulso di chiamarla.... mi manca ogni giorno la sua forza!...
Scritto nel gennaio 2018 in occasione della celebrazione della Giornata della memoria; letto nell’ambito dell’evento “La strada per Pesaro - pesaresi d’a-dozione”, durante la presentazione del libro”Considerate che avevo 15 anni” di Anna Paola Moretti.
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