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3.1 L’ordinamento dell’Unione europea

3.1.1 Il consolidato quadro dei principi UE in materia economica

Nel capitolo precedente si è visto come il rapporto tra Regioni e ordinamento UE sia stato fin dall’inizio assai articolato, dal momento che l’appartenenza degli ordinamenti statali a un più ampio ordinamento sovranazionale ha generato nel tempo tanto spinte centripete quanto occasioni di sviluppo delle autonomie territoriali.

Per cogliere appieno l’impatto dell’ordinamento UE sull’autonomia finanziaria regionale non è quindi possibile cominciare ad analizzare le relative fonti dai provvedimenti più recenti in materia finanziaria, ma è necessario dare almeno un quadro

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sintetico dei principi fondativi del diritto comunitario, quelli finalizzati alla creazione di un mercato comune, che conformano decisamente la potestà impositiva degli enti territoriali, impattando dunque sulla possibilità di istituire tributi propri come espressione dell’autonomia finanziaria di entrata253.

Bisogna ricordare prima di tutto le libertà cardine del mercato comune: libertà di circolazione delle merci, delle persone, dei servizi e dei capitali, le quali, tutte, devono essere lette alla luce del principio di non discriminazione sulla base della nazionalità stabilito dall’art. 18, TFUE. In particolare:

- la libertà di circolazione delle merci vieta l’istituzione di dazi doganali all’importazione e all’esportazione e di qualsiasi tassa di effetto equivalente (art. 28 TFUE)254;

253 La dottrina tributaristica tende a distinguere l’integrazione “in positivo” e quella “in negativo” in materia tributaria. La prima si ha quando l’UE esercita la propria potestà normativa sui tributi sulla base di una norma primaria che le attribuisce espressamente il potere di armonizzare le legislazioni nazionali. Questo è espressamente previsto ad esempio nel caso delle imposte indirette (art. 113 TFUE), come anche in materia energetica (art. 194 TFUE), ma si ritiene sia possibile anche in materia di imposte dirette sulla base delle norme che prevedono il potere di ravvicinare le legislazioni degli Stati membri (art. 114 ss., TFUE). Dal momento che si richiede che tali misure siano approvate all’unanimità in Consiglio, tuttavia, l’avanzamento dell’integrazione “in positivo” risulta difficile. L’integrazione “in negativo” si realizza invece a partire dall’interpretazione dei principi del diritto UE, dalle libertà fondamentali, dal divieto di aiuti di Stato, che impone la non applicazione delle norme nazionali che contrastino con le stesse (principi dell’effetto diretto e del primato del diritto UE). In questo modo si conforma la potestà impositiva dello Stato e delle Regioni: queste ultime sono particolarmente interessate dalla problematica in quanto, mentre il primo gode del gettito derivante da tributi che prevedono basi imponibili consolidate (prima fra tutte il reddito), le seconde sono stimolate alla ricerca di nuove basi imponibili sulle quali fondare i tributi propri. V. F. TESAURO, Istituzioni di diritto tributario, 2, cit., 347 ss.

254 Si può ricordare fin d’ora che analoghe libertà all’interno del territorio nazionale sono garantite sia dalla Costituzione italiana che da quella spagnola. In particolare, l’art. 120, c. 1, Cost. italiana statuisce che «la Regione non può istituire dazi di importazione o esportazione o transito tra le Regioni, né adottare provvedimenti che ostacolino in qualsiasi modo la libera circolazione delle persone e delle cose e tra le Regioni, né limitare l’esercizio del diritto al lavoro in qualunque parte del territorio nazionale», mentre l’art. 139.2 Cost. spagnola afferma che «nessuna autorità potrà adottare misure che ostacolino direttamente o indirettamente la libertà di circolazione e di stabilimento delle persone e la libera circolazione dei beni in tutto il territorio spagnolo». La somiglianza di queste disposizioni fra loro e di entrambe con quelle previste a livello sovranazionale non deve stupire: è il portato della frammentazione politica che ha storicamente caratterizzato tanto la penisola italiana che quella iberica e, più di recente, lo spazio europeo, con il correlativo potere di imporre oneri economici e limiti al passaggio delle frontiere. In effetti, la creazione di uno spazio economico unitario è uno dei dati genetici dello Stato moderno: a volte l’unificazione politico-amministrativa si pone a monte di questo processo (come in Francia), a volte a valle (come nel caso dello

Zollverein tedesco). In ogni caso l’esito è che «la liberalizzazione dello spazio economico nazionale è,

storicamente, l’altra faccia dell’unificazione e dell’accentramento del potere politico» (così, G. DI

- la libertà di circolazione delle persone, con riferimento all’ambito che interessa in questa sede255, si riferisce ai soggetti di diritto “economicamente qualificati”, ossia rispettivamente ai lavoratori (art. 45 TFUE) e alle imprese (c.d. libertà di stabilimento, art. 49 TFUE);

- la libertà di circolazione dei servizi riveste un ruolo residuale rispetto alle precedenti, e tutela i soggetti che svolgono attività in un altro Stato membro senza peraltro stabilirvisi in maniera permanente (art. 56 TFUE);

- la libertà di circolazione dei capitali, che vieta ogni restrizione ai movimenti di capitali (art. 63 TFUE), è strumentale alle altre, in quanto il capitale è necessario per finanziare gli altri fattori della produzione.

Le due più rilevanti esperienze di tributi propri istituiti da Regioni italiane si sono scontrate proprio con questo quadro di principi sovranazionali: si tratta delle ccdd. “tassa sul tubo” della Regione siciliana e “tassa sul lusso” della Regione Sardegna.

La prima, istituita con legge regionale n. 2 del 2002, aveva come presupposto la proprietà di gasdotti ricadenti nel territorio della Regione siciliana e classificabili di “prima specie” ai sensi del decreto del Ministro dell’Interno 24 novembre 1984 (ovvero quelli di dimensioni maggiori); la base imponibile era calcolata sulla base del volume delle condotte. Il prelievo è stato oggetto di una procedura di infrazione nei confronti dell’Italia avviata dalla Commissione europea sulla base della tesi – accolta poi dalla Corte di Giustizia – che il tributo si ponesse in violazione degli artt. 23, 25 e 133 del Trattato CE che vietavano agli Stati membri di introdurre unilateralmente prelievi all’importazione o all’esportazione con Paesi terzi. Esso andava ad incidere solo apparentemente sul diritto di proprietà dell’infrastruttura, mirando invece a colpire il prodotto trasportato, dal momento che ha ad oggetto impianti destinati non allo stoccaggio, ma al trasporto del gas, e prende in considerazione la capienza delle condotte256.

255 La libertà di circolazione delle persone è un argomento assai complesso, che trascende ormai le figure del lavoratore e dell’impresa (comprensiva del prestatore di servizi di natura professionale) che venivano in rilievo nell’originaria impostazione economica propria del trattato istitutivo della Comunità Economica Europea (CEE) e della relativa giurisprudenza. La libertà di circolazione non è più riconosciuta solo ai lavoratori ma a tutti i cittadini europei e anche ai cittadini di Paesi terzi ove in possesso di alcuni requisiti: su questo percorso v. A.ADINOLFI, La libertà di circolazione delle persone e la politica dell’immigrazione, in AA.VV., Diritto dell’Unione Europea. Parte speciale. Estratto, Torino, 2017, 63 ss.

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La seconda misura fiscale richiamata assumeva invece a presupposto lo scalo turistico degli aeromobili e delle unità da diporto, applicabile nel periodo dal 1° giugno al 30 settembre, soltanto per alcune categorie di imprese con domicilio fiscale fuori dal territorio della Regione Sardegna257.

In questo caso è stata “chiamata in causa” la Corte costituzionale, la quale ha colto l’occasione per effettuare il proprio primo rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia258

e, conseguentemente, sulla base del pronunciamento di quest’ultima, dichiarare l’illegittimità costituzionale della norma per violazione dell’art. 117, c.1, Cost., nella misura in cui il legislatore regionale non aveva rispettato gli obblighi derivanti dalla partecipazione dell’Italia all’ordinamento UE259. La Corte di Giustizia ha infatti ritenuto che la normativa della Regione Sardegna fosse in contrasto con il principio della libera prestazione di servizi, rilevando che l’imposta rendesse più onerosi i servizi gravati rispetto a quelli forniti dagli esercenti stabiliti sul territorio regionale, precisando inoltre che «nel settore della libera prestazione dei servizi, un provvedimento fiscale nazionale che ostacoli l’esercizio di tale libertà può costituire una misura vietata, sia che esso emani dallo Stato stesso sia che emani da un ente locale»260.

Rilevante impatto sull’autonomia finanziaria di Regioni e CCAA ha poi il divieto di aiuti di Stato, previsto dall’art. 107 TFUE, secondo il quale «sono incompatibili con il mercato interno … gli aiuti concessi dagli Stati, ovvero mediante risorse statali, sotto qualsiasi forma che, favorendo talune imprese o talune produzioni, falsino o minaccino di falsare la concorrenza»261. Come si vede, requisito essenziale perché il vantaggio

fiscalità ambientale e tributi regionali di scopo, in Istituzioni del federalismo, 6, 2007, 823 ss.; G.M.

SALERNO, Le Regioni ad autonomia speciale e il federalismo fiscale: una questione da affrontare, in

federalismi.it, 13.06.2007.

257 Art. 4, l.r. n. 4 del 2006, come sostituito da l.r. n. 2 del 2007. 258 Corte cost., ord. n. 103 del 2008.

259 Corte cost., sent. n. 216 del 2010, la quale ricorda che «nei giudizi promossi in via principale - come quello in esame - in cui si dubiti della compatibilità di leggi regionali con norme comunitarie dotate di efficacia diretta, queste ultime fungono da norme interposte atte ad integrare il parametro per la valutazione di conformità della normativa regionale all’art. 117, primo comma, Cost.».

260 La disciplina viene ritenuta anche in contrasto col divieto di aiuti di Stato – di cui si parla a seguire, nel testo – in quanto, mediante la rinuncia del gettito che deriverebbe dai tributi pagati dalle imprese stabilite sul territorio regionale, si crea in realtà un’ingiustificata misura di favore nei confronti di queste ultime. 261 Si può notare come la disciplina degli aiuti di Stato, che pur come finalità primaria ha la tutela della concorrenza, presenti anche ulteriori implicazioni. Prima di tutto, essa diviene un modo di controllare la fiscalità diretta degli Stati, in assenza di una possibilità di armonizzazione come avviene per le indirette (C. CALDERÓN PATIER,Á.GONZÁLEZ LORENTE, Las ayudas de Estado en la legislación de la Unión Europea

attribuito sia considerato aiuto di Stato è la “selettività” dei criteri di attribuzione, tali da incidere sulla competitività soltanto di alcuni operatori economici e quindi violando il principio concorrenziale tutelato dal diritto UE.

Tale divieto, in realtà, incide sia sull’esercizio della potestà normativa regionale in materia tributaria, con particolare riferimento ai trattamenti tributari di favore (agevolazioni, esenzioni), sia sull’autonomia di spesa, ove questa si concreti nella previsione di concessioni di risorse pubbliche alle imprese (sovvenzioni, contributi, etc.): la CGUE ha infatti statuito che l’aiuto di Stato può consistere tanto nella diretta erogazione di risorse pubbliche quanto nell’eliminazione di un onere che altrimenti sarebbe gravato sull’operatore economico262. Le conseguenze dell’adozione di un aiuto di Stato illegittimo sono particolarmente gravose per lo Stato, comportandone non soltanto l’obbligo di rimozione dall’ordinamento, ma anche il recupero delle somme già erogate e il risarcimento del danno nei confronti dei concorrenti o dei terzi danneggiati263: a norma del TFUE, la Commissione ha rilevanti poteri di valutazione, di indagine e sanzionatori in materia di aiuti di Stato, di fronte ai quali solo lo Stato, e non le Regioni e CCAA, è responsabile e ha conseguentemente il potere di interloquire e spiegare le ragioni che fondano la legittimità dell’operato dei poteri pubblici, compresi quelli territoriali.

A questo proposito si può ricordare che la Spagna nel 2015 è stata destinataria di una lettera della Commissione con la quale veniva chiesta l’eliminazione o la modifica dell’Impuesto sobre los grandes establecimientos comerciales, stabilita da Cataluña, Principado de Asturias, Aragón, Canarias, La Rioja e Navarra (si noti che l’appartenenza al regime forale a questi fini è del tutto irrilevante per il diritto UE), che pure era stata ritenuta legittima dal giudice costituzionale264.

Si noti in realtà che la disciplina degli aiuti di stato si può rivelare anche un incentivo a favore di una maggiore autonomia finanziaria di Regioni e CCAA: in contesti

como restricción a la política fiscal de los Estados miembros, in Crónica Tributaria, 115, 2005, 61 ss.).

Ancora, si è osservato come tale disciplina – seppure in modo indiretto – abbia costituito un primo embrionale incentivo al controllo e al contenimento della spesa pubblica da parte degli Stati membri (G. DELLA CANANEA, La disciplina giuridica delle finanze dell’Unione e delle finanze nazionali, cit.). 262 CGUE, 2 luglio 1974, C-173/73, Italia/Commissione.

263 E.MANZANO SILVA, Ayudas de estado de carácter fisca; régime jurídico, Cizur Menor, 2009.

264 SSTC 122/2012 de 5 de junio; 96/2013 de 23 de abril, 208/2012 de 14 de noviembre, 53/3014 de 10 de

abril. In argomento v. I.ROVIRA FERRER, Estado actual y perspectivas de futuro de la potestad autonómica

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marcatamente differenziati dal punto di vista economico come quelli italiano e spagnolo, ben può darsi che si ravvisi l’opportunità di incentivare le imprese che si vogliano stabilire su determinati territori. Tuttavia, alla luce della vigente normativa europea, sarebbero ritenute “selettive” e quindi vietate le misure destinate soltanto a una parte del territorio nazionale, al di fuori dei casi espressamente previsti dai parr. 2 e 3 dell’art. 107 TFUE. Diversamente si pone però la questione ove la misura sia adottata dagli enti territoriali: nella nota sentenza Azzorre la Corte di Giustizia ha infatti statuito che ove il vantaggio patrimoniale sia attribuito (a) da un’autorità infrastatuale, che (b) sia dotata di uno statuto autonomo di fatto e di diritto, allora la “selettività” si valuta con riferimento al territorio di competenza di detto ente, con la conseguenza che non potrebbe ritenersi selettivo un aiuto rivolto a tutte le imprese che operano nel territorio regionale265.

A questo argomento si collega quello della fiscalità ambientale, che rientra nella più ampia prospettiva delle politiche ambientali dell’UE266. La disposizione di rango primario di riferimento è l’art. 191 TFUE, secondo il quale «la politica dell’Unione in materia ambientale mira a un elevato livello di tutela, tenendo conto della diversità delle situazioni nelle varie Regioni dell’Unione». Nell’ambito della fiscalità ambientale si possono far rientrare sia i tributi espressamente istituiti per colpire in maniera più intensa le attività inquinanti sia le agevolazioni volte a incentivare comportamenti virtuosi per la tutela dell’ambiente.

Il riferimento alla diversità delle situazioni regionali contenuto nell’art. 191 TFUE mette in luce come gli enti territoriali siano in una posizione naturalmente privilegiata per adottare misure di protezione dell’ambiente, stante il loro collegamento al territorio e la

265 Oltre alla pronuncia richiamata in testo (CGUE, 6 settembre 2006, C-88/03, Azores) vengono in considerazione: CGUE, 11 settembre 2008, cause riunite C-428/06 e C-434/06, Unión General de

Trabajadores de la Rioja; 15 novembre 2011, cause riunite C-106/09 P e C-107/09 P, Commissione e Spagna/Government of Gibraltar e Regno Unito. Più precisamente la giurisprudenza comunitaria tende a

distinguere tra situazioni simmetriche e asimmetriche, a seconda che tutte le regioni abbiano o meno i medesimi poteri di regolazione a livello tributario. Mentre nei casi di simmetria non si può definire un livello nazionale di pressione fiscale “normale”, è nei casi di asimmetria che si applica la giurisprudenza citata. Particolare importanza ai fini della verifica dell’effettiva autonomia – e quindi per escludere la selettività territoriale – ha l’assenza di poteri conformativi del livello centrale di governo sulla potestà impositiva delle Regioni (ovvero che non sia lo Stato centrale a determinare il contenuto normativo dell’agevolazione) e il fatto che sia l’ente territoriale che sopporta l’onere finanziario dell’agevolazione (ossia che la conseguente diminuzione del gettito non sia compensata da un aumento dei trasferimenti finanziari dal centro).

266 In argomento, v. G.SCANU,L’autonomia tributaria delle Regioni a statuto speciale e delle Province autonome, Torino, 2017, 67 ss.

conseguente possibilità di cogliere i fattori che necessitano di maggiore protezione e le minacce immediate267: sono dunque generalmente giustificati gli interventi di favore adottati per perseguire tale finalità268.

Infine, le entità infrastatuali, nell’esercizio del loro potere legislativo, devono rispettare le norme stabilite dall’Unione europea anche per quanto riguarda il diritto derivato, con il quale si realizza l’integrazione “in positivo” a livello tributario. Questo si osserva in particolare in materia di IVA, imposta disciplinata dalla Direttiva CE 2006/112 del Consiglio del 28 novembre 2006: fatte salve le eccezioni espressamente previste dai Trattati269, la normativa sull’IVA esclude l’autonomia regionale in quest’ambito, dato che attribuisce allo Stato il potere di stabilire le aliquote base e ridotte con valenza su tutto il territorio nazionale270. Si ritiene inoltre che la previsione di differenti aliquote regionali contrasterebbe con la concezione dell’IVA come tributo a carattere generale, potendo costituire una barriera per il libero scambio delle merci e dei servizi e distorcere la concorrenza e il funzionamento del mercato interno271.

267 Nella stessa logica, nonostante la tutela dell’ambiente rientri fra le materie di competenza legislativa esclusiva statale ai sensi dell’art. 117, c. 2, lett. s), Cost. italiana, e quindi sia in astratto preclusa all’intervento del legislatore regionale, la Corte costituzionale consente alle Regioni di legiferare in materia – fermo il rispetto di quanto previsto dal legislatore statale – per garantire livelli di tutela più elevati (Corte cost., sentt. nn. 104 del 2008; 12 del 2009; 61 del 2009; 235 del 2009). V. N. LUGARESI, Diritto

dell’ambiente, Padova, 2015, 65-67.

268 Gli sgravi concessi a tutela dell’ambiente sono in particolare dichiarati compatibili con il divieto di aiuti di Stato dal Regolamento CE 2008/800 del Consiglio del 6 agosto 2008.

269 Si pensi ad Azzorre e Madeira per il Portogallo e alle Canarie per la Spagna (art. 105 TFUE). 270 Artt. 96-101, Direttiva 2006/112/CE.

271 A.VEGA,The Impact of European Union Law on Regional Autonomy in Businees and Value Added Taxation, in Revista d’Estudis Autonòmics i Federals, 24, 2016, 35-36.

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3.1.2 L’eterogeneo assetto delle fonti riportabili alla c.d. governance finanziaria europea

Nel capitolo precedente si è descritta l’evoluzione del quadro normativo sovranazionale sotto la spinta della crisi economico-finanziaria, secondo un approccio che potremmo definire “dinamico”. A questo punto è però opportuno esporre analiticamente il risultato di questo processo sul piano statico, dando conto delle fonti che conformano l’ordinamento finanziario degli Stati.

Va peraltro subito chiarito che con quest’ultima espressione non ci si riferisce soltanto al bilancio statale: l’ordinamento sovranazionale guarda infatti alla dimensione finanziaria degli Stati come un complesso organico, comprensivo dei bilanci dello Stato, delle Regioni, degli Enti locali, di alcuni Enti pubblici, ovvero di quella che viene definita “finanza pubblica allargata”, senza limitarsi al bilancio del livello centrale di governo ma prendendo in considerazione tutte le risorse pubbliche272.

Da un punto di vista contabile, lo strumento che viene utilizzato è quello del bilancio consolidato, ossia un documento unitario che registra a consuntivo l’insieme delle spese e delle entrate dei soggetti istituzionali che compongono il settore istituzionale delle pubbliche amministrazioni. Esso è integralmente definito sulla base delle norme europee: con riferimento ai soggetti che vi sono ricompresi, ai criteri di contabilizzazione, etc.273. È con riferimento al bilancio consolidato che viene valutato il rispetto da parte

272 Il concetto di “finanza pubblica allargata” è pacificamente utilizzato tanto in dottrina quanto dalla giurisprudenza costituzionale: v., ad esempio, Corte cost., sent. n. 107 del 2016.

273 La fonte normativa di riferimento è il Regolamento (CE) n. 2223/96 del Consiglio del 25 giugno 1996, relativo al “Sistema europeo dei conti nazionali e regionali nella Comunità europea” (cd. SEC 95). Sulla base di questo, è stato adottato il Manuale del SEC 95 sul disavanzo e sul debito pubblico, che costituisce strumento interpretativo del Regolamento. Il sistema è stato poi aggiornato dal Regolamento (UE) n. 549/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio del 21 maggio 2013, istitutivo del SEC 2010. Il SEC è un sistema contabile comparabile a livello internazionale che armonizza – mediante l’utilizzo di concetti prettamente economico-sostanziali e non contabili-formali – i criteri di individuazione dei dati atti a descrivere il complesso di un’economia. Il bilancio consolidato non appartiene alla manovra di bilancio statale ma viene elaborato da un Ente nazionale deputato a funzioni statistiche (nel caso italiano, l’ISTAT) che lo trasmette annualmente all’EUROSTAT (v. Corte dei conti, Sezioni riunite, 14 marzo 2018, n. 10). Questione centrale nella predisposizione del consolidato è l’individuazione dei soggetti istituzionali che fanno parte del settore “Amministrazioni Pubbliche” ai fini della normativa europea: sono infatti i loro bilanci che concorrono a formare gli aggregati sui quali si misura il rispetto dei vincoli finanziari europei. Ebbene, il Regolamento – utilizzando come anticipato un linguaggio prettamente economico – definisce Amministrazioni pubbliche ai fini della normativa contabile «tutte le unità istituzionali che agiscono da produttori di altri beni e servizi non destinabili alla vendita, la cui produzione è destinata a consumi collettivi e individuali ed è finanziata in prevalenza da versamenti obbligatori effettuati da unità