Funf zu funf, cinque per cinque, pala in spalla e passo marziale [...] Il lavoro consi-ste nel prendere una palata di sabbia nel mucchietto di sinistra e gettarla in quello di destra dove la compagna di fianco esegue la medesima operazione. La sabbia viaggia in tondo e ritorna al luogo di partenza. [...]. La giornata non finisce mai, il la-voro spezza le reni, le mani si gonfiano e si riempiono di vesciche.[...] alla fatica fisi-ca si aggiunge la rabbia per quel lavoro inutile. E tuttavia anche questo lavoro senza senso ha uno scopo: a Ravensbrück tutto ha un senso se visto nella logica della città concentrazionaria.
Maria Massariello Arata
“[...] Oggi la colonna è un po’ irrequieta perché le due prigioniere cadute nel lavo-ro vengono portate in Lager su due barelle sostenute da altre prigioniere. All’in-gresso del Lager il controllo da parte delle sentinelle è piuttosto lungo e laborio-so. Le prigioniere cadute sul lavoro vengono depositate poi sulla Lagerplatz nei luoghi dell’appello dei rispettivi blocchi e di loro non si saprà più nulla [...].
Amalia Zacchigna
Io sono andata a lavorare in fabbrica [...] sono rimaste con me Maria di Opicina e Dora. Siamo uscite dal portone e siamo andate alle baracche della Siemens: Là ci hanno esaminate [...] Dora povera ha perso gli occhiali, non vedeva, e Maria aveva l’influenza, era piena di febbre [...]. Loro così sono andate via [...] Maria, è morta. (10) Ondina Peteani
Stavamo fabbricando bombe e chiaramente non eravamo entusiaste di produr-re una merce del geneprodur-re, ma pendeva su di noi la minaccia di esseprodur-re accusate di sabotaggio, con le immaginabili conseguenze [...] Allora ci si ingegnava [...] di fatto trovavo il pretesto di cambiare le punte del tornio. Così, pur umiliate, affa-mate e anche un po’ inebetite, siamo riuscite ad ingannarli ed era una piccola rivincita, di grande valore per noi: ci riabilitava anche davanti a noi stesse. (11) Nerina Legovich
[...] Le francesi erano organizzate, loro sì che erano organizzate. Perché loro indicavano “Questa, questa e questa vanno a lavorare oggi. Quest’altre andran-no a lavorare domani”. Noi italiane andran-non potevamo organizzarci. Perché come italiane eravamo proprio odiate: per le francesi eravamo fasciste, perché ave-vamo aggredito la Francia; per i tedeschi eraave-vamo traditrici, perché aveave-vamo tradito anche loro. Insomma eravamo disgraziate. (12)
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Rosa Cantoni
C’era un rullo pesantissimo, grandissimo, enorme....mettevano trenta donne davanti e trenta donne dietro. Perché quelle davanti tiravano e quelle dietro spingevano e poi “Zu-rich” e allora quelle dietro tiravano e quelle davanti spin-gevano. E tutto il giorno quella storia lì. [...]
Mirella Stanzione
Tutto mira ad annientare psicologicamente la dignità e la personalità del de-portato: il duro lavoro, la fame, la sporcizia, i pidocchi, le botte, le umiliazioni, la paura del dopo... La paura del dopo, non si può descrivere l’ansia e il terrore che sentivo dentro di me di fronte all’ignoto. (13)
L’APPELLO
Lidia Beccaria Rolfi
L’appello del mattino è una delle tante torture non torture del campo. All’inizio è sopportabile, ma dopo la prima mezz’ora diventa una tortura, distrugge ogni capa-cità di resistenza, impedisce di pensare. Il cervello si svuota, le gambe gonfiano, i piedi fanno male, dolori atroci corrono per tutta la schiena, per tutti i muscoli.
Mirella Stanzione
Sotto la pioggia, il gelo, la neve, dovevamo stare sull’attenti per ore, senza poter fare alcun movimento senza poter parlare [...] ogni minuto che passa ti doman-di “riuscirò a resistere e a non cadere doman-distesa per terra?” Cadere comportava una grave infrazione e quindi di conseguenza una punizione adeguata.
Livia Borsi Rossi
[...]Una volta ci hanno fatto stare dalla mattina alle 4 fino alle 2 dritte in piedi perchè c’era qualcuno che visitava il campo: ci hanno fatto l’appello e poi ci hanno lasciato lì: non so chi era venuto
Mirella Stanzione
C’erano i cani lupo che ci circondavano e le kapò che ci controllavano. E conta-vano... questa conta non tornava mai e si ricominciava [...] poteva durare due ore, tre ore, quattro ore...due volte al giorno. All’inizio del lavoro e alla fine del lavoro.
Bianca Paganini Mori
[...] Si inventavano sempre qualche cosa e tu dovevi stare allo straf appel ma-gari per tutto il giorno. Stare all’appello di punizione per tutto il giorno era ter-ribilmente duro, perchè si raggiungevano temperature di dieci o dodici gradi sotto zero. C’era la neve e c’era il vento e noi non eravamo vestite, avevamo si e
no un cappottino, delle volte senza calze e nient’altro. La fame ti annientava e alla fine dell’appello eri talmente sfinita che non ce la facevi più...
REVIER (Infermeria)
Lina e Nella Baroncini
Nella: La prima ad andare in infermeria mi pare che fui io, e me la cavai in otto giorni; poi forse andasti tu, Lina, e ultima la Jole, che non uscì mai.
Prima lettera di Jole alla sorella Nella, dall’infermeria - 16 Febbraio 1945
“[...] E tu come stai? Mi dicono che hai sempre la febbre. Ho tanta voglia di vederti. Anche la mamma ho tanta voglia di vederla, ma è tutto inutile,[...] dopo che abbiamo fatto tanto per restare insieme. Perché anche di noi che ne sarà?
Pare che il nostro blocco (questo 10 del Revier) venga sgombrato a giorni e noi in trasporto [...] Speriamo di rivederci presto e per sempre.
Baci Jole”.
Anna Cherchi
“Era il 15 gennaio, giorno del mio compleanno, durante l’appello sentii chiama-re anche il mio numero. Come un automa uscii dalla mia fila e mi unii al grup-petto prescelto dalla sorte. Finito l’appello [...] noi ci portarono al Revier [...]quando toccò a me mi guardarono solo in bocca e mi fecero dire che avevo i denti ammalati.
Sapevo benissimo che i miei denti erano sani e che quella era solo una scusa.
Il mattino dopo mi caricarono su un camioncino con altre 6 deportate e ci por-tarono a Sachsenhausen dove ci divisero. Mi porpor-tarono in una stanza e senza preamboli cominciarono subito l’estrazione, contandoli uno per uno: arrivarono a sette. Alla fine mi dissero Haufidersen morgen.
Feci il viaggio di ritorno da sola, perchè le altre non tornarono più.
Il mattino seguente mi fecero rifare il viaggio da sola con l’Hausehrin [...] arri-vata dal mio macellaio il metodo non cambiò, i denti estratti e contati uno per uno, questa volta, sono stati otto...” (14)
Ida Desandrè
Quello che è stato fatto a me, come a tante altre, era che ci veniva tolto il ciclo mestruale. Ad alcune mettevano qualcosa nel mangiare, ad altre veniva iniet-tato direttamente un liquido molto irritante che ci ha tolto le mestruazioni [...]
l’effetto è stato che il nostro corpo si è riempito di grossi foruncoli sempre pieni di pus….e di pidocchi.
Oltre agli esperimenti, poi le selezioni...
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Savina Rupel
[...] Ad un certo punto cominciò il travaglio e mi portarono in Revier. Mi sentivo male ma non riuscivo a dare alla luce il bambino. Il terzo giorno [...] quello che doveva essere il capo-medico ha detto che andava bene....poi è tornato e si è meravigliato che fossi in vita. Mi ricordo, nel delirio, che incrociavo un piccolo specchio quando mi portavano da una stanza all’altra. Conservo un’immagine terribile di me... un volto nero, tumefatto dai patimenti [...]. Mi hanno fatto un’i-niezione... così il mio bambino è nato, vivo!! Lo hanno buttato in aria ed hanno esclamato kleine partizan (piccolo partigiano).
Durante i primi due o tre giorni si lamentava, piangeva, poi la voce si indebolì...
non avevo niente da dargli da mangiare, neanche acqua avevo al seno, lo tene-vo vicino a me cercatene-vo di scaldarlo, come potetene-vo [...]. Dopo 13 o 14 giorni Danilo è morto... ha cominciato ad essere freddo, freddo, freddo e duro...
Non volevo che si accorgessero subito che era morto [...] speravo di restare ancora un giorno nel Block, per salvarmi...senza Danilo mi avrebbero mandato subito fuori all’appello e poi al Block delle selezioni [...]. Vi invito a non giudicare facilmente e a considerare ciò che ho subito dai miei carnefici per essere ridotta a quel punto.
SOPRAVVIVERE
Bianca Paganini Mori
[...]Chi piangeva era perduto; chi piangeva non aveva più la forza di resistere: là
Immagini di deportate italiane
per resistere per sopravvivere, bisognava odiare. Io devo vivere, ci imponevamo, per narrare per testimoniare agli altri la verità di quest’orrore [...]. E ci sforzava-mo di tenerci pulite il più possibile... mantenere il senso di femminilità era già, accanto all’aiutarci e al conservare la dignità umana, una cosa molto positiva.
Savina Rupel
Ogni notte avevo sempre un desiderio:sognare il mio tetto, il paese, e sempre speravo di vedere, anche solo in sogno, casa. Sognavo la casa, la vedevo...
Mirella Stanzione
Sento ancora la voce di mia madre che di fronte alle lacrime della Bice, di Bianca e mie, dice:
”Basta piangere, ditemi piuttosto dove vi porto stasera a ballare!”
Lidia Beccaria Rolfi
Monique mi prende sotto la sua protezione...mi costringe ad imparare meglio il francese. Mi descrive Firenze che io non conosco, mi obbliga, quando ho fame e vorrei parlarle della mia fame, a recitarle i versi che ricordo ancora a memoria della Divina Commedia e a tradurli in francese [...]
Maria Massariello Arata
Il cervello intorpidito non vuole e non può fare alcuno sforzo di pensiero e viene a mancare il punto più valido di sostegno fisico e morale.
In un tale momento... ho la netta sensazione di sentire Dio: un Dio senza voce, che mi invade e che mi da ristoro [...]
LE SELEZIONI
Savina Rupel
[...] Facevano l’appello due volte al giorno e poi selezionavano: ogni giorno, ogni giorno...
Ci mettevano tutte da una parte e man mano che procedevano formavano due file: una era destinata al crematorio, l’altra alla salvezza. Prima uno controlla-va gli occhi, poi ti dacontrolla-va una spinta... ma se non restavi in piedi e cadevi, venivi selezionata per il crematorio. Lo hanno fatto per quindici giorni.
Bianca Paganini Mori
[...] mi avevano dato un scarpa grande del 39 e una piccola del 35 con il tacco.
Quel giorno quando uscimmo dalla Halle (Siemens) sentii una francese che mi diceva “Blanche Marie attention sélection”! E io non riuscivo a capire. Poi vidi un camion con alcuni dottori davanti e allora, mi tolsi le scarpe e tirai su il vestito per dimostrare che non ero zoppa e avanzai. ...Essere selezionate significava finire nei trasporti neri e allo Jugendlager, di dove non si sarebbe tornate più...
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