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3. Il processo nel consolidato fiscale nazionale

3.8. Consolidato fiscale e processo civile

Parallelamente alle riflessioni sul processo tributario occorre interrogarsi su alcune possibili questioni di giurisdizione che potrebbero insorgere nella disciplina processuale del consolidato fiscale.

Un aspetto suscettibile di assumere rilevanza in futuro è quello della tutela del contribuente interessato ad ottenere un accertamento negativo della pretesa fiscale, non avendo ritenuto di prestare acquiescenza né di aderire ad alcuna forma di definizione con l'Amministrazione finanziaria (256). Si tratta di una questione delicata che, pur implicando problemi di coordinamento con la struttura di un processo impugnatorio, esprime senz'altro uno specifico profilo di interesse nei rapporti tra soggetti ammessi al consolidato fiscale. Non è remoto il rischio che la domanda in esame non venga esaminata dal giudice ordinario (poiché asseritamente al di fuori della sua giurisdizione) e neanche dal giudice tributario (sulla scorta di una presunta carenza di interesse, venuta apparentemente meno la materia del contendere). E' possibile, tuttavia, arguire che nessuna di queste conclusioni sia condivisibile: la prima, poiché l'art. 9, comma 2 c.p.c. prevede che “il

emerge che il motivo di ricorso in esame è escluso nell'ipotesi di “doppia conforme” (i.e., quando l'ordinanza “filtro” risulta “fondata sulle stesse ragioni, inerenti alle questioni di fatto, poste a base della decisione [di primo grado, n.d.r.] impugnata” e, altresì, “avverso la sentenza d'appello che conferma la decisione di primo grado” in esito ad un ordinario giudizio in appello). Tali ultime novità, che incidono direttamente sul processo tributario in ragione dell'art. 62 del D.lgs. 546/1992, sembrano ormai muovere verso un modello c.d. di cassazione pura, in cui non possono più avere ingresso questioni attinenti la valutazione dei fatti (sia pure sotto un profilo logico e motivazionale) esaminati dai giudici di merito. Si deve ritenere, in quest'ottica, che il rilievo della nuova “omissione” dovrebbe comportare, in teoria, la cassazione con rinvio della sentenza impugnata.

tribunale è altresì esclusivamente competente in materia di imposte e tasse”, come del resto è ammesso nel caso delle opposizioni all'esecuzione (artt. 615 e 616 c.p.c.) e agli atti esecutivi (artt. 617 e 618 c.p.c.) intrapresi dall'Agente della Riscossione (257); la seconda, poiché è innegabile che sussista uno specifico interesse del contribuente “dissenziente” (di solito, la consolidata) alle conseguenze pregiudizievoli che possono derivargli in ragione dell'atto impositivo notificatogli (258).

A ben vedere, quindi, potrebbe porsi non una carenza assoluta di giurisdizione, peraltro difficilmente ammissibile anche su un piano costituzionale, quanto una situazione di conflitto. Ebbene, tale conflitto potrebbe essere risolto a favore della giurisdizione tributaria, ricordando che l'ultimo periodo dell'art. 2, comma 1 del D.lgs. 546/1992 ne delimita in negativo l'oggetto, escludendo “soltanto” le controversie relative agli atti di esecuzione forzata tributaria successivi alla notifica della cartella di pagamento o dell'avviso di intimazione (259). Il giudice tributario non potrebbe però condannare un privato a restituire quanto già pagato a titolo di rivalsa, poiché ciò rientra nella competenza del giudice ordinario (260).

257 Pur con le limitazioni di cui all'art. 57 del d.P.R. 602/1973

258 Sulla configurabilità, in questo senso, di un interesse e, quindi, di una legittimazione ad agire F.V. ALBERTINI, Il processo con pluralità di parti, cit., pag. 294.

259 Per un inquadramento sul riparto tra giurisdizione tributaria e civile M. MICCINESI, Art. 2, in AA.VV., Il nuovo processo tributario, cit., pp. 36-37.

260 Cfr. quanto rilevato da ultimo nella sentenza Cass. SS.UU. 19289/2012 per cui “le controversie tra sostituto d'imposta e sostituito, relative al legittimo e corretto esercizio del diritto di rivalsa delle ritenute alla fonte versate direttamente dal sostituto, volontariamente o coattivamente, non sono attratte alla giurisdizione del giudice tributario, ma rientrano nella giurisdizione del giudice ordinario, trattandosi di diritto esercitato dal sostituto verso il sostituito nell'ambito di un rapporto di tipo privatistico, cui resta estraneo l'esercizio del

Una questione particolarmente delicata potrebbe porsi, poi, laddove si contesti, sotto vari profili, l'adozione stessa del regime fiscale in esame. Tale questione potrebbe riferirsi, in chiave procedurale, a due atti ben distinti: la delibera dell'organo amministrativo della società (che decida di aderire al regime (261)) e l'opzione comunicata all'Amministrazione finanziaria (mediante la quale il regime è effettivamente adottato).

L'invalidità della delibera è proposta con atto di citazione davanti al tribunale del luogo dove la società ha sede, ex art. 2378 del Codice civile, nel termine di decadenza di novanta giorni (262). Legittimati all'impugnazione, per la conformità della deliberazione alla legge (263) o allo statuto, sono il collegio sindacale o gli amministratori assenti o dissenzienti

potere impositivo sussumibile nello schema potestà-soggezione, proprio del rapporto tributario (cfr. Sez. un., 8 aprile 2010, n. 8312; e Sez. un., 26 giugno 2009, n. 15032) e nelle quali manca di regola "un atto qualificato", rientrante nella tipologia di cui all'art. 19 del citato DLgs. n. 546 del 1992 (cfr. Sez. un., 19 dicembre 2009, n. 26820). Principio, questo, destinato a trovare applicazione in ogni caso in cui la controversia non abbia ad oggetto il rapporto tra il contribuente e l'amministrazione tributaria, bensì un rapporto implicante un accertamento in ordine alla debenza dell'imposta contestata destinato ad avere valore meramente incidentale (cfr. Sez. un., 28 gennaio 2011, n. 2064)”.

261 Si tratta di una delibera che, nell'attuale assetto del diritto societario, compete all'organo amministrativo cui, ai sensi dell'art. 2380-bis del Codice civile, “esclusivamente” compete la gestione dell'impresa. Peraltro è dato rinvenire, accedendo al registro delle imprese o anche solo alla rete Internet, delibere di consigli di amministrazione che effettivamente adottano la decisione di aderire al consolidato fiscale ovvero notizia delle stesse (ad es. Actelios S.p.A., oggi Falck Renewables S.p.A., nonché Erg S.p.A.).

262 Decorrenti dalla iscrizione della delibera nel registro delle imprese o, in mancanza, da quando essa sia conosciuta dall'attore. Così, A. PISANI MASSORMILE, Invalidità delle delibere consiliari, in Il nuovo diritto delle società (diretto da P. ABBADESSA e G.B. PORTALE), Torino, 2006, II, pp. 515 e ss. (spec. par. 14).

263 Si deve ritenere anche in base alla legge tributaria. Laddove il collegio sindacale o l'amministratore impugnante ravvisino, ad esempio, l'insussistenza delle condizioni richieste dal T.U.I.R. ai fini del valido esercizio dell'opzione rientrerebbe tra i rispettivi compiti quello di impedire che la delibera venga eseguita (mediante la trasmissione in via telematica dell'opzione) e, magari, successivamente disconosciuta dall'Amministrazione finanziaria con possibili gravi ricadute amministrative, finanziarie e sanzionatorie.

nonché, per le deliberazione lesive di diritti, anche i soci (264). Nel più ampio termine di cinque anni dal compimento dell'atto pregiudizievole il socio o il terzo possono, inoltre, agire per il risarcimento del danno direttamente cagionato dalla delibera adottata dagli amministratori con dolo o colpa grave.

Per quanto concerne, invece, l'opzione per il consolidato fiscale si ritiene che la stessa possa essere revocata dall'Amministrazione finanziaria nel rispetto del termine di decadenza di cui all'art. 43 del d.P.R. 600/1973 e che avverso detta revoca possa essere proposto ricorso, in un effettivo e doveroso regime di litisconsorzio necessario, dinanzi la competente Commissione Tributaria Provinciale.

3.9. Conclusioni

Numerosi profili teorici ed applicativi consentono di dubitare della bontà della scelta di assoggettare i ricorsi promossi dai soggetti aderenti alla tassazione consolidata al regime di litisconsorzio necessario. Tale soluzione processuale contrasta con l'assetto sostanziale del rapporto tributario sottostante e con la stessa disciplina dell'accertamento. L'obiettivo di “garantire, anche nella fase processuale, la gestione unitaria dell'obbligazione tributaria contenuta nell'atto unico, al fine di evitare

264 Secondo F. GIANNI, L'invalidità delle deliberazioni del consiglio di amministrazione, relazione al Convegno “Consiglio di Amministrazione e Comitati Interni” (Milano, 11-12 febbraio 2010), la lesione può concretizzarsi anche in atti e comportamenti successivi, posti in essere sulla base dell'azione della deliberazione (così a pag. 7 del dattiloscritto) e non sarebbe richiesta, ai fini della legittimazione, la soglia minima di partecipazione indicata all'art. 2377, comma 3 del Codice civile (cfr. pp. 13-14 del dattiloscritto).

decisioni fra loro contrastanti sulla medesima pretesa impositiva” poteva invero essere raggiunto con meno forzature, avvalendosi degli istituti processuali esistenti (litisconsorzio facoltativo, intervento, chiamata, riunione (265)). Non sembra, quindi, condivisibile la tesi secondo cui “la previsione del litisconsorzio originario necessario tra il soggetto destinatario della rettifica del proprio reddito e la società o ente consolidante, entrambi solidalmente responsabili delle obbligazioni derivanti dall'accertamento, si pone come conseguenza dell'unicità dell'atto di accertamento” (266). Occorre distinguere infatti a seconda che l'oggetto del ricorso sia ontologicamente inscindibile (e non è questo il caso) o che la “unicità” sia di ordine soprattutto procedurale (come rilevato a suo tempo, a proposito del consolidamento fiscale, da attenta dottrina). Del resto, lo stesso legislatore in tema di accertamento con adesione dei soggetti aderenti al consolidato nazionale, ammette che uno solo dei contribuenti possa sottoscrivere l'adesione e, dal canto suo, l'Amministrazione finanziaria contempla addirittura di poter addivenire alla conciliazione giudiziale con uno solo dei due contribuenti (267). Tutto ciò, tra l'altro, rende più che mai

265 Si attaglia perfettamente alla fattispecie la norma processuale dettata dall'art. 14, comma 3 del D.lgs. 546/1992 per cui “possono intervenire volontariamente o essere chiamati in giudizio i soggetti che, insieme al ricorrente, sono destinatari dell'atto impugnato o parti del rapporto tributario controverso”. Considerando l'unicità dell'atto impositivo e la sua duplice notificazione, entrambe le parti avrebbero interesse ad opporsi tempestivamente e i relativi ricorsi, ove non congiunti, potrebbero essere facilmente riuniti. Gli istituti dell'intervento e della chiamata potrebbero ovviare ad eventuali carenze del contraddittorio.

266 I brani riportati per esteso sono tratti dal par. 13 della circolare n. 27/E/2011.

attuale l'interesse del soggetto “dissenziente” ad ottenere un accertamento giudiziale dell'eventuale infondatezza della pretesa fiscale sottostante.